Josè Ignacio Linazasoro

Il rigore di Franco Albini e la matericità di Josè Ignacio Linazasoro.

 

Il rigore, lo studio, il sacrificio, le idee. Sono questi i veri ingredienti di un buon progetto.

 Non uno schizzo apparentemente geniale buttato giù su un tovagliolo di carta in due minuti.

E questo Franco Albini lo sapeva bene. Figlio di un ingegnere si laureò in architettura nel 1929 al Politecnico di Milano, compiendo viaggi in Europa che gli permisero di conoscere personalmente personalità quali Le Corbusier e Mies Van Der Rohe. Era un architetto artigiano, non un’archistar.

 La sua attività fu caratterizzata da un estremo rigore e una evidente coerenza. Studiò molto da vicino le nuove tecnologie, sperimentando nuovi sistemi per utilizzarle e mostrò sempre un’accuratezza nei dettagli costruttivi. Inoltre fu sempre molto attento al rapporto con il contesto storico, evitando mimetismi e soluzioni finto-antiche, ma cercando di stabilire un dialogo con la preesistenza.

Ad esempio l’Albergo-rifugio Pirovano a Cervinia : una sorta di baita in legno con degli imponenti pilastri palesemente moderni. Questi due elementi dialogano armonicamente tra loro, senza far stridere l’accostamento tradizione-moderno.

Limitandosi ad esempi di rifunzionalizzazione e riuso, si possono citare due interventi : l’allestimento del Museo del Palazzo Bianco e il Museo del Tesoro della Cattedrale di S. Lorenzo a Genova.

Il primo è un palazzo genovese, distrutto in gran parte dalle bombe del 1942. Venne ricostruito nella sua facies settecentesca, e al suo interno si decise di inserire un nuovo polo museale. L’allestimento fu completamente affidato a Franco Albini. Il risultato fu di alto profilo, anche se sconvolse le attese più tradizionaliste. Albini voleva creare uno spazio pacato, in cui le opere potessero sia testimoniare la storia artistica, sia ritrovare una propria individualità.

L’allestimento fu caratterizzato da un’assoluta purezza : il rigore arrivò ad investire perfino le cornici dei quadri, rimosse quando ritenute non pertinenti. 

Appesi a tondini che scorrevano all’interno di guide in ferro, o sospesi su piantane tubolar, i quadri non deformavano mai le pareti, consentendo una lettura parallela dell’architettura del palazzo, esibita nella sua integra completezza.

 Evitò per questo arredi fissi e progettò lui stesso i supporti per le opere.

 Utilizzò rocchi, basi e capitelli originali romani come piedistalli per alcune opere;  questo sollevò numerose critiche per l’audace accostamento antico-moderno. Scatenarono disaccordi anche supporti cilindrici in acciaio, mobili e girevoli, accostati a frammenti di marmo. Era sempre il rapporto tra l’antico e il moderno che strideva per la critica di allora, anche se Argan lodò la disposizione affermando una “eccellente innovazione nei sistemi di presentazione dei frammenti di scultura”.

Studiò molto anche la luce : per quella artificiale realizzò delle semplici barre metalliche, sospese a mezz’aria, con tubi a catodo freddo che descrivevano una sorta di linea luminosa nelle sale. Per alcune statue scelse un’illuminazione più drammatica puntando direttamente dei proiettori sulle opere.

L’intervento per il Museo del Tesoro di s. Lorenzo a Genova fu definito da Luigi Benevolo un’ “opera eccellente”. Era evidente l’attenzione nell’inserirsi in un ambiente storico costruito.

Albini riuscì a creare un ambiente suggestivo ed evocativo per custodire gli oggetti preziosi legati al culto della cattedrale e alla storia della città. Riuscì a produrre una delle più armoniche soluzioni museografiche di tutta la scuola italiana. Lo spazio da dedicare al museo era nel vano ipogeo della cattedrale genovese.

Lo schema planimetrico era costituito da tre camere circolari di diverso diametro, illuminate zenitalmente e collegate tra loro da brevi tratti rettilinei. Vi era un uso rigoroso della geometria che metteva in relazione gli spazi. Questa geometria era esplicitata dal disegno della pavimentazione e dalla giacitura dei travetti in cemento del solaio, lasciati a vista. Questi, infatti, erano disposti radialmente attorno ad un oculo luminoso che coronava le camere circolari. L’effetto complessivo era di grande suggestione, con riferimenti anche a figurazioni barocche (luce mistica dall’alto). Era presente un’ideologia di coinvolgere l’immaginazione nell’esperienza visiva, con rimandi al tesoro nascosto, al culto dei morti, ai mondi ultraterreni, da sempre accostati al sottosuolo.

L’arredo è ridotto all’essenziale, interamente disegnato dallo stesso Albini.

Un altro modo di accostare l’antico al moderno può essere visto nelle opere di Josè Ignacio Linazasoro.

Linazasoro afferma di credere nell’architettura “vera e pura” e non in quella che si intravede nelle immagini mediatiche che vanno di moda. Preferisce l’espressione della materia, la sua definizione e la luce che deriva da essa. Progetta opere fortemente ancorate al sito.

Vede l’architettura come un’arte e un lavoro che lasciano un segno nel tempo, e non come una semplice espressione personale o qualcosa alla moda.

Si possono paragonare due suoi progetti diversi : la Biblioteca della U.N.E.D. (città universitaria di Madrid) e la Biblioteca de las Esculas Pìas, nel quartiere Lavapiès a Madrid.

La prima opera si è insediata in uno spazio libero, quindi Linazasoro ha avuto piena libertà di espressione, mantenendo comunque i materiali caratteristici della città universitaria madrilena, quali il laterizio e il legno.

La seconda invece si insedia nello storico quartiere popolare di Lavapiès, occupando lo spazio di un’antica chiesa del XVIII secolo, gravemente distrutta durante la guerra civile spagnola.

Si è posto quindi il problema di intergare il vecchio al nuovo. L’architetto ha scelto di operare mantenendo una continuità materica, ma operando una discontinuità concettuale : “Quando devo intervenire in un edifico storico, il mio intento è sempre di proporre un ordine nuovo in cui i resti dell’antico rimangano e vengano integrati nella costruzione recente”.

 Linazasoro vuole esaltare la potenzialità espressiva della rovina, e questo condiziona la scelta dei materiali per il nuovo edificio : i materiali adoperati sono più adatti ad uno spazio esterno più che interno.

La struttura non interferisce nella protezione e nella salvaguardia della rovina.

Utilizza il mattone come materiale di coesione tra nuovo e vecchio. “Il vero carattere dell’architettura moderna” afferma Linazasoro “è il materiale, dato che gli ordini classici hanno perso il loro significato”.

“Il mattone è un materiale nobile, legato alla terra, collaudato da migliaia di anni di esistenza, profondamente vicino all’espressione delle qualità materiche dell’architettura”.

Considerazioni sulla lezione “IL VALORE DELLA PERMANENZA”

Noi non inventiamo una nuova architettura ogni lunedi mattina”  Mies van der Rohe.

Quando si parla di permanenza si può pensare a diverse sfaccettature di questo termine, ma associandolo all’architettura, il significato si restringe in qualcosa che ha una continua presenza nel tempo. Il compito di un architetto è stato, è e sarà, inevitabilmente, legato al concetto di permanenza, che si tratti di un progettista, urbanista o restauratore. In tutte le discipline ci si andrà a scontrare, per forza di cose, con questa problematica, che porta a compiere una scelta: cosa far persistere nel tempo e come.

Aldo Rossi nella sua vita di architetto, affronta il concetto di permanenza, dando una sua  interpretazione, a questa problematica, direttamente nelle sue opere. Secondo Rossi, il compito dell’architetto è quello di studiare gli edifici della città, dedurre le tipologie di base su cui si sono formati e successivamente utilizzarli nella progettazione delle nuove strutture. Dietro a tutto ciò, vi è la nozione platonica secondo cui l’architettura è basata su una serie di forme ideali che sono distorte per adattarsi a situazioni particolari. Il procedimento di indagine cambia al momento del progetto, in cui si cerca di creare una trasformazione (che sia legata all’innovazione) mantenendo un forte rispetto verso la storia e la permanenza. La sua ispirazione all’architettura antica venne spesso fraintesa. Vi fu chi lo accusò di monumentalismo, persino di fascismo e di storicismo stilistico, senza capire come egli abbia invece assunto sulle proprie spalle, con la sua architettura, tutto il peso delle contraddizioni della storia dell' Europa. Per Rossi la forma era più durevole della funzione, e pertanto una teoria di architettura doveva prendere in considerazione l’aspetto della permanenza delle forme architettoniche. L’esempio più convincente di Rossi a supporto della sua tesi è il Palazzo della Ragione a Padova. Il Palazzo della Ragione era l'antica sede dei tribunali cittadini di Padova, ed è senz'altro la più importante architettura civile rimasta del Medioevo padovano. Fu eretto a partire dal 1218 e sopraelevato nel 1306 da Giovanni degli Eremitani, che gli diede la caratteristica copertura a forma di carena di nave rovesciata. Il piano superiore è occupato dalla più grande sala pensile del mondo, detto "Salone" (misura 81 metri per 27 ed ha un'altezza di 27 metri) con soffitto ligneo a carena di nave. L'edificio conserva ancora al piano terreno la destinazione commerciale per la quale è stato creato; il piano superiore, scomparsa la funzione di tribunale, è divenuto sede delle più importanti manifestazioni culturali cittadine ma, per la sua natura artistica e monumentale, è soprattutto museo di se stesso e come tale viene riconosciuto e vissuto.

Un altro personaggio italiano che ha segnato profondamente la storia dell’architettura italiana del 900 è sicuramente Franco Albini. Egli appartiene alla prima generazione di quegli architetti italiani che hanno saputo interpretare i più avanzati principi della modernità europea, alla luce della tradizione storica nazionale. Albini ha manifestato sempre la volontà di confrontarsi con la materia, piegandola alla dimensione artigianale, fino a comporre spazi costruiti “con l’aria e con la luce” declinati in opere urbane, oggetti di design, allestimenti espositivi e museali. Rappresenta un architetto che disegna il contemporaneo ma guarda al passato, del resto, lui stesso ammetteva di prendere spunto per i suoi progetti da architetture neoclassiche. Uno degli edifici che meglio esplica il suo modo di operare e le sue scelte è sicuramente il progetto per i grandi magazzini La Rinascente a Roma del 1957. L’edificio è costituito da sei piani fuori terra e tre sotterranei destinati ad impianti e servizi. La maglia strutturale è in ferro dal primo sotterraneo alla copertura. Il tamponamento, realizzato con pannelli prefabbricati in graniglia di granito e marmo rosso, è studiato per contenere le canalizzazioni degli impianti. Anche in questo edificio, dove il linguaggio architettonico si arricchisce degli esiti di una sempre più affinata ricerca tecnologica, è possibile leggere quel rapporto tra modernità e tradizione che è un tema costante nella riflessione di Franco Albini. La Rinascente si colloca nel contesto della città di Roma cogliendo una serie di suggestioni del suo ambiente e dei suoi colori e riferendosi alla tradizione storica dei palazzi rinascimentali e delle vicine mura aureliane.

Un personaggio che, a suo modo, continua questa ricerca personale di continuità con il passato è Josè Ignacio Linazasoro. Il filo conduttore che lega il percorso di Linazasoro è far risiedere nel progetto la capacità di definire una teoria in continuità con le architetture che lo hanno preceduto e con le questioni, sempre le stesse e quindi, inevitabilmente, senza tempo, a cui dare risposta. E’ solo nella capacità di affermare una continuità con l’architettura del passato che è possibile cogliere un pensiero autenticamente moderno. Viceversa il carattere più innovativo dell’architettura, e quindi la qualità del progetto, sta proprio nella capacità di rappresentare questa continuità, senza sentimentalismi o operazioni stilisticamente mimetiche, ma anche senza superficiali atteggiamenti modernisti che nascondono, dietro stupefacenti invenzioni tecnologiche, la propria vacuità. Un progetto che rappresenta significativamente l’approccio di Linazasoro verso l’architettura antica è l’intervento alla Escuelas Pias de San Fernando, un ampio progetto di riqualificazione del quartiere degradato di Lavapies, nel cuore di Madrid. Lo spazio urbano era dominato dalle rovine della chiesa, del complesso conventuale e del collegio di San Fernando, distrutti durante la guerra civile spagnola. Il progetto prevedeva il restauro della chiesa, priva di cupola e soggetta all’incuria, da adibire a biblioteca. Linazasoro compie la difficile scelta di conservare la struttura portante settecentesca, cogliendo suggestioni dai muri a vista e da alcuni lacerti di intonaco. L’intervento rilegge la preesistenza attraverso elementi fondamentali come l’uso di materiali differenti e l’illuminazione, che serve ad esaltarli. Per raggiungere questo scopo, il progettista realizza uno spazio dove le trame costruttive, sottolineate dalla luce naturale, costituiscono gli elementi espressivi del nuovo manufatto architettonico. Non ricostruisce la cupola, ma crea una copertura di legno lamellare, tagliata per consentire il passaggio della luce. Il fronte esterno costituisce un’interessante palinsesto che coniuga l’immagine a rudere della chiesa con l’inserimento di aperture, che segnano la nuova muratura in mattoni. Non mancano riferimenti ai resti di alcune parti decorative, che vengono esposte sul fronte principale con una sorta di riferimento archeologico. Tutta la “rovina” aveva bisogno di maggiore unitarietà e così è stato prescelto il mattone per cercare di ottenere un’immagine di forte coesione tra il nuovo e il vecchio. Si tratta di un materiale che, anche se non molto presente nel centro di Madrid, almeno nelle costruzioni posteriori al XVIII secolo, corrispondeva bene a questi impegnativi requisiti di uniformità. Si è cercato di mostrare la possibilità di integrazione tra ciò che è antico e il nuovo, a partire dal progetto.

“In un certo senso, ho voluto creare una continuità materica, ma con, allo stesso tempo, una discontinuità concettuale. Quando devo intervenire in un edificio storico, il mio intento è sempre di proporre un ordine nuovo in cui i resti dell’antico rimangano e vengano integrati nella costruzione recente.” Jose Ignacio Linazasoro.

Ciò che un architetto si trova a dover decidere al momento di intervenire su qualcosa di già costruito può portare a diverse scelte. Non è, obbligatoriamente, scontato approcciarsi all’antico con lo stesso linguaggio, materico o stilistico, per poterlo far sopravvivere in modo dignitoso e leggibile. Gli esempi che abbiamo analizzato ci fanno capire che non è necessaria una ricostruzione mimetica per rendere un’architettura ancora viva e fruibile. La scelta sta al progettista, si devono valutare attentamente tutte le possibili opzioni, cercando di tener presente il fine del progetto, ovvero conservare e tramandare un “valore” al futuro, con mezzi e modi che possono essere differenti e cambiare a seconda delle occasioni.