Il Valore della Permanenza

 

Il valore della Permanenza

 

Il concetto di permanenza in architettura è legato al concetto di tempo e in particolare agli eventi consequenziali a cui un bene è soggetto.

Ciò che mi è sembrato doveroso notare, nella scorsa lezione, è l’importanza rappresentata dalle “tracce antropiche” che permangono nel tempo e la loro rilevanza nel descriverci informazioni appartenenti alla storia. Così come le più antiche vie di comunicazione si ritrovano lungo i crinali degli altopiani, data la loro immunità dalle esondazioni, non a caso, spesso le circonvallazioni sorgono presso le antiche cinte murarie delle città, la centuriatio e il sistema cardo-decumanico romani, permangono, come direttrici, determinando l’assetto di molti centri di origine romana. I tracciati viari sono dei segni che, spontaneamente, tendono a permanere nella storia, per cause naturali, oppure a testimonianza dei notevoli interessi che essi sostenevano nel tempo attraverso le città e i relativi edifici e fronti e tutti i luoghi che, in questo modo, andavano a valorizzare. Un altro valido esempio delle vie di comunicazione come permanenza, riguarda il caso singolare di Broadway Avenue, antica via di percorrenza dei nativi americani, che si insinua nella maglia squadrata di New York come un forte segno di rottura del reticolo regolare.

Uno dei compiti più virtuosi dell’ architetto è decidere cosa deve essere tramandato ai posteri. Ogni intervento di recupero necessità un’ interpretazione, e aldilà della scelta che si compie è importante seguirla fino in fondo per non generare degli ibridi. Come nel caso del Pantheon o dell’ anfiteatro di Arles, si è scelto di eliminare gli elementi, considerati superfetazioni, che confondevano, compromettendo, il significato didascalico che essi dovevano rappresentare. Permanenza significa dunque memoria, a volte anche specifica, come lo sono i metri dello sbancamento effettuato presso i fori riportati nella lunghezza della colonna traiana; aldilà della più esplicita vicenda storica documentata nei bassorilievi della stessa.

Il concetto di “dovere etico” è insito in quello della “permanenza”: il dovere di non lasciare in decadenza i beni artistici e culturali; il dovere di compiere una scelta precisa e di rispettarla; il dovere (e la responsabilità) di eseguirla secondo regola d’arte. Affinché  l’ opera ben restaurata sia restituita alla comunità, nel presente, e alla relativa memoria collettiva.
Non bastano solo le intenzioni del restauratore: il processo produttivo è molto più complesso e si scontra spesso con i problemi pragmatici legati al rapporto con la committenza (privato o ente che sia), con l’impresa esecutrice (e la manodopera), con la burocrazia delle norme, tutto poi ricondotto a problemi di tipo economico.

 

"Cupido che dorme è l’antica architettura, il monumento. Psiche, curiosa, con la lucerna, è l’architetto, l’ingegnere, il tecnico. Ma una goccia di olio bollente cade dalla lucerna: è l’azione di “restauro”. Cupido si sveglia e fugge via, così l’autenticità è compromessa."

Sono d’accordo solo in parte con questa affermazione, infatti, se è vero che intervenire significa modificare, non vuol dire anche, necessariamente, compromettere, in questa accezione allora siamo tutti colpevoli di aver alterato la storia, in un modo o nell’ altro. Indubbiamente si è sempre commesso errori - anche irreparabili talvolta, però quello che maggiormente non riesco a comprendere, è il motivo di tanto screditamento: perché il restauro, oggi, deve necessariamente essere percepito con tanta diffidenza? Come se oggi nessuno (o quasi) avesse le credenziali per interferire con la storia, in altre parole, come se ciò che si compie nel presente è necessariamente di un livello inferiore rispetto all’ operato dei nostri avi e che in una maniera o nell’altra si finisce col rompere la stessa “autenticità”.

Capisco che il lascito della storia è spesso considerato un fardello spesso troppo complicato da interpretare, e capisco che si sono commessi tanti o/errori che si parte demoralizzati, però non sono d’accordo con coloro che hanno timore di intervenire per paura di disturbare il sonno infinito di Cupido.
Non che questo significhi che bisogna intervenire sempre e comunque, spesso si tratta solo di affidare l’incarico in maniera coscienziosa.

Per concludere credo che l’obbiettivo, in particolare quando un determinato bene è in stato precario, sia quello di intervenire per “salvarlo” dalla decadenza e che, il problema dei restauri con esito negativo, possa in parte essere risolto affidando l’ incarico, esclusivamente, cercando di far prevalere il merito, per esempio attraverso i concorsi pubblici.

Un ottimo esempio di “costruire in continuità con l’antico”, è rappresentato dal progetto del Museo realizzato da Peter Zumtor nel centro di Colonia, presso le rovine di una chiesa tardo gotica andata distrutta durante la seconda guerra mondiale. Progetto scelto proprio in occasione di un concorso pubblico.

“Zumthor ha progettato nell’area delle rovine una grande hall, delimitata nella parte bassa in muri di mattoni quali prosecuzione delle antiche pareti della chiesa: una soluzione ardita e coraggiosa, che ha riscontrato l’approvazione e l’appoggio dei committenti e l’assenzo, non scontato, della soprintendenza ai monumenti” (http://www.archisquare.it/peter-zumthor-kolumba-museum-colonia/).

La cortina laterizia bianca, messa in opera in continuità con la preesistente, si contraddistingue nettamente rispetto a quest’ultima per il colore chiaro, in questo modo la muratura antica risalta su quella nuova. L’ approccio di Zumtor sembra quello di voler rispettare il patrimonio artistico valorizzandolo con un architettura che risponda a delle esigenze odierne.