Architettura digitale e produzione non-standard
Il termine architettura digitale “indica i manufatti architettonici progettati, ingegnerizzati, realizzati e gestiti in tutto o in parte nell'ambito delimitato dalle tecnologie digitali.”(1)
La presenza del termine manufatti all’interno di questa definizione sembra quasi una stonatura. Come può un termine che indica un lavoro manuale essere applicato ai prodotti di una architettura che opera attraverso strumenti prettamente informatici?
La risposta scaturisce dall’analisi dell’evoluzione dell’architettura digitale stessa. Nonostante essa nasca dall’applicazione degli strumenti informatici quali espressione di tecnologia moderna ed avanzata, la sua evoluzione nel tempo ha portato ad una vera riscoperta delle origini del processo edilizio e di tutti i passaggi che lo costituiscono: dalla concezione sino alla realizzazione.
Sembra una contraddizione ma l’architettura digitale mutua molto dal lavoro manuale; il carattere informatico, digitale appunto, non opera una rottura con il passato anzi lo recupera. Si tratta solo di un cambio di strumento di lavoro.
Prima dell’impiego dei computer e della progettazione CAD gli strumenti principali di lavoro erano mano e matita. L’errore che spesso si commette nel giudicare l’architettura digitale è quello di pensare ad essa come a qualcosa di automatizzato dietro il quale il progettista assume un ruolo passivo, si impigrisce.
In realtà dietro lo schermo di un pc c'è sempre un pensiero, una ratio, un progettista, come c’era davanti al foglio da disegno.
Produzione non-standard ed artigianato
La produzione non - standard che mira alla realizzazione in serie di elementi tutti diversi, in un certo senso ricuce il difficile rapporto tra arti artigianali e produzione in serie.
Essa rappresenta in un certo senso la forma popolare dell'artigianato perché mira a serializzare e sistematizzare la produzione di pezzi unici, con conseguente abbattimento dei costi di produzione di tali pezzi.
L'associazione con l'artigianato non può essere casuale. Infatti quello che oggi indichiamo come produzione non-standard scaturisce dalla stessa evoluzione dell'architettura digitale e dall'esperienze dei protagonisti che negli anni '90 attuarono la "rottura epistemologica tra utensile e strumento" (2).
Il senso di ciò appare più chiaro se sei guarda alla definizione dei due termini:
L’ utensile è un attrezzo necessario ad eseguire un lavoro meccanico;
Lo strumento aiuta l'uomo al conseguimento di qualcosa in base all'utilizzo.
Ciò significa che essi ricercarono un uso dei mezzi informatici non passivo e sostitutivo del lavoro del progettista, ma pienamente attivo, “dall'interno” del software come vero strumento di lavoro da modificare ed evolvere tramite l'esperienza. Scegliendo quindi di impiegare tali mezzi come strumenti per il progetto.
Si opera un congiungimento con il passato perché attraverso l’uso attivo e consapevole dei software, le possibilità di modificarli mediante lo scripting, si arriva all'elaborazione diretta dei dati che permettono la produzione degli oggetti progettati. Si recupera così il filo diretto tra concezione del progetto e sua realizzazione proprio dell’arte manifatturiera.
Le conseguenze della produzione non-standard
La sempre maggiore destrezza nell’uso dei software ha portato alla possibilità di controllo e soprattutto di produzione, di forme anni fa impensabili o per lo meno poco esplorabili in quanto di rappresentazione estremamente difficile nello spazio bidimensionale del foglio di carta.
B. Cache e P. Beaucé nel descrivere le conseguenze di una produzione non-standard hanno messo in guardia dalle possibilità che nascono dall’impiego di software più o meno complessi che possono portare ad una totale perdita del controllo della forma con conseguente impossibilità di realizzazione o accettazione di forme casuali ed incontrollate (3).
L’impiego sempre più sapiente degli strumenti digitali ha prodotto due sviluppi: da un parte sbocchi dalle connotazioni fortemente stilistiche mentre per un altro verso, come accennato sopra, ha portato ad una riscoperta, un approfondimento, dei processi attraverso il quale il progetto si evolve sino alla sua realizzazione.
Il Processo
Alla base dell'affermazione della produzione non-standard e della sua futura evoluzione, sta il processo che guida il progetto dalla forma embrionale di idea sino alla sua costruzione materiale.
B. Cache e P. Beaucé descrivono questo processo in termini di associatività invitando a vedere l'intero iter progettuale come una concatenazione di relazioni. Propongono questo modus operandi per raggiungere gli obbiettivi posti in gioco dalla produzione non-standard.
L’obbiettivo è quello di generare numerosi dati e manipolarli per produrre elementi tra loro tutti diversi senza però moltiplicare i costi di produzione. Per fare ciò l’oggetto “speciale” dovrebbe essere concepito e prodotto come istanza in una serie.
Nella descrizione che essi fanno della catena di relazioni che guidano il progetto, molti sono stati i termini familiari che ho potuto riscontrare. In particolare mi sono parsi evidenti (a meno che non li abbia immaginati) alcuni parallelismi tra i procedimenti descritti e quelli che ho potuto testare di persona nel corso della mia faticosa esperienza con Revit.
L’associatività è “un filtro che obbliga a pensare il progetto in maniera razionale” ed a chiarirne le procedure ed i concetti architettonici.
Gli obbiettivi da raggiungere, gli elementi che comporranno il progetto, le relazioni che tra essi andranno istituite devono essere presenti nella mente del progettista sin dall’inizio, seppur, si intende, in forma embrionale.
F. Cellini ha definito il disegno a mano libera come la rappresentazione più astratta esistente perché rifugge la necessità di riferimenti precisi basandosi invece su una rappresentazione approssimata basata essenzialmente ed univocamente sui dati riportati (4).
Ebbene questo processo di astrazione non è estraneo all’architettura digitale ma anzi ne è parte attiva: che venga graficizzato o meno, è lo stesso necessario per redigere lo schema mentale che guiderà le operazioni successive.
Innanzitutto è necessario riconoscere pochi elementi primitivi, “genitori originari” (famiglie) da cui far partire tutte le catene di dipendenze, quindi organizzare il progetto gerarchizzando gli elementi che lo compongono e distinguendo antecedenti e dipendenti (organizzazione per fasi).
Si parte istituendo un modello di relazioni (parametri) applicabile ogni volta che si creano componenti dello stesso tipo.
Le relazioni istituite attraverso il modello iniziale devono fare in modo che una modifica dell’elemento primitivo provochi una rigenerazione di tutte le relazione tra gli elementi (variazioni dei parametri).
Si pone poi la necessità di lavorare in uno stato di flusso continuo, in modo da poter intervenire sino alla vigilia della realizzazione, ma soprattutto in modo che tutti gli interlocutori che partecipano al progetto possano intervenire.
L'ideatore dell'oggetto (nello specifico dell'edificio) arriverà a produrre tutti i documenti necessari per poter avviare la produzione dei componenti anche a distanza senza aver bisogno che altri ne controllino gli errori, potrà prevedere con onestà tempi e costi di produzione (schedule) .
Questo tipo di produzione elimina gli intermediari tra il progettista e la macchina, ma non rende questo rapporto univoco come quello artigiano-oggetto.
L’esplorazione più approfondita del processo costruttivo porta inevitabilmente ad un ampliamento del numero delle questioni poste in gioco. Ciò rimette in discussione le competenze, gli ambiti professionali, quelli contrattuali e richiede il dialogo tra diverse parti altamente specializzate.
La necessità di delegare non viene quindi eliminata ma tramutata nell’esigenza di istituire numerose relazioni che mirano a creare un rapporto bilaterale tra progettisti ed esecutori: tanti soggetti diversi che operano come uno.
(0) "ORGANIZE,OPTIMIZE, SIMPLIFY, MATERIALIZE" è il motto riportato a grandi lettere dallo studio DesigntoProduction sul loro sito http://www.designtoproduction.ch/index.php
Le immagini sono relative alla Hungerburg Funicular Station di Innsbruck (2007) progetto dello studio Zaha Hadid Architects cui hanno collaborato Bollinger + Grohmann (enginering), Bach Heiden AG (CNC-Production) ed il gruppo DesigntoProduction che ha assunto il ruoli di anello di congiunzione tra questi tre attori. (www.designtoproduction.ch/content/view/9/33/)
(1) S. Converso, “Architettura digitale”, in M. Biraghi, A. Ferlenga (a cura di) , Architettura del Novecento, “Grandi opere”, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2012, vol. 1, p. 66.
(2) S. Converso, op.cit., p. 67.
(3) P.Beaucé, B. Cache, “Towards a Non-Standard Mode of Production”, in F. Migayrou, M. Zeynep (a cura di), Architectures Non-Standars, Édition du Centre Pompidou, Paris, 2003 ( trad.it. T. Donà, Verso un modo di produzione non-Standard in architettura.it/extended/20040214/index.htm)
(4) S. Converso, Il progetto digitale per la costruzione. Cronache di un mutamento professionale, Maggioli Editore, Milano, 2010, p.13