A partire dall’1 gennaio ci sarà il consueto adeguamento all’inflazione che comporterà anche un’aumento dello stipendio mensile: l’ammontare è legato al tipo di contratto in possesso e stabilito dai contratti collettivi nazionali di lavoro.
A partire dal 1° gennaio 2026, si introdurrà un meccanismo automatico di adeguamento all’inflazione per i lavoratori con contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) scaduti da oltre due anni. Questa misura, prevista nella bozza della legge di Bilancio 2026, si propone di aggiornare le retribuzioni in base all’indice Ipca dell’Unione europea, fino a un massimo del 5% annuo. L’intento è quello di mantenere il potere d’acquisto dei lavoratori nei settori dove le negoziazioni per il rinnovo dei contratti sono in stallo da tempo.

L’adeguamento salariale verrà attivato automaticamente per i CCNL non rinnovati da oltre 24 mesi, a partire dal 1° gennaio 2026. L’aumento sarà calcolato in base all’Ipca, con un limite massimo del 5% annuale. Si stima che circa un milione di lavoratori, soprattutto nel settore privato, saranno interessati da questa novità. L’obiettivo è proteggere i salari dall’erosione inflazionistica e ristabilire il potere d’acquisto laddove i rinnovi contrattuali sono in ritardo.
La misura interesserà i dipendenti con CCNL scaduti da più di due anni. È fondamentale, quindi, verificare la data di scadenza del proprio contratto e lo stato delle negoziazioni. Nei settori dove le scadenze sono prossime e le trattative in corso, l’adeguamento potrebbe non essere applicato, a condizione che si raggiunga un accordo entro i termini previsti.
Le cifre in più che potresti avere ogni mese
L’aumento salariale sarà proporzionale alla retribuzione di riferimento e applicato su base mensile. L’impatto sulla busta paga varierà in funzione dell’inflazione effettiva e del tetto del 5%. Ad esempio, con un’Ipca al 2%, un salario di 1.200 euro lordi al mese potrebbe vedere un incremento di 24 euro lordi, mentre con il tetto massimo del 5%, lo stesso stipendio riceverebbe un aumento di 60 euro lordi.

L’incremento netto dipenderà da vari fattori come Irpef, detrazioni e contributi. Un aumento lordo di 30-50 euro potrebbe tradursi in un netto di circa 18-35 euro, mentre un incremento di 125-150 euro lordi potrebbe corrispondere a un netto di 75-110 euro. Le cifre effettive varieranno a seconda del profilo fiscale e della composizione della retribuzione.
Per incentivare i rinnovi contrattuali e non limitarsi all’indicizzazione automatica, il governo ha previsto un fondo di 2 miliardi di euro per la detassazione degli aumenti salariali derivanti dai nuovi contratti nel triennio 2026-2028. Questa misura mira a facilitare la chiusura dei negoziati, rendendo gli aumenti contrattuali più vantaggiosi in termini netti.
L’adeguamento indicizzato offre un sollievo immediato ai lavoratori, proteggendo i salari dall’inflazione. Tuttavia, il tetto del 5% potrebbe non coprire completamente la perdita di potere d’acquisto in periodi di inflazione elevata. Dal punto di vista delle relazioni industriali, questa misura potrebbe diminuire la pressione per i rinnovi immediati, ma la detassazione degli aumenti negoziati rappresenta un incentivo a concludere accordi vantaggiosi.
È importante verificare la scadenza del proprio CCNL e lo stato delle negoziazioni, controllare la propria busta paga per comprendere su quale base verrà applicato l’aumento, e dialogare con HR o il sindacato per chiarimenti su tempi e modalità. Inoltre, aggiornare il budget familiare con l’incremento previsto può aiutare a gestire meglio le finanze personali.
 




