Pochi anni di contributi: le mini pensioni convengono? I pro e i contro

La legge italiana consente di andare in pensione anche con un versamento minimo di contributi, ovviamente dopo aver raggiunto una soglia anagrafica ben precisa: ecco come funziona e quali sono i vantaggi.

Una nuova finestra di flessibilità si apre per chi ha carriere contributive brevi o discontinue. Con la manovra entrata in vigore nel 2025, è possibile lasciare il lavoro a 64 anni con almeno 20 anni di contributi, a condizione che l’assegno maturato raggiunga un importo minimo pari a tre volte l’assegno sociale.

Donna che conta monete
Pochi anni di contributi: le mini pensioni convengono? I pro e i contro – design.rootiers.it

La soglia è modulata per le donne: 2,6 volte con più figli e 2,8 volte con un figlio. Inoltre, con 25 anni di contribuzione, si può utilizzare la previdenza complementare per integrare l’importo e centrare il requisito minimo. È un cambio di prospettiva importante, pensato per chi rientra nel sistema contributivo puro (con versamenti iniziati dal 1996 in poi) e non ha alle spalle carriere lunghe. Ma conviene davvero? E a chi?

Mini pensioni: come funziona e quali sono vantaggi e svantaggi

Il governo ha annunciato anche una possibile evoluzione: estendere la misura a chi ha contribuzione mista (prima e dopo il 1996), ma alzando l’asticella a 30 anni di contributi e portando la soglia dell’assegno a 3,2 volte l’assegno sociale. Per chi ha meno di 20 anni di versamenti, resta la possibilità di accedere, al compimento dell’età prevista, a trattamenti di base come l’assegno sociale, con importi e tutele più limitati rispetto a una pensione pienamente contributiva.

Coppia sorridente
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  • Requisito anagrafico: 64 anni.
  • Requisito contributivo: minimo 20 anni per l’uscita anticipata contributiva.
  • Importo soglia: almeno tre volte l’assegno sociale (con soglie ridotte per donne con figli).
  • Previdenza complementare: con almeno 25 anni di versamenti si può sommare la rendita integrativa per raggiungere la soglia.
  • Platea: lavoratrici e lavoratori nel sistema contributivo puro.

I vantaggi

  • Flessibilità in uscita. Per chi ha carriere discontinue, lavori frammentati o inizi tardivi, i 64 anni con 20 anni di versamenti offrono un’ancora concreta rispetto all’attesa fino all’età ordinaria, spesso incompatibile con occupazioni usuranti o precarie.
  • Valorizzazione della previdenza complementare. La possibilità di integrare l’assegno con la rendita dei fondi pensione (se si hanno 25 anni di versamenti complessivi) rende più tangibile l’utilità di aderire a strumenti integrativi, spingendo anche i giovani a pianificare.
  • Maggiore tutela per alcune lavoratrici. La soglia ridotta per le donne con figli riconosce, almeno in parte, le interruzioni di carriera legate alla cura familiare e può ampliare la platea di chi riesce a uscire a 64 anni.
  • Pianificazione più chiara. Soglie e requisiti espliciti permettono simulazioni più attendibili sul proprio montante e sull’età di uscita, riducendo l’incertezza.

Gli svantaggi

  • Soglie elevate. Tre volte l’assegno sociale (anche con le riduzioni per le madri) è un obiettivo non scontato per chi ha carriere a basso reddito o part-time prolungati. Molti, pur avendo 20 anni di contributi, restano sotto la soglia e non possono uscire.
  • Importo calcolato a 64 anni. Il metodo contributivo applica coefficienti di trasformazione meno favorevoli a 64 anni rispetto all’età più avanzata: l’assegno iniziale risulta più basso e si trascina la minore base per tutta la vita pensionistica.
  • Disparità tra platee. La misura oggi vale per il contributivo puro: i “misti” dovranno attendere l’eventuale estensione, ma con requisiti più rigidi (30 anni e soglia a 3,2 volte l’assegno sociale), che rischiano di escludere nuovamente molte persone.
  • Rischi di mercato sulla parte integrativa. Se per raggiungere la soglia si fa affidamento su rendite da fondi pensione, la volatilità dei mercati può incidere sull’importo atteso proprio nel momento della richiesta di uscita.
  • Effetti fiscali e indicizzazione. Le pensioni sono soggette a imposizione e le regole di perequazione incidono sul potere d’acquisto: una soglia raggiunta “al centesimo” potrebbe, al netto delle tasse, rivelarsi meno confortevole del previsto.

Il nodo delle carriere miste e lo scenario futuro

L’ipotesi di aprire ai contributi misti fissando un minimo di 30 anni e una soglia al 3,2 dell’assegno sociale amplierebbe la platea, ma al prezzo di requisiti più severi. Per chi ha iniziato a versare prima del 1996, la possibilità di combinare periodi differenti è cruciale; tuttavia, alzare sia gli anni che l’importo minimo rischia di rendere l’obiettivo sfidante per retribuzioni medio-basse. Molto dipenderà dai decreti attuativi, dai coefficienti di trasformazione futuri e dall’andamento dell’assegno sociale, che funge da benchmark dinamico.

Per chi non arriva a 20 anni di contributi, la via maestra resta l’assegno sociale in età avanzata: una prestazione di base, con importi contenuti e requisiti stringenti, che non sostituisce la funzione di una pensione contributiva. Chiamare “mini pensione” l’uscita a 64 anni può essere fuorviante: la misura non è un assegno ridotto con requisiti leggeri, ma un’uscita anticipata subordinata a una soglia economica elevata. In altre parole, il sistema chiede di dimostrare sostenibilità dell’assegno prima di concedere la flessibilità.

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