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Considerazioni sulle visite a Villa Capo di Bove e al cantiere del Teatro Argentina

Il primo giugno siamo andati a visitare Villa Capo di Bove, sull'Appia, una proprietà acquisita dallo Stato nel 2002 a seguito di un tentativo di truffa ai danni dello stesso.
La villa si trova all'interno del percorso archeologico dell'Appia Antica, inizialmente era una residenza privata, sorta negli anni cinquanta, a seguito di una riscoperta del luogo da parte di famiglie benestanti e appartenenti al mondo del cinema. La villa venne costruita sopra i resti di una cisterna romana, che in parte ha funzionato come fondazione del nuovo caseggiato realizzato in stile antico, con tanto di marmi di recupero, o meglio di spoglio, inoltre vennero anche scavate parte delle terme romane risalenti al II secolo d.C. appartenute forse alla tenuta di Erode Attico.

Negli anni '90 la forte speculazione edilizia ha portato alla costruzione di palazzine a ridosso del parco e i proprietari delle ville a sbizzarrirsi con le più improbabili trasformazioni, così la sovrintendenza si trova ancora oggi costretta a vigilare che non ci siano abusi e opere non pertinenti con il contesto nel quale sono immerse le ville.
L'acquisizione della villa da parte della Soprintendenza ha comportato la prosecuzione e ampliamento degli scavi dell'impianto termale, con conseguente sistemazione degli ambienti ormai privi di pavimentazione mediante una differenziazione cromatica della ghiaia, della sistemazione del giardino, dell'eliminazione degli elementi non pertinenti al contesto, come la piscina e infine la risistemazione della villa stessa, oggi sede dell'archivio Antonio Cederna.

Gli ambienti sono stati trasformati e adeguati per consentire l'esposizione di mostre temporanee e una sala conferenze, un intervento non propriamente riuscito è quello sugli infissi, dovuto in parte all'errore del fabbro, che li ha realizzati più corti rispetto all'apertura, comportando l'aggiunta di un fascia di raccordo in acciaio, mentre prima le finestre erano in legno, tutto sommato basterebbe una tinteggiatura di parte dell'infisso per alleggerire l'effetto massiccio che dà oggi.

Un altro problema che è stato sollevato è quello riguardante la non completa informazione sulla lettura delle stratigrafie dell'edificio, poichè i pannelli informativi sulla presenza di una cisterna romana, si trovano esclusivamente nella depandance, dando per scontato che i turisti passino prima da lì, inoltre non è ben evidenziato il limite tra i resti della cisterna e il resto della villa, ciò non perchè si debba necessariamente separare le due cose per non creare un falso storico, ma più per permettere a tutti, anche coloro che non hanno le conoscenze necessarie di poter usufruire di ciò.

Infine durante la spiegazione delle evoluzioni della villa si è parlato della eventuale possibilità di acquisire, un pò per volta l'intera area del Parco dell'Appia Antica, io non lo trovo possibile, in quanto dubito fortemente che lo Stato da solo sia in grado di gestire il tutto, basta vedere come vengono gestiti i migliaia di siti archeologici, da Pompei ad Ostia Antica, e molti altri, per rendersi conto che l'assenza di fondi e la vastità delle aree di interesse non consente un efficace controllo sul territorio già acquisito figuriamoci aggiungerne altro.
A questo punto sarebbe meglio concentrare le risorse su ciò che già è pubblico.


L'otto giugno invece siamo andati a visitare il cantiere del Teatro Argentina, la particolarità rispetto agli altri cantieri visitati fino ad oggi è che questo è situato nel centro storico e quindi è soggetto ad alcune regole particolari, come ad esempio l'obbligo di montare le impalcature nella notte, oppure di porre particolare attenzione alla problematica dello stoccaggio dei materiali, a tale proposito è stata realizzata una piattaforma apposita, poichè l'uso di determinati strumenti, come la betoniera, e i materiali avrebbero comportato un sovraccarico del terrazzo. Il cantiere è stato finanziato interamente da un privato, grazie all'uso della pubblicità. A tale proposito si è discusso sull'utilità o meno della pubblicità per finanziare le opere, a mio avviso questo strumento può risultare efficace, in un periodo di crisi, dove i finanziamenti scarseggiano, se così facendo si può preservare un edificio dalla rovina, ben venga.

Nel corso della sua storia il teatro ha avuto due interventi di restauro, uno risalente agli anni 70, che comportò l'abolizione di una pensilina lunga 4 metri, che andava ad interferire con le linee del tram, l'aggiunta di un cordolo in cemento, a detta loro più efficace in caso di sisma e il rivestimento delle statue con un abbondante strato di cemento, che ha portato non solo alla fuoriuscita dei sali, ma anche l'aumento del peso, dell'instabilità delle stesse e soprattutto di un appiattimento delle profondità.

I restauri del 1993 hanno interessato soprattutto la facciata, in quanto venne interamente rivestita da una tinta al quarzo, non traspirante quindi fortemente dannosa per la muratura stessa e del trattamento delle statue con un eccessivo strato di tinte di polvere di marmo, che hanno ulteriormente omogeneizzato le superfici.
Fortunatamente oggi si è rimosso lo strato di intonaco al quarzo, anche a seguito di un lungo e acceso dibattito, conclusosi per il meglio, in quanto gli intonaci usti stavolta sono intonaci di calce, in tutto e per tutto compatibili con la muratura originaria, poichè permettono alle superfici di traspirare e conservati più a lungo.

Altro intervento di questo restauro è quello sulle statue, si è proceduto ad asportare dove possibile il cemento superfluo e a sostituire gli elementi più pesanti ed instabilizzanti con altri più leggeri e compatibili e a ridare le giuste profondità alle opere scultoree.
Inoltre quelli di noi che hanno fatto parte del secondo gruppo di visita hanno avuto l'opportunità di approfondire un tema importante e spesso sottovalutato, quello della sicurezza di un cantiere, che consiste in un progetto apposito e diversificato rispetto a quello dei lavori stessi, che comprende inoltre di costi diversificati dal resto del progetto.

VISITA AL CANTIERE DEL TEATRO DI LARGO ARGENTINA

La costruzione del teatro di Torre Argentina fu avviata nel 1730 dalla famiglia dei Cesarini, proprietari di molti altri edifici nella zona come ad esempio la torre del Bucardo, in origine Torre Argentina che diede il nome alla piazza, e il palazzo Cesarini, successivamente demolito per portare alla luce l'area sacra di largo Argentina. Il teatro fu costruito modificando edifici preesistenti, e questo comportò la demolizione di una torre e di parte degli edifici retrostanti la piazza; gli fu data una forma a ferro di cavallo per necessità acustiche ed in un primo momento la costruzione era in legno. La facciata fu realizzata solo un secolo dopo dall'architetto Ollo (1832). Il prospetto è composto da una parte centrale e da due ali. La parte basamentale presenta la stessa lavorazione a bugnato piatto per tutti e tre i corpi, mentre la parte superiore è liscia nel corpo centrale e lavorata a finte bugne nei corpi laterali. Il corpo centrale è impreziosito da un fregio finemente lavorato a bassorilievo posto sotto la cornice. Sopra la cornice si trova il testo “ALLE ARTI DI MELPOMENE, D'EUTERPE E DI TERSICORE”; infine il prospetto termina con il grande gruppo statuario.

L'inaugurazione del teatro si ebbe nel 1732 con la presentazione dell'opera della Berenice. Il teatro di Torre Argentina era il più importante teatro romano.

Come ci è stato descritto dall'Architetto Capo dei Lavori Celia, prima del loro intervento, diversi altri interventi si erano susseguiti sul prospetto del Teatro. Salendo sui ponteggi abbiamo potuto vedere, attraverso le stratigrafie, le varie tinte che nei secoli si erano appunto stratificate sulla base del prospetto composta di calce e pozzolana: la tinta originale era color del travertino; gli interventi del 1970 avevano ricoperto l'intonaco originale con una tinta color ocra; questa tinta la vediamo anche oggi utilizzata in molti altri edifici romani anch'essi “succubi” della moda che si diffuse a Roma tra Settecento ed Ottocento che vide l'affermarsi delle tinte scure, cosidette “color di patina”, a sfavore delle tinte color travertino o color cortina chiaro che avevano caratterizzato la Roma Cinque-seicentesca; negli interventi successivi del 1990, stando alle stratigrafie, almeno due, questa tinta venne man mano scurita, alterando quindi sempre più l'originale aspetto del teatro; intervento che non abbiamo potuto visionare dall'osservazione delle stratigrafie è stato quello del 1993 in cui si era applicata sull'intero prospetto una resina vinilica; per sua composizione questa aveva creato una pellicola sulla facciata che aveva reso impossibile la traspirazione dell'intonaco e del muro; ecco perché gli strati sottostanti di intonaco presentano microfessurazioni e lesioni superficiali. Con le operazioni suggerite dall'architetto Celia, ma anche grazie ad una ditta per così dire “illuminata”, è stato possibile eliminare completamente questo strato nocivo, anche se incontrando la resistenza delle istituzioni.

Ci è stato possibile toccare con mano i precedenti e gli attuali interventi anche sul gruppo statuario e sul ricchissimo fregio che corre nella parte centrale del prospetto. In queste parti ci è stato spiegato come interventi precedenti siano andati a sovrapporre a materiali naturali, come gli stucchi in polvere di marmo, materiali artificiali, collette cementizie, che oltre a modificare l'aspetto dell'opera, hanno comportato danni sia strutturali che di conservazione al materiale originale.

Dopo queste prime spiegazioni circa i precedenti interventi nonché le cause nocive che questi avevano provocato, ci sono state illustrate le operazioni previste per riportare il prospetto del teatro Argentina “all'antico splendore”. Per quanto riguarda gli intonaci l'architetto Celia ci ha mostrato vari campioni di tinte a calce che sono stati fatti sul prospetto in modo da poter vedere preventivamente l'aspetto finale che l'intonaco asciutto assumerà. Semplificando l'intonaco sarà composto da una base di tinta a calce a cui verranno sovrapposte una o più mani di velature. La tinta a calce, composta da grassello di calce e terre, oltre che fare da base per le tinte successive, ha il compito di andare a riempire tutte le fessurazioni presenti sulla base d'intonaco; questa infatti per sua natura, essendo a base di calce, ha buone proprietà riempitive e ottime proprietà aggreganti: tende cioè, con l'avanzare dell'asciugatura, a diventare un tutt'uno con la base. Abbiamo visto come siano state utilizzate due tonalità: una grigio-violacea, l'altra più chiara; questa differente colorazione provocherà un risultato diverso con la sovrapposizione delle velature composte da acqua e terre.

Il gruppo statuario è stato invece oggetto di interventi di asportazione di materiale incongruo, quale colle cementizie, che ha alterato per sempre le forme dell'oggetto. Purtroppo non è stato possibile eliminare completamente queste colle in quanto a contatto diretto con il materiale originale, ma si è operato in modo da prevenire ulteriore danni al materiale originale. Anche in questo caso i successivi interventi prevedono una scialbatura a base di calce e polvere di marmo botticino, marmo bianco simile al travertino, che riporti il gruppo all'immagine originale. Stesso intervento è previsto per il fregio che, in parte occultato da uno strato di colla cementizia, è stato liberato e verrà scialbato in base a piccoli lacerti di intonaco originale rinvenuti con la pulitura.

Per quanto mi riguarda condivido quanto previsto e quanto è già stato fatto in questi interventi, sperando che altri verranno guidati ed eseguiti dalla stessa consapevolezza e capacità.