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Il Foro Italico e i costi del recupero (e del restauro)

Il Foro Italico e il costo del recupero (e del restauro)

La presentazione del caso del Foro Italico apre importanti discussioni circa gli interesse legati al recupero di beni architettonici, nonché al loro costo, soprattutto quando si parla di beni pubblici finanziati dallo Stato e che dovrebbero essere sottoposti a vincoli di inalienabilità e indisponibilità. Il Foro Mussolini nacque dall’idea politica del Ventennio dell’importanza dello sport, non solo per mistica fascista, ma come vera rappresentazione sociale ed economica del paese, tanto da essere promosso dall’Opera Nazionale Balilla; il destino del complesso fu però ben presto segnato dal giudizio sbrigativo e superficiale dei decenni del dopoguerra, il quale, complici le tradizioni di qualche secolo fa, decretò che per Luigi Moretti era tempo di Damnatio Mamoriae e per le sue opere poteva essere previsto qualche stravolgimento. Non si può dunque non parlare della Casa delle Armi, che non solo venne deturpata della propria poetica, di quel senso di vuoto e dei sofisticati giochi di luce, ma che negli anni ’70-’80 si rese praticamente irriconoscibile con l’inserimento di un Tribunale politico, di celle detentive, di recinzioni, di 7000 mc per le nuove funzioni, di un garage sotterraneo e infine anche con la scarsa attenzione rivolta alla ricchezza dei rivestimenti marmorei esistenti, che rendevano questa palestra-accademia un maestoso blocco monolitico. Si è trattato veramente di una delle più grandi deturpazioni di un bene del patrimonio architettonico contemporaneo, che ormai risulta irrimediabilmente perso per gli alti costi che comporterebbe un restauro filologico secondo i documenti d’archivio esistenti. Ma la Casa delle Armi non è l’unico esempio di dolosa perdita di significato storico, culturale e artistico, perché purtroppo questo è un destino di molti edifici, antichi o molto spesso moderni, il quale senso nella Storia non viene, o non si vuole, comprendere. Già solo nell’area del Foro Italico gli esempi non sono pochi: lo Stadio dei Marmi di Del Debbio, caduto nell’incuria dell’Amministrazione, sottoutilizzato e continuamente deturpato da eventi incongrui e assurdi; lo Stadio Olimpico, il cui spettacolare impianto del ’60 fu oggetto di un grande affare edilizio che permise di costruirvi una grande copertura sovrastante e 30.000 mq di uffici al di sotto che nessuno vuole utilizzare. Ma non sono i soli esempi, basti pensare alla Palazzina di Libera analizzata la scorsa settimana. Lo scopo della fattibilità sarebbe proprio quello di pervenire ad indicazioni qualitative e quantitative che permettano di valutare la convenienza del progetto, dal punto di vista economico e dei benefici: ecco perché dopo molto tempo il giudizio di alcuni su opere talmente degradate è quello di una demolizione totale, a discapito di un tentativo di recupero che evidentemente non trova ragion d’essere. Da questa premessa sulla fattibilità abbiamo possiamo introdurre il tema del costo del recupero e del restauro, e della reale volontà, oltre lo slancio idealistico ed emozionale, di investire risorse in questo tipo di operazioni atte a garantire il prosieguo della “permanenza” dell’opera architettonica. Operazioni che possono essere di diverso tipo, dalla manutenzione alla conservazione, dal ripristino al restauro, ognuna con un’accezione diversa, ognuna esigente un rispetto dell’opera e un atteggiamento critico specifico, ognuna necessariamente accompagnata da una stima e da procedimenti di misurazione dei costi, analitici o sintetici che usar si voglia, che si rendono indispensabili ormai per la buona riuscita di un progetto, anche di restauro. Perché non si debbano più accettare “cause perse” come la Casa delle Armi, vittima come il suo architetto, dell’oblio dell’ignoranza, e che oggi “giace a prendere la polvere come un esperimento mancato nello studio di uno scienziato” (M. Ferrari “Luigi Moretti. Casa delle Armi nel Foro Mussolini a Roma 1933 – 1937”).

Riflessioni sulle ultime due lezioni di estimo: il Foro Italico ed il Recupero architettonico

 

L'ex Foro Mussolini, oggi Foro Italico, vasto complesso di edifici e impianti sportivi, nasce nel 1928, inizialmente su idea di Enrico Del Debbio e in seguito di Luigi Moretti.

Situato sulle pendici di Monte Mario, rappresenta uno dei principali interventi a scala urbana del regime fascista, significativo per l'intento di riunire attività sportiva e formazione ideologica.

Nella realizzazione di questo grandioso complesso, lo Stato intervenì in prima persona, finanziandolo interamente.

Le diverse costruzioni testimoniano l'oscillare della cultura architettonica del periodo tra classicismo stilizzato e deciso razionalismo, volti a rappresentare il monumentalismo e la forte identità propri del regime fascista.

Il progetto di Enrico Del Debbio si caratterizzava per la particolare attenzione al rispetto ambientale, secondo il criterio ellenistico, che seguiva l'orografia del terreno, a differenza del criterio romano che privilegiava l'elevazione delle murature. Tale progetto comprende lo Stadio Dei Marmi, l'Accademia di Educazione fisica, il Monolite Mussolini e lo Stadio dei Cipressi. Quest'ultimo, seppur non realizzato, era un'opera di forte impianto naturalistico e sfruttava appunto le depressioni del terreno. Lo Stadio Olimpico, nato appunto come Stadio dei Cipressi, sarà realizzato sino al primo anello murario ed inaugurato nel 1932. Nel 1952 lo Stadio venne riprogettato sulla base già realizzata dello Stadio dei Cipressi da Annibale Vitellozzi con una capienza di 80.000 posti. Nel 1990, in occasione del campionato di mondo di calcio, venne adeguata la capienza aumentandone le gradinate e inserendone una struttura reticolare ad anello. Intervento a mio parere incongruo, che con l'inserimento di piloni alti 14 metri, ha arrecato indubbio danno all'insieme ambientale e monumentale.

Lo Stadio dei Marmi anch'esso sfrutta il dislivello per allestire il campo e la pista. Il riferimento è allo stadio greco e all'architettura classica: gradinate perimetrali in marmo assieme alla presenza di sessanta statue di marmo rappresentanti tutte le provincie di Italia. Questo impianto, che rappresentò lo scenario del regime, oggi purtroppo viene deturpato con eventi incongrui. A partire dagli anni '80, infatti, diventando un luogo di pubblicità, iniziò a subire diverse degenerazioni d'uso: inizialmente ospitava un campo di calcio, diventò successivamente una sorta di pista per le motociclette, fino a diventare una pista da sci.

E' assurdo pensare che un impianto di così notevole importanza storica e architettonica possa essere così deturpato oggigiorno.

Ma l'opera più emblematica di questo grandioso complesso è senza dubbio la Casa delle Armi, realizzata da Luigi Moretti nel 1933. Moretti è uno dei maggiori architetti che operano durante il ventennio fascista, sarà però colpito dopo la guerra da una sorta di damnatio memoriae, in seguito rimossa a partire dagli anni '80 con l'inizio di una nuova stagione di interesse.

La Casa delle Armi è composta di due volumi ortogonali, la Biblioteca e la Sala delle Armi, collegate tra di loro da un passaggio pensile. Si tratta di grandi volumi, il cui rivestimento in facciata in marmo di Carrara, attraverso gli effetti di luce radente, contribuisce ad esaltare tutte le venature del marmo e l'eleganza e la purezza dei volumi e suggerisce l'idea di un interrotto blocco monolitico di marmo.

Infatti Moretti puntava a creare grandi effetti di luce ed era convinto che anche attraverso la pietra si potessero comunicare effetti di luce radente:attraverso una grande fenditura, si illuminano di luce riflessa omogenea il grande volume della sala interna della scherma e la grande pedana, creando quindi uno spazio unitario e solido.

Questo edificio nel 1974 viene adibito ad una funzione incongrua e quindi deturpato. Infatti, sebbene l'esterno, nonostante l'aggiunta di un'alta cancellata di recinzione e nonostante il fissaggio con viti di ferro delle lastre mantenga la sua riconoscibilità, all'interno questa viene invece compromessa dalle manomissioni per l'adeguamento in parte a a Tribunale in parte a carcere; in seguito si aggiunge anche una caserma dei Carabinieri. La Biblioteca all'interno viene completamente stravolta: negli spazi prima concepiti interamente vuoti, si inseriscono strutture in cemento per ottenere nuove superfici da destinare ad uffici; inoltre, fu realizzata un'aula bunker e viene scavata una trincea e una rampa con garage per portare i detenuti, causando quindi la distruzione di elementi esterni.

Tutte queste manomissioni hanno portato ad un deturpamento di un'opera di grande valore intrinseco, e gli eventuali interventi per rimediare a questi danni sono molto complessi e richiedono costi molto elevati.

Il problema maggiore delle architetture contemporanee del cemento armato, essendo molto più fragili delle altre, portano con sé già dall'inizio la logica della distruzione, e non essendo destinate quindi a durare in eterno, necessitano continue manutenzioni, indispensabili altrimenti si rischia di perdere il manufatto.

Bisognerebbe procedere a mio avviso ad un restauro di tipo filologico, mirato al ripristino delle sue qualità al fine di restituire all'opera l'antico splendore dei volumi e il fascino dei suoi nitidi spazi interni. Anche se i costi sarebbero molto elevati è importante tenere conto del fatto che i benefici sarebbero notevoli e compenserebbero gli investimenti pubblici: si conserverebbe un edificio di valore storico e artistico inserito nell'ambiente preesistente con criteri di rispetto paesaggistico, si restituirebbe alla cittadinanza l'uso di una splendida struttura dedicata allo sport. Insomma, si manterrebbe uno dei più grandi esempi di cultura e architettura razionalista.

 

 

 

Il Restauro come forma di cultura”, così scrisse Bonelli, segretario del processo di ricostruzione post-bellico INA Casa, nel suo libro “Architettura e Restauro” del 1959.

 

Ciò induce a riflettere su quanto incida sul progetto di restauro delle opere del passato la cultura del tempo: ogni tempo ha dato importanza diversa al rispetto e alla salvaguardia di ciò che la storia ci ha consegnato, di ciò che si è salvato dell'architettura del passato nel corso dei secoli. Qualsiasi progetto, infatti, deve tenere conto della storia e più diffusamente del valore della permanenza, concetto di fondamentale importanza in quanto rappresenta le tracce di una cultura millenaria.

A riguardo citiamo un esempio in cui non è stata rispettata la permanenza della stratificazione storica nel recupero del Mausoleo di Augusto, dedicato a lui e ai suoi successori; fu iniziato nel 27 a.C., cadde in rovina nella tarda antichità quando fu sfruttato come cava di materiali; fu però poi trasformato in vigna, giardino pensile, teatro, politeama e, infine, nel 1907 venne acquistato dal Comune di Roma e adattato a sala per concerti.

Tutto ciò oggi non esiste più. Mussolini, nel 1937, in occasione del bimillenario di Augusto, secondo il quale Roma sarebbe dovuta diventare grandiosa ed ordinata come si presentava all'epoca di Augusto, iniziò la demolizione delle strutture dell'auditorium sovrastanti il Mausoleo e costruì intorno alla piazza palazzi in stile monumentale dell'epoca a evidenziarne l'importanza del luogo e a conferirgli un aspetto celebrativo e scenografico, propri del regime fascista.

Il Mausoleo, frammento della Roma Imperiale, diventa quindi il centro di un nuovo spazio vuoto, non più fruibile ai cittadini e troppo basso rispetto agli edifici circostanti per essere messo in evidenza e, a mio avviso, non dialoga minimamente con il resto della piazza.

Tutta queste serie di operazioni incongrue hanno portato ad un velleitario tentativo di recupero dell'opera iniziale, senza tener quindi conto delle stratificazioni storiche che invece sarebbe stato utile conservare.

Il restauro archeologico comincia intorno alla metà del '700 in seguito agli scavi di Pompei ed Ercolano, alla riscoperta delle antichità greche ed alla scoperta di quelle egizie avvenuta con la campagna d'Egitto di Napoleone Bonaparte. Questo passaggio fondamentale della conoscenza dell'arte antica portò ad un cambiamento nel rapporto con le opere del passato dando l'avvio al restauro modernamente inteso.

Durante questo periodo si sviluppano due filoni differenti: quello che tende a distinguere l'integrazione rispetto alla parte preesistente, ricostruendo le parti mancanti in maniera riconoscibile attraverso la distinzione del materiale o la semplificazione delle forme, come è avvenuto ad esempio per il restauro dell'Arco di Tito eseguito da Valadier e il restauro del Colosseo ad opera di Stern; il secondo filone, stilistico, secondo cui il restauratore deve immedesimarsi nel progettista originario e integrarne l'opera nelle parti mancanti. Protagonista di questa seconda tendenza sarà l'architetto francese Viollet Le Duc che ricostruì le mura di Carcassonne come dovevano apparire nel Medioevo.

Verso la fine dell'800 in Italia nascono due nuovi modi di intendere il restauro architettonico: il restauro storico, finalizzato ad un ripristino integrale attraverso i documenti storiografici; il restauro filologico che riprende il concetto di riconoscibilità dell'intervento, prevede il rispetto per le aggiunte che sono state apportate al manufatto nel corso del tempo e tutela i segni del tempo.

Al giorno d'oggi gli interventi di restauro che si possono realizzare sono i seguenti: l'intervento di conservazione è finalizzato a confermare uno stato di fatto e si prefigge quindi lo scopo di arrestare le modificazioni in atto; l'obiettivo del ripristino è quello di ricondurre un sistema ad una condizione morfologica originaria, attraverso i documenti storici; infine il concetto di restauro che corrisponde all'idea di architettura come opera aperta, cioè disponibile alle interpretazioni e al giudizio.

Un esempio interpretativo è il restauro del Partenone, nella cui restauro si riproduce fedelmente l'architettura originaria, mantenendo la possibilità di distinguere chiaramente la parte antica dalle nuove aggiunte. Questo rappresenta al meglio l'idea di restauro, in quanto l'occhio coglie al meglio l'insieme, distinguendo però il nuovo dal vecchio.

Altro aspetto interessante della conservazione e utilizzazione dei centri storici riguarda l'accostamento tra vecchio e nuovo. A riguardo cito l'esempio del Museo Kolumba di Colonia realizzato da Peter Zumthor sui resti di una chiesa tardogotica distrutta in seguito alla seconda guerra mondiale. Qui il progettista non interrompe l'opera passata; prosegue infatti le antiche mura della chiesa costruendovi sopra il nuovo e attraverso il rispetto dei resti del manufatto originario crea una continuità tra passato e presente.

In questo modo l'antico diventa protagonista, e nonostante l'inserimento del nuovo, non viene contaminato, anzi al contrario viene esaltato ed è in grado di conferire maggior valore alla rovina storica.

Antico e contemporaneo possono perciò coesistere in armonia, pur sempre agendo adeguatamente nel rispetto dei caratteri, della leggibilità e dello spirito delle opere preesistenti.

Considerazioni sulle lezioni di estimo

Venerdì scorso abbiamo affrontato il tema del foro italico, analizzando le varie trasformazioni dei singoli edifici e il loro utilizzo nel tempo. Ci siamo principalmente concentrati sulla figura di Luigi Moretti, fino a pochi anni fa criticato aspramente in quanto ritenuto un architetto di committenza. Il Foro italico infatti fu interamente finanziato dallo Stato nel 1933. Di Moretti abbiamo principalmente analizzata la casa delle armi, l’edificio sarebbe dovuto divenire la sede degli allenamenti di scherma, ma non entrò mai pienamente in funzione e nel 1974 venne trasformato nella sede del tribunale politico, con tanto di carcere, venne recintata e nella zona della biblioteca venne posta la caserma dei carabinieri, oggi spostata. All’interno vennero costruite 7000 mc di cemento e acciaio, alterando irrimediabilmente la struttura dell’edificio. Gli interventi all’esterno consistettero nella costruzione di una recinzione, mentre i paramenti in marmo, ormai instabili, vennero riattaccati alla facciata in malo modo, tanto da alterarne definitivamente l’immagine. Inoltre venne scavata una trincea per consentire alle auto di entrare direttamente nei luoghi del tribunale in sicurezza.

Oggi la struttura è completamente fatiscente in avanzato stato di degrado, tanto che le stime per un eventuale restauro sono molto alte, all’incirca 15 milioni di euro, tanto che alcuni ipotizzano sia meglio la demolizione dell’edificio.

Un altro edificio analizzato è lo stadio Olimpico di Annibale Vitellozzi realizzato negli anni cinquanta del novecento, sennonché in occasione delle Olimpiadi del 1960 vennero apportate delle modifiche sostanziali che hanno finito per alterarne il carattere dell’impianto, con la costruzione al di sopra di 14 m di copertura dello stadio anziché costruirne uno nuovo.

Oggi la lezione è iniziata con la lettura di alcuni brani tratti da “Architettura e restauro” di Bonelli, trattando alcuni temi, come quello dei costi del recupero, o il restauro come forma di cultura, ma anche il rapporto tra il vecchio e il nuovo.

La lezione di oggi verteva principalmente sul chiarimento di alcuni concetti fondamentali, ovvero quelli di manutenzione, conservazione, ripristino e restauro, analizzati sia dal punto di vista legislativo, in particolare la legge 457//78, articolo 31, e le definizioni del dizionario. Con il primo termine, manutenzione intendiamo quegli interventi volti alla prevenzione dei danni dovuti a varie cause, che può comportare anche modificazioni materiche e morfologiche. Per conservazione intendiamo la preservazione di ciò che c’è. Mentre ripristino racchiude le operazioni volte a riportare un edificio al suo stato naturale, infine con restauro si intendono quegli interventi che nel rispetto degli elementi tipologici ne consentono destinazioni d’uso compatibili con esso.

La cosa fondamentale che dobbiamo chiederci è Quanto siamo disposti a pagare per queste operazioni? Mi piacerebbe poter rispondere “qualsiasi cosa”, ma la realtà è ben diversa, poiché sembra che oggi siano solo gli “addetti ai lavori” e pochi altri “dotti” a preoccuparsi degli effetti dell’incuria sugli edifici e spesso, quasi sempre, questi non dispongono dei finanziamenti necessari.

Questo argomento ci ha introdotto il tema della stima del costo del recupero, questo processo avviene tramite 1) un procedimento sintetico – comparativo, dove il costo viene desunto dal confronto con opere simili; 2)un procedimento analitico comparativo, qui il costo è determinato dall’analisi dei processi produttivi ela quantificazione monetaria di tutti i fattori produttivi; 3) procedimenti “misti”, ovviamente è una stima che si avvale di entrambe le ipotesi sopra citate.

Per quanto riguarda il rapporto tra antico e nuovo abbiamo visto alcuni esempi, come il restauro del Partenone, fortemente criticato perché gli interventi attuali stanno ricostruendo i singoli elementi in ogni sua parte, personalmente non lo trovo disdicevole come atteggiamento anche a fronte di due considerazioni, la prima inerente ad un’analisi storica dei precedenti restauri, che ha visto soprattutto sotto la direzione di Balanos, un intervento fortemente distruttivo a causa dell’uso di materiali incongrui, che ha comportato un repentino degrado degli elementi, che ha costretto i restauratori di oggi a dover sostituire alcuni elementi originali, altrimenti ancora funzionanti; la seconda considerazione invece riguarda un aspetto pratico della fruibilità dell’opera, in quanto credo che non tutti siano in grado di comprendere appieno i “ruderi”, e forse una chiara lettura delle architetture, almeno quelle più significative, potrebbe coinvolgere un pubblico più vasto e forse ciò potrebbe servire come auto finanziamento di altre opere.

Considerazioni sulle ultime lezioni del modulo di Estimo

 

(In: C. Brandi et alii, voce Restauro, in Enciclopedia Universale dell’Arte, vol. XI, col. 322 e ss., ms coll. 344-351, Venezia-Roma 1963)                                                                                                                        “ Il restauro architettonico è concezione tipicamente moderna, che muove da un modo nuovo e diverso di considerare i monumenti del passato e di intervenire su di essi, modificandone la forma visibile e l'organismo statico e strutturale. Il principio fondamentale del restauro, rimasto costantemente a base delle dottrine che si sono susseguite nel corso del secolo XIX, è quello di restituire l'opera architettonica al suo mondo storicamente determinato, ricollocandola idealmente nell'ambiente dove è sorta e considerandone i rapporti con la cultura ed il gusto del suo tempo; e contemporaneamente quello di operare su di essa per renderla nuovamente viva ed attuale, quale parte valida ed integrante del mondo moderno. [...]”

Il restauro architettonico è una disciplina che, nonostante sia nata di “recente”, ha visto nella sua breve storia fino ad oggi, un susseguirsi di diverse interpretazioni e idee conduttrici che l’hanno caratterizzata nei diversi periodi storici. E’ pur vero che, al di là dei gusti e delle tendenze, il restauro porta con sè delle problematiche che, inevitabilmente, non trovano delle soluzioni assolute.

Pur essendo presenti degli articoli di legge ( Legge 457/48- articolo 31) che definiscono in maniera sistematica gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, la disciplina del restauro lascia sempre aperte molte chiavi di lettura e, soprattutto, è soggetta fortemente a giudizi e interpretazioni, che per natura sono soggettivi.

Di solito, quando si parla di restauro, si pensa subito all’antico, e attualmente, dopo le svariate barbarie architettoniche degli anni passati, si è arrivati a una sorta di venerazione di tutto ciò che appartiene al passato, tale da lasciare i vari edifici o monumenti in una sfera di cristallo, che però, non sempre, è sintomo di una buona salute. Questa visione è tipicamente italiana, negli altri paesi esteri il rapporto con l’antico è visto con molta più disinvoltura. Questo atteggiamento, viene spesso associato ad una cultura meno attenta e rispettosa della storia, ma non è sempre così. Alcuni interventi permettono di mantenere in vita, in maniera del tutto decorosa, edifici di pregio, conferendogli un nuovo aspetto e mantenendone la fruibilità.  E’ il caso del Kolumba Museum di Colonia realizzato da Peter Zumthor, dove l’architetto affronta il compito di ordinare a esposizione permanente il complesso spazio di un antico edificio.

Zumthor succede ai costruttori del passato “senza spezzarne l’opera”. Non è il desiderio fine a se stesso di innovare o di inserire lo spazio museale nel consumo turistico di massa, ma sono il rispetto verso il progetto originario e la ricerca coerente e filologica a guidare il suo lavoro. Il suo progetto viene apprezzato e appoggiato dai committenti dell’Archidiocesi di Colonia e riceve l’assenso, non scontato, della Soprintendenza ai Monumenti.

Un altro esempio è il Museo del Teatro Romano di Cartagena di Rafael Moneo in Spagna. Con il ritrovamento dei resti archeologici del Teatro Romano risalente al I secolo a.C., l'architetto viene incaricato dalla fondazione composta dalla regione della Murcia, il Municipio di Cartagena, la fondazione Cajamurcia e l’impresa Saras Energia S.A. della creazione di un nuovo museo in grado di accogliere i pezzi raccolti durante le varie campagne di scavo. Il progetto finale è un edificio che lavora sull'idea dello scavo come momento evocativo. 

In Italia, invece, molti edifici storici, essendo considerati intoccabili, sono lasciati in stato di abbandono o di rudere, nel gusto tipicamente romantico. Risulta necessario, quindi, prendere delle decisioni, scegliere se intervenire e con quali metodologie. Attualmente l’intento degli interventi di restauro è quello di riportare il monumento al suo stato ideale, con materiali e tecniche compatibili a quelli originali.  Se, però, il monumento per incuria, manutenzioni sbagliate, uso improprio, risulta fortemente alterato rispetto alla sua configurazione originale, la tendenza è spesso quella di lasciarlo così com’è. I motivi sono di varia natura, tra i più determinanti troviamo sicuramente le ingenti spese che gli interventi di restauro con materiali e maestranze e manodopera ricercate, comportano.

Queste problematiche non variano se si parla di architettura moderna.

Se alcuni edifici antichi sono trattati con profonda venerazione e rispetto, non si può dire lo stesso di alcuni esempi di architettura più recente, che magari fanno riferimento ad un periodo storico particolarmente controverso.

E’ il caso della Casa delle Armi di Luigi Moretti, realizzata nel grande complesso, finanziato dallo Stato, del Foro Italico nel 1933.

Moretti, oggi, è considerato uno dei massimi architetti nel Novecento in Italia.  A lungo il suo nome è rimasto però isolato, a causa dei suoi ideali politici, venendo collegato inevitabilmente con il periodo fascista.

Nel 1974 l’edificio in stato di abbandono deve subire degli interventi di manutenzione, si decide così di cambiarne la destinazione d’uso, trasformandolo in un tribunale politico con carcere e caserma dei carabinieri. Vengono costruiti circa 7000 mc all’interno dell’edificio in più, rispetto al progetto originale, andando a modificare in maniera irreversibile gli spazi e le forme così attentamente studiate e volute da Moretti. Anche il rivestimento esterno viene fortemente alterato, manomettendo la lastre marmoree, con un diverso sistema di ancoraggio alla struttura rispetto a quello previsto dal progetto.

Attualmente la Casa delle Armi si trova in uno stato di degrado molto avanzato, la stima dei costi per restituirlo allo stato ideale sarebbe di circa 15 milioni di euro, una cifra che non può essere sostenuta certamente dalle casse dello Stato. Servirebbe quindi un “mecenate” che si prenda la cura di investire nella Casa delle Armi, come sta accadendo per il Colosseo con Della Valle. E’ ovvio, però, che l’interesse che attira il Colosseo rispetto all’edificio di Moretti non è minimamente paragonabile in termini di ritorni economici.

C’è chi sostiene che, data la situazione, sarebbe meglio demolire l’edificio, piuttosto che lasciarlo nelle condizioni odierne. Non posso pensare di arrendermi all’idea di trovarmi in un Paese dove sia meglio cancellare l’esistenza di un edificio di tale valore che investire su di esso. Probabilmente, con dei sacrifici sia economici che concettuali, con delle scelte oculate e con una politica di sostegno a questi interventi di riqualificazione, la Casa delle Armi potrebbe tornare, se non allo splendore originario, almeno ad un aspetto dignitoso e accettabile, diventando uno spazio nuovamente fruibile e con una destinazione d’uso rispettosa, utile e consona.