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Riflessioni sulle ultime due lezioni del modulo di Estimo: Recupero architettonico e i relativi costi

 

Il restauro architettonico può essere definito come quella branca dell'architettura il cui fine è garantire la conservazione di un manufatto architettonico, per valorizzarlo e consentirne il riuso, mantenendo però vivo il suo valore storico. Le diverse tendenze metodologiche che caratterizzano il restauro architettonico si fondano sull'esistenza di due posizioni fondamentali: una dedita alla conservazione assoluta dell'edificio storico nella situazione in cui si trova e l'altra che legittima quelle ricostruzioni, anche se consistenti, dell'opera così com'era e dov'era.

In quest'ottica s'inserisce un ulteriore tema, a mio avviso fondamentale, quello del rapporto tra l'organismo oggetto di restauro, l'antico, e il nuovo intervento, il moderno. Il mutuo contrasto tra restaurare e rinnovare. Del resto non si può intraprendere il mestiere di architetto se non si tiene bene a mente questo binomio. Accenno a queste tematiche viene fatto dall'architetto Renato Bonelli nella sua monografia Architettura e Restauro; qui l'architetto definisce il restauro come "un processo critico e creativo", il cui scopo sarà ridare all'antico la pregnanza, persa nei tempi, e adeguarlo alla nuova fruizione.

Ma prima di proseguire nel discorso, è doveroso osservare anche ciò che la legge stabilisce in materia di restauro. Nel dopoguerra la legge 457/78 all'articolo 31 da una definizione di quelli che sono gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, classificandoli in:

·       interventi di manutenzione ordinaria;

·       interventi di manutenzione straordinaria;

·       interventi di restauro e di risanamento conservativo;

·       interventi di ristrutturazione edilizia;

·       interventi di ristrutturazione urbanistica.

Ad ognuno di questi interventi fa capo un costo. Ma quando questo fa riferimento ad un intervento di restauro di manufatto antico, quanto si sarebbe disposti a pagare per lo stesso? Quanto vale, in termini di costi, la conservazione di una memoria storica? Credo che non si possa  quantificare come cifra. Che si parli di restauro (architettura come opera aperta), di ripristino (architettura come documento storico) o conservazione (architettura come documento storiografico) bisogna tenere bene a mente che abbiamo il diritto di tramandare l'architettura che ci è stata lasciata nei tempi. Nonostante definisca non quantificabile il costo che si dovrebbe essere disposti a pagare a tale fine, viene da sé che questo può essere vero solo nella soggettività di ognuno ma non nella realtà. Alla realtà dei fatti il recupero di un bene costa. La stima è però incerta a causa dell'eterogeneità delle variabili che definiscono il valore finale, esso è costituito da:

·       vincoli normativi;

·       stato di conservazione dell'immobile;

·       elementi di pregio architettonico;

·       tipologia di restauro;

·       materiali costruttivi originali;

·       configurazione planivolumetrica.

Ma cosa succede quando i costi di recupero sono così elevati da impossibilitare quel processo di recupero di una memoria? Quand'è che non si è più disposti a pagare per un intervento di restauro?

E' il caso ad esempio della Casa delle Armi realizzata nel 1933 dall'architetto Luigi Moretti. Colpito per anni da una sorta di dannatio memoriae a causa del suo dichiarato schieramento politico, vicino all'ideale fascista dell'epoca, tutto ciò che ricordava il Ventennio doveva essere cancellato. Solo in tempi recenti le sue opere sembrano essere poste sotto una nuova luce.

Negli anni una serie di devastazioni del Foro Italico hanno profondamente compromesso l'intero complesso. Nel 1974 la Casa delle Armi, uno degli edifici più importanti del Foro, viene sottoposta ad un intervento di manutenzione straordinaria per ridargli "nuova vita"; si decise di cambiargli destinazione d'uso destinando una parte a carcere e tribunale politico e un'altra a caserma dei carabinieri. Ben 7000 mc vengono costruiti all'interno di un'architettura che era stata concepita sulla scia della poetica dei vuoti. Forse una delle più gravi deturpazioni di un bene pubblico da parte di un'epoca la cui cultura architettonica si è rivelata più che superficiale. Proprio a causa di questa superficialità si è definito impossibile porre rimedio a tali danni, le nuove strutture hanno infatti irrimediabilmente corrotto la struttura originaria in cemento armato rendendo i costi di recupero altissimi.

Stessa sorte spetterà negli anni Novanta allo Stadio Olimpico. Costruito in occasione delle Olimpiadi del 1960, nel 1990 sarà pesantemente trasformato in occasione dei campionati. La struttura doveva essere al coperto, così verrà innalzata di 14m con una sovrastruttura reticolare in acciaio che comporterà la demolizione di gran parte dello stadio degli anni Sessanta. Una memoria deturpata in nome di un affare economico, una superfetazione, se mi è concesso il termine, di migliaia di metri quadri di cui solo 30000, destinati ad uffici, mai utilizzati.

Era davvero necessario agire in questo senso? Non era forse meglio conservare lo Stadio Olimpico di Luigi Moretti e realizzarne uno "ad hoc" solo per il calcio?

Ecco che si torna al concetto iniziale di valore storico e di rispetto dello stesso. Un architetto, a qualsiasi periodo storico appartenga, ha il dovere di documentarsi e approcciarsi ad un intervento di restauro con la giusta consapevolezza, al fine di poter così tramandare, a chi verrà, la stessa architettura che ha avuto il privilegio di conoscere per primo, senza eccessive e fuorvianti manipolazioni. A mio avviso è questo ciò che significa restauro e il confronto tra antico e moderno è proprio incentrato sul riuscire a far vivere un'opera antica grazie a interventi moderni lasciando la prima in grado di dialogare autonomamente.