blog di jessica moscuzza

Considerazioni sulle visite a Villa Capo di Bove e al cantiere del Teatro Argentina

Il primo giugno siamo andati a visitare Villa Capo di Bove, sull'Appia, una proprietà acquisita dallo Stato nel 2002 a seguito di un tentativo di truffa ai danni dello stesso.
La villa si trova all'interno del percorso archeologico dell'Appia Antica, inizialmente era una residenza privata, sorta negli anni cinquanta, a seguito di una riscoperta del luogo da parte di famiglie benestanti e appartenenti al mondo del cinema. La villa venne costruita sopra i resti di una cisterna romana, che in parte ha funzionato come fondazione del nuovo caseggiato realizzato in stile antico, con tanto di marmi di recupero, o meglio di spoglio, inoltre vennero anche scavate parte delle terme romane risalenti al II secolo d.C. appartenute forse alla tenuta di Erode Attico.

Negli anni '90 la forte speculazione edilizia ha portato alla costruzione di palazzine a ridosso del parco e i proprietari delle ville a sbizzarrirsi con le più improbabili trasformazioni, così la sovrintendenza si trova ancora oggi costretta a vigilare che non ci siano abusi e opere non pertinenti con il contesto nel quale sono immerse le ville.
L'acquisizione della villa da parte della Soprintendenza ha comportato la prosecuzione e ampliamento degli scavi dell'impianto termale, con conseguente sistemazione degli ambienti ormai privi di pavimentazione mediante una differenziazione cromatica della ghiaia, della sistemazione del giardino, dell'eliminazione degli elementi non pertinenti al contesto, come la piscina e infine la risistemazione della villa stessa, oggi sede dell'archivio Antonio Cederna.

Gli ambienti sono stati trasformati e adeguati per consentire l'esposizione di mostre temporanee e una sala conferenze, un intervento non propriamente riuscito è quello sugli infissi, dovuto in parte all'errore del fabbro, che li ha realizzati più corti rispetto all'apertura, comportando l'aggiunta di un fascia di raccordo in acciaio, mentre prima le finestre erano in legno, tutto sommato basterebbe una tinteggiatura di parte dell'infisso per alleggerire l'effetto massiccio che dà oggi.

Un altro problema che è stato sollevato è quello riguardante la non completa informazione sulla lettura delle stratigrafie dell'edificio, poichè i pannelli informativi sulla presenza di una cisterna romana, si trovano esclusivamente nella depandance, dando per scontato che i turisti passino prima da lì, inoltre non è ben evidenziato il limite tra i resti della cisterna e il resto della villa, ciò non perchè si debba necessariamente separare le due cose per non creare un falso storico, ma più per permettere a tutti, anche coloro che non hanno le conoscenze necessarie di poter usufruire di ciò.

Infine durante la spiegazione delle evoluzioni della villa si è parlato della eventuale possibilità di acquisire, un pò per volta l'intera area del Parco dell'Appia Antica, io non lo trovo possibile, in quanto dubito fortemente che lo Stato da solo sia in grado di gestire il tutto, basta vedere come vengono gestiti i migliaia di siti archeologici, da Pompei ad Ostia Antica, e molti altri, per rendersi conto che l'assenza di fondi e la vastità delle aree di interesse non consente un efficace controllo sul territorio già acquisito figuriamoci aggiungerne altro.
A questo punto sarebbe meglio concentrare le risorse su ciò che già è pubblico.


L'otto giugno invece siamo andati a visitare il cantiere del Teatro Argentina, la particolarità rispetto agli altri cantieri visitati fino ad oggi è che questo è situato nel centro storico e quindi è soggetto ad alcune regole particolari, come ad esempio l'obbligo di montare le impalcature nella notte, oppure di porre particolare attenzione alla problematica dello stoccaggio dei materiali, a tale proposito è stata realizzata una piattaforma apposita, poichè l'uso di determinati strumenti, come la betoniera, e i materiali avrebbero comportato un sovraccarico del terrazzo. Il cantiere è stato finanziato interamente da un privato, grazie all'uso della pubblicità. A tale proposito si è discusso sull'utilità o meno della pubblicità per finanziare le opere, a mio avviso questo strumento può risultare efficace, in un periodo di crisi, dove i finanziamenti scarseggiano, se così facendo si può preservare un edificio dalla rovina, ben venga.

Nel corso della sua storia il teatro ha avuto due interventi di restauro, uno risalente agli anni 70, che comportò l'abolizione di una pensilina lunga 4 metri, che andava ad interferire con le linee del tram, l'aggiunta di un cordolo in cemento, a detta loro più efficace in caso di sisma e il rivestimento delle statue con un abbondante strato di cemento, che ha portato non solo alla fuoriuscita dei sali, ma anche l'aumento del peso, dell'instabilità delle stesse e soprattutto di un appiattimento delle profondità.

I restauri del 1993 hanno interessato soprattutto la facciata, in quanto venne interamente rivestita da una tinta al quarzo, non traspirante quindi fortemente dannosa per la muratura stessa e del trattamento delle statue con un eccessivo strato di tinte di polvere di marmo, che hanno ulteriormente omogeneizzato le superfici.
Fortunatamente oggi si è rimosso lo strato di intonaco al quarzo, anche a seguito di un lungo e acceso dibattito, conclusosi per il meglio, in quanto gli intonaci usti stavolta sono intonaci di calce, in tutto e per tutto compatibili con la muratura originaria, poichè permettono alle superfici di traspirare e conservati più a lungo.

Altro intervento di questo restauro è quello sulle statue, si è proceduto ad asportare dove possibile il cemento superfluo e a sostituire gli elementi più pesanti ed instabilizzanti con altri più leggeri e compatibili e a ridare le giuste profondità alle opere scultoree.
Inoltre quelli di noi che hanno fatto parte del secondo gruppo di visita hanno avuto l'opportunità di approfondire un tema importante e spesso sottovalutato, quello della sicurezza di un cantiere, che consiste in un progetto apposito e diversificato rispetto a quello dei lavori stessi, che comprende inoltre di costi diversificati dal resto del progetto.

Considerazioni sulla lezione di oggi

La lezione di oggi era incentrata sul tema del valore della permanenza. Per spiegarci il concetto il professore ci ha citato alcune frasi tratte dal libro di Aldo Rossi “L’architettura della città”.

Oggi sembra che il lavoro di un architetto si incentri principalmente sul progetto tralasciando spesso il contesto e le conseguenze. Il progetto è uno strumento, ma se non abbiamo ben chiari i processi evolutivi, gli avvenimenti e la percezione del luogo che hanno gli abitanti su un dato edificio, non possiamo intervenire in modo adeguato o quantomeno coscienziosamente, inoltre va tenuto conto anche l’impatto che il progetto avrà sul luogo e su chi ci abita. Sebbene questo discorso in teoria è accettato e riconosciuto, in realtà è molto difficile trovare una soluzione che tenga conto di tutti questi aspetti.

Un altro concetto trattato a lezione è stato introdotto da una frase: “ Cupido che dorme è l’antica architettura, il monumento. Psiche, curiosa, con la lucerna è l’architetto, l’ingegnere, il tecnico. Ma una goccia di olio bollente cade dalla lucerna: è l’azione di Restauro. Cupido si sveglia e fugge via, così l’autenticità è compromessa”. Non sono molto d’accordo con questa affermazione, perché la trovo ambigua, in quanto è vero che il restauro ne altera l’autenticità, ma un dato edificio, in particolare uno storico, ha subito nel tempo, soprattutto quando ancora era nel pieno della sua funzionalità, una serie di interventi manutentivi, che comunque ne hanno alterato il carattere originale. Ma fintanto che si parla di manutenzione non ci sono limiti ne restrizioni agli interventi, quando però l’edificio perde la sua funzione e ci si interviene con un restauro tutto si complica e diventa alterazione. A questo punto l’unico modo di preservarne l’autenticità sarebbe quello di non intervenirci, ma così facendo andremmo a perdere quella che è la memoria storica, perché non avremmo più una preesistenza da valutare e valorizzare.

La seconda parte della lezione, invece è stata incentrata sulla figura di Franco Albini e sul suo rigore, inteso come stile di vita improntato sull’autodisciplina.

In particolare ci siamo concentrati sulla mostra del 1973 su Andrea Palladio allestita da Albini, soffermandoci a leggere i documenti del 1500 che assegnavano a seguito di una votazione il lavoro alla Chiesa del Redentore a Palladio, nonostante si fossero presentati architetti d maggiore prestigio, poiché in lui meglio si applicava il compromesso tra manierismo e classicismo. Questo a dimostrazione del fatto che non sempre basta un nome importante, ma è sufficiente trovare il giusto equilibrio.

 

Considerazioni sulle lezioni di estimo

Venerdì scorso abbiamo affrontato il tema del foro italico, analizzando le varie trasformazioni dei singoli edifici e il loro utilizzo nel tempo. Ci siamo principalmente concentrati sulla figura di Luigi Moretti, fino a pochi anni fa criticato aspramente in quanto ritenuto un architetto di committenza. Il Foro italico infatti fu interamente finanziato dallo Stato nel 1933. Di Moretti abbiamo principalmente analizzata la casa delle armi, l’edificio sarebbe dovuto divenire la sede degli allenamenti di scherma, ma non entrò mai pienamente in funzione e nel 1974 venne trasformato nella sede del tribunale politico, con tanto di carcere, venne recintata e nella zona della biblioteca venne posta la caserma dei carabinieri, oggi spostata. All’interno vennero costruite 7000 mc di cemento e acciaio, alterando irrimediabilmente la struttura dell’edificio. Gli interventi all’esterno consistettero nella costruzione di una recinzione, mentre i paramenti in marmo, ormai instabili, vennero riattaccati alla facciata in malo modo, tanto da alterarne definitivamente l’immagine. Inoltre venne scavata una trincea per consentire alle auto di entrare direttamente nei luoghi del tribunale in sicurezza.

Oggi la struttura è completamente fatiscente in avanzato stato di degrado, tanto che le stime per un eventuale restauro sono molto alte, all’incirca 15 milioni di euro, tanto che alcuni ipotizzano sia meglio la demolizione dell’edificio.

Un altro edificio analizzato è lo stadio Olimpico di Annibale Vitellozzi realizzato negli anni cinquanta del novecento, sennonché in occasione delle Olimpiadi del 1960 vennero apportate delle modifiche sostanziali che hanno finito per alterarne il carattere dell’impianto, con la costruzione al di sopra di 14 m di copertura dello stadio anziché costruirne uno nuovo.

Oggi la lezione è iniziata con la lettura di alcuni brani tratti da “Architettura e restauro” di Bonelli, trattando alcuni temi, come quello dei costi del recupero, o il restauro come forma di cultura, ma anche il rapporto tra il vecchio e il nuovo.

La lezione di oggi verteva principalmente sul chiarimento di alcuni concetti fondamentali, ovvero quelli di manutenzione, conservazione, ripristino e restauro, analizzati sia dal punto di vista legislativo, in particolare la legge 457//78, articolo 31, e le definizioni del dizionario. Con il primo termine, manutenzione intendiamo quegli interventi volti alla prevenzione dei danni dovuti a varie cause, che può comportare anche modificazioni materiche e morfologiche. Per conservazione intendiamo la preservazione di ciò che c’è. Mentre ripristino racchiude le operazioni volte a riportare un edificio al suo stato naturale, infine con restauro si intendono quegli interventi che nel rispetto degli elementi tipologici ne consentono destinazioni d’uso compatibili con esso.

La cosa fondamentale che dobbiamo chiederci è Quanto siamo disposti a pagare per queste operazioni? Mi piacerebbe poter rispondere “qualsiasi cosa”, ma la realtà è ben diversa, poiché sembra che oggi siano solo gli “addetti ai lavori” e pochi altri “dotti” a preoccuparsi degli effetti dell’incuria sugli edifici e spesso, quasi sempre, questi non dispongono dei finanziamenti necessari.

Questo argomento ci ha introdotto il tema della stima del costo del recupero, questo processo avviene tramite 1) un procedimento sintetico – comparativo, dove il costo viene desunto dal confronto con opere simili; 2)un procedimento analitico comparativo, qui il costo è determinato dall’analisi dei processi produttivi ela quantificazione monetaria di tutti i fattori produttivi; 3) procedimenti “misti”, ovviamente è una stima che si avvale di entrambe le ipotesi sopra citate.

Per quanto riguarda il rapporto tra antico e nuovo abbiamo visto alcuni esempi, come il restauro del Partenone, fortemente criticato perché gli interventi attuali stanno ricostruendo i singoli elementi in ogni sua parte, personalmente non lo trovo disdicevole come atteggiamento anche a fronte di due considerazioni, la prima inerente ad un’analisi storica dei precedenti restauri, che ha visto soprattutto sotto la direzione di Balanos, un intervento fortemente distruttivo a causa dell’uso di materiali incongrui, che ha comportato un repentino degrado degli elementi, che ha costretto i restauratori di oggi a dover sostituire alcuni elementi originali, altrimenti ancora funzionanti; la seconda considerazione invece riguarda un aspetto pratico della fruibilità dell’opera, in quanto credo che non tutti siano in grado di comprendere appieno i “ruderi”, e forse una chiara lettura delle architetture, almeno quelle più significative, potrebbe coinvolgere un pubblico più vasto e forse ciò potrebbe servire come auto finanziamento di altre opere.

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del palazzo Massimo alle terme e della palazzina di Libera ad Ostia.

Il 30 Maggio 2012 siamo andati a visitare Palazzo Massimo alle terme, oggi sede di uno dei quattro Musei Nazionali, con l’intento di analizzare e valutare l’intervento di riqualificazione dell’edificio.

L’edificio nasceva come convitto e collegio alla fine dell’ottocento; la sua successiva rifunzionalizzazione comportò la necessità di modificare gli interni per meglio adattarli ad un linguaggio espositivo, così si scelse di smontare e rimontare i solai originari per ridurre gli interassi dei piani, non solo per potervi porre gli uffici, ma anche ai fini pratici della musealizzazione, in quanto uno spazio molto alto può risultare dispersivo e distraente. Altro aspetto molto importante fu quello legato alla sicurezza, a questo proposito scelsero di adottare dei dispositivi non invasivi all’interno delle sale, per non interferire nella visione delle opere, mentre le scale esterne furono realizzate in ferro e poste sul retro dell’edificio. In questo caso il risultato, non è dei migliori, la scala antincendio è troppo massiccia e imponente e non dialoga minimamente con il resto dell’edificio, in totale antitesi con le accortezze prestate per le sale interne.

Per quanto riguarda l’allestimento vero e proprio abbiamo analizzato la sala del teatro, questa sala una volta era il teatro del collegio, la sala è molto alta così per ridurre lo spazio, ma nello stesso tempo permettere ad un pubblico interessato di percepirne le originali dimensioni hanno scelto delle controsoffittature aperte e dinamiche, la soluzione però non riesce adeguatamente nel suo intento, in quanto le luci poste sui pannelli e la loro vicinanza alle pareti non permettono la visione dell’insieme; per il resto della sala hanno scelto dei giochi cromatici sul tono del grigio per meglio esaltare le candide statue, e in questo caso trovo la scelta corretta e di effetto.

La particolarità nell’allestimento sta nella voluta differenziazione delle sale, ogni ambiente ha un suo tema e un suo particolare allestimento, che varia tra i colori delle pareti, le altezze o particolati tensiostrutture in grado di riprodurre, con particolari giochi di luce, l’alternarsi delle ore, riproponendo il ciclo solare soprattutto nella sezione della mostra dedicata ai resti di Villa Farnesina e della Villa di Livia, mostrando una particolare cura nei dettagli espositivi.

I lavori costati 500.000€, in parte stanziati dalla sovrintendenza, hanno interessato gran parte delle sale espositive e nel loro complesso hanno cercato, nei limiti del vincolo, di attuare dei lavori di allestimento che fossero il meno invasivi possibile, a mio avviso ben riusciti nelle sale interne, meno per quanto riguarda il rapporto tra sicurezza e  facciata esterna.

L’altro edificio preso in considerazione è la palazzina di Libera ad Ostia, costato complessivamente 200.000€, ad opera di privati e quindi un budget che non lasciava spazio ad errori. L’architetto Rinaldi, che si è occupata dei lavori ci ha spiegato le difficili condizioni in cui versava l’edificio, in quanto essendo di privati e non sottoposto a vincoli era abbandonato a se stesso. Il lavoro si è incentrato soprattutto nelle aree comuni, compresa la facciata. Questa versava in condizioni critiche a seguito di una tinteggiatura al quarzo veramente dannosa, in quanto dopo alcuni anni provoca delle “esplosioni di intonaco”, lasciando profonde lacune. Ciò ha comportato un lavoro di rimozione delle superfici intonacate e ripristino di un intonaco biologico del colore iniziale, attenendosi alle fonti e alle analisi di laboratorio; altro intervento ha riguardato la rimozione e sostituzione delle ringhiere, poiché la tinta al quarzo aveva portato in superficie i ferri di ancoraggio, proponendo una zincatura a caldo perché ha migliorie resistenza alla salsedine, però per errore del fabbro sono stati costretti a rifarle, mentre quelle sul fronte laterale sono state realizzate più corte di circa 20 cm. Sono stati sostituiti gli infissi dove possibile e la recinzione, sulla base dei disegni originali. La comparsa di micro fessure ha comportato una nuova ritinteggiatura delle facciate, con preventivo lavaggio, in modo da far aderire meglio l’intonaco lavando le impurità.

Questi “doppi” interventi sono andati a discapito di altri, in quanto sarebbero andati oltre lo stretto mergine del budget. D’altro canto il restauro ha significato una sostanziale riqualificazione dell’edificio.