blog di GIO.RUFINI

Considerazioni sulla visita alla Villa Capo di Bove

 

Nel gennaio 2002 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, su proposta della Soprintendenza Archeologica di Roma, ha acquistato, con diritto di prelazione, la proprietà della Villa Capo di Bove di via Appia antica.

La rilevanza archeologica del sito, un’area verde di circa 8500 mq, era già nota per la presenza di resti di un antico impianto termale. Tra il 2003 e il 2005 diverse campagne di scavo archeologico hanno portato alla luce un complesso termale la cui prima fase costruttiva è attestata alla metà del II secolo d.C.
Non si sa con certezza chi fossero i proprietari e per quale funzione l'impianto fu realzzato. Vi sono per lo più due ipotesi: la prima sostiene che fosse il bagno di un collegium o di una qualche corporazione associativa con finalità cultuali o funerarie; la seconda invece ritiene che l’impianto possa aver fatto parte dei vasti possedimenti che Erode Attico e la moglie Annia Regilla avevano nella zona proprio nella metà del II secolo d.C. 

A partire dal dopoguerra numerose acquisizioni hanno portato al recupero della villa non senza trasformazioni radicali. Negli anni '50 del Novecento una famiglia di mercanti ortofrutticoli, i Romagnoli, acquistarono e trasformarono ad uso residenziale l'impianto. Da quel momento la villa entrò in una dinamica di acquisizioni da parte di una committenza, con ingenti capacità economiche, bramosa di avere la propria residenza in uno dei più prestigiosi cuori verdi della città. Nel '62 il produttore cinematografico Sauro Streccioni acquistò la villa e ne promosse il recupero: un'opera incentrata sulla tecnica dello spolia dal tipico gusto antiquario caratteristico dell'epoca probabilmente realizzata da un appartenente alla scuola di Busiri Vici. Dagli anni '80 i cosiddetti nuovi ricchi continueranno ad acquistare queste ville antiche non più spinti da un amore verso il luogo ma da una più materiale volontà di affermazione sociale.

Importanti lavori di ristrutturazione, ad opera degli architetti Stefano Cacciapaglia e Carlo Celia, hanno completamente ridisegnato il giardino della villa dove sono state piantumate nuove essenze arboree, hanno trasformato la dépendance in punto di accoglienza per i visitatori e, infine, hanno messo a norma l’edificio principale conducendo una vera e propria operazione di riscatto totale. Nel complesso la struttura è stata toccata il meno possibile, infatti all'esterno è ancora possibile apprezzare la facciata realizzata con reperti archeologici, gli spolia, e i resti dell'antica cisterna romana su cui sorge la villa. L'interno è stato invece oggetto di una maggiore ristrutturazione. Le pareti sono state volutamente intonacate di bianco per permettere una più facile lettura dell'architettura stessa, e le stanze riadattate per ospitare gli uffici della Soprintendenza, una sala conferenze e l'archivio in onore di Antonio Cederna, giornalista del Novecento italiano che si è battuto per la difesa dalla speculazione edilizia e si è impegnato a favore della costituzione del Parco dell'Appia Antica.

IL VALORE DELLA PERMANENZA - SAGGI DI BUONE PRATICHE DI ARCHITETTURA: IL RIGORE DI FRANCO ALBINI

 

La città, come viene descritta nel libro "L'architettura della città" di Aldo Rossi, si evolve con il tempo ma mantiene sempre ciò che è memoria del passato. Questa memoria è da ricollegarsi al concetto di permanenza, esso va a caratterizzare quella che è la conservazione di determinati requisiti di un edificio nel tempo. In un corso di Restauro, come il nostro, si tratta di un punto molto delicato; infatti fino a quando è lecito perseguire la conservazione di tale memoria? Quando si rischia di oltrepassare il limite?

"Cupido che dorme è l’antica architettura, il monumento. Psiche, curiosa, con la lucerna, è l’architetto, l’ingegnere, il tecnico. Ma una goccia di olio bollente cade dalla lucerna: è l’azione di “restauro”. Cupido si sveglia e fugge via, così l’autenticità è compromessa." 

Questa frase riesce a contenere in sé il senso di tutto ciò che si è discussoa lezione. L'architettura antica che stuzzica la curiosità dell'architetto il quale con il suo sapere, forte dell'aiuto della scienza, vuole mantenere tale antichità tramite il restauro, ma l'autenticità dell'opera ne è compromessa.

Forse è vero che l'intervenire continuo su di un manufatto antico ne determina una perdita di veridicità, ma pensiamo per assurdo al Colosseo, saremmo disposti a perderlo per sempre solo per evitare di intervenire su di esso? Roma senza il suo anfiteatro cosa sarebbe? E questo discorso vale per tutte le altre opere che noi siamo fin troppo abituati a vedere sotto i nostri occhi, spesso senza renderci conto che se sono ancora lì è perché qualcuno ancora si impegna con tutti i mezzi a disposizione per farle perdurare, permanere. Non si deve però pensare che tutto sia concesso ai fini del restauro, le nuove tecnologie, i nuovi materiali, l'introduzione di caratteri contemporanei saranno ben accettati solo se in grado di dialogare con l'antico, senza snaturarlo.

José Ignacio Linazasoro, per esempio, da grande architetto moderno quale è, ci fa capire come non sempre ciò che è modernità comprometta l'antico, anzi spesso è proprio il miglior mezzo per farlo risaltare, rivivere e risplendere.

L'architettura ha pertanto bisogno di un architetto consapevole, che possa rivedersi nella figura di intellettuale colto il quale riesca ad amalgamare il suo operato con ciò che è la tradizione e l'antico.

Non a caso viene spontaneo introdurre la figura di Franco Albini, una delle figure principali dello sviluppo del pensiero razionalista nel campo dell'architettura, dell'arredamento e dell'industrial design. In lui vive l'interesse del suo periodo storico, il dopoguerra, per la tradizione inserita in un contesto di rigore in cui è necessario darsi delle regole. Essa non è soltanto una memoria alla quale adattarsi ma un elemento di coscienza, d'interpretazione, che deve coinvolgere chiunque. Quello che fece Albini fu il realizzare una "nuova tradizione" che riuscisse a raccordare tutte le sue realizzazioni.Tra queste si è parlato della Basilica Palladiana. Albini fu incaricato di allestire la mostra di Palladio a Vicenza nel 1973. Qui l'architetto non si limitò a "fare l'allestitore", si cimentò quasi maniacalmente nello studio della Basilica per capirla, per poterla allestire nel suo completo rispetto. Usò il linguaggio palladiano stesso per non rischiare di compromettere quello che era il messaggio originario della basilica e riuscire così a tramandarlo.

 

 

 

Riflessioni sulle ultime due lezioni del modulo di Estimo: Recupero architettonico e i relativi costi

 

Il restauro architettonico può essere definito come quella branca dell'architettura il cui fine è garantire la conservazione di un manufatto architettonico, per valorizzarlo e consentirne il riuso, mantenendo però vivo il suo valore storico. Le diverse tendenze metodologiche che caratterizzano il restauro architettonico si fondano sull'esistenza di due posizioni fondamentali: una dedita alla conservazione assoluta dell'edificio storico nella situazione in cui si trova e l'altra che legittima quelle ricostruzioni, anche se consistenti, dell'opera così com'era e dov'era.

In quest'ottica s'inserisce un ulteriore tema, a mio avviso fondamentale, quello del rapporto tra l'organismo oggetto di restauro, l'antico, e il nuovo intervento, il moderno. Il mutuo contrasto tra restaurare e rinnovare. Del resto non si può intraprendere il mestiere di architetto se non si tiene bene a mente questo binomio. Accenno a queste tematiche viene fatto dall'architetto Renato Bonelli nella sua monografia Architettura e Restauro; qui l'architetto definisce il restauro come "un processo critico e creativo", il cui scopo sarà ridare all'antico la pregnanza, persa nei tempi, e adeguarlo alla nuova fruizione.

Ma prima di proseguire nel discorso, è doveroso osservare anche ciò che la legge stabilisce in materia di restauro. Nel dopoguerra la legge 457/78 all'articolo 31 da una definizione di quelli che sono gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, classificandoli in:

·       interventi di manutenzione ordinaria;

·       interventi di manutenzione straordinaria;

·       interventi di restauro e di risanamento conservativo;

·       interventi di ristrutturazione edilizia;

·       interventi di ristrutturazione urbanistica.

Ad ognuno di questi interventi fa capo un costo. Ma quando questo fa riferimento ad un intervento di restauro di manufatto antico, quanto si sarebbe disposti a pagare per lo stesso? Quanto vale, in termini di costi, la conservazione di una memoria storica? Credo che non si possa  quantificare come cifra. Che si parli di restauro (architettura come opera aperta), di ripristino (architettura come documento storico) o conservazione (architettura come documento storiografico) bisogna tenere bene a mente che abbiamo il diritto di tramandare l'architettura che ci è stata lasciata nei tempi. Nonostante definisca non quantificabile il costo che si dovrebbe essere disposti a pagare a tale fine, viene da sé che questo può essere vero solo nella soggettività di ognuno ma non nella realtà. Alla realtà dei fatti il recupero di un bene costa. La stima è però incerta a causa dell'eterogeneità delle variabili che definiscono il valore finale, esso è costituito da:

·       vincoli normativi;

·       stato di conservazione dell'immobile;

·       elementi di pregio architettonico;

·       tipologia di restauro;

·       materiali costruttivi originali;

·       configurazione planivolumetrica.

Ma cosa succede quando i costi di recupero sono così elevati da impossibilitare quel processo di recupero di una memoria? Quand'è che non si è più disposti a pagare per un intervento di restauro?

E' il caso ad esempio della Casa delle Armi realizzata nel 1933 dall'architetto Luigi Moretti. Colpito per anni da una sorta di dannatio memoriae a causa del suo dichiarato schieramento politico, vicino all'ideale fascista dell'epoca, tutto ciò che ricordava il Ventennio doveva essere cancellato. Solo in tempi recenti le sue opere sembrano essere poste sotto una nuova luce.

Negli anni una serie di devastazioni del Foro Italico hanno profondamente compromesso l'intero complesso. Nel 1974 la Casa delle Armi, uno degli edifici più importanti del Foro, viene sottoposta ad un intervento di manutenzione straordinaria per ridargli "nuova vita"; si decise di cambiargli destinazione d'uso destinando una parte a carcere e tribunale politico e un'altra a caserma dei carabinieri. Ben 7000 mc vengono costruiti all'interno di un'architettura che era stata concepita sulla scia della poetica dei vuoti. Forse una delle più gravi deturpazioni di un bene pubblico da parte di un'epoca la cui cultura architettonica si è rivelata più che superficiale. Proprio a causa di questa superficialità si è definito impossibile porre rimedio a tali danni, le nuove strutture hanno infatti irrimediabilmente corrotto la struttura originaria in cemento armato rendendo i costi di recupero altissimi.

Stessa sorte spetterà negli anni Novanta allo Stadio Olimpico. Costruito in occasione delle Olimpiadi del 1960, nel 1990 sarà pesantemente trasformato in occasione dei campionati. La struttura doveva essere al coperto, così verrà innalzata di 14m con una sovrastruttura reticolare in acciaio che comporterà la demolizione di gran parte dello stadio degli anni Sessanta. Una memoria deturpata in nome di un affare economico, una superfetazione, se mi è concesso il termine, di migliaia di metri quadri di cui solo 30000, destinati ad uffici, mai utilizzati.

Era davvero necessario agire in questo senso? Non era forse meglio conservare lo Stadio Olimpico di Luigi Moretti e realizzarne uno "ad hoc" solo per il calcio?

Ecco che si torna al concetto iniziale di valore storico e di rispetto dello stesso. Un architetto, a qualsiasi periodo storico appartenga, ha il dovere di documentarsi e approcciarsi ad un intervento di restauro con la giusta consapevolezza, al fine di poter così tramandare, a chi verrà, la stessa architettura che ha avuto il privilegio di conoscere per primo, senza eccessive e fuorvianti manipolazioni. A mio avviso è questo ciò che significa restauro e il confronto tra antico e moderno è proprio incentrato sul riuscire a far vivere un'opera antica grazie a interventi moderni lasciando la prima in grado di dialogare autonomamente.

PRIME IMPRESSIONI SULLA FATTIBILITA': I casi del Palazzo Massimo alle Terme e della palazzina di Libera ad Ostia

Nell'ambito del Restauro Architettonico,  il tema della fattibilità è uno degli aspetti più delicati e vincolanti, che si tratti di un progetto di restauro di un'opera pubblica o di una privata. In una città complessa come Roma, ricca di molteplici memorie storico-artistiche, è facile imbattersi in situazioni particolari e difficili che, anche nel loro piccolo, possono rappresentare un unicum o comunque un ottimo principio di novità. Qualsiasi sia la realtà con cui ci si confronta, bisogna sempre essere consapevoli che essa non è solo un espediente progettuale ma un delicato sistema di pesi e misure differenti in equilibrio tra loro.

L'intervento all'interno di Palazzo Massimo alle Terme si imposta proprio con quel principio di novità. Qui è possibile vedere l'intero iter di un progetto al limite tra il restauro e la progettazione, la riqualificazione e l'allestimento.  Contrariamente ai cantieri di costruzione che siamo abituati a vedere, il cantiere d'allestimento presenta due saldi vincoli: la data d'inaugurazione e i costi. Su questo due si deve basare tutto:  dalla più semplice disposizione di un pannello alla più complicata struttura, e perfino l'imprevisto. E' in quest'ottica che gli architetti Stefano Cacciapaglia e Antonio Celia si sono mossi. Bisognava dare nuova vita ad alcune sale del Museo rispettando i caratteri propri dell'edificio, senza alterare la memoria dei restauri condotti da Costantino Dardi. Per questo si è scelto di operare un allestimento il più discreto possibile: le opere d'arte sono le vere protagoniste e nient'altro. E' così che un intonaco grigio viene scelto per far risaltare il bianco delle statue, eliminando la monotonia data dal vecchio colore bianco; per ovviare ai problemi d'illuminazione sono stati realizzati corpi illuminanti leggerissimi, in pannelli componibili in PVC, che illuminano, come macchine teatrali, le opere d'arte valorizzandole al massimo. Tutto in funzione dell'opera e tutto in funzione dei costi. L’intervento complessivo ha avuto un costo intorno ai 500.000 €, di cui 300.000 ca. destinati all'allestimento vero e proprio (materiali e ristrutturazioni), 100.000 per l'illuminazione e il resto per la movimentazione delle statue. Non poco per un intervento simile, ma si è pur sempre di fronte ad un caso di allestimento permanente, che interessa 600 mq di museo e circa 70 opere.

Anche l'architettura privata deve entrare in questi meccanismi di necessità e restrizioni. E' il caso, ad esempio, dellapalazzina di Libera degli anni '30 sul lungomare di Ostia. Il progetto di restauro è stato condotto dall'architetto Roberta Rinaldi, la quale si è trovata di fronte ad una situazione pressoché drammatica. A causa della totale noncuranza da parte degli inquilini, dell'aggressività del clima marino e di errori commessi in un precedente restauro, la casa si presentava in uno stato di completa fatiscenza. Problemi di vincoli paesaggistici e mancanza di fondi hanno spinto, sin da subito, l'architetto ad operare delle scelte, dettate anche da numerosi problemi presentatisi in corso d'opera. Le ringhiere fronte mare, per esempio, sono state rifatte per ben due volte: realizzate inizialmente in ferro pre-zincato lavorato a caldo, già dopo due mesi presentavano segni di ruggine, con il secondo appalto saranno sostituite interamente con delle altre ben fatte (a scapito dei già esigui fondi);  la facciata presentava una colorazione inadeguata ed era stata inoltre deturpata dalla messa in opera, in un precedente restauro, di uno strato di quarzo plastico: picconata fino ad eliminare la parte compromessa, è stato steso un intonaco bianco (colore scelto grazie ad indagini di colore in facciata) in bio calce che, a lavori conclusi, presentava delle cavillature, risarcite dalla ditta fornitrice Keraton. Questi inconvenienti, insieme ad altri minori, hanno inciso notevolmente sulla sfera dei costi. Essendo un'opera finanziata da privati, con un somma a disposizione modesta, ogni errore commesso doveva essere risolto togliendo spazio e cura ad altri aspetti del progetto:  impensabile superare la somma a disposizione. Ma il risultato finale è valso questi ostacoli? Inizialmente il valore della palazzina era intorno ai 1500 €/mq, dopo gli interventi di manutenzione si è arrivati a 5000 €/mq, un notevole miglioramento che ha permesso di rivalutare un'architettura che altrimenti sarebbe andata persa.

Alcune considerazioni sull'esperienza del corso di Fattibilità del Progetto

Sin dalla prima visita al cantiere di Vasca Navale del professor Vidotto ho iniziato a vedere con occhi diversi quanto studiato finora. L'edilizia, pubblica o privata che sia, si è rivelata non solo il risultato concreto dell'idea progettuale di un architetto ma il complesso equilibrio tra maestranze diverse.

Con il cantiere dell' Hyatt Park Hotel si è visto proprio come questo complesso equilibrio riesca a mantenersi tale grazie all'operato di una figura fondamentale, quella del project manager, il quale, per l'appunto, ha come obiettivo essenziale quello di assicurare il rispetto dei costi, dei tempi e della qualità concordati e soprattutto il raggiungimento della soddisfazione del committente.

In quest'ottica abbiamo conosciuto la persona dell'ingegner Gianluca Ledda che ci ha accompagnati anche nel quarto incontro presso i cantieri di Casal Palocco e Infernetto.

Nel condividere con noi le sue esperienze di cantiere, il signor Ledda ha sottolineato l'importanza di uno stretto e rigoroso adempimento ai propri doveri da parte di ogni componente di quella che potremmo definire l' equipe di cantiere ai fini di fare architettura e non semplice speculazione.

Dal rispetto delle più elementari norme di sicurezza da parte degli operai di cantiere, al severo controllo del direttore dei lavori; siamo venuti a conoscenza di quello che è il vero mondo cantieristico, mettendo da parte le nozioni puramente teoriche che spesso siamo abituati a ricevere. Abbiamo potuto "respirare l'aria di cantiere" come non abbiamo mai avuto il piacere di fare, o almeno questo è quello che ho potuto vivere io...Entrare nel vivo di una passione personale, l'architettura, scoprendo che non si riduce solamente taccuino e china...estro e fantasia...è anche altro!! Essa è costruito, realtà, complesso di norme, oneri e onori...fatica e devozione!

Vorrei evitare di risultare troppo reverenziale ma ho ritenuto importante ed essenziale condividere a caldo alcune sensazioni che questi incontri mi hanno suscitato.