Considerazioni sulle ultime lezioni: Permanenza storica e recupero

 

permanére v. intr. Rimanere durevolmente in una determinata condizione, senza variazioni o modificazioni.

permanènzas. f.  Continuità nel tempo

permanènte agg. Di cosa o situazione che si protrae nel tempo, spesso associata all’idea di stabile disponibilità o funzionalità oltre che alla pura e semplice dimensione della ‘durata’.

recuperare v. tr. Tornare in possesso di una cosa che era già propria o, in genere, che si era perduta.

G.Devoto, G. C. Oli, Dizionario della lingua italiana; Vocabolario Treccani: www.treccani.it

 

Permanenza storica e recupero. Alcuni esempi che mostrano diversi atteggiamenti possono aiutare a riflettere su questi temi.

Il progetto del Museo del Teatro Romano di Cartagena di R. Moneo ha riguardato la musealizzazione dei resti di un antico teatro romano, scoperto alla fine degli anni ’80, e dei reperti rinvenuti durante le campagne di scavo.

 “Per 1500 anni la città si era ‘dimenticata’ di questo teatro romano. Nel 1988, durante una campagna di scavi archeologici, si ritrovarono i resti dell’antico edificio pubblico: alla fine degli anni ’90 il teatro era quasi completamente liberato dalle costruzioni che nei secoli gli si erano sovrapposte. Delle successive stratificazioni si è conservata solo una parte della chiesa antica di Cartagena, duramente bombardata durante la guerra civile del 1939.” (dal sito http://fabiopravettoni.blogspot.it/2008/10/rafael-moneo-il-museo-archeologico-di.html )

L’intervento è stato quindi il recupero di un edificio antico,di un pezzo di storia perduto della città spagnola, di quella Carthago Nova fondata dai cartaginesi e poi diventata colonia romana.

Viene ora da chiedersi: che cosa è stata pronta a pagare, ovviamente non solo in termini economici, la città di Cartagena? Sicuramente nella decisione di riportare alla luce l’antico teatro è stato operato un atto critico, secondo il quale si è ritenuto più importante mostrare ciò che era in passato quel pezzo di città, musealizzandolo, piuttosto che lasciare inalterato lo sviluppo successivo, quell’architettura minore forse meno interessante ed attraente. Probabilmente una scoperta di tale portata può anche arrivare a giustificare una scelta di questo tipo, considerando anche il ritorno non solo economico ma anche culturale che essa può comportare.

Quello di Moneo è stato un intervento a scala urbana che ha messo in comunicazione parti diverse della città, inserendosi in modo esemplare nella sua orografia: il percorso museale infatti è concepito come una promenade che dal mare conduce sulla collina, dove si possono ammirare i resti romani

Il restauro del teatro aveva un fine didattico e culturale, volto alla comprensione del complesso da parte del visitatore. E’ stato necessario a questo scopo reintegrare alcune parti, senza però alterare l’aspetto d’insieme, scegliendo la strada della differenziazione eseguita con materiali compatibili per cromia e composizione.

L’inserimento delle rovine in un complesso monumentale dai tratti nuovi ma garbati fa comprendere come si possa conciliare l’antico con il contemporaneo, senza svalutare l’uno o l’altro ma al contrario dando nuova forza ad entrambi. Un atteggiamento attento come quello di R. Moneo, che in varie occasioni si è trovato ad operare su edifici del passato, è probabilmente la chiave per rispondere alla domanda di integrazione tra antico e contemporaneo, tra passato e presente. Ed in questo caso l’architetto l’ha fatto quasi in silenzio, senza disturbare, con un progetto perfettamente integrato nel contesto.

Atteggiamento diverso invece è quello seguito da P. Zumthor nel Kolumba Museum di Colonia.

Il museo sorge nel centro della città, in un luogo caratterizzato da una ricca stratificazione, con la quale era necessario confrontarsi. Il sito ospitava in origine una chiesa gotica che, distrutta durante il secondo conflitto mondiale, fu successivamente inglobata in una cappella; indagini archeologiche compiute negli anni ‘70 hanno anche messo in luce resti di precedenti edifici romani e medievali.

La continuità tra passato e presente è ciò che caratterizza il progetto di Zumthor: le architetture del passato sono inglobate nel nuovo edificio, rileggendo in chiave contemporanea quell’uso in continuità che è stato tipico dei secoli passati (basti pensare alla funzione residenziale assunta dal Teatro di Marcello o ai molteplici usi che si sono attribuiti nel tempo al Colosseo). La nuova costruzione si aggiunge all’antica, proseguendo i muri tardo gotici e seguendo il tracciato della chiesa originaria: non sono accentuate le cesure, si ricerca invece la maggiore integrazione possibile, arrivando a progettare un mattone ad hoc che si possa adattare al meglio ai resti medievali.

Il lavoro di Zumthor è attento e rispettoso, “teso a ritrovare il tempo della storia” senza però rimanere chiuso in rigide teorizzazioni che rischiano di immobilizzare la pratica.

 

I due casi finora visti dimostrano quindi che si può intervenire in modo positivo sull’antico senza rinnegarlo, al contrario si può garantire con il nuovo intervento la permanenza storica, una continuità non solo materica ma anche di memoria. Non è però solo verso l’antico che bisogna perseguire la ricerca di questa continuità. Interventi di manutenzione e recupero coscienzioso possono, o meglio, devono essere compiuti anche sull’architettura più recente, che rischia altrimenti di essere alterata in modo irrimediabile.

E’ questa infatti la situazione in cui riversava la Palazzina di Libera vista la scorsa volta e del più drammatico esempio della Casa delle Armi di Moretti, costruita tra il 1933 e il 1936 nell’area meridionale del Foro Mussolini. Un’opera raffinata, caratterizzata da una struttura ardita e da un utilizzo sapiente dei materiali. Nel corso degli anni purtroppo gli usi a cui è stato adibito questo edificio hanno sempre di più negato la sua natura. Negli anni ‘80 diventò un tribunale politico e caserma dei Carabinieri: modifiche irrimediabili furono compiute all’interno per adeguare, o forse costringere, la struttura alle nuove funzioni. Altri interventi esterni danneggiarono il rivestimento marmoreo che un tempo conferiva quella monoliticità classica al complesso. L’inserimento di una rampa esterna per raggiungere l’aula bunker sotterranea stravolse anche l’intorno, prima caratterizzato da una forte orizzontalità.

La Casa delle Armi così come concepita da Moretti non esiste più. E’ un rudere moderno, stravolto nella sua natura: la permanenza storica, la continuità di significato, del valore artistico e culturale sono ormai scomparse a causa di riusi fuori controllo. Dalle immagini successive alla costruzione si vede un edificio completamente diverso, per non parlare dell’intorno in cui è inserito.  Tutta la zona del Foro ha subito cambiamenti di funzione, a volte più compatibili, atre sicuramente meno. La Casa delle Armi è però tra i casi più eclatanti di deturpazione.

Qual è l’atteggiamento da assumere? C’è chi propone con preoccupazione la demolizione, cercando al tempo stesso di smuovere gli animi. Numerosi sono stati gli appelli di architetti e non per un intervento, per il recupero di questa architettura che ormai sta morendo.  

Di sicuro ciò che emerge da questa situazione è la necessità di adoperarsi, non solo per il patrimonio artistico antico ma anche per quello più recente, prima che troppo tardi; iniziando a chiedersi anche in questa situazione cosa siamo disposti a pagare, a sacrificare. Per quanto riguarda l’edificio della Casa delle Armi ciò che stiamo perdendo è parte della nostra storia.