Tra obiettivi ambiziosi e ostacoli strutturali, l’Italia si prepara alla sfida delle Case Green: un percorso complesso che mette alla prova famiglie e condomìni.
La corsa verso un’Europa a emissioni zero passa anche dalle nostre case, ma la distanza tra obiettivi e realtà appare ancora ampia. La direttiva Case Green fissa traguardi stringenti per la riqualificazione energetica degli edifici, imponendo tempi e scadenze che richiedono pianificazione, risorse e una filiera efficiente.

In Italia, però, il patrimonio immobiliare è in gran parte datato, con milioni di condomìni costruiti prima delle prime norme sull’efficienza energetica. Questo rende il percorso di adeguamento particolarmente impegnativo, sia sul piano economico che operativo. L’efficienza, in questo contesto, non è solo una questione tecnica: è una sfida sociale e politica che chiama in causa la sostenibilità, la capacità di spesa delle famiglie e il ruolo dello Stato nel guidare la transizione.
Case Green, la sfida italiana: tra obiettivi europei e realtà del patrimonio edilizio
La direttiva europea, nota come Case Green (revisione della normativa sugli edifici), mira a un obiettivo ambizioso: rendere climaticamente neutro l’intero parco immobiliare dell’Unione entro il 2050. Per arrivarci, Bruxelles scandisce tappe intermedie vincolanti per i Paesi membri, tra queste, la riduzione del consumo energetico medio degli edifici del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035, con traiettorie e strumenti che ogni Stato dovrà definire nel recepimento nazionale. Per i nuovi edifici, la regola generale è la zero emission a partire dal 2030 (con un anticipo al 2028 per il comparto non residenziale), mentre sul fronte degli impianti è fissato il tramonto delle caldaie alimentate da combustibili fossili entro il 2040. L’Italia è chiamata a recepire la direttiva entro maggio 2026: un passaggio che ha già innescato prime scelte operative, dalla sospensione degli incentivi per le caldaie a gas all’obbligo di prevedere impianti solari in determinate tipologie di edifici pubblici e non residenziali di nuova costruzione o oggetto di ristrutturazioni rilevanti.
Il principio di fondo non è solo tecnologico ma anche sociale: l’efficientamento energetico, nelle intenzioni dell’UE, deve ridurre bollette, emissioni e vulnerabilità energetica, modernizzando un patrimonio edilizio spesso obsoleto. Per questo la direttiva chiama i governi a predisporre piani nazionali di ristrutturazione, con priorità per gli immobili più energivori, e a mobilitare strumenti finanziari e normativi adeguati alla portata della sfida.

La struttura del parco immobiliare italiano rende il percorso particolarmente complesso. “In Italia ci sono 1 milione e 300mila condomini, di cui 30 milioni di unità immobiliari. Saranno interessate dalle normative green circa 4 milioni di case. A ogni unità si spendono circa 20mila euro per abbassare una classe energetica. Per due classi, come ci chiede l’Europa, ci vogliono 40mila euro. Oltre il 70% dei condomini è stato costruito prima delle norme energetiche, sono tutti in classe G. La prima legge è del 1974. Tutto quel patrimonio è stato costruito senza regole tecniche”, ha ricordato Francesco Burrelli, presidente nazionale Anaci, intervenendo alla 16esima edizione dell’Anaci Day a Milano.
I numeri delineano una platea vasta e fragile: “Oltre il 70% degli italiani vive in condominio, sono più di 40 milioni di italiani con un reddito medio intorno a 1500 euro. Come faranno dal 2026 al 2030 a fare questi interventi? Non ce la faranno. Vanno trovate risorse in Europa e con collaborazioni pubblico privato. L’Europa deve gestire questo processo sulla casa green, ma una parte dei soldi che potevano servire a questa partita sta andando alla guerra”, ha aggiunto Burrelli, sottolineando la necessità di canali finanziari stabili e accessibili.
Se si assumono come riferimento i 40mila euro per unità per il salto di due classi energetiche, il fabbisogno potenziale supera ampiamente le possibilità di spesa di molte famiglie, specie in contesti condominiali dove le decisioni richiedono maggioranze e tempi lunghi. A ciò si sommano altre criticità operative: disponibilità di imprese qualificate, filiera dei materiali, tempi di approvvigionamento, personale tecnico per diagnosi e progettazione, oltre alla convivenza con vincoli urbanistici e paesaggistici che caratterizzano una parte significativa del patrimonio edilizio italiano. Nei condomìni, la programmazione pluriennale degli interventi e la gestione del cantiere in edifici abitati sono fattori che incidono su costi e tempistiche.

L’esperienza recente degli incentivi straordinari ha mostrato luci e ombre: se da un lato ha accelerato interventi diffusi, dall’altro ha evidenziato quanto il disegno degli strumenti finanziari e la loro stabilità nel tempo siano cruciali per evitare strozzature e rialzi dei prezzi. In questo senso, l’allineamento tra obiettivi europei, regole nazionali e capacità della filiera sarà determinante per non ritrovarsi di fronte a un muro pratico prima ancora che normativo.
Nel perimetro segnato dalla direttiva, la strada italiana passa attraverso alcune scelte di sistema: fissare priorità chiare (a partire dagli edifici più energivori e dai contesti di povertà energetica), integrare efficienza e sicurezza sismica dove necessario, definire meccanismi di sostegno stabili e selettivi che premino gli interventi con le migliori prestazioni per euro speso, e semplificare l’iter autorizzativo soprattutto per gli interventi standardizzabili in edilizia residenziale. Per i condomìni, strumenti di garanzia del credito, modelli di partenariato pubblico-privato, contratti di rendimento energetico e piattaforme per gli acquisti aggregati possono aiutare a superare la barriera dell’investimento iniziale.
Il recepimento entro maggio 2026 sarà il banco di prova per calibrare obiettivi nazionali, tempistiche realistiche e capacità della filiera. Nel frattempo, il segnale che arriva dai numeri forniti dagli amministratori di condominio è netto: senza una combinazione di risorse, regole chiare e pianificazione, trasformare in pratica gli obiettivi delle Case Green rischia di rimanere sulla carta, soprattutto nelle aree urbane più dense e nel vasto patrimonio costruito prima delle prime norme energetiche degli anni Settanta.