Tu sei qui

L'architettura come processo di costruzione

 

 
I Future Systems: tra ricerca, sperimentazione e trasferimento tecnologico
Cercavo qualche spunto su internet per iniziare a scrivere sul nostro corso e sul suo ruolo nell’architettura contemporanea quando mi sono imbattuta in una frase di un tale Felice De Luca (uno degli organizzatori del convegno “Virtual and advanced architecture”, organizzato dalle associazioni Casartarc e Piazza dei Mestieri previsto nella giornata dell’8 aprile 2009 a Torino).  L’incontro era dedicato a tutte le figure professionali impegnate nel campo delle costruzioni ed intendeva  promuovere un nuovo approccio al design attraverso strumenti innovativi, dimostrando attraverso casi pratici, esposti da architetti provenienti da studi internazionali, le nuove opportunità costruttive fornite dall’impiego di software parametrici generativi.
“Tali strumenti - ha asserito Felice De Luca -che collaborano al risultato finale, non sono più dei semplici strumenti, ma a volte diventano uno dei soggetti della progettazione. Questo determina la generazione di forme e strutture che vanno oltre l’immaginario del progettista generando spazi inconsueti e architetture avveniristiche. Queste architetture sono la realtà in molti paesi del mondo e sono diventate protagoniste dello spazio e delle città che le ospitano”.
Appena letta ho subito ripensato al libro che ho letto questa mattina in vista di tale elaborazione “Future Systems- Ricerca, sperimentazione e trasferimento tecnologico” di Ingrid Paoletti, Elena Magarotto e Maria Giovanna Romano, notando la diversità dei punti di vista e, in particolare, della maniera di considerare i software parametrici.
La collana di cui il libro fa parte indaga il rapporto tra innovazione tecnologica ed ambiente costruito, occupandosi di studi di medie dimensioni caratterizzati da una forte propensione per la ricerca.
In particolare questo volume si occupa di descrivere il contributo particolarmente interessante di Future Systems, lo studio inglese fondato nel 1979 da Jan Kaplicky e Amanda Levete, la cui architettura si inserisce, sin dagli anni ’80, in un panorama internazionale caratterizzato dalla Rivoluzione Informatica che ha condizionato particolarmente le metodologie progettuali e le tecniche costruttive contemporanee consentendo il consolidamento di una nuova architettura, caratterizzata dall’enfatizzazione di forme originali e complesse. Future Systems, a differenza di quanto asserisce De Luca, si caratterizza per una ricerca più indirizzata alle tecnologie che alle forme, in un processo di progettazione che enfatizza il pre e il mentre, la fase di ricerca durante tutte le fasi di progetto, dall’ideazione alla costruzione.
La frase in particolare tratta dalla presentazione del libro, che suona profondamente in disaccordo con l’asserzione dell’organizzatore del convegno sopra citato è “In un panorama architettonico caratterizzato dalla prevalenza dell’immagine, lo studio inglese si segnala per un atteggiamento responsabile, che considera l’architettura come un processo di costruzione e NON come il prodotto di un elaborazione informatica.” Il disegno è infatti l’unico mezzo che consente di rappresentare un immaginario cosi complesso come quello delle nuove forme architettoniche, ma non deve essere altro che un mezzo di controllo. E’ la manualità che ancora vive in questo studio inglese, la necessità di controllare manualmente, fisicamente il funzionamento di un idea. Questo può essere considerato un approccio rivoluzionario in un mondo ormai dominato dai software. Vengono considerati dalla presentatrice del libro, Anna Mangiarotti, spesso elemento di arresto dell’immaginazione:”… pur offrendo una vasta gamma di soluzioni, non stimolano il processo creativo, ma anzi determinano un appiattimento della ricchezza formale in base alla disponibilità di operazioni che il software compie”.
La proposta progettuale dello studio inglese trae ispirazione da vari settori trasformandola in realtà attraverso un processo progettuale e produttivo responsabile tramite il ricorso al trasferimento tecnologico, cioè l’associazione al mondo delle costruzioni di tecnologie e sistemi inusuali che danno vita a soluzioni innovative.
La ricerca tecnologica viene cosi intesa come il modo di trovare la soluzione più ricca di prestazioni positive, diventando parte integrante dell’iter progettuale, sin dal concept iniziale. Nelle loro opere infatti forma ed innovazione tecnologica si combinano in maniera equa dando vita ad un architettura bella e funzionale. Le forme inusuali e accattivanti, generate dai software, sono studiate al meglio per rispondere positivamente alle esigenze del fruitore.
Secondo Ingrid Paoletti il lavoro progettuale dello studio Future Systems può essere esplicato con tre termini che sono la base del loro modo di progettare: ricerca, sperimentazione e trasferimento.
Si indica cosi un processo che parte dalla ricerca in diversi ambiti, passa per la sperimentazione delle soluzioni progettuali individuate e infine si arricchisce attraverso il trasferimento tecnologico, passaggio di conoscenze, applicazioni e materiali da un settore all’altro.
Esempio portavoce ne è stato il concepimento e la realizzazione del Lord’s Media Centre, tribuna stampa che affaccia su uno degli stadi di cricket più conosciuti a Londra. 
 
 
 
 
L’idea progettuale era quella di creare un obiettivo puntato sul campo che desse alla stampa la possibilità di seguire in maniera ottimale e commentare i giochi di cricket. Ne è risultato cosi un guscio dalla forma simile ad un uovo con una lente enorme in facciata. La forma è stata studiata per evitare l’abbagliamento sugli spettatori, pur consentendo una vista completa sul campo da gioco. I Future Systems erano determinati nell’utilizzo dell’alluminio. Kaplicky e Levate decisero di rivolgersi nel campo delle costruzioni navali. Visitarono cosi il salone nautico in cerca di costruttori in grado di fare scafi in alluminio e trovarono Pendennis, un’azienda navale che si era dimostrata perfettamente in grado. Si è trattato quindi di una collaborazione tra campi diversi, come sempre avviene in architettura, che, grazie all’utilizzo di software di modellazione, è riuscita a dar vita a questo guscio. Nel cantiere navale sono state prodotte le costole centinate, realizzate come quelle di una barca con scafo in alluminio, successivamente saldate alla pelle. Ognuna è stata tagliata e curvata nella giusta misura. Le lastre in alluminio di spessore 6 mm sono state curvate in due dimensioni e poi saldate secondo una tecnica comune nell’industria aeronautica e navale che comporta l’assemblaggio fuori sito per fare le varie prove, poi lo smontaggio ed il trasporto in sito per il riassemblaggio. La struttura in alluminio che regge la semiscocca è stata appesa al cuore dell’edificio in cemento armato. 
Il risultato della lucida forma curva è stato ottimale e l’edificio è subito diventato immagine identificativa per gli spettatori fino a vincere The Riba Stirling Prize nel 1999.
 
L’anno precedente il premio venne vinto dall’American Air Museum di Duxford. Si tratta di un progetto ideato architettonicamente da Norman Foster & Partners e curato nell’aspetto strutturale da Ove Arup & Partners che prevedeva la realizzazione di un museo per ospitare i veivoli della Seconda Guerra Mondiale. E’ stato scelto di creare un guscio ampio ed accogliente. 
 
 
 

 

L’idea era quella di ridurre i costi per la realizzazione, adottando processi costruttivi semplici ed economici. La soluzione ottimale risultò essere quella di un doppio guscio il calcestruzzo: partendo da una sagoma curvilinea era necessario trovare una generatrice geometrica che consentisse di minimizzare gli elementi da confezionare, e quindi le varianti, per rendere davvero redditizia, dal punto di vista economico, la prefabbricazione. E’ proprio qui che vediamo l’entrata in scena di software informatici di modellazione digitale attraverso i quali si è deciso di adottare un volume costituito da una porzione di anello toroidale, definito da due valori radiali costanti. In tal modo i 924 elementi componenti la copertura sono stati ricondotti a 6 tipi standard. Mentre scrivo queste parole non posso fare a meno di pensare alla realizzazione dei 6 tipi standard  in Revit creati come parametri di tipo (riconducendomi per associazione di idee all’Ikea e al basso prezzo dei suoi prodotti frutto della standardizzazione) e alla realizzazione delle poche varianti del guscio identificandole come parametri di instanza. 
L’intradosso della volta è composto da 274 elementi caratterizzati da una sezione a T rovescia del peso di 12.500 kg ciascuno. Una parte di essi ha una forma ulteriormente definita legata alla funzione di raccordo tra il guscio di copertura e la trave gettata in opera, concepita per seguire il perimetro di base dell’edificio. 
Nell’estradosso sono invece posti in opera 650 pannelli rettangolari impostati sui correnti delle T rovesce. 
Il guscio in calcestruzzo trasmette il carico alla struttura di fondazione attraverso 34 profili in acciaio a sezione scatolare (300x700mm) e dallo spessore di 30mm. Tali profili raccolgono le sollecitazioni indotte nella copertura trasferendole ad un sistema costituito da due travi di bordo di calcestruzzo, gettate in opera, che seguono il profilo dell’edificio. Queste travi rappresentano l’elemento di unione tra il guscio e le fondazioni. 
 
 
 
 
Uno degli aspetti più importanti dell’edificio riguarda il rapporto tra luce naturale ed artificiale. La principale fonte di illuminazione è la grande vetrata esposta verso nord. E’ formata da una struttura portante in acciaio alla quale è fissato un reticolo in alluminio che contiene vetri chiari da 19 mm di spessore. 
I montanti, formati da due piatti in acciaio di 25 mm di spessore distanziati mediante bulloni, sono stati sagomati secondo il proprio momento flettente. Sono incernierati alla base mentre all’estremità superiore presentano un particolare sistema di fissaggio. Assieme ai traversi formano un reticolo di alluminio che consente il posizionamento dei grandi moduli vetrati (3000x5500 mm).
 
Chiara risulta  la necessità di ricorrere all’utilizzo di software per la traduzione del progetto, sia esso di forma semplice o meno, in elementi standard allo scopo di rendere più economici i costi di produzione, o anche solamente per la traduzione di un’idea vaga nata dalla propria immaginazione in una forma reale. Tutto ovviamente realizzando un’ opera che abbia qualità architettonica (sia interna che esterna).
Trovo al contempo non soddisfacente affidarsi a tali software esclusivamente per la realizzazione di una forma architettonica d’impatto, senza sfruttarne al meglio le potenzialità costruttive e senza sviluppare quindi nuove tecnologie.
Vorrei concludere riportando una parte dell’intervista di Ingrid Paoletti al fondatore della Future Systems Jan Kaplicky, che mi sembra esprimere al meglio un opinione con cui mi trovo strettamente d’accordo:
(I.P) “In un periodo in cui sullo scenario compaiono forme sempre più complesse, come si pone uno studio come il vostro che si cimenta da tempo con questo tipo di forme, rappresentando sicuramente un’avanguardia in questo senso? Come vede il vostro percorso sinora?
 
(J.K.) “ Il percorso di questo trentennio, iniziato nel 1979, è stato caratterizzato da una ricerca più legata alla continua investigazione sulle tecnologie che alle forme, intendendo con questo approccio una particolare attenzione all’architettura vista come costruzione e non come risultato di un’elaborazione informatica. Ciò che ci interessa in effetti è la bellezza, intesa come ispirazione del mondo che ci circonda sia esso naturale oppure costruito. …Oggi c’è una certa pressione verso forme complesse, ma a mio parere in realtà è il disegno che comanda, ossia la trasposizione dell’idea nella costruzione, senza la quale non esiste architettura. La complessità va controllata attraverso la sua concretizzazione, in quanto le forme cambiano ogni volta per colore, dimensione, matericità e non solo per morfologia.”
 

 

Technology: