Premessa
I riferimenti cui abbiamo preso spunto sono numerosi e complessi: volendo fare una forzata sintesi, non possiamo non citare il TeamX, il concetto di Mat Building ed, ovviamente, Giancarlo De Carlo.
La storia del gruppo TEAM X non è facile da ricostruire. La storiografia ammette l’impossibilità di definire un chiaro inizio ed una chiara fine di questo movimento, attivo tra la metà degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’80, anni in cui il gruppo ebbe il più denso scambio di opinioni e di incontri. Il mito dei TEAM X si può identificare temporalmente con due eventi fondamentali: la rottura con i CIAM e l’avvento del postmodernismo negli anni ’70.
I temi affrontati dal TEAM X sono di estrema attualità anche oggi, anche se spesso le risposte sono inevitabilmente differenti. Una prima analogia con il panorama contemporaneo consiste sulla questione della modernità (contemporaneità), sul processo in corso della modernizzazione, e su come l’architettura e l’urbanistica si confrontano con questi processi sempre più complessi e rapidi. Processi di trasformazione che investono direttamente la cultura dell’abitare, che determinano il carattere di indeterminatezza delle nuove discipline urbane, che sottolineano l’esigenza di dare margine alla spontaneità e a trasformazioni non sempre prevedibili. Nel TEAM X questi processi presero forma attraverso la ricostruzione delle città Europee dopo la Seconda Guerra Mondiale, la creazione della società del benessere e dei consumi. Il TEAM X ha saputo cogliere e mettere a punto, all’interno e parallelamente a questi processi di modernizzazione, concetti e strategie che salvaguardassero uno spazio per le identità individuali e collettive, luoghi capaci di essere appropriati per i residenti e i fruitori in generale. Questo punto fermo è andato di pari passo con l’idea che il contesto specifico fosse un dato fondamentale del progetto. Gran parte delle discussioni del TEAM X erano finalizzate a definire le caratteristiche del contesto - culturale, funzionale, programmatico - e le sue potenziali integrazioni nel progetto. L’attenzione al contesto determinò il grande interesse per le dimensioni storiche e sociali dell’architettura e dell’urbanistica. L’essenza di questo approccio consiste nel vedere in una nuova prospettiva il rapporto tra l’individualità e l’insieme, significò uno slittamento da soluzioni universali a specifiche soluzioni per esigenze locali, e soprattutto uno slittamento da una idea urbana fondata sul razionalismo, ad una idea ispirata e condizionata dalla cultura e dalla società, ed infine significò l’idea di un progetto più inclusivo.
Il MAT BUILDING è una categoria/tipologia inventata da Alison e Peter Smithson negli anni ’60, che ha largamente influenzato l’espansione delle città Europee e Americane nel secondo dopoguerra. I MAT BUILDINGS hanno in comune prevalentemente le modalità di aggregazione delle varie parti che lo compongono ed il carattere degli spazi vuoti risultanti da questa aggregazione. Internamente quasi sempre sono caratterizzati da una fitta interconnettività, dove gli spazi di transizione sono altrettanto importanti quanto quelli nodali. Esternamente non sono definiti da perimetri chiari e forti. La loro forma è principalmente governata dalle interconnessioni di una parte con l’altra, piuttosto che da una chiara geometria complessiva.
Questi sistemi si comportano come vasti assemblaggi ‘orizzontali’, condensando e orientando i flussi di attività urbana, e stabilendo così ampie reti di connettività sia interna che esterna.
Il MAT BUILDING è frutto di una ricerca tipologica mirata a dare una risposta ad una fondamentale questione urbanistica: come dare spazio all’attiva e spontanea vitalità inclusiva della vita urbana, senza per questo negare completamente una identità ed un controllo della forma. Il MAT BUILDING vuole riconoscere che l’autentica cultura urbana è un prodotto a più mani, sviluppatosi lungo un ampio arco temporale. Il MB non aspira a rappresentare o articolare specifiche funzioni, bensì a creare un terreno aperto al più ampio susseguirsi di eventi, prevedibili e non, diversi tra loro. Il MAT BUILDING non può essere un oggetto isolato, ma un dispositivo mirato ad attivare e produrre nuovi campi urbani. E’ caratterizzato da una rete attiva di spazi interstiziali dove la materia definisce e orienta lo spazio tra le cose, lasciando posto al non-previsto. Gli spazi di collegamento non sono semplici e neutrali elementi di connessione tra nodi principali, ma insieme, e al pari di questi, formano un manufatto continuo caratterizzato da uno spazio interno differenziato.
Il MAT BUILDING divenne, grazie agli Smithsons, per la prima volta chiaramente visibile nel progetto di concorso per la Berlin Free University (1963) di Candilis – Josic – Woods. Il progetto bene illustra che la MAT metaphor fa riferimento in primo luogo ad un modo di strutturazione del dominio pubblico. Nel progetto per la Berlin Free University questa strutturazione è ottenuta attraverso l’inserimento di una griglia risultante dalla sovrapposizione di due figure. Ciascuna di queste figure è basata su di un elemento strutturante che appartiene alla tradizione urbana Europea. La prima figura è una griglia di connessione/circolazione organizzata su quattro principali percorsi pedonali paralleli, intersecati perpendicolarmente da percorsi secondari. Una seconda figura consiste in un sistema di spazi aperti, interrelati tra loro: corti e patii che scorrono e abitano l’intero progetto. La figura risultante è continua, e delinea la struttura/reticolo di base del progetto. Alison Smithson sottolineava che il carattere del Mat, di introdurre una rete strutturale che permettesse una tessitura di spazi e funzioni, non corrispondeva ad un gesto formale o isolato. Piuttosto rappresentava una reazione, comune a molti protagonisti del TEAM X, contro lo zoning e il districamento delle funzioni urbane tipico dei dottrinari imput dei CIAM. Candilis, Josic e Woods intendevano questo tipo di approccio come una valida possibilità di trovare principi insediativi applicabili all’organizzazione dell’ambiente fisico. Come sottolineava Alison Smithson, il progetto per la Free University Berlin appartiene alla più ampia tradizione dei progetti del secondo dopoguerra, che tentavano di fare propria la densità spaziale e funzionale della città Europea tradizionale.
Alison Smithson elenca una serie di progetti iscrivibili a questa attitudine:
Pastor Van Ars Church - Aldo van Eyck
Ospedale di Venezia - Le Corbusier
Langside competition - Smithson e La Fuente
Kuwait Ministries
Da questa prospettiva appare un altro aspetto centrale della MAT metaphor: il tentativo di concepire la città molto di più che una collezione di edifici isolati, la volontà di abbandonare il modello di città come una compilazione di edifici singoli, sostituendolo con il concetto di URBAN MATS, i quali non si presentano come volumi isolati, ma come un denso tessuto bidimensionale, vivibile e abitabile. Il MAT BUILDING include due caratteristiche apparentemente contrarie: indirizzare l’architettura nella direzione dell’urbanistica (Bring Urbanism inside the Architecture), e incrementare l’importanza dell’architettura ‘interna’.
Giancarlo De Carlo organizzò il secondo incontro del TEAM X in Italia, a Spoleto (1976). In questo periodo De Carlo aveva completato due importanti progetti: il Villaggio Matteotti a Terni e l’Università di Urbino. A questo incontro parteciparono tra gli altri Aldo van Eyck, Alison e Peter Smithson, Pancho Guedes, Brian Richards, Josè Cordech, Jaap Bakema. Il meeting incluse una visita al Villaggio Matteotti. Il Villaggio Matteotti fu l’occasione per concentrare il tema del dibattito sull’architettura della partecipazione. De Carlo espose le diverse fasi del progetto caratterizzato dalla diretta partecipazione dei futuri abitanti del quartiere. Un sociologo fu chiamato a far parte del gruppo di progettazione per garantire la buona riuscita del complesso rapporto tra progettisti e futuri abitanti. Il rapporto tra l’architetto e i fruitori fu un argomento attentamente analizzato da tutti i membri di quell’incontro. La discussione fu una continua messa a fuoco del ruolo che l’architetto è in grado di sostenere con tutte queste variabili in gioco.
Nel Villaggio Matteotti De Carlo formulò i seguenti principi progettuali:
- la separazione della circolazione veicolare da quella pedonale;
- uno spazio esterno per ogni singola unità abitativa;
- spazi comuni di incontro;
- una tipologia degli edifici ‘né frammentaria né a blocco’;
- vari tagli di alloggio, e alta flessibilità nella loro organizzazione spaziale;
A seguito degli incontri con i futuri abitanti, fu deciso poi che ciascun alloggio avrebbe avuto un ingresso indipendente dalla strada, un parcheggio e variabili introdotte nei piani terra delle abitazioni.
La planimetria del Villaggio Matteotti consiste in un pattern ortogonale e lineare di abitazioni e strade, appropriato alla configurazione piatta dell’area. Su questo chiaro schema generale si innesta l’ampia variabile dei singoli alloggi e della loro aggregazione. L’insieme risulta in piena sintonia con l’idea di De Carlo di strutturare il quartiere come una chiara composizione alla grande scala, che permettesse un facile innesto di variabili individuali alla piccola scala. I cinque blocchi residenziali sono separati tra loro alternativamente da giardini comuni con percorsi pedonali e da strade carrabili. Le strade danno accesso ai garages, situati al piano terra, sotto gli appartamenti. Lungo i blocchi residenziali scorre, al di sopra dei garages, un percorso pedonale sopraelevato parallelo alla strada, alla quale si accede attraverso punti di accesso verticali che garantiscono anche l’accesso ai singoli appartamenti. L’ampia varietà tipologica degli alloggi è la caratteristica saliente del progetto.
La proposta progettuale che prediligiamo è quindi la prima, basata sui concetti di circolazione, “rete”, partecipazione, rapporto pubblico/privato….un compito di cui ci rendiamo conto della difficoltà, ma che crediamo porsi le giuste domande per far fronte ad un progetto che vada oltre il semplice gesto estetico autoreferenziale.
Ora seguirà l'analisi attraverso lo strumento del programma Vasari, tale analisi è distinta in tre fasi ripetute per due diverse ipotesi prgettuali:
1- Modellazione dell'edificio e del contesto 2- Analisi dimensionale dell'edificio 3- Analisi delle ombre e radiazione solare
Prima ipotesi progettuale
La prima fase è stata già affrontata nelle scorse esercitazioni, con la differenza che in questa il modello è finalizzato a delle analisi quantitative, pertanto è stata posta una maggiore attenzione alla distinzione delle masse e alla loro composizione.
Una volta finito il modello abbiamo catalogato correttamente le diverse masse e abbiamo posizionato i livelli corrispondenti ai diversi piani dell'edificio.
Tutto questo è finalizzato alla seconda fase che consiste nella compilazione della schedule, ovvero una scheda che descrive i valori geometrici che vengono appositamente selezionati.
Una volta cliccato su New Schedule abbiamo impostato la scheda valutativa sull'analisi delle caratteristiche preimpostate come Gross Surface Area, Gross Floor Area, Gross Volume e ne abbiamo creata una nuova (area media dell'alloggio) con l'opzione calculeted value.
L'analisi dell'ombreggiamento e della radiazione solare ha confermato le nostre supposizioni, ovvero che la scelta di un impianto non più alto di tre piani che si sviluppa intorno a più corti comporta una benevola e abbondante radiazione d'inverno che però destate deve essere mitigata con degli espedienti progettuali, uno di questi potrebbe essere la piantumazione di alberi a foglia caduca nelle corti di modo che non schermino nella stagione invernale.
L'analisi è stata effettuata in 3 diversi orari (9:00 , 13:00, 18:00) nelle due giornate per noi maggiormente esemplificative, ovvero il solstizio d'estate e il solstizio d'inverno.
Solstizio estivo
9:00 13:00 18:00
Solstizio invernale
9:00 13:00 18:00
L'articolazione dell'edificio però ha il vantaggio di offrire comunque una varietà di spazi caratterizzati da esposizioni diverse, così che comunque a seconda delle neciessità si possa trovare sempre un ambiente di carattere pubblico dove poter sostare, sia che necessitiamo di un pò d'ombra durante l'estate o del pieno sole d'inverno.
L'analisi della radiazione solare invece ci presenta nuovamente la molteplice varietà dei numerosi affacci del progetto, questo ci dice anche che tale complessità si tramuterà in difficoltà di controllo per quanto riguarda le prestazioni termiche.
Solstizio estivo
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solstizio invernale
In seguito a tale riflessione abbiamo progettato una seconda alternativa che potesse mediare tale problematica.
Seconda ipotesi progettuale
Sono state ripetute le stesse operazioni che erano state effettuate per la primaipotesi come la catalogazione delle masse, il posizionamento dei livelli, la compilazione della schedule
l'analisi delle ombre nel solstizio estivo e in quello invernale agli stessi orari.
solstizio estivo
solstizio invernale
Le differenti altezze che presenta l'edificio intorno a questa unica corte centrale cerca di riproporre quello che secondo noi era una qualità della prima proposta progettuale, ovvero la varietà di situazioni per quanto riguarda il soleggiamento, non riesce però a nostro parere a offrire la stessa varietà, possibilità di scelta.
L'analisi della radiazione solare però ci presenta una più semplice e chiara esposizione dell'edificio, e quindi un controllo termico più semplice.
solstizio estivo
solstizio invernale