blog di Alessandra Cini

Il rigore di Franco Albini e la matericità di Josè Ignacio Linazasoro.

 

Il rigore, lo studio, il sacrificio, le idee. Sono questi i veri ingredienti di un buon progetto.

 Non uno schizzo apparentemente geniale buttato giù su un tovagliolo di carta in due minuti.

E questo Franco Albini lo sapeva bene. Figlio di un ingegnere si laureò in architettura nel 1929 al Politecnico di Milano, compiendo viaggi in Europa che gli permisero di conoscere personalmente personalità quali Le Corbusier e Mies Van Der Rohe. Era un architetto artigiano, non un’archistar.

 La sua attività fu caratterizzata da un estremo rigore e una evidente coerenza. Studiò molto da vicino le nuove tecnologie, sperimentando nuovi sistemi per utilizzarle e mostrò sempre un’accuratezza nei dettagli costruttivi. Inoltre fu sempre molto attento al rapporto con il contesto storico, evitando mimetismi e soluzioni finto-antiche, ma cercando di stabilire un dialogo con la preesistenza.

Ad esempio l’Albergo-rifugio Pirovano a Cervinia : una sorta di baita in legno con degli imponenti pilastri palesemente moderni. Questi due elementi dialogano armonicamente tra loro, senza far stridere l’accostamento tradizione-moderno.

Limitandosi ad esempi di rifunzionalizzazione e riuso, si possono citare due interventi : l’allestimento del Museo del Palazzo Bianco e il Museo del Tesoro della Cattedrale di S. Lorenzo a Genova.

Il primo è un palazzo genovese, distrutto in gran parte dalle bombe del 1942. Venne ricostruito nella sua facies settecentesca, e al suo interno si decise di inserire un nuovo polo museale. L’allestimento fu completamente affidato a Franco Albini. Il risultato fu di alto profilo, anche se sconvolse le attese più tradizionaliste. Albini voleva creare uno spazio pacato, in cui le opere potessero sia testimoniare la storia artistica, sia ritrovare una propria individualità.

L’allestimento fu caratterizzato da un’assoluta purezza : il rigore arrivò ad investire perfino le cornici dei quadri, rimosse quando ritenute non pertinenti. 

Appesi a tondini che scorrevano all’interno di guide in ferro, o sospesi su piantane tubolar, i quadri non deformavano mai le pareti, consentendo una lettura parallela dell’architettura del palazzo, esibita nella sua integra completezza.

 Evitò per questo arredi fissi e progettò lui stesso i supporti per le opere.

 Utilizzò rocchi, basi e capitelli originali romani come piedistalli per alcune opere;  questo sollevò numerose critiche per l’audace accostamento antico-moderno. Scatenarono disaccordi anche supporti cilindrici in acciaio, mobili e girevoli, accostati a frammenti di marmo. Era sempre il rapporto tra l’antico e il moderno che strideva per la critica di allora, anche se Argan lodò la disposizione affermando una “eccellente innovazione nei sistemi di presentazione dei frammenti di scultura”.

Studiò molto anche la luce : per quella artificiale realizzò delle semplici barre metalliche, sospese a mezz’aria, con tubi a catodo freddo che descrivevano una sorta di linea luminosa nelle sale. Per alcune statue scelse un’illuminazione più drammatica puntando direttamente dei proiettori sulle opere.

L’intervento per il Museo del Tesoro di s. Lorenzo a Genova fu definito da Luigi Benevolo un’ “opera eccellente”. Era evidente l’attenzione nell’inserirsi in un ambiente storico costruito.

Albini riuscì a creare un ambiente suggestivo ed evocativo per custodire gli oggetti preziosi legati al culto della cattedrale e alla storia della città. Riuscì a produrre una delle più armoniche soluzioni museografiche di tutta la scuola italiana. Lo spazio da dedicare al museo era nel vano ipogeo della cattedrale genovese.

Lo schema planimetrico era costituito da tre camere circolari di diverso diametro, illuminate zenitalmente e collegate tra loro da brevi tratti rettilinei. Vi era un uso rigoroso della geometria che metteva in relazione gli spazi. Questa geometria era esplicitata dal disegno della pavimentazione e dalla giacitura dei travetti in cemento del solaio, lasciati a vista. Questi, infatti, erano disposti radialmente attorno ad un oculo luminoso che coronava le camere circolari. L’effetto complessivo era di grande suggestione, con riferimenti anche a figurazioni barocche (luce mistica dall’alto). Era presente un’ideologia di coinvolgere l’immaginazione nell’esperienza visiva, con rimandi al tesoro nascosto, al culto dei morti, ai mondi ultraterreni, da sempre accostati al sottosuolo.

L’arredo è ridotto all’essenziale, interamente disegnato dallo stesso Albini.

Un altro modo di accostare l’antico al moderno può essere visto nelle opere di Josè Ignacio Linazasoro.

Linazasoro afferma di credere nell’architettura “vera e pura” e non in quella che si intravede nelle immagini mediatiche che vanno di moda. Preferisce l’espressione della materia, la sua definizione e la luce che deriva da essa. Progetta opere fortemente ancorate al sito.

Vede l’architettura come un’arte e un lavoro che lasciano un segno nel tempo, e non come una semplice espressione personale o qualcosa alla moda.

Si possono paragonare due suoi progetti diversi : la Biblioteca della U.N.E.D. (città universitaria di Madrid) e la Biblioteca de las Esculas Pìas, nel quartiere Lavapiès a Madrid.

La prima opera si è insediata in uno spazio libero, quindi Linazasoro ha avuto piena libertà di espressione, mantenendo comunque i materiali caratteristici della città universitaria madrilena, quali il laterizio e il legno.

La seconda invece si insedia nello storico quartiere popolare di Lavapiès, occupando lo spazio di un’antica chiesa del XVIII secolo, gravemente distrutta durante la guerra civile spagnola.

Si è posto quindi il problema di intergare il vecchio al nuovo. L’architetto ha scelto di operare mantenendo una continuità materica, ma operando una discontinuità concettuale : “Quando devo intervenire in un edifico storico, il mio intento è sempre di proporre un ordine nuovo in cui i resti dell’antico rimangano e vengano integrati nella costruzione recente”.

 Linazasoro vuole esaltare la potenzialità espressiva della rovina, e questo condiziona la scelta dei materiali per il nuovo edificio : i materiali adoperati sono più adatti ad uno spazio esterno più che interno.

La struttura non interferisce nella protezione e nella salvaguardia della rovina.

Utilizza il mattone come materiale di coesione tra nuovo e vecchio. “Il vero carattere dell’architettura moderna” afferma Linazasoro “è il materiale, dato che gli ordini classici hanno perso il loro significato”.

“Il mattone è un materiale nobile, legato alla terra, collaudato da migliaia di anni di esistenza, profondamente vicino all’espressione delle qualità materiche dell’architettura”.

Riflessioni sulle ultime lezioni del Modulo di Estimo

Quanto siamo disposti a pagare?

L’architettura è considerta una disciplina che combina perfettamente arte e scienza. Infatti un progetto non può che fondarsi su solide basi tecniche, per poi esprimersi grazie a connotazioni artistiche, estetiche e simboliche.

Questo accade nei progetti del nuovo, come in quelli di restauro.

Nella realtà però c’è un terzo fattore che infuenza un progetto, e che per importanza, purtroppo, è spesso il primo : il costo.

Il Modulo di Estimo serve, secondo me, proprio a questo : a svegliarci dal torpore in cui ci eravamo assopiti durante questi anni di studio, progettando grandiosi edifici, in aree libere, senza troppi vincoli per la fantasia, esagerando nell’uso di spazio, materiali e risorse.

Spesso, poi, il vero problema non è il costo di realizzazione, ma quello di mantenimento dell’opera, a cui nessuno sembra voler pensare e provvedere.

Così si riducono a brandelli edifici storici fondamentali per la nostra memoria e il nostro futuro, come la Palazzina di Adalberto Libera ad Ostia o la Casa delle Armi di Luigi Moretti al Foro Italico.

Eppure converrebbe a tutti preservare queste opere : agli studiosi per essere sicuri di tramandare opere fondamentali al futuro e per appianare lo stato di ansia e agitazione che si scatena nell’animo alla vista di un’opera di Libera ridotta in quello stato; ai “non addetti ai lavori” per il guadagno che vi possono avere (si pensi che il valore dell’immobile ostiense restaurato è passato 1500 €/mq a 5000 €/mq).

Sono state sperimentate varie soluzioni per trovare fondi per finanziare gli onerosi costi di restauro e manutenzione delle opere architettoniche.

La più eclatante è quella intrapresa per il Colosseo : praticamente affittare il bene immobile ad una impresa privata, che si occuperà personalmente di fornire fondi per il restauro dello stesso, in cambio dei diritti d’immagine e di pubblicità.

Non credo ci dovrebbe essere bisogno di arrivare a soluzioni così estreme pur di salvare un monumento.

Un ottimo approccio è quello del recupero funzionale di un edificio, in cui si può investire una certa somma di denaro, che poi potrà essere recuperata nel tempo mediante lo sfruttamento a pagamento. Rifunzionalizzare un edificio non è però cosa semplice : bisogna anzitutto farlo con criterio. La nuova funzione deve essere assolutamente combatibile con la morfologia del bene, altrimenti si rischia di fare ancora più danni.

Come succede attualmente allo Stadio dei Marmi al Foro Italico, in cui avvengono eventi di ogni tipo, arrivando a promuovere gare di sci su piste montate all’interno dell’arena.

Oppure allo Stadio Olimpico, che sta perdendo tutti i suoi mosaici pavimentali a causa del continuo passaggio di migliaia di persone che ogni domenica vanno a vedere la partita di calcio.

La stessa Casa delle Armi ha ospitato al suo interno funzioni poco adatte : è stata fino a poco fa sede del tribunale politico e carcere, subendo per questo trasformazioni poco congrue, che sono andate ad intaccare e rovinare l’organismo strutturale e la concezione spaziale originali.

Un esempio di rifunzionalizzazione e recupero di un antico edificio si può ritrovare nell’operazione che ha coinvolto il Teatro di Cartagena. L’intervento è ad opera di Rafael Moneo, il quale è intervenuto non solo sull’antico teatro romano ma anche nella zona urbana circostante, inglobando l’antica struttura in un progetto più complesso e organico. Moneo però ha deciso di non ridonare la funzione di teatro, come invece era successo pochi anni prima al Teatro di Sagunto (intervento ad opera di Giorgio Grassi e Manuel Portaceli su progetto del 1985, ancora oggi molto criticato), ma di adibirlo a museo della storia della città.

Io spero ci siano valide alternative alla “demolizione” invocata da Paolo Marconi per situazioni disperate di edifici storici.

 Il valore della permanenza è per me fondamentale : l’uomo basa la maggior parte dei suoi studi su esperienze empiriche, su ciò che può vedere, toccare, confrontare; non bastano documenti fotografici o scritti.

Per questo è importante riuscire a tramandare il più possibile al futuro, per far sì che la conoscenza della storia architettonica sia pari all’ attuale, se non maggiore.

Ogni volta che si sceglie di conservare un’opera si esprime un giudizio, attribuendogli uno specifico valore, anche economico.

E alla domanda : “Quanto siamo disposti a pagare?” io forse risponderei che sono disposta, per il valore della permanenza, ad avere per 15 anni, davanti agli occhi, la pubblicità della Tod’s appesa al Colosseo. Se questo è il prezzo da pagare per tramandare un’opera tanto grandiosa al futuro per altri 2000 anni, io sono disposta a pagarlo.