IL VALORE DELLA PERMANENZA - SAGGI DI BUONE PRATICHE DI ARCHITETTURA: IL RIGORE DI FRANCO ALBINI

 

La città, come viene descritta nel libro "L'architettura della città" di Aldo Rossi, si evolve con il tempo ma mantiene sempre ciò che è memoria del passato. Questa memoria è da ricollegarsi al concetto di permanenza, esso va a caratterizzare quella che è la conservazione di determinati requisiti di un edificio nel tempo. In un corso di Restauro, come il nostro, si tratta di un punto molto delicato; infatti fino a quando è lecito perseguire la conservazione di tale memoria? Quando si rischia di oltrepassare il limite?

"Cupido che dorme è l’antica architettura, il monumento. Psiche, curiosa, con la lucerna, è l’architetto, l’ingegnere, il tecnico. Ma una goccia di olio bollente cade dalla lucerna: è l’azione di “restauro”. Cupido si sveglia e fugge via, così l’autenticità è compromessa." 

Questa frase riesce a contenere in sé il senso di tutto ciò che si è discussoa lezione. L'architettura antica che stuzzica la curiosità dell'architetto il quale con il suo sapere, forte dell'aiuto della scienza, vuole mantenere tale antichità tramite il restauro, ma l'autenticità dell'opera ne è compromessa.

Forse è vero che l'intervenire continuo su di un manufatto antico ne determina una perdita di veridicità, ma pensiamo per assurdo al Colosseo, saremmo disposti a perderlo per sempre solo per evitare di intervenire su di esso? Roma senza il suo anfiteatro cosa sarebbe? E questo discorso vale per tutte le altre opere che noi siamo fin troppo abituati a vedere sotto i nostri occhi, spesso senza renderci conto che se sono ancora lì è perché qualcuno ancora si impegna con tutti i mezzi a disposizione per farle perdurare, permanere. Non si deve però pensare che tutto sia concesso ai fini del restauro, le nuove tecnologie, i nuovi materiali, l'introduzione di caratteri contemporanei saranno ben accettati solo se in grado di dialogare con l'antico, senza snaturarlo.

José Ignacio Linazasoro, per esempio, da grande architetto moderno quale è, ci fa capire come non sempre ciò che è modernità comprometta l'antico, anzi spesso è proprio il miglior mezzo per farlo risaltare, rivivere e risplendere.

L'architettura ha pertanto bisogno di un architetto consapevole, che possa rivedersi nella figura di intellettuale colto il quale riesca ad amalgamare il suo operato con ciò che è la tradizione e l'antico.

Non a caso viene spontaneo introdurre la figura di Franco Albini, una delle figure principali dello sviluppo del pensiero razionalista nel campo dell'architettura, dell'arredamento e dell'industrial design. In lui vive l'interesse del suo periodo storico, il dopoguerra, per la tradizione inserita in un contesto di rigore in cui è necessario darsi delle regole. Essa non è soltanto una memoria alla quale adattarsi ma un elemento di coscienza, d'interpretazione, che deve coinvolgere chiunque. Quello che fece Albini fu il realizzare una "nuova tradizione" che riuscisse a raccordare tutte le sue realizzazioni.Tra queste si è parlato della Basilica Palladiana. Albini fu incaricato di allestire la mostra di Palladio a Vicenza nel 1973. Qui l'architetto non si limitò a "fare l'allestitore", si cimentò quasi maniacalmente nello studio della Basilica per capirla, per poterla allestire nel suo completo rispetto. Usò il linguaggio palladiano stesso per non rischiare di compromettere quello che era il messaggio originario della basilica e riuscire così a tramandarlo.