Aumento stipendio da 150 euro al mese: confermata la svolta di gennaio tra rinnovi dei CCNL, detassazione e adeguamento all’inflazione: cosa cambia e per chi.
La “svolta di gennaio” sul fronte retributivo segna un momento importante per il mondo del lavoro. È stata annunciata un’indicazione di un aumento medio in busta paga fino a 150 euro netti al mese per ampie platee di lavoratori, a partire dalla tornata contrattuale del 2026.

Questo incremento non sarà uguale per tutti ma si baserà sui rinnovi dei contratti collettivi nazionali (CCNL) e su misure di sostegno fiscale che mirano a rendere più consistente l’incremento netto. Le fonti sindacali e datoriali hanno descritto questo passaggio come “concreto e credibile”, con tavoli di negoziazione già attivi nei principali settori.
I settori coinvolti varieranno, con ogni CCNL che procede secondo calendari e parametri propri. Ad esempio, il settore domestico prevede un aumento di circa 100 euro lordi dal 2026 per colf e badanti, grazie all’aggiornamento delle tabelle retributive. Nel settore industriale, i metalmeccanici e le cooperative sono tra i più avanzati, con aumenti che dovranno considerare produttività, inflazione e la sostenibilità finanziaria delle imprese. La cifra di 150 euro netti al mese rappresenta un valore medio potenziale, risultante dalla combinazione di rialzi contrattuali e alleggerimenti fiscali per i redditi più bassi.
Aumento stipendio: cosa emerge dalla Legge di Bilancio 2026
Sul piano legislativo, la legge di bilancio 2026 introduce un meccanismo automatico di adeguamento degli stipendi all’inflazione, con un limite massimo del 5% annuo. Questa misura agisce come un paracadute, garantendo un recupero minimo del potere d’acquisto in periodi di inflazione, mentre gli accordi tra le parti sociali definiranno gli aumenti strutturali. L’interazione tra automatismi e contrattazione collettiva promette meno incertezze e più stabilità per i lavoratori, delineando un quadro sostenibile per le aziende.

Un aspetto cruciale è la detassazione degli aumenti contrattuali per i redditi fino a 28.000 euro lordi annui. L’obiettivo è rendere gli incrementi nominali in miglioramenti effettivi del netto in busta, soprattutto per i lavoratori con retribuzioni più basse. Questa misura, riducendo la distanza tra salari e costo della vita, supporta i consumi e affronta le sfide poste dall’inflazione.
I tempi di applicazione degli adeguamenti salariali varieranno. I lavoratori dovranno verificare il proprio CCNL e seguire gli aggiornamenti per comprendere tempi e importi degli aumenti. Non tutti i settori godranno degli stessi benefici o della stessa velocità di applicazione, e le imprese dovranno pianificare i costi, tenendo conto delle misure di detassazione e dell’adeguamento all’inflazione.
Per chi teme di non essere aggiornato, è fondamentale la tracciabilità. Le fonti ufficiali, le circolari sindacali e datoriali e le comunicazioni in busta paga sono essenziali per essere informati sugli aumenti. L’orizzonte delineato a gennaio non promette soluzioni immediate ma prevede una traiettoria chiara: aumenti medi che possono raggiungere i 150 euro netti al mese, un argine all’erosione dei salari e un percorso di implementazione chiaro verso la fine del 2025 e l’inizio del 2026.





