Franco Albini

Il valore della permanenza

Il valore della permanenza

Architettura è tutto ciò che è nella città, e la città a sua volta è forma, funzione e soprattutto identità; parlare di architettura, quindi, voleva dire, per architetti quali Aldo Rossi e molti altri, interrogarsi sulla costruzione della città nel tempo, sui suoi cambiamenti ed evoluzioni intrinseche, sul ruolo di anello di congiunzione tra realtà collettiva e individuale. Vuol dire analizzare non solo ciò che oggi vediamo e percepiamo, ma soprattutto afferrare il vero significato e senso proprio del processo progettuale ex ante, in modo tale che le consistenze architettoniche del passato siano vissute quali valori della permanenza da sperimentare nel presente. La città come un unicum progettuale che dura centinaia, a volte migliaia di anni, di cui bisogna comprendere le radici profonde per poter capire come poter inserirsi nel tessuto urbano modificandolo, consapevoli che le architetture del “passato” e del “presente” dialogano ( e forse a  volte litigano), che tra qualche tempo tutto ciò che oggi è “presente” potrà essere considerato “passato” e farà parte del bagaglio identitario, culturale dei nostri posteri. Come in tutte le cose, anche in architettura, si può scegliere di ignorare ciò che ci attornia ed imporsi, oppure come rapportarsi al contesto e studiare quale significato si vorrebbe conservare e trasmettere. Come il lavoro di Jose Ignacio Linazasoro per il centro culturale a Madrid, che rappresenta contemporaneamente un’unità di restauro, di rinnovamento e di nuova costruzione, ponendosi quale nodo della città dove queste operazioni si sono conciliate, aggiungendo al valore della permanenza quello della fruibilità del bene.

E sicuramente nel tema della permanenza entra prepotentemente la figura di Franco Albini, sia per i grandi segni da lui lasciati nelle città, sia per la grande capacità di studiare, ascoltare ed interpretare la Storia, cogliendone gli aspetti più profondi e a volte più reconditi. Egli stesso si definiva un “copione” dei modelli neoclassici, nonostante nel rigore e nella coerenza della propria produzione andò sempre alla ricerca di un costante rapporto creativo con le nuove tecnologie, perché capire il senso profondo del valore della permanenza in architettura non vuol dire riproporre in maniera compulsiva lo stesso schema, bensì far propria la volontà di rapportarsi con il contesto storico pur evitando qualsiasi approccio mimetico, qualsiasi soluzione finto-antica, e cercando di stabilire un dialogo, sia quando si tratti di operazioni di restauro, sia di progetti ex novo, come la Rinascente di Piazza Fiume, definito da Portoghesi nel 1998 “un edificio contemporaneo che guarda alla Storia”.

Il rigore di Franco Albini e la matericità di Josè Ignacio Linazasoro.

 

Il rigore, lo studio, il sacrificio, le idee. Sono questi i veri ingredienti di un buon progetto.

 Non uno schizzo apparentemente geniale buttato giù su un tovagliolo di carta in due minuti.

E questo Franco Albini lo sapeva bene. Figlio di un ingegnere si laureò in architettura nel 1929 al Politecnico di Milano, compiendo viaggi in Europa che gli permisero di conoscere personalmente personalità quali Le Corbusier e Mies Van Der Rohe. Era un architetto artigiano, non un’archistar.

 La sua attività fu caratterizzata da un estremo rigore e una evidente coerenza. Studiò molto da vicino le nuove tecnologie, sperimentando nuovi sistemi per utilizzarle e mostrò sempre un’accuratezza nei dettagli costruttivi. Inoltre fu sempre molto attento al rapporto con il contesto storico, evitando mimetismi e soluzioni finto-antiche, ma cercando di stabilire un dialogo con la preesistenza.

Ad esempio l’Albergo-rifugio Pirovano a Cervinia : una sorta di baita in legno con degli imponenti pilastri palesemente moderni. Questi due elementi dialogano armonicamente tra loro, senza far stridere l’accostamento tradizione-moderno.

Limitandosi ad esempi di rifunzionalizzazione e riuso, si possono citare due interventi : l’allestimento del Museo del Palazzo Bianco e il Museo del Tesoro della Cattedrale di S. Lorenzo a Genova.

Il primo è un palazzo genovese, distrutto in gran parte dalle bombe del 1942. Venne ricostruito nella sua facies settecentesca, e al suo interno si decise di inserire un nuovo polo museale. L’allestimento fu completamente affidato a Franco Albini. Il risultato fu di alto profilo, anche se sconvolse le attese più tradizionaliste. Albini voleva creare uno spazio pacato, in cui le opere potessero sia testimoniare la storia artistica, sia ritrovare una propria individualità.

L’allestimento fu caratterizzato da un’assoluta purezza : il rigore arrivò ad investire perfino le cornici dei quadri, rimosse quando ritenute non pertinenti. 

Appesi a tondini che scorrevano all’interno di guide in ferro, o sospesi su piantane tubolar, i quadri non deformavano mai le pareti, consentendo una lettura parallela dell’architettura del palazzo, esibita nella sua integra completezza.

 Evitò per questo arredi fissi e progettò lui stesso i supporti per le opere.

 Utilizzò rocchi, basi e capitelli originali romani come piedistalli per alcune opere;  questo sollevò numerose critiche per l’audace accostamento antico-moderno. Scatenarono disaccordi anche supporti cilindrici in acciaio, mobili e girevoli, accostati a frammenti di marmo. Era sempre il rapporto tra l’antico e il moderno che strideva per la critica di allora, anche se Argan lodò la disposizione affermando una “eccellente innovazione nei sistemi di presentazione dei frammenti di scultura”.

Studiò molto anche la luce : per quella artificiale realizzò delle semplici barre metalliche, sospese a mezz’aria, con tubi a catodo freddo che descrivevano una sorta di linea luminosa nelle sale. Per alcune statue scelse un’illuminazione più drammatica puntando direttamente dei proiettori sulle opere.

L’intervento per il Museo del Tesoro di s. Lorenzo a Genova fu definito da Luigi Benevolo un’ “opera eccellente”. Era evidente l’attenzione nell’inserirsi in un ambiente storico costruito.

Albini riuscì a creare un ambiente suggestivo ed evocativo per custodire gli oggetti preziosi legati al culto della cattedrale e alla storia della città. Riuscì a produrre una delle più armoniche soluzioni museografiche di tutta la scuola italiana. Lo spazio da dedicare al museo era nel vano ipogeo della cattedrale genovese.

Lo schema planimetrico era costituito da tre camere circolari di diverso diametro, illuminate zenitalmente e collegate tra loro da brevi tratti rettilinei. Vi era un uso rigoroso della geometria che metteva in relazione gli spazi. Questa geometria era esplicitata dal disegno della pavimentazione e dalla giacitura dei travetti in cemento del solaio, lasciati a vista. Questi, infatti, erano disposti radialmente attorno ad un oculo luminoso che coronava le camere circolari. L’effetto complessivo era di grande suggestione, con riferimenti anche a figurazioni barocche (luce mistica dall’alto). Era presente un’ideologia di coinvolgere l’immaginazione nell’esperienza visiva, con rimandi al tesoro nascosto, al culto dei morti, ai mondi ultraterreni, da sempre accostati al sottosuolo.

L’arredo è ridotto all’essenziale, interamente disegnato dallo stesso Albini.

Un altro modo di accostare l’antico al moderno può essere visto nelle opere di Josè Ignacio Linazasoro.

Linazasoro afferma di credere nell’architettura “vera e pura” e non in quella che si intravede nelle immagini mediatiche che vanno di moda. Preferisce l’espressione della materia, la sua definizione e la luce che deriva da essa. Progetta opere fortemente ancorate al sito.

Vede l’architettura come un’arte e un lavoro che lasciano un segno nel tempo, e non come una semplice espressione personale o qualcosa alla moda.

Si possono paragonare due suoi progetti diversi : la Biblioteca della U.N.E.D. (città universitaria di Madrid) e la Biblioteca de las Esculas Pìas, nel quartiere Lavapiès a Madrid.

La prima opera si è insediata in uno spazio libero, quindi Linazasoro ha avuto piena libertà di espressione, mantenendo comunque i materiali caratteristici della città universitaria madrilena, quali il laterizio e il legno.

La seconda invece si insedia nello storico quartiere popolare di Lavapiès, occupando lo spazio di un’antica chiesa del XVIII secolo, gravemente distrutta durante la guerra civile spagnola.

Si è posto quindi il problema di intergare il vecchio al nuovo. L’architetto ha scelto di operare mantenendo una continuità materica, ma operando una discontinuità concettuale : “Quando devo intervenire in un edifico storico, il mio intento è sempre di proporre un ordine nuovo in cui i resti dell’antico rimangano e vengano integrati nella costruzione recente”.

 Linazasoro vuole esaltare la potenzialità espressiva della rovina, e questo condiziona la scelta dei materiali per il nuovo edificio : i materiali adoperati sono più adatti ad uno spazio esterno più che interno.

La struttura non interferisce nella protezione e nella salvaguardia della rovina.

Utilizza il mattone come materiale di coesione tra nuovo e vecchio. “Il vero carattere dell’architettura moderna” afferma Linazasoro “è il materiale, dato che gli ordini classici hanno perso il loro significato”.

“Il mattone è un materiale nobile, legato alla terra, collaudato da migliaia di anni di esistenza, profondamente vicino all’espressione delle qualità materiche dell’architettura”.

IL VALORE DELLA PERMANENZA - SAGGI DI BUONE PRATICHE DI ARCHITETTURA: IL RIGORE DI FRANCO ALBINI

 

La città, come viene descritta nel libro "L'architettura della città" di Aldo Rossi, si evolve con il tempo ma mantiene sempre ciò che è memoria del passato. Questa memoria è da ricollegarsi al concetto di permanenza, esso va a caratterizzare quella che è la conservazione di determinati requisiti di un edificio nel tempo. In un corso di Restauro, come il nostro, si tratta di un punto molto delicato; infatti fino a quando è lecito perseguire la conservazione di tale memoria? Quando si rischia di oltrepassare il limite?

"Cupido che dorme è l’antica architettura, il monumento. Psiche, curiosa, con la lucerna, è l’architetto, l’ingegnere, il tecnico. Ma una goccia di olio bollente cade dalla lucerna: è l’azione di “restauro”. Cupido si sveglia e fugge via, così l’autenticità è compromessa." 

Questa frase riesce a contenere in sé il senso di tutto ciò che si è discussoa lezione. L'architettura antica che stuzzica la curiosità dell'architetto il quale con il suo sapere, forte dell'aiuto della scienza, vuole mantenere tale antichità tramite il restauro, ma l'autenticità dell'opera ne è compromessa.

Forse è vero che l'intervenire continuo su di un manufatto antico ne determina una perdita di veridicità, ma pensiamo per assurdo al Colosseo, saremmo disposti a perderlo per sempre solo per evitare di intervenire su di esso? Roma senza il suo anfiteatro cosa sarebbe? E questo discorso vale per tutte le altre opere che noi siamo fin troppo abituati a vedere sotto i nostri occhi, spesso senza renderci conto che se sono ancora lì è perché qualcuno ancora si impegna con tutti i mezzi a disposizione per farle perdurare, permanere. Non si deve però pensare che tutto sia concesso ai fini del restauro, le nuove tecnologie, i nuovi materiali, l'introduzione di caratteri contemporanei saranno ben accettati solo se in grado di dialogare con l'antico, senza snaturarlo.

José Ignacio Linazasoro, per esempio, da grande architetto moderno quale è, ci fa capire come non sempre ciò che è modernità comprometta l'antico, anzi spesso è proprio il miglior mezzo per farlo risaltare, rivivere e risplendere.

L'architettura ha pertanto bisogno di un architetto consapevole, che possa rivedersi nella figura di intellettuale colto il quale riesca ad amalgamare il suo operato con ciò che è la tradizione e l'antico.

Non a caso viene spontaneo introdurre la figura di Franco Albini, una delle figure principali dello sviluppo del pensiero razionalista nel campo dell'architettura, dell'arredamento e dell'industrial design. In lui vive l'interesse del suo periodo storico, il dopoguerra, per la tradizione inserita in un contesto di rigore in cui è necessario darsi delle regole. Essa non è soltanto una memoria alla quale adattarsi ma un elemento di coscienza, d'interpretazione, che deve coinvolgere chiunque. Quello che fece Albini fu il realizzare una "nuova tradizione" che riuscisse a raccordare tutte le sue realizzazioni.Tra queste si è parlato della Basilica Palladiana. Albini fu incaricato di allestire la mostra di Palladio a Vicenza nel 1973. Qui l'architetto non si limitò a "fare l'allestitore", si cimentò quasi maniacalmente nello studio della Basilica per capirla, per poterla allestire nel suo completo rispetto. Usò il linguaggio palladiano stesso per non rischiare di compromettere quello che era il messaggio originario della basilica e riuscire così a tramandarlo.

 

 

 

Saggi di buone pratiche di architettura: il rigore di Franco Albini

 

‘Fantasia di precisioni’ e ‘razionalismo artistico’. Le due locuzionidi Ponti e Persico sono una buona presentazione per l’architettura di Franco Albini, architetto iscritto tra i padri del razionalismo italiano a partire dagli anni ‘50. Molto spesso la lettura del suo operato si è però soffermata solo sugli aspetti prettamente tecnici e funzionali,  lasciando in secondo piano la poetica raffinata che lo caratterizza. La ricerca funzionale, la cura quasi ossessiva dei dettagli, la sperimentazione dei materiali sono quindi tratti distintivi del suo lavoro, ma rappresentano il veicolo per arrivare ad un risultato di estrema eleganza.

Le opere di Albini sono caratterizzate da un continuo affinamento, una ricerca quasi spasmodica della precisione. Tutto è progettato e controllato: non esistono professionalità separate nel suo lavoro. Per questo possiamo trovare una totale fusione tra ciò che è architettura, grafica e design. L’oggetto di design diventa parte integrante dell’edificio, con un passaggio continuo di scala, dal piccolo al grande, dal grande al piccolo. L’opera paziente di un ‘artigiano’, come lui stesso amava definirsi.

Se ci soffermiamo su ciò che ci riguarda più da vicino, ossia l’intervento sull’esistente, possiamo notare come l’atteggiamento di Albini sia quello di dare una nuova lettura dello spazio in cui si inserisce, ma sempre nel rispetto dell’esistente. Si sperimentano i nuovi materiali e le tecniche espositive per raggiungere una nuova concezione dell’esperienza museale, rendendola dinamica ed educativa: gli elementi espositivi sono ridotti al minimo, si accostano alla preesistenza senza sovrastarla. Gli allestimenti realizzati nella città di Genova tra gli anni ’50 e gli anni ’60 sono esplicativi di questo atteggiamento. L’integrazione tra nuovo ed antico, non solo dal punto di vista materiale ma anche funzionale, li rende opere d’arte totali.  

L’allestimento di Palazzo Bianco è un esempio di questa ricerca.  Un edificio cinquecentesco, ricostruito nel Settecento e trasformato in museo a fine Ottocento; gravemente colpito dai bombardamenti della secondo guerra mondiale, viene ricostruito nel suo aspetto settecentesco. In questa occasione Albini viene chiamato dalla direttrice dell’Ufficio Belle Arti per studiare un allestimento capace di dare un nuovo ordinamento al museo. L’architetto realizza un allestimento di assoluta purezza, esaltato dalla geometria degli antichi pavimenti in marmo chiaro ed ardesia, conservati in quasi tutte le sale. Le opere pittoriche sono agganciate a guide metalliche verticali o a nuove pareti staccate da quelle del palazzo. Le attrezzature realizzate con nuovi materiali non disturbano la preesistenza ma anzi la valorizzano, consentendone una lettura parallela. Emblematica degli intenti di Albini è la soluzione adottata per il gruppo scultoreo di Giovanni Pisano, disposto su un piedistallo in acciaio che può essere mosso e ruotato: il visitatore può quindi scegliere personalmente come confrontarsi con l’opera.

Poco più tardi, tra il 1952 e il 1956, Albini realizza il Museo del Tesoro di San Lorenzo, che costituisce un unicum nel percorso dell’architetto. In questo caso i nuovi materiali lasciano il passo a quelli tradizionali, come la pietra di Promontorio tipica della Genova medievale, per creare uno spazio sacrale. Negli anni ’50 si matura l’idea di trovare una sistemazione museale per il ‘tesoro’ della Cattedrale di Genova, che raccoglieva pezzi datati già al XII secolo. Negli ambienti appositamente creati nell’area della Cattedrale, Albini realizza uno spazio ipogeo fortemente suggestivo, caratterizzato da una luce zenitale di gusto barocco. Lo schema planimetrico prevede tre camere circolari di differente diametro collegate da uno spazio esagonale. La rigorosa geometria è esplicitata dal disegno della pavimentazione e dai travetti della copertura, lasciati a vista. L’allestimento costituisce ancora una volta un momento di sperimentazione del materiale: vetrine essenziali, con sottilissimi profili e basi di metallo, sono modellate attorno ai pezzi da esporre.

La ricerca di un rapporto tra modernità e tradizione è visibile in ognuno di questi lavori. Una tradizione reinterpretata, rinnovata ed arricchita dalla presenza del moderno. L’edificio della Rinascente a Roma, realizzato nel 1957, per finire, ben si inserisce in questa indagine. Come affermato da P. Portoghesi, la ‘calda corporeità’ di questo edificio fa rivivere un’area di Roma in tutta la sua storicità richiamando sia i palazzi rinascimentali che le vicine mura aureliane. Tutto questo attraverso il connubio della forza strutturale della maglia in ferro con la ricchezza materica dei pannelli in graniglia di granito e marmo rosso

Albini non ha lasciato molti scritti e descrizioni delle ragioni teoriche sottostanti i suoi progetti. Un personaggio ‘silenzioso e fedele’, come lo descrive la sua collaboratrice Franca Helg, perfettamente conscio però del valore dimostrativo della sua architettura: ‘E’ più dalle nostre opere che diffondiamo delle idee che non attraverso noi stessi’.

 

Il valore della permanenza e il rigore di Franco Albini

 

Nel libro “L'Architettura della città”, scritto da Aldo Rossi nel 1966, la città viene intesa come un'architettura, facendo riferimento non solo all'immagine visibile della città e all'insieme delle sue architetture, ma piuttosto all'architettura come costruzione, e più esattamente come costruzione della città nel tempo. La città viene quindi intesa nella sua completa interezza, come un'unica architettura nella quale la costruzione si stratifica e articola nel tempo, e crescendo quindi acquista coscienza e memoria di se stessa.

Il senso della conoscenza del divenire storico della città, e più specificatamente della permanenza, sono fondamentali nell'approccio di qualsiasi progetto. L'architetto diventa perciò portatore di innovazioni e trasformazioni, che devono essere tali però da rispettare i caratteri e la leggibilità del manufatto e tali da non alterare il senso della memoria e della permanenza.

Attraverso il recupero dei monumenti in una forma consona e adeguata, il passato viene sperimentato nel presente e diventa un veicolo che conduce alla quotidianità e al futuro.

A riguardo cito alcuni esempi in cui non si è tenuto conto del senso della permanenza: il Pantheon, nel quale furono demoliti i campanili realizzati da Bernini per conferire l'immagine più antica del monumento e per completare quindi l'isolamento dell'edificio antico; il teatro di Arles, anfiteatro romano che fu ricostruito nel 1686 eliminando le abitazioni che si erano installate con la finalità di restituire l'antica memoria al manufatto; la collina dei Parioli, nella quale la villa suburbana romana di notevole prestigio verrà trasformata in un blocco edilizio di sei piani con venti alloggi, esempio quindi in cui è stata soppiantata la permanenza del monumento.

Invece, per quanto riguarda il mantenimento della permanenza, riporto l'esempio di Manhattan, che, sviluppatasi all'inizio dell'800 con una maglia rigida ad eccezione della strada Broadway, il percorso che facevano gli indiani per andare a cavallo, rappresenta un esempio in cui la permanenza svolge una funzione simbolica, rimasta appunto con un segno, che è quello della strada.

 

Una figura di notevole importanza che affidava alla storia tutta l'esperienza progettuale è Franco Albini. Albini tratteggia la figura dell'intellettuale e dell'architetto consapevole di tutto il processo progettuale, di ciò che avviene prima e degli effetti e dei benefici che il progetto produce dopo la sua costruzione. Condivide l'interesse per la tradizione, forma portante dell'architettura italiana nel dopoguerra, assumendola però nell'ambito di un metodo di lavoro che implica la necessità di darsi delle regole. La tradizione non diventa quindi un elemento a cui conformarsi, ma un elemento di coscienza individuale e collettiva, di interpretazione dei valori riconosciuti, un patrimonio da reinterpretare per creare una sorta di nuova tradizione; diventa quindi un filo conduttore che collega interventi in ambienti e periodi diversi; come ad esempio nella Rinascente a Roma, realizzata con Franca Helg nel 1957, dove si manifesta una dicotomia tra la scelta stilistica del linguaggio, schiettamente moderno e la citazione di elementi costruttivi classici, quali le cornici costituite dalle travi di acciaio, e tradizionalmente romani quali i solai e la texture delle superfici murarie che ripensano nella granulometria e nei colori l'ondulazione barocca. Si tratta di un'architettura di grande contemporaneità che guarda alla storia, che si innesta in un tessuto urbano che è proprio quello delle vicine mura aureliane, trovando una sorta di accordo con il volto della città.

Altro intervento sarà l'allestimento, nel 1973, della mostra su Palladio all'interno della Basilica Palladiana a Vicenza, nel quale l'architetto si cimentò non solo nell'interpretazione delle opere di Palladio, cercando di utilizzare il suo metodo, ma soprattutto nel rispettare la struttura interna della Basilica.

Notiamo come nelle architetture di Albini, improntate sul rigore e sull'importanza della storia, venga utilizzata una profondità di linguaggio nel quale è fortissimo il senso della conoscenza e della memoria.

Altro esempio interessante del mantenimento della preesistenza è il Centro Cultural Escuelas Pias de Lavapies, realizzato nel quartiere popolare di Madrid da Linazasoro nel 1996, che comprende Aule Universitarie e una Biblioteca; le prime occupano lo spazio non edificato, mentre la seconda viene realizzata sulle rovine della Escuela Pias de San Fernando, chiesa barocca distrutta durante la guerra civile. Osserviamo come l'architetto ha abilmente integrato l'antico con il nuovo; è stato infatti prescelto il mattone, materiale che meglio risponde ai requisiti di uniformità, per ottenere un'immagine di forte coesione tra il nuovo e il vecchio.

Infatti, al fine di rendere maggiormente unitario il muro della facciata principale, questo viene reintegrato con mattoni nuovi, mentre per quanto riguarda la copertura, invece di ricostruire la cupola ottagonale andata distrutta, realizza una copertura a volta in doghe di legno lamellare da cui filtra la luce. Le scale, invece, di cemento armato, a mio avviso si inseriscono adeguatamente all'interno dell'edificio, in quanto, staccandosi dalla parete laterizia non vanno ad interrompere la continuità del muro.

Si tratta perciò di un esempio di notevole importanza in cui antico e nuovo dialogano e si integrano tra loro e in cui i resti dell'antico permangono, vengono rispettati, salvaguardati e resi perciò fruibili.

Considerazioni sulla lezione “IL VALORE DELLA PERMANENZA”

Noi non inventiamo una nuova architettura ogni lunedi mattina”  Mies van der Rohe.

Quando si parla di permanenza si può pensare a diverse sfaccettature di questo termine, ma associandolo all’architettura, il significato si restringe in qualcosa che ha una continua presenza nel tempo. Il compito di un architetto è stato, è e sarà, inevitabilmente, legato al concetto di permanenza, che si tratti di un progettista, urbanista o restauratore. In tutte le discipline ci si andrà a scontrare, per forza di cose, con questa problematica, che porta a compiere una scelta: cosa far persistere nel tempo e come.

Aldo Rossi nella sua vita di architetto, affronta il concetto di permanenza, dando una sua  interpretazione, a questa problematica, direttamente nelle sue opere. Secondo Rossi, il compito dell’architetto è quello di studiare gli edifici della città, dedurre le tipologie di base su cui si sono formati e successivamente utilizzarli nella progettazione delle nuove strutture. Dietro a tutto ciò, vi è la nozione platonica secondo cui l’architettura è basata su una serie di forme ideali che sono distorte per adattarsi a situazioni particolari. Il procedimento di indagine cambia al momento del progetto, in cui si cerca di creare una trasformazione (che sia legata all’innovazione) mantenendo un forte rispetto verso la storia e la permanenza. La sua ispirazione all’architettura antica venne spesso fraintesa. Vi fu chi lo accusò di monumentalismo, persino di fascismo e di storicismo stilistico, senza capire come egli abbia invece assunto sulle proprie spalle, con la sua architettura, tutto il peso delle contraddizioni della storia dell' Europa. Per Rossi la forma era più durevole della funzione, e pertanto una teoria di architettura doveva prendere in considerazione l’aspetto della permanenza delle forme architettoniche. L’esempio più convincente di Rossi a supporto della sua tesi è il Palazzo della Ragione a Padova. Il Palazzo della Ragione era l'antica sede dei tribunali cittadini di Padova, ed è senz'altro la più importante architettura civile rimasta del Medioevo padovano. Fu eretto a partire dal 1218 e sopraelevato nel 1306 da Giovanni degli Eremitani, che gli diede la caratteristica copertura a forma di carena di nave rovesciata. Il piano superiore è occupato dalla più grande sala pensile del mondo, detto "Salone" (misura 81 metri per 27 ed ha un'altezza di 27 metri) con soffitto ligneo a carena di nave. L'edificio conserva ancora al piano terreno la destinazione commerciale per la quale è stato creato; il piano superiore, scomparsa la funzione di tribunale, è divenuto sede delle più importanti manifestazioni culturali cittadine ma, per la sua natura artistica e monumentale, è soprattutto museo di se stesso e come tale viene riconosciuto e vissuto.

Un altro personaggio italiano che ha segnato profondamente la storia dell’architettura italiana del 900 è sicuramente Franco Albini. Egli appartiene alla prima generazione di quegli architetti italiani che hanno saputo interpretare i più avanzati principi della modernità europea, alla luce della tradizione storica nazionale. Albini ha manifestato sempre la volontà di confrontarsi con la materia, piegandola alla dimensione artigianale, fino a comporre spazi costruiti “con l’aria e con la luce” declinati in opere urbane, oggetti di design, allestimenti espositivi e museali. Rappresenta un architetto che disegna il contemporaneo ma guarda al passato, del resto, lui stesso ammetteva di prendere spunto per i suoi progetti da architetture neoclassiche. Uno degli edifici che meglio esplica il suo modo di operare e le sue scelte è sicuramente il progetto per i grandi magazzini La Rinascente a Roma del 1957. L’edificio è costituito da sei piani fuori terra e tre sotterranei destinati ad impianti e servizi. La maglia strutturale è in ferro dal primo sotterraneo alla copertura. Il tamponamento, realizzato con pannelli prefabbricati in graniglia di granito e marmo rosso, è studiato per contenere le canalizzazioni degli impianti. Anche in questo edificio, dove il linguaggio architettonico si arricchisce degli esiti di una sempre più affinata ricerca tecnologica, è possibile leggere quel rapporto tra modernità e tradizione che è un tema costante nella riflessione di Franco Albini. La Rinascente si colloca nel contesto della città di Roma cogliendo una serie di suggestioni del suo ambiente e dei suoi colori e riferendosi alla tradizione storica dei palazzi rinascimentali e delle vicine mura aureliane.

Un personaggio che, a suo modo, continua questa ricerca personale di continuità con il passato è Josè Ignacio Linazasoro. Il filo conduttore che lega il percorso di Linazasoro è far risiedere nel progetto la capacità di definire una teoria in continuità con le architetture che lo hanno preceduto e con le questioni, sempre le stesse e quindi, inevitabilmente, senza tempo, a cui dare risposta. E’ solo nella capacità di affermare una continuità con l’architettura del passato che è possibile cogliere un pensiero autenticamente moderno. Viceversa il carattere più innovativo dell’architettura, e quindi la qualità del progetto, sta proprio nella capacità di rappresentare questa continuità, senza sentimentalismi o operazioni stilisticamente mimetiche, ma anche senza superficiali atteggiamenti modernisti che nascondono, dietro stupefacenti invenzioni tecnologiche, la propria vacuità. Un progetto che rappresenta significativamente l’approccio di Linazasoro verso l’architettura antica è l’intervento alla Escuelas Pias de San Fernando, un ampio progetto di riqualificazione del quartiere degradato di Lavapies, nel cuore di Madrid. Lo spazio urbano era dominato dalle rovine della chiesa, del complesso conventuale e del collegio di San Fernando, distrutti durante la guerra civile spagnola. Il progetto prevedeva il restauro della chiesa, priva di cupola e soggetta all’incuria, da adibire a biblioteca. Linazasoro compie la difficile scelta di conservare la struttura portante settecentesca, cogliendo suggestioni dai muri a vista e da alcuni lacerti di intonaco. L’intervento rilegge la preesistenza attraverso elementi fondamentali come l’uso di materiali differenti e l’illuminazione, che serve ad esaltarli. Per raggiungere questo scopo, il progettista realizza uno spazio dove le trame costruttive, sottolineate dalla luce naturale, costituiscono gli elementi espressivi del nuovo manufatto architettonico. Non ricostruisce la cupola, ma crea una copertura di legno lamellare, tagliata per consentire il passaggio della luce. Il fronte esterno costituisce un’interessante palinsesto che coniuga l’immagine a rudere della chiesa con l’inserimento di aperture, che segnano la nuova muratura in mattoni. Non mancano riferimenti ai resti di alcune parti decorative, che vengono esposte sul fronte principale con una sorta di riferimento archeologico. Tutta la “rovina” aveva bisogno di maggiore unitarietà e così è stato prescelto il mattone per cercare di ottenere un’immagine di forte coesione tra il nuovo e il vecchio. Si tratta di un materiale che, anche se non molto presente nel centro di Madrid, almeno nelle costruzioni posteriori al XVIII secolo, corrispondeva bene a questi impegnativi requisiti di uniformità. Si è cercato di mostrare la possibilità di integrazione tra ciò che è antico e il nuovo, a partire dal progetto.

“In un certo senso, ho voluto creare una continuità materica, ma con, allo stesso tempo, una discontinuità concettuale. Quando devo intervenire in un edificio storico, il mio intento è sempre di proporre un ordine nuovo in cui i resti dell’antico rimangano e vengano integrati nella costruzione recente.” Jose Ignacio Linazasoro.

Ciò che un architetto si trova a dover decidere al momento di intervenire su qualcosa di già costruito può portare a diverse scelte. Non è, obbligatoriamente, scontato approcciarsi all’antico con lo stesso linguaggio, materico o stilistico, per poterlo far sopravvivere in modo dignitoso e leggibile. Gli esempi che abbiamo analizzato ci fanno capire che non è necessaria una ricostruzione mimetica per rendere un’architettura ancora viva e fruibile. La scelta sta al progettista, si devono valutare attentamente tutte le possibili opzioni, cercando di tener presente il fine del progetto, ovvero conservare e tramandare un “valore” al futuro, con mezzi e modi che possono essere differenti e cambiare a seconda delle occasioni.