restauro

modulo di estimo alla laurea specialistica in restauro

Revisioni di fine agosto 2012 Lab. Restauro

Gentile professore, io e la mia collega, Valentina Merino Vazquez, abbiamo appena appreso della revisione di Giovedì 30 Agosto presso l'ex-mattatoio. Purtroppo io in questo momento sono fuori dall'Italia e tornerò proprio giovedì, mentre la mia collega partirà proprio quel giorno per Venezia. Ci scusiamo di tale situazione e speriamo che Lei possa darci disponibilità per un altro giorno, considerando anche che l'appello di Laboratorio di Restauro 3M è fissato per il 24 Settembre. Grazie in anticipo per la sua disponibilità e ci scusi ancora.

Visita al teatro Argentina

Il Teatro Argentina, uno dei più antichi teatri di Roma, venne inaugurato nel 1732 su progetto dell’arch. Girolamo Teodoli. La facciata, in stile neoclassico, venne realizzata tra il 1836-37 da Pietro Holl.  Un intervento di notevole rilievo è rappresentato dai lavori condotti da Gioacchino Ersoch alla fine dell’800 (1886-1888), che consistettero in una completa ristrutturazione distributiva con la costruzione di quattro nuove scale in luogo di quelle settecentesche e con un generale riassetto dell'architettura degli interni, ma i  successivi restauri di Marcello Piacentini (1926) e quelli effettuati nella seconda metà del secolo hanno quasi totalmente cancellato i segni della sua opera.
Con i restauri degli anni ‘70 del ‘900 sono state eliminate le capriate lignee e introdotti dei cordoli in calcestruzzo armato in sommità secondo le prescrizioni del Genio Civile per realizzare un presidio antisismico.
Col tempo si è però dimostrato che l’elevata rigidezza del calcestruzzo, superiore a quella della muratura sottostante, fa sì che si creino distacchi tra le due strutture in caso di sollecitazioni dinamiche, in quanto i due materiali rispondono diversamente alle accelerazioni trasmesse dal suolo.
Sempre negli stessi anni si è intervenuti sul gruppo statuario situato a coronamento della facciata con una colletta cementizia che ha eliminato l’effetto stucco alterando l’estetica delle sculture e provocando la fuoriuscita di sali. Con gli interventi del 1993 si è invece proceduto ad una scialbatura in resina vinilica dell’intero prospetto che ha totalmente alterato l’immagine della facciata non consentendone tra l’altro la traspirazione e provocando delle micro fessurazioni. L’architetto Celia, direttore dei lavori, con l’appoggio dell’architetto Giovannetti, ha proceduto all’eliminazione del cemento e delle recente scialbatura e al ripristino dello stucco originale in polvere di marmo e latte di calce. Dove non era possibile si è dovuto conservare il materiale cementizio, ora privo di sali, che ormai costituisce la parte materica delle sculture.
Sono stati condotti una serie di studi per conoscere la stratigrafia del rivestimento di facciata e comprendere i colori e i materiali originali: prima dei lavori infatti il prospetto tendeva ad un color ocra-marrone ed ora si sta cercando di restituire l’immagine originale dell’800 costituita da un finto bugnato color travertino. I restauri hanno riguardato anche gli infissi, in origine in legno, che nel corso degli anni sono stati nascosti da una vernice grigia e che ora sono stati liberati e riportati al loro colore naturale.
I lavori del teatro rappresentano un importante capitolo della città di Roma che vede per la prima volta un bene pubblico restaurato interamente con i proventi della pubblicità di privati. 

 

Il Valore della Permanenza

 

Il valore della Permanenza

 

Il concetto di permanenza in architettura è legato al concetto di tempo e in particolare agli eventi consequenziali a cui un bene è soggetto.

Ciò che mi è sembrato doveroso notare, nella scorsa lezione, è l’importanza rappresentata dalle “tracce antropiche” che permangono nel tempo e la loro rilevanza nel descriverci informazioni appartenenti alla storia. Così come le più antiche vie di comunicazione si ritrovano lungo i crinali degli altopiani, data la loro immunità dalle esondazioni, non a caso, spesso le circonvallazioni sorgono presso le antiche cinte murarie delle città, la centuriatio e il sistema cardo-decumanico romani, permangono, come direttrici, determinando l’assetto di molti centri di origine romana. I tracciati viari sono dei segni che, spontaneamente, tendono a permanere nella storia, per cause naturali, oppure a testimonianza dei notevoli interessi che essi sostenevano nel tempo attraverso le città e i relativi edifici e fronti e tutti i luoghi che, in questo modo, andavano a valorizzare. Un altro valido esempio delle vie di comunicazione come permanenza, riguarda il caso singolare di Broadway Avenue, antica via di percorrenza dei nativi americani, che si insinua nella maglia squadrata di New York come un forte segno di rottura del reticolo regolare.

Uno dei compiti più virtuosi dell’ architetto è decidere cosa deve essere tramandato ai posteri. Ogni intervento di recupero necessità un’ interpretazione, e aldilà della scelta che si compie è importante seguirla fino in fondo per non generare degli ibridi. Come nel caso del Pantheon o dell’ anfiteatro di Arles, si è scelto di eliminare gli elementi, considerati superfetazioni, che confondevano, compromettendo, il significato didascalico che essi dovevano rappresentare. Permanenza significa dunque memoria, a volte anche specifica, come lo sono i metri dello sbancamento effettuato presso i fori riportati nella lunghezza della colonna traiana; aldilà della più esplicita vicenda storica documentata nei bassorilievi della stessa.

Il concetto di “dovere etico” è insito in quello della “permanenza”: il dovere di non lasciare in decadenza i beni artistici e culturali; il dovere di compiere una scelta precisa e di rispettarla; il dovere (e la responsabilità) di eseguirla secondo regola d’arte. Affinché  l’ opera ben restaurata sia restituita alla comunità, nel presente, e alla relativa memoria collettiva.
Non bastano solo le intenzioni del restauratore: il processo produttivo è molto più complesso e si scontra spesso con i problemi pragmatici legati al rapporto con la committenza (privato o ente che sia), con l’impresa esecutrice (e la manodopera), con la burocrazia delle norme, tutto poi ricondotto a problemi di tipo economico.

 

"Cupido che dorme è l’antica architettura, il monumento. Psiche, curiosa, con la lucerna, è l’architetto, l’ingegnere, il tecnico. Ma una goccia di olio bollente cade dalla lucerna: è l’azione di “restauro”. Cupido si sveglia e fugge via, così l’autenticità è compromessa."

Sono d’accordo solo in parte con questa affermazione, infatti, se è vero che intervenire significa modificare, non vuol dire anche, necessariamente, compromettere, in questa accezione allora siamo tutti colpevoli di aver alterato la storia, in un modo o nell’ altro. Indubbiamente si è sempre commesso errori - anche irreparabili talvolta, però quello che maggiormente non riesco a comprendere, è il motivo di tanto screditamento: perché il restauro, oggi, deve necessariamente essere percepito con tanta diffidenza? Come se oggi nessuno (o quasi) avesse le credenziali per interferire con la storia, in altre parole, come se ciò che si compie nel presente è necessariamente di un livello inferiore rispetto all’ operato dei nostri avi e che in una maniera o nell’altra si finisce col rompere la stessa “autenticità”.

Capisco che il lascito della storia è spesso considerato un fardello spesso troppo complicato da interpretare, e capisco che si sono commessi tanti o/errori che si parte demoralizzati, però non sono d’accordo con coloro che hanno timore di intervenire per paura di disturbare il sonno infinito di Cupido.
Non che questo significhi che bisogna intervenire sempre e comunque, spesso si tratta solo di affidare l’incarico in maniera coscienziosa.

Per concludere credo che l’obbiettivo, in particolare quando un determinato bene è in stato precario, sia quello di intervenire per “salvarlo” dalla decadenza e che, il problema dei restauri con esito negativo, possa in parte essere risolto affidando l’ incarico, esclusivamente, cercando di far prevalere il merito, per esempio attraverso i concorsi pubblici.

Un ottimo esempio di “costruire in continuità con l’antico”, è rappresentato dal progetto del Museo realizzato da Peter Zumtor nel centro di Colonia, presso le rovine di una chiesa tardo gotica andata distrutta durante la seconda guerra mondiale. Progetto scelto proprio in occasione di un concorso pubblico.

“Zumthor ha progettato nell’area delle rovine una grande hall, delimitata nella parte bassa in muri di mattoni quali prosecuzione delle antiche pareti della chiesa: una soluzione ardita e coraggiosa, che ha riscontrato l’approvazione e l’appoggio dei committenti e l’assenzo, non scontato, della soprintendenza ai monumenti” (http://www.archisquare.it/peter-zumthor-kolumba-museum-colonia/).

La cortina laterizia bianca, messa in opera in continuità con la preesistente, si contraddistingue nettamente rispetto a quest’ultima per il colore chiaro, in questo modo la muratura antica risalta su quella nuova. L’ approccio di Zumtor sembra quello di voler rispettare il patrimonio artistico valorizzandolo con un architettura che risponda a delle esigenze odierne.

 

IL VALORE DELLA PERMANENZA - SAGGI DI BUONE PRATICHE DI ARCHITETTURA: IL RIGORE DI FRANCO ALBINI

 

La città, come viene descritta nel libro "L'architettura della città" di Aldo Rossi, si evolve con il tempo ma mantiene sempre ciò che è memoria del passato. Questa memoria è da ricollegarsi al concetto di permanenza, esso va a caratterizzare quella che è la conservazione di determinati requisiti di un edificio nel tempo. In un corso di Restauro, come il nostro, si tratta di un punto molto delicato; infatti fino a quando è lecito perseguire la conservazione di tale memoria? Quando si rischia di oltrepassare il limite?

"Cupido che dorme è l’antica architettura, il monumento. Psiche, curiosa, con la lucerna, è l’architetto, l’ingegnere, il tecnico. Ma una goccia di olio bollente cade dalla lucerna: è l’azione di “restauro”. Cupido si sveglia e fugge via, così l’autenticità è compromessa." 

Questa frase riesce a contenere in sé il senso di tutto ciò che si è discussoa lezione. L'architettura antica che stuzzica la curiosità dell'architetto il quale con il suo sapere, forte dell'aiuto della scienza, vuole mantenere tale antichità tramite il restauro, ma l'autenticità dell'opera ne è compromessa.

Forse è vero che l'intervenire continuo su di un manufatto antico ne determina una perdita di veridicità, ma pensiamo per assurdo al Colosseo, saremmo disposti a perderlo per sempre solo per evitare di intervenire su di esso? Roma senza il suo anfiteatro cosa sarebbe? E questo discorso vale per tutte le altre opere che noi siamo fin troppo abituati a vedere sotto i nostri occhi, spesso senza renderci conto che se sono ancora lì è perché qualcuno ancora si impegna con tutti i mezzi a disposizione per farle perdurare, permanere. Non si deve però pensare che tutto sia concesso ai fini del restauro, le nuove tecnologie, i nuovi materiali, l'introduzione di caratteri contemporanei saranno ben accettati solo se in grado di dialogare con l'antico, senza snaturarlo.

José Ignacio Linazasoro, per esempio, da grande architetto moderno quale è, ci fa capire come non sempre ciò che è modernità comprometta l'antico, anzi spesso è proprio il miglior mezzo per farlo risaltare, rivivere e risplendere.

L'architettura ha pertanto bisogno di un architetto consapevole, che possa rivedersi nella figura di intellettuale colto il quale riesca ad amalgamare il suo operato con ciò che è la tradizione e l'antico.

Non a caso viene spontaneo introdurre la figura di Franco Albini, una delle figure principali dello sviluppo del pensiero razionalista nel campo dell'architettura, dell'arredamento e dell'industrial design. In lui vive l'interesse del suo periodo storico, il dopoguerra, per la tradizione inserita in un contesto di rigore in cui è necessario darsi delle regole. Essa non è soltanto una memoria alla quale adattarsi ma un elemento di coscienza, d'interpretazione, che deve coinvolgere chiunque. Quello che fece Albini fu il realizzare una "nuova tradizione" che riuscisse a raccordare tutte le sue realizzazioni.Tra queste si è parlato della Basilica Palladiana. Albini fu incaricato di allestire la mostra di Palladio a Vicenza nel 1973. Qui l'architetto non si limitò a "fare l'allestitore", si cimentò quasi maniacalmente nello studio della Basilica per capirla, per poterla allestire nel suo completo rispetto. Usò il linguaggio palladiano stesso per non rischiare di compromettere quello che era il messaggio originario della basilica e riuscire così a tramandarlo.

 

 

 

IL VALORE DELLA PERMANENZA

 

La lezione di ieri si è incentrata sul tema della permanenza e sul suo valore, argomento molto sentito in una città carica di testimonianze antiche come quella in cui viviamo.

Quanto di ciò che ci è stato tramandato continua a vivere con lo scorrere del tempo? In che modo noi architetti possiamo garantire che  un monumento continui a raccontare la sua storia? E come possiamo tutelarlo? Il nostro lavoro ci affida una grande responsabilità, ed è per questo che dobbiamo avere un’idea chiara di come relazionarci all’antico, cercando anche di imparare dai grandi maestri che ci hanno preceduto. Tra questi, vi sono Franco Albini, José Ignacio Linazasoro e Peter Zumthor.

Dell’operato di Albini ero in parte già a conoscenza, essendo andata, circa  un anno fa, ad una conferenza del Maxxi  in suo onore. Egli è stato tra i padri fondatori del razionalismo italiano, era quasi ossessionato dall’idea  di un metodo che sopprimesse ogni artificio superfluo. Essenziale erano per lui il rigore, la rettitudine. Ma come si rispecchia questo stile di vita in un lavoro che lo vede a stretto contatto con una permanenza? Per rispondere a questa domanda basta analizzare il suo allestimento della mostra  su Andrea Palladio, svoltasi nel 1973 all’interno della Basilica Palladiana. In questa occasione Albini si cimenta  cercando di rispettare al massimo la secolare struttura interna e mostrando un’attenzione maniacale per il metodo palladiano, in modo tale da non intaccare il messaggio originario trasmesso dalla fabbrica. Altro esempio di attenzione al contesto nell’iter di Albini è dato dalla Rinascente, in cui l’autore riesce a relazionarsi con i palazzi rinascimentali di Roma e con le mura aureliane, ricorrendo addirittura a soluzioni innovative, che vedono largo uso del cemento armato per la struttura e dell’acciaio nei montanti che arrivano fino alla linea di gronda.

Riguardo invece al rapporto tra antico e moderno nell’ideologia di Linazasoro, può esser utile riportare uno stralcio di un’intervista fatta al progettista, trascritta in un numero di “ Costruire in laterizio” .

Giornalista: “ Nella biblioteca situata nel quartiere di Lavapiés di Madrid ti confronti con un edificio storico, facendo convivere architetture di epoche diverse. Quale è il tuo atteggiamento nei confronti delle preesistenze storiche? “

Linazasoro: “ Ubicata del quartiere popolare di Lavapiés, questa biblioteca occupa gli spazi di un’antica chiesa del XVIII secolo, gravemente distrutta durante la guerra civile spagnola. HO CERCATO DI  MOSTRARE LA POSSIBILITA’ DI INTEGRAZIONE TRA CIO’ CHE E’ ANTICO E CIO’ CHE E IL NUOVO, a partire dal progetto. In un certo senso, ho voluto creare una continuità materica, ma con, allo stesso tempo, una discontinuità concettuale. Quando devo intervenire in un edificio storico, il mio intento è sempre quello di proporre un ordine nuovo in cui i resti dell’antico rimangano e vengano integrati nella costruzione recente. “

Il fulcro del progetto è dunque la “rovina”, e questo ha portato alla scelta di un materiale ( il laterizio) più consono ad uno spazio esterno che interno, ed anche la struttura ha come scopo principale quello di non interferire nella salvaguardia del rudere.  Entrando nel dettaglio della realizzazione dell’ Esculas Pias de San Fernando, meravigliosa biblioteca nata sui resti di una chiesa barocca, possiamo vedere come è presente una sequenza di percorsi interni ed esterni che mettono in comunicazione i vari spazi, alcuni dedicati alla biblioteca ed altri dedicati alle aule. L’espressività è resa  quasi del tutto dall’uso del mattone, con cui l’architetto gioca sapientemente.  Il prospetto di ingresso è caratterizzato dalla presenza di un grande muro, fatto di laterizi nuovi e vecchi, con resti decorativi in pietra. Non è poi volutamente stata ricostruita la cupola  ottagonale andata distrutta, che è stata sostituita con una copertura a volta, in doghe lignee lamellari, nei cui interstizi trapela la luce zenitale.

Passando a Zumthor, non si può non citare il suo intervento relativo al Museo per la collezione del arcivescovado di Colonia, nato dalle rovine della Chiesa di Santa Kolumba. Anche qui, ruolo primario è quello del mattone, che crea, in alcuni punti, un tessuto di trama larga, che riempie di luce l’interno. Ripercorrendo il profilo della chiesa, le pietre si intrecciano con la nuova muratura, che ha particolari dimensioni, atte a innestarsi nei muri medievali, per realizzare murature di spessori complementari alla pietra a cui si rivolgono.

Parola chiave in tutte queste architetture è quindi l’equilibrio tra la creatività e il patrimonio culturale, tra ideazione e conoscenza. E’ dunque possibile, tramite scelte accurate, accostare il nuovo all’antico, senza per forza alterare il significato di questo ultimo.

Considerazioni sulla lezione di oggi

La lezione di oggi era incentrata sul tema del valore della permanenza. Per spiegarci il concetto il professore ci ha citato alcune frasi tratte dal libro di Aldo Rossi “L’architettura della città”.

Oggi sembra che il lavoro di un architetto si incentri principalmente sul progetto tralasciando spesso il contesto e le conseguenze. Il progetto è uno strumento, ma se non abbiamo ben chiari i processi evolutivi, gli avvenimenti e la percezione del luogo che hanno gli abitanti su un dato edificio, non possiamo intervenire in modo adeguato o quantomeno coscienziosamente, inoltre va tenuto conto anche l’impatto che il progetto avrà sul luogo e su chi ci abita. Sebbene questo discorso in teoria è accettato e riconosciuto, in realtà è molto difficile trovare una soluzione che tenga conto di tutti questi aspetti.

Un altro concetto trattato a lezione è stato introdotto da una frase: “ Cupido che dorme è l’antica architettura, il monumento. Psiche, curiosa, con la lucerna è l’architetto, l’ingegnere, il tecnico. Ma una goccia di olio bollente cade dalla lucerna: è l’azione di Restauro. Cupido si sveglia e fugge via, così l’autenticità è compromessa”. Non sono molto d’accordo con questa affermazione, perché la trovo ambigua, in quanto è vero che il restauro ne altera l’autenticità, ma un dato edificio, in particolare uno storico, ha subito nel tempo, soprattutto quando ancora era nel pieno della sua funzionalità, una serie di interventi manutentivi, che comunque ne hanno alterato il carattere originale. Ma fintanto che si parla di manutenzione non ci sono limiti ne restrizioni agli interventi, quando però l’edificio perde la sua funzione e ci si interviene con un restauro tutto si complica e diventa alterazione. A questo punto l’unico modo di preservarne l’autenticità sarebbe quello di non intervenirci, ma così facendo andremmo a perdere quella che è la memoria storica, perché non avremmo più una preesistenza da valutare e valorizzare.

La seconda parte della lezione, invece è stata incentrata sulla figura di Franco Albini e sul suo rigore, inteso come stile di vita improntato sull’autodisciplina.

In particolare ci siamo concentrati sulla mostra del 1973 su Andrea Palladio allestita da Albini, soffermandoci a leggere i documenti del 1500 che assegnavano a seguito di una votazione il lavoro alla Chiesa del Redentore a Palladio, nonostante si fossero presentati architetti d maggiore prestigio, poiché in lui meglio si applicava il compromesso tra manierismo e classicismo. Questo a dimostrazione del fatto che non sempre basta un nome importante, ma è sufficiente trovare il giusto equilibrio.

 

Il Foro Italico e i costi del recupero (e del restauro)

Il Foro Italico e il costo del recupero (e del restauro)

La presentazione del caso del Foro Italico apre importanti discussioni circa gli interesse legati al recupero di beni architettonici, nonché al loro costo, soprattutto quando si parla di beni pubblici finanziati dallo Stato e che dovrebbero essere sottoposti a vincoli di inalienabilità e indisponibilità. Il Foro Mussolini nacque dall’idea politica del Ventennio dell’importanza dello sport, non solo per mistica fascista, ma come vera rappresentazione sociale ed economica del paese, tanto da essere promosso dall’Opera Nazionale Balilla; il destino del complesso fu però ben presto segnato dal giudizio sbrigativo e superficiale dei decenni del dopoguerra, il quale, complici le tradizioni di qualche secolo fa, decretò che per Luigi Moretti era tempo di Damnatio Mamoriae e per le sue opere poteva essere previsto qualche stravolgimento. Non si può dunque non parlare della Casa delle Armi, che non solo venne deturpata della propria poetica, di quel senso di vuoto e dei sofisticati giochi di luce, ma che negli anni ’70-’80 si rese praticamente irriconoscibile con l’inserimento di un Tribunale politico, di celle detentive, di recinzioni, di 7000 mc per le nuove funzioni, di un garage sotterraneo e infine anche con la scarsa attenzione rivolta alla ricchezza dei rivestimenti marmorei esistenti, che rendevano questa palestra-accademia un maestoso blocco monolitico. Si è trattato veramente di una delle più grandi deturpazioni di un bene del patrimonio architettonico contemporaneo, che ormai risulta irrimediabilmente perso per gli alti costi che comporterebbe un restauro filologico secondo i documenti d’archivio esistenti. Ma la Casa delle Armi non è l’unico esempio di dolosa perdita di significato storico, culturale e artistico, perché purtroppo questo è un destino di molti edifici, antichi o molto spesso moderni, il quale senso nella Storia non viene, o non si vuole, comprendere. Già solo nell’area del Foro Italico gli esempi non sono pochi: lo Stadio dei Marmi di Del Debbio, caduto nell’incuria dell’Amministrazione, sottoutilizzato e continuamente deturpato da eventi incongrui e assurdi; lo Stadio Olimpico, il cui spettacolare impianto del ’60 fu oggetto di un grande affare edilizio che permise di costruirvi una grande copertura sovrastante e 30.000 mq di uffici al di sotto che nessuno vuole utilizzare. Ma non sono i soli esempi, basti pensare alla Palazzina di Libera analizzata la scorsa settimana. Lo scopo della fattibilità sarebbe proprio quello di pervenire ad indicazioni qualitative e quantitative che permettano di valutare la convenienza del progetto, dal punto di vista economico e dei benefici: ecco perché dopo molto tempo il giudizio di alcuni su opere talmente degradate è quello di una demolizione totale, a discapito di un tentativo di recupero che evidentemente non trova ragion d’essere. Da questa premessa sulla fattibilità abbiamo possiamo introdurre il tema del costo del recupero e del restauro, e della reale volontà, oltre lo slancio idealistico ed emozionale, di investire risorse in questo tipo di operazioni atte a garantire il prosieguo della “permanenza” dell’opera architettonica. Operazioni che possono essere di diverso tipo, dalla manutenzione alla conservazione, dal ripristino al restauro, ognuna con un’accezione diversa, ognuna esigente un rispetto dell’opera e un atteggiamento critico specifico, ognuna necessariamente accompagnata da una stima e da procedimenti di misurazione dei costi, analitici o sintetici che usar si voglia, che si rendono indispensabili ormai per la buona riuscita di un progetto, anche di restauro. Perché non si debbano più accettare “cause perse” come la Casa delle Armi, vittima come il suo architetto, dell’oblio dell’ignoranza, e che oggi “giace a prendere la polvere come un esperimento mancato nello studio di uno scienziato” (M. Ferrari “Luigi Moretti. Casa delle Armi nel Foro Mussolini a Roma 1933 – 1937”).

Riflessioni sulle ultime lezioni

Durante gli ultimi anni di studio, e in particolare durante le lezioni del modulo di Estimo, mi sono trovata a riflettere spesso sul significato della parola “restauro”. Dal momento che ho scelto di assecondare le mie attitudini personali, scegliendo di studiare Architettura e Restauro, questo equivale a porsi una domanda quasi di tipo esistenziale. Che cos'è il “restauro”?

 

Esistono diverse definizioni della parola e quasi tutte si riferiscono ad una serie di azioni volte alla manutenzione, al recupero, al ripristino e alla conservazione delle opere storiche, come suggerisce del resto, anche l'etimologia stessa della parola: dal latino: “re” e “staurare” = rendere solido nuovamente.

 

Ma le cose non sono così semplici. Esistono vari dibattiti sviluppatisi intorno alla materia, derivanti soprattutto dal fatto che restaurare non è mai un'operazione oggettiva. Esattamente come per la progettazione del nuovo, il restauratore esprime la sua personalità e la sua sensibilità professionale immersa inevitabilmente nell' humus culturale, sociale, politico in cui si trova a vivere.

Risulta chiaro quindi che non può esserci un'oggettività della materia sospesa nel tempo che si traduca in una definizione letterale univoca e chiara.

 

Non trovando risposta nelle definizioni della parola, ho ascoltato con interesse le varie lezioni sul tema nel corso degli anni di studio, in particolare quelle del modulo di Estimo.

 

A partire dalla visita al Palazzo Massimo alle Terme fino alle parole del Bonelli, è emerso un concetto fondamentale che appare quasi scontato se riferito al progetto dell' architettura del nuovo, ma che quasi mai si ascolta o si legge quando si parla di restauro: il concetto di fruibilità.

 

Il motivo che ci porta a desiderare il restauro delle opere è di certo l'interesse che queste abbiano la possibilità di continuare a vivere nel tempo, e ancor di più, che vivano affinché l'umanità abbia la possibilità di conoscerle e di farle proprie. E' importante capire che la cultura non deve restare fine a se stessa. affinchè possa portare a termine la sua missione intrinseca: quella di comunicare la bellezza dell'esistenza a tutti, in maniera indiscriminata.

 

Per questo motivo, quando ho ascoltato le parole dell'architetto Bonelli, tratte dal libro "Architettura e Restauro", questo concetto che da un po' cercava di emergere tra le mie idee, si è fatto evidente in maniera lampante.

Non c'è dubbio che per Bonelli, l'opera di restauro sia prima un' azione culturale e poi un'azione fisica:  le opere infatti, devono occupare la giusta posizione all'interno di un contesto culturale che sia in grado di giovare alle generazioni future. Che siano fruibili, quindi, comprese e vissute, prima a livello emotivo e poi a livello sensoriale.

 

Se pensiamo ad esempio, al riallestimento di Palazzo Massimo alle Terme, questo concetto appare immediatamente più chiaro. Si pensi all'utilizzo magistrale del colore, attraverso il quale è stato possibile esaltare le opere scultoree inserite negli spazi espositivi e allo stesso tempo conferire una guida che accompagnasse lo spettatore per mano lungo il percorso da seguire.

Il coraggioso intervento, ha portato anche delle critiche agli architetti incaricati di realizzare l'opera, dovute probabilmente all'atteggiamento di timore reverenziale verso l'antico che si ha spesso in questa nazione. Ma, dal confronto con le sale ancora non riallestite, l'intervento esce sicuramente vincitore, sia per la chiarezza del percorso, sia per l'interesse suscitato nello spettatore sia per la riuscita messa in luce delle opere esposte attraverso i contrasti cromatici. Rendere fruibile un'opera significa anche renderla immediatamente accessibile, cosa che a mio avviso accade felicemente in questo edificio.

 

C'è un altra questione da considerare quando si parla di restauro architettonico: quella del falso storico.

Pensando al Teatro di Ostia Antica, da molti definito come "pesantemente restaurato", possiamo dire di trovarci di fronte ad un falso storico oppure possiamo apprezzare la restituzione di un edificio nelle sue proporzioni spaziali, nei suoi materiali, nelle funzioni che doveva assumere ai tempi dell'antica Roma?

Se pensiamo alle parole del Bonelli, è assolutamente giusto che un'opera sopravviva allo scorrere del tempo per portare giovamento alle generazioni future, eppure il dubbio resta quando osserviamo i lavori di restauro del Partenone.

C'è bisogno di risarcire ogni singola lacuna dell'apparecchio murario affinchè si abbia una percezione che renda giustizia all'opera più famosa dell'acropoli di Atene?

 

La domanda nasconde il travaglio interiore di ogni progettista che si trovi ad affrontare un'opera di restauro: limitarsi a conservare oppure compiere un atto creativo che modifichi la forma dell'oggetto in base alle nuove concezioni culturali del tempo presente?

 

La questione ancora non trova risposta.

 

 

Riflessioni sulle ultime due lezioni di estimo: il Foro Italico ed il Recupero architettonico

 

L'ex Foro Mussolini, oggi Foro Italico, vasto complesso di edifici e impianti sportivi, nasce nel 1928, inizialmente su idea di Enrico Del Debbio e in seguito di Luigi Moretti.

Situato sulle pendici di Monte Mario, rappresenta uno dei principali interventi a scala urbana del regime fascista, significativo per l'intento di riunire attività sportiva e formazione ideologica.

Nella realizzazione di questo grandioso complesso, lo Stato intervenì in prima persona, finanziandolo interamente.

Le diverse costruzioni testimoniano l'oscillare della cultura architettonica del periodo tra classicismo stilizzato e deciso razionalismo, volti a rappresentare il monumentalismo e la forte identità propri del regime fascista.

Il progetto di Enrico Del Debbio si caratterizzava per la particolare attenzione al rispetto ambientale, secondo il criterio ellenistico, che seguiva l'orografia del terreno, a differenza del criterio romano che privilegiava l'elevazione delle murature. Tale progetto comprende lo Stadio Dei Marmi, l'Accademia di Educazione fisica, il Monolite Mussolini e lo Stadio dei Cipressi. Quest'ultimo, seppur non realizzato, era un'opera di forte impianto naturalistico e sfruttava appunto le depressioni del terreno. Lo Stadio Olimpico, nato appunto come Stadio dei Cipressi, sarà realizzato sino al primo anello murario ed inaugurato nel 1932. Nel 1952 lo Stadio venne riprogettato sulla base già realizzata dello Stadio dei Cipressi da Annibale Vitellozzi con una capienza di 80.000 posti. Nel 1990, in occasione del campionato di mondo di calcio, venne adeguata la capienza aumentandone le gradinate e inserendone una struttura reticolare ad anello. Intervento a mio parere incongruo, che con l'inserimento di piloni alti 14 metri, ha arrecato indubbio danno all'insieme ambientale e monumentale.

Lo Stadio dei Marmi anch'esso sfrutta il dislivello per allestire il campo e la pista. Il riferimento è allo stadio greco e all'architettura classica: gradinate perimetrali in marmo assieme alla presenza di sessanta statue di marmo rappresentanti tutte le provincie di Italia. Questo impianto, che rappresentò lo scenario del regime, oggi purtroppo viene deturpato con eventi incongrui. A partire dagli anni '80, infatti, diventando un luogo di pubblicità, iniziò a subire diverse degenerazioni d'uso: inizialmente ospitava un campo di calcio, diventò successivamente una sorta di pista per le motociclette, fino a diventare una pista da sci.

E' assurdo pensare che un impianto di così notevole importanza storica e architettonica possa essere così deturpato oggigiorno.

Ma l'opera più emblematica di questo grandioso complesso è senza dubbio la Casa delle Armi, realizzata da Luigi Moretti nel 1933. Moretti è uno dei maggiori architetti che operano durante il ventennio fascista, sarà però colpito dopo la guerra da una sorta di damnatio memoriae, in seguito rimossa a partire dagli anni '80 con l'inizio di una nuova stagione di interesse.

La Casa delle Armi è composta di due volumi ortogonali, la Biblioteca e la Sala delle Armi, collegate tra di loro da un passaggio pensile. Si tratta di grandi volumi, il cui rivestimento in facciata in marmo di Carrara, attraverso gli effetti di luce radente, contribuisce ad esaltare tutte le venature del marmo e l'eleganza e la purezza dei volumi e suggerisce l'idea di un interrotto blocco monolitico di marmo.

Infatti Moretti puntava a creare grandi effetti di luce ed era convinto che anche attraverso la pietra si potessero comunicare effetti di luce radente:attraverso una grande fenditura, si illuminano di luce riflessa omogenea il grande volume della sala interna della scherma e la grande pedana, creando quindi uno spazio unitario e solido.

Questo edificio nel 1974 viene adibito ad una funzione incongrua e quindi deturpato. Infatti, sebbene l'esterno, nonostante l'aggiunta di un'alta cancellata di recinzione e nonostante il fissaggio con viti di ferro delle lastre mantenga la sua riconoscibilità, all'interno questa viene invece compromessa dalle manomissioni per l'adeguamento in parte a a Tribunale in parte a carcere; in seguito si aggiunge anche una caserma dei Carabinieri. La Biblioteca all'interno viene completamente stravolta: negli spazi prima concepiti interamente vuoti, si inseriscono strutture in cemento per ottenere nuove superfici da destinare ad uffici; inoltre, fu realizzata un'aula bunker e viene scavata una trincea e una rampa con garage per portare i detenuti, causando quindi la distruzione di elementi esterni.

Tutte queste manomissioni hanno portato ad un deturpamento di un'opera di grande valore intrinseco, e gli eventuali interventi per rimediare a questi danni sono molto complessi e richiedono costi molto elevati.

Il problema maggiore delle architetture contemporanee del cemento armato, essendo molto più fragili delle altre, portano con sé già dall'inizio la logica della distruzione, e non essendo destinate quindi a durare in eterno, necessitano continue manutenzioni, indispensabili altrimenti si rischia di perdere il manufatto.

Bisognerebbe procedere a mio avviso ad un restauro di tipo filologico, mirato al ripristino delle sue qualità al fine di restituire all'opera l'antico splendore dei volumi e il fascino dei suoi nitidi spazi interni. Anche se i costi sarebbero molto elevati è importante tenere conto del fatto che i benefici sarebbero notevoli e compenserebbero gli investimenti pubblici: si conserverebbe un edificio di valore storico e artistico inserito nell'ambiente preesistente con criteri di rispetto paesaggistico, si restituirebbe alla cittadinanza l'uso di una splendida struttura dedicata allo sport. Insomma, si manterrebbe uno dei più grandi esempi di cultura e architettura razionalista.

 

 

 

Il Restauro come forma di cultura”, così scrisse Bonelli, segretario del processo di ricostruzione post-bellico INA Casa, nel suo libro “Architettura e Restauro” del 1959.

 

Ciò induce a riflettere su quanto incida sul progetto di restauro delle opere del passato la cultura del tempo: ogni tempo ha dato importanza diversa al rispetto e alla salvaguardia di ciò che la storia ci ha consegnato, di ciò che si è salvato dell'architettura del passato nel corso dei secoli. Qualsiasi progetto, infatti, deve tenere conto della storia e più diffusamente del valore della permanenza, concetto di fondamentale importanza in quanto rappresenta le tracce di una cultura millenaria.

A riguardo citiamo un esempio in cui non è stata rispettata la permanenza della stratificazione storica nel recupero del Mausoleo di Augusto, dedicato a lui e ai suoi successori; fu iniziato nel 27 a.C., cadde in rovina nella tarda antichità quando fu sfruttato come cava di materiali; fu però poi trasformato in vigna, giardino pensile, teatro, politeama e, infine, nel 1907 venne acquistato dal Comune di Roma e adattato a sala per concerti.

Tutto ciò oggi non esiste più. Mussolini, nel 1937, in occasione del bimillenario di Augusto, secondo il quale Roma sarebbe dovuta diventare grandiosa ed ordinata come si presentava all'epoca di Augusto, iniziò la demolizione delle strutture dell'auditorium sovrastanti il Mausoleo e costruì intorno alla piazza palazzi in stile monumentale dell'epoca a evidenziarne l'importanza del luogo e a conferirgli un aspetto celebrativo e scenografico, propri del regime fascista.

Il Mausoleo, frammento della Roma Imperiale, diventa quindi il centro di un nuovo spazio vuoto, non più fruibile ai cittadini e troppo basso rispetto agli edifici circostanti per essere messo in evidenza e, a mio avviso, non dialoga minimamente con il resto della piazza.

Tutta queste serie di operazioni incongrue hanno portato ad un velleitario tentativo di recupero dell'opera iniziale, senza tener quindi conto delle stratificazioni storiche che invece sarebbe stato utile conservare.

Il restauro archeologico comincia intorno alla metà del '700 in seguito agli scavi di Pompei ed Ercolano, alla riscoperta delle antichità greche ed alla scoperta di quelle egizie avvenuta con la campagna d'Egitto di Napoleone Bonaparte. Questo passaggio fondamentale della conoscenza dell'arte antica portò ad un cambiamento nel rapporto con le opere del passato dando l'avvio al restauro modernamente inteso.

Durante questo periodo si sviluppano due filoni differenti: quello che tende a distinguere l'integrazione rispetto alla parte preesistente, ricostruendo le parti mancanti in maniera riconoscibile attraverso la distinzione del materiale o la semplificazione delle forme, come è avvenuto ad esempio per il restauro dell'Arco di Tito eseguito da Valadier e il restauro del Colosseo ad opera di Stern; il secondo filone, stilistico, secondo cui il restauratore deve immedesimarsi nel progettista originario e integrarne l'opera nelle parti mancanti. Protagonista di questa seconda tendenza sarà l'architetto francese Viollet Le Duc che ricostruì le mura di Carcassonne come dovevano apparire nel Medioevo.

Verso la fine dell'800 in Italia nascono due nuovi modi di intendere il restauro architettonico: il restauro storico, finalizzato ad un ripristino integrale attraverso i documenti storiografici; il restauro filologico che riprende il concetto di riconoscibilità dell'intervento, prevede il rispetto per le aggiunte che sono state apportate al manufatto nel corso del tempo e tutela i segni del tempo.

Al giorno d'oggi gli interventi di restauro che si possono realizzare sono i seguenti: l'intervento di conservazione è finalizzato a confermare uno stato di fatto e si prefigge quindi lo scopo di arrestare le modificazioni in atto; l'obiettivo del ripristino è quello di ricondurre un sistema ad una condizione morfologica originaria, attraverso i documenti storici; infine il concetto di restauro che corrisponde all'idea di architettura come opera aperta, cioè disponibile alle interpretazioni e al giudizio.

Un esempio interpretativo è il restauro del Partenone, nella cui restauro si riproduce fedelmente l'architettura originaria, mantenendo la possibilità di distinguere chiaramente la parte antica dalle nuove aggiunte. Questo rappresenta al meglio l'idea di restauro, in quanto l'occhio coglie al meglio l'insieme, distinguendo però il nuovo dal vecchio.

Altro aspetto interessante della conservazione e utilizzazione dei centri storici riguarda l'accostamento tra vecchio e nuovo. A riguardo cito l'esempio del Museo Kolumba di Colonia realizzato da Peter Zumthor sui resti di una chiesa tardogotica distrutta in seguito alla seconda guerra mondiale. Qui il progettista non interrompe l'opera passata; prosegue infatti le antiche mura della chiesa costruendovi sopra il nuovo e attraverso il rispetto dei resti del manufatto originario crea una continuità tra passato e presente.

In questo modo l'antico diventa protagonista, e nonostante l'inserimento del nuovo, non viene contaminato, anzi al contrario viene esaltato ed è in grado di conferire maggior valore alla rovina storica.

Antico e contemporaneo possono perciò coesistere in armonia, pur sempre agendo adeguatamente nel rispetto dei caratteri, della leggibilità e dello spirito delle opere preesistenti.

Considerazioni sulle ultime lezioni: Permanenza storica e recupero

 

permanére v. intr. Rimanere durevolmente in una determinata condizione, senza variazioni o modificazioni.

permanènzas. f.  Continuità nel tempo

permanènte agg. Di cosa o situazione che si protrae nel tempo, spesso associata all’idea di stabile disponibilità o funzionalità oltre che alla pura e semplice dimensione della ‘durata’.

recuperare v. tr. Tornare in possesso di una cosa che era già propria o, in genere, che si era perduta.

G.Devoto, G. C. Oli, Dizionario della lingua italiana; Vocabolario Treccani: www.treccani.it

 

Permanenza storica e recupero. Alcuni esempi che mostrano diversi atteggiamenti possono aiutare a riflettere su questi temi.

Il progetto del Museo del Teatro Romano di Cartagena di R. Moneo ha riguardato la musealizzazione dei resti di un antico teatro romano, scoperto alla fine degli anni ’80, e dei reperti rinvenuti durante le campagne di scavo.

 “Per 1500 anni la città si era ‘dimenticata’ di questo teatro romano. Nel 1988, durante una campagna di scavi archeologici, si ritrovarono i resti dell’antico edificio pubblico: alla fine degli anni ’90 il teatro era quasi completamente liberato dalle costruzioni che nei secoli gli si erano sovrapposte. Delle successive stratificazioni si è conservata solo una parte della chiesa antica di Cartagena, duramente bombardata durante la guerra civile del 1939.” (dal sito http://fabiopravettoni.blogspot.it/2008/10/rafael-moneo-il-museo-archeologico-di.html )

L’intervento è stato quindi il recupero di un edificio antico,di un pezzo di storia perduto della città spagnola, di quella Carthago Nova fondata dai cartaginesi e poi diventata colonia romana.

Viene ora da chiedersi: che cosa è stata pronta a pagare, ovviamente non solo in termini economici, la città di Cartagena? Sicuramente nella decisione di riportare alla luce l’antico teatro è stato operato un atto critico, secondo il quale si è ritenuto più importante mostrare ciò che era in passato quel pezzo di città, musealizzandolo, piuttosto che lasciare inalterato lo sviluppo successivo, quell’architettura minore forse meno interessante ed attraente. Probabilmente una scoperta di tale portata può anche arrivare a giustificare una scelta di questo tipo, considerando anche il ritorno non solo economico ma anche culturale che essa può comportare.

Quello di Moneo è stato un intervento a scala urbana che ha messo in comunicazione parti diverse della città, inserendosi in modo esemplare nella sua orografia: il percorso museale infatti è concepito come una promenade che dal mare conduce sulla collina, dove si possono ammirare i resti romani

Il restauro del teatro aveva un fine didattico e culturale, volto alla comprensione del complesso da parte del visitatore. E’ stato necessario a questo scopo reintegrare alcune parti, senza però alterare l’aspetto d’insieme, scegliendo la strada della differenziazione eseguita con materiali compatibili per cromia e composizione.

L’inserimento delle rovine in un complesso monumentale dai tratti nuovi ma garbati fa comprendere come si possa conciliare l’antico con il contemporaneo, senza svalutare l’uno o l’altro ma al contrario dando nuova forza ad entrambi. Un atteggiamento attento come quello di R. Moneo, che in varie occasioni si è trovato ad operare su edifici del passato, è probabilmente la chiave per rispondere alla domanda di integrazione tra antico e contemporaneo, tra passato e presente. Ed in questo caso l’architetto l’ha fatto quasi in silenzio, senza disturbare, con un progetto perfettamente integrato nel contesto.

Atteggiamento diverso invece è quello seguito da P. Zumthor nel Kolumba Museum di Colonia.

Il museo sorge nel centro della città, in un luogo caratterizzato da una ricca stratificazione, con la quale era necessario confrontarsi. Il sito ospitava in origine una chiesa gotica che, distrutta durante il secondo conflitto mondiale, fu successivamente inglobata in una cappella; indagini archeologiche compiute negli anni ‘70 hanno anche messo in luce resti di precedenti edifici romani e medievali.

La continuità tra passato e presente è ciò che caratterizza il progetto di Zumthor: le architetture del passato sono inglobate nel nuovo edificio, rileggendo in chiave contemporanea quell’uso in continuità che è stato tipico dei secoli passati (basti pensare alla funzione residenziale assunta dal Teatro di Marcello o ai molteplici usi che si sono attribuiti nel tempo al Colosseo). La nuova costruzione si aggiunge all’antica, proseguendo i muri tardo gotici e seguendo il tracciato della chiesa originaria: non sono accentuate le cesure, si ricerca invece la maggiore integrazione possibile, arrivando a progettare un mattone ad hoc che si possa adattare al meglio ai resti medievali.

Il lavoro di Zumthor è attento e rispettoso, “teso a ritrovare il tempo della storia” senza però rimanere chiuso in rigide teorizzazioni che rischiano di immobilizzare la pratica.

 

I due casi finora visti dimostrano quindi che si può intervenire in modo positivo sull’antico senza rinnegarlo, al contrario si può garantire con il nuovo intervento la permanenza storica, una continuità non solo materica ma anche di memoria. Non è però solo verso l’antico che bisogna perseguire la ricerca di questa continuità. Interventi di manutenzione e recupero coscienzioso possono, o meglio, devono essere compiuti anche sull’architettura più recente, che rischia altrimenti di essere alterata in modo irrimediabile.

E’ questa infatti la situazione in cui riversava la Palazzina di Libera vista la scorsa volta e del più drammatico esempio della Casa delle Armi di Moretti, costruita tra il 1933 e il 1936 nell’area meridionale del Foro Mussolini. Un’opera raffinata, caratterizzata da una struttura ardita e da un utilizzo sapiente dei materiali. Nel corso degli anni purtroppo gli usi a cui è stato adibito questo edificio hanno sempre di più negato la sua natura. Negli anni ‘80 diventò un tribunale politico e caserma dei Carabinieri: modifiche irrimediabili furono compiute all’interno per adeguare, o forse costringere, la struttura alle nuove funzioni. Altri interventi esterni danneggiarono il rivestimento marmoreo che un tempo conferiva quella monoliticità classica al complesso. L’inserimento di una rampa esterna per raggiungere l’aula bunker sotterranea stravolse anche l’intorno, prima caratterizzato da una forte orizzontalità.

La Casa delle Armi così come concepita da Moretti non esiste più. E’ un rudere moderno, stravolto nella sua natura: la permanenza storica, la continuità di significato, del valore artistico e culturale sono ormai scomparse a causa di riusi fuori controllo. Dalle immagini successive alla costruzione si vede un edificio completamente diverso, per non parlare dell’intorno in cui è inserito.  Tutta la zona del Foro ha subito cambiamenti di funzione, a volte più compatibili, atre sicuramente meno. La Casa delle Armi è però tra i casi più eclatanti di deturpazione.

Qual è l’atteggiamento da assumere? C’è chi propone con preoccupazione la demolizione, cercando al tempo stesso di smuovere gli animi. Numerosi sono stati gli appelli di architetti e non per un intervento, per il recupero di questa architettura che ormai sta morendo.  

Di sicuro ciò che emerge da questa situazione è la necessità di adoperarsi, non solo per il patrimonio artistico antico ma anche per quello più recente, prima che troppo tardi; iniziando a chiedersi anche in questa situazione cosa siamo disposti a pagare, a sacrificare. Per quanto riguarda l’edificio della Casa delle Armi ciò che stiamo perdendo è parte della nostra storia.

Pagine