Quando ci si trova in condominio può capitare di sentire i vicini che parlano, ma cosa succede se si viene beccati ad origliare le loro conversazioni? Ecco cosa dice la legge.
Ascoltare, sì. Registrare e diffondere, no. Nel delicato equilibrio tra diritto alla riservatezza e uso legittimo delle parti comuni, il pianerottolo condominiale è spesso al centro di fraintendimenti.
Una recente ricostruzione giurisprudenziale e i richiami dell’Autorità Garante per la privacy chiariscono i confini: ciò che l’orecchio percepisce in una zona comune non integra, di per sé, un illecito penale. Ma i limiti sono netti e oltrepassarli può comportare sanzioni, risarcimenti e persino conseguenze penali.

Il pianerottolo, quale naturale estensione delle scale, è una parte comune dell’edificio. Serve al transito verso le singole unità immobiliari e, proprio per questa funzione, non può essere occupato da oggetti ingombranti che intralcino il passaggio.
Via libera, in genere, a piccoli ornamenti o piante che non creino ostacoli; no a biciclette, mobili o passeggini abbandonati che trasformino lo spazio in un magazzino di fortuna. La destinazione d’uso resta quella di passaggio condiviso, accessibile a un numero indeterminato di soggetti.
La Corte di Cassazione (12 luglio 2017, n. 34151) ha escluso che scale e pianerottoli siano “luoghi di privata dimora”: non vi si esplica la vita privata al riparo da sguardi indiscreti. Ne discende che ascoltare una conversazione che avviene sul pianerottolo, senza usare strumenti tecnici, non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.). In termini pratici, sbirciare dall’occhiello o tenere la porta socchiusa per capire cosa si dice sul pianerottolo non è, di per sé, un reato.
Il “potrebbe costarti caro” inizia però quando l’ascolto si trasforma in condotta invasiva o viene cristallizzato e diffuso. Se si utilizzano dispositivi per captare voci o immagini (microspie, registratori, telecamere puntate sulle parti comuni), si rischiano reati specifici in materia di intercettazioni e interferenze nella vita privata, oltre a violazioni della normativa privacy.
Se l’origliare diventa appostamento reiterato o pedinamento molesto, possono scattare la contravvenzione di molestie (art. 660 c.p.) o, nelle ipotesi più gravi, il reato di stalking (art. 612-bis c.p.). Se infine quanto ascoltato viene divulgato ledendo l’onore o la reputazione altrui, entra in gioco la diffamazione (art. 595 c.p.) e la responsabilità civile per danno non patrimoniale.
Videocamere private nel condominio: cosa si può e cosa no
La regola generale è semplice: un impianto privato non può riprendere le parti comuni. Inquadrare scale, atri, cortili o pianerottoli con una telecamera installata nel proprio appartamento o all’esterno della propria porta è vietato, salvo che l’angolo di visuale sia rigorosamente limitato alla pertinenza esclusiva del proprietario.

Il Garante per la privacy (provv. 12 ottobre 2023, n. 477) ricorda che eventuali riprese incidentali andrebbero evitate o oscurate con funzioni di mascheramento, e che l’estensione dell’inquadratura oltre il necessario è legittima solo in presenza di un rischio concreto e documentato (furti, minacce, denunce), con motivazioni puntuali e misure di minimizzazione.
Le riprese e, a maggior ragione, le registrazioni sonore delle conversazioni sulle parti comuni sono dunque illecite se effettuate da privati senza una base giuridica. L’eccezione è l’impianto deliberato dall’assemblea condominiale ai sensi dell’art. 1122-ter c.c.: le telecamere sulle parti comuni possono essere autorizzate con la maggioranza prevista dall’art. 1136, comma 2 c.c. (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio).
In questo caso, il condominio diventa titolare del trattamento dei dati: servono informativa chiara mediante cartelli, limitazione dei tempi di conservazione, controllo degli accessi alle immagini e rispetto dei principi del GDPR (finalità, proporzionalità, minimizzazione).





