Il Foro Italico e i costi del recupero (e del restauro)

Il Foro Italico e il costo del recupero (e del restauro)

La presentazione del caso del Foro Italico apre importanti discussioni circa gli interesse legati al recupero di beni architettonici, nonché al loro costo, soprattutto quando si parla di beni pubblici finanziati dallo Stato e che dovrebbero essere sottoposti a vincoli di inalienabilità e indisponibilità. Il Foro Mussolini nacque dall’idea politica del Ventennio dell’importanza dello sport, non solo per mistica fascista, ma come vera rappresentazione sociale ed economica del paese, tanto da essere promosso dall’Opera Nazionale Balilla; il destino del complesso fu però ben presto segnato dal giudizio sbrigativo e superficiale dei decenni del dopoguerra, il quale, complici le tradizioni di qualche secolo fa, decretò che per Luigi Moretti era tempo di Damnatio Mamoriae e per le sue opere poteva essere previsto qualche stravolgimento. Non si può dunque non parlare della Casa delle Armi, che non solo venne deturpata della propria poetica, di quel senso di vuoto e dei sofisticati giochi di luce, ma che negli anni ’70-’80 si rese praticamente irriconoscibile con l’inserimento di un Tribunale politico, di celle detentive, di recinzioni, di 7000 mc per le nuove funzioni, di un garage sotterraneo e infine anche con la scarsa attenzione rivolta alla ricchezza dei rivestimenti marmorei esistenti, che rendevano questa palestra-accademia un maestoso blocco monolitico. Si è trattato veramente di una delle più grandi deturpazioni di un bene del patrimonio architettonico contemporaneo, che ormai risulta irrimediabilmente perso per gli alti costi che comporterebbe un restauro filologico secondo i documenti d’archivio esistenti. Ma la Casa delle Armi non è l’unico esempio di dolosa perdita di significato storico, culturale e artistico, perché purtroppo questo è un destino di molti edifici, antichi o molto spesso moderni, il quale senso nella Storia non viene, o non si vuole, comprendere. Già solo nell’area del Foro Italico gli esempi non sono pochi: lo Stadio dei Marmi di Del Debbio, caduto nell’incuria dell’Amministrazione, sottoutilizzato e continuamente deturpato da eventi incongrui e assurdi; lo Stadio Olimpico, il cui spettacolare impianto del ’60 fu oggetto di un grande affare edilizio che permise di costruirvi una grande copertura sovrastante e 30.000 mq di uffici al di sotto che nessuno vuole utilizzare. Ma non sono i soli esempi, basti pensare alla Palazzina di Libera analizzata la scorsa settimana. Lo scopo della fattibilità sarebbe proprio quello di pervenire ad indicazioni qualitative e quantitative che permettano di valutare la convenienza del progetto, dal punto di vista economico e dei benefici: ecco perché dopo molto tempo il giudizio di alcuni su opere talmente degradate è quello di una demolizione totale, a discapito di un tentativo di recupero che evidentemente non trova ragion d’essere. Da questa premessa sulla fattibilità abbiamo possiamo introdurre il tema del costo del recupero e del restauro, e della reale volontà, oltre lo slancio idealistico ed emozionale, di investire risorse in questo tipo di operazioni atte a garantire il prosieguo della “permanenza” dell’opera architettonica. Operazioni che possono essere di diverso tipo, dalla manutenzione alla conservazione, dal ripristino al restauro, ognuna con un’accezione diversa, ognuna esigente un rispetto dell’opera e un atteggiamento critico specifico, ognuna necessariamente accompagnata da una stima e da procedimenti di misurazione dei costi, analitici o sintetici che usar si voglia, che si rendono indispensabili ormai per la buona riuscita di un progetto, anche di restauro. Perché non si debbano più accettare “cause perse” come la Casa delle Armi, vittima come il suo architetto, dell’oblio dell’ignoranza, e che oggi “giace a prendere la polvere come un esperimento mancato nello studio di uno scienziato” (M. Ferrari “Luigi Moretti. Casa delle Armi nel Foro Mussolini a Roma 1933 – 1937”).