IL VALORE DELLA PERMANENZA

 

La lezione di ieri si è incentrata sul tema della permanenza e sul suo valore, argomento molto sentito in una città carica di testimonianze antiche come quella in cui viviamo.

Quanto di ciò che ci è stato tramandato continua a vivere con lo scorrere del tempo? In che modo noi architetti possiamo garantire che  un monumento continui a raccontare la sua storia? E come possiamo tutelarlo? Il nostro lavoro ci affida una grande responsabilità, ed è per questo che dobbiamo avere un’idea chiara di come relazionarci all’antico, cercando anche di imparare dai grandi maestri che ci hanno preceduto. Tra questi, vi sono Franco Albini, José Ignacio Linazasoro e Peter Zumthor.

Dell’operato di Albini ero in parte già a conoscenza, essendo andata, circa  un anno fa, ad una conferenza del Maxxi  in suo onore. Egli è stato tra i padri fondatori del razionalismo italiano, era quasi ossessionato dall’idea  di un metodo che sopprimesse ogni artificio superfluo. Essenziale erano per lui il rigore, la rettitudine. Ma come si rispecchia questo stile di vita in un lavoro che lo vede a stretto contatto con una permanenza? Per rispondere a questa domanda basta analizzare il suo allestimento della mostra  su Andrea Palladio, svoltasi nel 1973 all’interno della Basilica Palladiana. In questa occasione Albini si cimenta  cercando di rispettare al massimo la secolare struttura interna e mostrando un’attenzione maniacale per il metodo palladiano, in modo tale da non intaccare il messaggio originario trasmesso dalla fabbrica. Altro esempio di attenzione al contesto nell’iter di Albini è dato dalla Rinascente, in cui l’autore riesce a relazionarsi con i palazzi rinascimentali di Roma e con le mura aureliane, ricorrendo addirittura a soluzioni innovative, che vedono largo uso del cemento armato per la struttura e dell’acciaio nei montanti che arrivano fino alla linea di gronda.

Riguardo invece al rapporto tra antico e moderno nell’ideologia di Linazasoro, può esser utile riportare uno stralcio di un’intervista fatta al progettista, trascritta in un numero di “ Costruire in laterizio” .

Giornalista: “ Nella biblioteca situata nel quartiere di Lavapiés di Madrid ti confronti con un edificio storico, facendo convivere architetture di epoche diverse. Quale è il tuo atteggiamento nei confronti delle preesistenze storiche? “

Linazasoro: “ Ubicata del quartiere popolare di Lavapiés, questa biblioteca occupa gli spazi di un’antica chiesa del XVIII secolo, gravemente distrutta durante la guerra civile spagnola. HO CERCATO DI  MOSTRARE LA POSSIBILITA’ DI INTEGRAZIONE TRA CIO’ CHE E’ ANTICO E CIO’ CHE E IL NUOVO, a partire dal progetto. In un certo senso, ho voluto creare una continuità materica, ma con, allo stesso tempo, una discontinuità concettuale. Quando devo intervenire in un edificio storico, il mio intento è sempre quello di proporre un ordine nuovo in cui i resti dell’antico rimangano e vengano integrati nella costruzione recente. “

Il fulcro del progetto è dunque la “rovina”, e questo ha portato alla scelta di un materiale ( il laterizio) più consono ad uno spazio esterno che interno, ed anche la struttura ha come scopo principale quello di non interferire nella salvaguardia del rudere.  Entrando nel dettaglio della realizzazione dell’ Esculas Pias de San Fernando, meravigliosa biblioteca nata sui resti di una chiesa barocca, possiamo vedere come è presente una sequenza di percorsi interni ed esterni che mettono in comunicazione i vari spazi, alcuni dedicati alla biblioteca ed altri dedicati alle aule. L’espressività è resa  quasi del tutto dall’uso del mattone, con cui l’architetto gioca sapientemente.  Il prospetto di ingresso è caratterizzato dalla presenza di un grande muro, fatto di laterizi nuovi e vecchi, con resti decorativi in pietra. Non è poi volutamente stata ricostruita la cupola  ottagonale andata distrutta, che è stata sostituita con una copertura a volta, in doghe lignee lamellari, nei cui interstizi trapela la luce zenitale.

Passando a Zumthor, non si può non citare il suo intervento relativo al Museo per la collezione del arcivescovado di Colonia, nato dalle rovine della Chiesa di Santa Kolumba. Anche qui, ruolo primario è quello del mattone, che crea, in alcuni punti, un tessuto di trama larga, che riempie di luce l’interno. Ripercorrendo il profilo della chiesa, le pietre si intrecciano con la nuova muratura, che ha particolari dimensioni, atte a innestarsi nei muri medievali, per realizzare murature di spessori complementari alla pietra a cui si rivolgono.

Parola chiave in tutte queste architetture è quindi l’equilibrio tra la creatività e il patrimonio culturale, tra ideazione e conoscenza. E’ dunque possibile, tramite scelte accurate, accostare il nuovo all’antico, senza per forza alterare il significato di questo ultimo.