restauro

modulo di estimo alla laurea specialistica in restauro

Considerazioni sulle lezioni di estimo

Venerdì scorso abbiamo affrontato il tema del foro italico, analizzando le varie trasformazioni dei singoli edifici e il loro utilizzo nel tempo. Ci siamo principalmente concentrati sulla figura di Luigi Moretti, fino a pochi anni fa criticato aspramente in quanto ritenuto un architetto di committenza. Il Foro italico infatti fu interamente finanziato dallo Stato nel 1933. Di Moretti abbiamo principalmente analizzata la casa delle armi, l’edificio sarebbe dovuto divenire la sede degli allenamenti di scherma, ma non entrò mai pienamente in funzione e nel 1974 venne trasformato nella sede del tribunale politico, con tanto di carcere, venne recintata e nella zona della biblioteca venne posta la caserma dei carabinieri, oggi spostata. All’interno vennero costruite 7000 mc di cemento e acciaio, alterando irrimediabilmente la struttura dell’edificio. Gli interventi all’esterno consistettero nella costruzione di una recinzione, mentre i paramenti in marmo, ormai instabili, vennero riattaccati alla facciata in malo modo, tanto da alterarne definitivamente l’immagine. Inoltre venne scavata una trincea per consentire alle auto di entrare direttamente nei luoghi del tribunale in sicurezza.

Oggi la struttura è completamente fatiscente in avanzato stato di degrado, tanto che le stime per un eventuale restauro sono molto alte, all’incirca 15 milioni di euro, tanto che alcuni ipotizzano sia meglio la demolizione dell’edificio.

Un altro edificio analizzato è lo stadio Olimpico di Annibale Vitellozzi realizzato negli anni cinquanta del novecento, sennonché in occasione delle Olimpiadi del 1960 vennero apportate delle modifiche sostanziali che hanno finito per alterarne il carattere dell’impianto, con la costruzione al di sopra di 14 m di copertura dello stadio anziché costruirne uno nuovo.

Oggi la lezione è iniziata con la lettura di alcuni brani tratti da “Architettura e restauro” di Bonelli, trattando alcuni temi, come quello dei costi del recupero, o il restauro come forma di cultura, ma anche il rapporto tra il vecchio e il nuovo.

La lezione di oggi verteva principalmente sul chiarimento di alcuni concetti fondamentali, ovvero quelli di manutenzione, conservazione, ripristino e restauro, analizzati sia dal punto di vista legislativo, in particolare la legge 457//78, articolo 31, e le definizioni del dizionario. Con il primo termine, manutenzione intendiamo quegli interventi volti alla prevenzione dei danni dovuti a varie cause, che può comportare anche modificazioni materiche e morfologiche. Per conservazione intendiamo la preservazione di ciò che c’è. Mentre ripristino racchiude le operazioni volte a riportare un edificio al suo stato naturale, infine con restauro si intendono quegli interventi che nel rispetto degli elementi tipologici ne consentono destinazioni d’uso compatibili con esso.

La cosa fondamentale che dobbiamo chiederci è Quanto siamo disposti a pagare per queste operazioni? Mi piacerebbe poter rispondere “qualsiasi cosa”, ma la realtà è ben diversa, poiché sembra che oggi siano solo gli “addetti ai lavori” e pochi altri “dotti” a preoccuparsi degli effetti dell’incuria sugli edifici e spesso, quasi sempre, questi non dispongono dei finanziamenti necessari.

Questo argomento ci ha introdotto il tema della stima del costo del recupero, questo processo avviene tramite 1) un procedimento sintetico – comparativo, dove il costo viene desunto dal confronto con opere simili; 2)un procedimento analitico comparativo, qui il costo è determinato dall’analisi dei processi produttivi ela quantificazione monetaria di tutti i fattori produttivi; 3) procedimenti “misti”, ovviamente è una stima che si avvale di entrambe le ipotesi sopra citate.

Per quanto riguarda il rapporto tra antico e nuovo abbiamo visto alcuni esempi, come il restauro del Partenone, fortemente criticato perché gli interventi attuali stanno ricostruendo i singoli elementi in ogni sua parte, personalmente non lo trovo disdicevole come atteggiamento anche a fronte di due considerazioni, la prima inerente ad un’analisi storica dei precedenti restauri, che ha visto soprattutto sotto la direzione di Balanos, un intervento fortemente distruttivo a causa dell’uso di materiali incongrui, che ha comportato un repentino degrado degli elementi, che ha costretto i restauratori di oggi a dover sostituire alcuni elementi originali, altrimenti ancora funzionanti; la seconda considerazione invece riguarda un aspetto pratico della fruibilità dell’opera, in quanto credo che non tutti siano in grado di comprendere appieno i “ruderi”, e forse una chiara lettura delle architetture, almeno quelle più significative, potrebbe coinvolgere un pubblico più vasto e forse ciò potrebbe servire come auto finanziamento di altre opere.

Considerazioni sulle lezioni di Estimo svolte finora

 

E’, a mio avviso, molto interessante constatare come ogni lezione finora svolta abbia trattato un tema differente, ma ugualmente pertinente, nell’ambito dell’estimo e del restauro: il progetto di allestimento di un museo,  il restauro ben riuscito di una palazzina significativa come quella di Libera ad Ostia, il recupero invece probabilmente impossibile del Foro Italico, che rappresenta, purtroppo, un esempio di deturpazione di un Bene Pubblico.

Mi ha sinceramente colpito la duplice visita a Palazzo Massimo alle Terme, in cui è stato possibile  capire, grazie alla grande disponibilità degli architetti Stefano Cacciapaglia e Carlo Celia e dell’ingegnere Arianna Vicari, quali siano gli obiettivi  che  si pongono di fronte a chi intraprende un’opera di rifunzionalizzazione, tema caro a noi studenti che abbiamo deciso di fare del Restauro la nostra scelta di vita. E’ infatti innanzitutto indispensabile la lettura e la comprensione del luogo in cui si opera, e trasmettere la sensazione che il manufatto non potrebbe trovarsi in un posto diverso da quello in cui si è scelto di collocarlo ( “bisogna  appaesare l’opera d’arte”, ci disse Carlo Celia ). Non si possono poi certo trascurare i costi di costruzione e di gestione, che devono anche prevedere quelli che saranno i successivi costi di manutenzione, e che, specie in casi come questo, vanno rispettati e mantenuti immutati. Il costo complessivo è stato di poco superiore ai 500.000 € e il lavoro ha riguardato una superficie di 600 mq e circa 70 opere d’arte.

L’intervento nella Sala del Teatro è sicuramente quello che mi ha più affascinato, in quanto ho riscontrato notevoli miglioramenti rispetto alla situazione in cui verteva la stanza prima dei lavori. La maggior parte delle statue si presentava infatti ai visitatori dalla parte posteriore e non era possibile la piena lettura delle sculture, a causa del colore chiaro delle pareti e dei sostegni, che si confondevano con il marmo dei monumenti. Si è così proceduto innanzitutto con l’ideazione di un percorso organico e di una diversa collocazione  delle opere, in modo tale da attribuire ad ognuna di esse il giusto valore. In secondo luogo non solo è stato dato un colore scuro alle pareti,  ma sono anche state rivestite le marmoree basi delle statue. Infine, per risolvere i problemi di illuminazione, è stato inserito un controsoffitto nero, composto da originali elementi illuminanti, fatti con pannelli componibili in PVC.

L’architetto Roberta Rinaldi ci ha invece raccontato la sua esperienza riguardante il restauro della Palazzina di Adalberto Libera, collocata ad Ostia. I lavori sono risultati abbastanza difficili, a causa soprattutto dei proprietari degli appartamenti, molto poco disposti a spendere soldi per migliorare la qualità del posto in cui vivono. Ma i risultati sono stati grandiosi: l’edificio valeva nel 1999 1.500 € al mq, mentre adesso è salito a 5.000 € al mq. Questo credo possa darci un’idea di quanto la nostra attività possa portare, se svolta bene, grandi benefici.

L’operazione, trattandosi di una struttura di proprietà privata, ha riguardato la facciata e gli spazi comuni, mentre non ha potuto interessare elementi come gli infissi, su cui invece sarebbe stato utile poter intervenire, a causa del dissenso dei proprietari. In realtà il vincolo paesaggistico presente nella zona vietava anche l’intervento sulle parti esterne, ma in questo caso è stato possibile intraprendere l’opera perché si è garantito il rifacimento allo Stato normale, tramite l’ausilio dei disegni originali dell’autore. Come in ogni intervento accade, i problemi durante il cantiere non sono di certo mancati, anche perché si trattava di un edificio molto vicino al mare. E’ stato necessario, per esempio, rifare per due volte le ringhiere, poiché la prima volta il fabbro ha usato ferro pre-zincato e di conseguenza la zincatura è saltata dopo pochi mesi e sono usciti punti di ruggine. In prossimità del mare è infatti opportuno utilizzare ferro zincato a caldo e verniciato a polvere, perché, nonostante questa procedura richieda certamente costi più elevati, garantisce di contro maggiore resistenza. Altra faccenda complicata riguardava la facciata, la quale, oltre a presentare un colore che non corrispondeva a quello originale di Libera, era in forte stato di degrado, a causa degli erronei interventi di manutenzione straordinaria degli anni ’70-’80, durante i quali era stato utilizzato il quarzo plastico, materiale che creava un film che dava compattezza all’insieme, ma che non faceva traspirare il muro, tanto che questo era successivamente “esploso”, aprendo  vari buchi. E’ stato quindi necessario spicconare la parete per levare lo strato di intonaco e inserirne uno nuovo, il quale, a sua volta, ha mostrato cavillature. Il gruppo Kerakon, ovvero la ditta fornitrice, ha però in questo caso fornito il materiale per risolvere il problema. Attraverso indagini e varie analisi di colore, oltre al bianco della facciata, si  è deciso di utilizzare una specifica tonalità di blu sotto i balconi, già usata da Libera nei soffitti di altre palazzine.

Il totale dei costi per il lavoro è stata di circa 200.000 €, nei quali non è stato facile rientrare, sia a causa del doppio appalto che delle problematiche, come quelle elencate, riscontrate in corso d’opera. Sta ovviamente all’abilità dei progettisti trovare i giusti espedienti per rientrare nelle cifre stabilite, portanto comunque ad un risultato di qualità.

L’ultimo esempio analizzato è stato quello del Foro Italico, che nasce dall’idea politica di costruire impianti dedicati alla mistica fascista. Doveva essere infatti un luogo in cui rappresentare i vari aspetti dell’ideologia: quello sociale, quello politico e anche quello ludico. Si trattava di un’Opera Pubblica, finanziata interamente dallo Stato, collocata in un posto in cui era possibile “adeguarsi alla natura”, alla maniera dei Greci, che, al contrario dei Romani, i quali si sviluppavano in alzato, tendevano a scendere verso gli invasi naturalistici, così come succedeva alle pendici della collina di Monte Mario. Il progetto di Enrico Del Debbio per lo Stadio dei Cipressi prevedeva per l’appunto un impianto che si adeguava al degradare del colle, ma, come in molti casi avviene, alla fine non fu realizzato, e lo scopo per cui era stato scelto quel sito non venne  compiuto.

Alla realizzazione del Foro di Mussolini ha largamente contribuito Luigi Moretti, personaggio per lungo tempo considerato “ingombrante”, in quanto facente parte della destra economica italiana, e al giorno d’oggi rivalutato. Egli ideò nel 1933 la Casa delle Armi, un edificio straordinario, che aveva nella sua concezione architettonica il senso del vuoto e dei giochi di luce: si trattava infatti di volumi vuoti, in cui la luce, radente o soffusa, illuminava la pietra. Questo concetto è però nel corso degli anni stato aggredito, attraverso l’attribuzione di una funzione incongrua. Nel 1974, in un periodo in cui l’avversione per il Fascismo si estendeva anche alla sua intera architettura, la costruzione fu destinata a tribunale politico. Al suo interno vennero edificati 7.000 mc e furono così colmati quei vuoti, tanto voluti dall’autore, per farne un recettacolo di nuove funzioni. Inoltre si è scavata una trincea per costruire un garage, ed è evidente che si tratta di un danno a cui non si può porre rimedio, un danno che ha irrimediabilmente compromesso l’integrità di un Bene così prezioso. Il restauro di questo pezzo di storia della nostra città, infatti, verrebbe a costare circa 15 miliardi di euro! Chi mai è disposto a spenderli?

Un altro esempio, certamente meno drammatico, di deturpazione all’interno del Foro è quello dello Stadio dei Marmi, diventato negli anni luogo di pubblicità, scenografia di eventi non idonei, oggetto di “degenerazioni d’uso”.

C’è poi lo Stadio Olimpico, opera di Annibale Vitellozzi, a cui le Olimpiadi del 1990 sono costate care: per quest’evento infatti, anzi per un'unica partita che è stata giocata al suo interno, l’opera è stata pesantemente trasformata. Sono infatti state costruite travi alte 14 metri e aggiunte delle parti che non sono più state tolte. E’ valsa la pena di “violentare” una testimonianza romana come l’Olimpico per avere dei profitti? Non sarebbe stato meglio costruire uno stadio appositamente per le Olimpiadi? Io credo di sì. Come credo sia assurdo inserire delle travi di acciaio che intaccano l’ossatura portante della Casa delle Armi solo per guadagnare spazi destinati agli uffici, o come penso sia da pazzi organizzare gare di sci allo Stadio dei Marmi. Ci sono dei limiti che non andrebbero superati, specie quando si tratta di processi irreversibili, che ledono la memoria collettiva.

La lezione di oggi e l’ultima parte della scorsa lezione hanno riguardato tematiche più teoriche, nozioni che è fondamentale avere per poter avere padronanza dell’estimo.

In occasione della discussione sul Foro Italico si è parlato di Opera Pubblica, ma cosa è esattamente un Bene Pubblico? Esso merita di documentazione d’archivio, di un progetto di valorizzazione e di una valutazione per scelte sostenibili. Abbiamo poi visto la distinzione tra Beni demaniali  e Beni  patrimoniali, per passare successivamente alla definizione di Fattibilità, che ha il fine di fornire indicazioni qualitative e quantitative che permettano di VALUTARE la convenienza di un progetto, sotto ogni punto di vista. Si tratta ovviamente di un’operazione molto delicata e complessa, soggetta all’elevata durata temporale del progetto e all’elevata incertezza che grava sui benefici e sui costi.

Infine si è parlato dei procedimenti di stima del costo di recupero, che sono di tre tipi: sintetico-comparativo, analitico-ricostruttivo e misto. Nel primo caso, quello forse che ha intrinsecamente più limiti, il costo dell’opera viene desunto dal suo confronto con opere simili di cui il costo è noto, ed è il metodo che abbiamo usato nel Laboratorio di progettazione architettonica e urbana 3. Nel secondo caso invece è determinato tramite l’analisi del processo produttivo e il computo metrico, e quindi si fa una classificazione, una misurazione e una determinazione dei prezzi unitari. Nel terzo caso il valore di costo è ottenuto aggregando elaborazioni di tipo analitico e passaggi di natura sintetica, e c’è quindi  una parte “a misura” e una parte “a corpo”. Naturalmente le fasi del costo di produzione sono diverse nell’eventualità in cui si parli di recupero e in quella in cui si parli di una nuova costruzione. Le fasi invece del costo di costruzione sono praticamente uguali nei due casi: si hanno la manodopera, i materiali, i noli e trasporti, le spese generali e l’utile dell’imprenditore. Ovviamente, nella condizione del recupero, il costo di costruzione non tiene conto solo della creazione di nuove strutture, ma anche  delle opere di demolizione, consolidamento, ripristino e sostituzione, e c’è un’elevata incidenza del fattore manodopera.

Ogni argomento affrontato finora ruota intorno al Restauro. Ma cosa si intende con questa parola? Che differenza c’è tra i termini Restauro, Manutenzione, Conservazione e Ripristino? Il professore ci ha riportato una definizione per ognuno di questi vocaboli, mettendoli a confronto in termini di modificazioni morfologiche e materiche. La manutenzione, il restauro  e il ripristino infatti le prevedono entrambe, mentre la conservazione ammette esclusivamente modificazioni materiche. La conservazione poi intende l’architettura come un documento storiografico, che deve rimanere allo stato di fatto, il ripristino la percepisce come documento storico, portatore di un messaggio inequivocabile. L’aspetto critico è lasciato tutto al restauro, che ha un’idea dell’architettura come OPERA APERTA, disponibile alle interpretazioni critiche. Il restauratore infatti deve formulare dei giudizi ed effettuare delle scelte, prendere una posizione netta. Anche Bonelli in “Architettura e Restauro”  parla del restauro come un “ processo critico e poi atto creativo”, un ciclo che si conclude con un giudizio. Che idea abbiamo del Restauro? Come intendiamo rapportarci all’antico? Il nostro percorso di studi deve portare ognuno di noi innanzitutto a formulare un proprio e personale pensiero al riguardo.

Il recupero in architettura

“Passato e presente nella buona arte si incontrano”. Così Peter Zumpthor si esprime in merito al progetto per il Kolumba Museum ideato a Colonia sui resti di una chiesa cattolica andata distrutta nel corso dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Con questo progetto, in cui moderno e antico si fondono, assistiamo ad un recupero di un’architettura di grande valore artistico, storico (al di sotto della chiesa sono state ritrovati negli anni ’70 resti di rovine romane, gotiche e medievali), ma soprattutto simbolico (la Madonna delle Rovine è stato considerata da molti un simbolo di speranza durante i dolorosi anni della ricostruzione post-bellica). Un progetto che dunque ha consentito di preservare le rovine di un’architettura  che rappresentano segni di una memoria sia del passato che della storia moderna.
Un’idea di recupero molto lontana da quella che possiamo ritrovare nel nostro paese, in cui spesso l’enorme patrimonio architettonico che ci circonda e che  necessiterebbe quanto meno di una continua manutenzione, è stato, e viene tuttora, “violentato” con interventi e/o eventi non congrui.
E’ il caso del Foro Italico, detto anche Foro Mussolini, un complesso sportivo che fungeva anche da scenario per le manifestazioni celebrative del regime, ideato nel ventennio fascista e realizzato da Enrico Del Debbio e Luigi Moretti. Finanziato interamente dallo Stato, il complesso di edifici rappresenta un bene pubblico che dunque deve essere valorizzato e reso fruibile alla collettività.
Gli edifici del Foro Italico, in particolare lo Stadio Olimpico e la Casa delle Armi, sono stati negli anni talmente manomessi e modificati da non permettere più di individuare il progetto originale.
Lo Stadio, realizzato negli anni ‘50 da Annibale Vitellozzi, raggiunse il momento di massimo fulgore in occasione delle Olimpiadi del 1960 durante le quali subì una serie di trasformazioni, tra cui l’eliminazione dei posti in piedi che ridusse la capienza effettiva a 65.000 spettatori. Ma gli interventi che ne alterarono drasticamente l’aspetto furono realizzati in vista dei Mondiali di calcio degli anni ’90: l'impianto fu quasi interamente demolito e ricostruito in cemento armato, ad eccezione della Tribuna Tevere ampliata con l'aggiunta di ulteriori gradinate. Un’inadeguata copertura, imposta dal CIO per coprire le tribune, stravolse completamente quella che era l’immagine originale del dopoguerra e ovviamente i costi degli interventi furono talmente cospicui che sarebbe stato più economico costruire un nuovo stadio.
Per quanto riguarda la Caserma della Armi il commento contenuto all’interno del libro “La forma violata” di Alessandra Nizzi e Marco Giunta, è quello che a mio parere sintetizza più adeguatamente gli effetti delle numerose devastazioni che hanno “aggredito” e completamente modificato architettonicamente e formalmente il progetto di Moretti del 1933: “La più clamorosa deturpazione di un bene pubblico, colpevole la superficialità della cultura architettonica, i cui riflessi negativi sono stati ampiamente sottovalutati”. Abbandonato per diversi anni a seguito della "damnatio memoriae" che ha accomunato molti architetti che hanno operato durante il fascismo, di cui Moretti era uno degli esponenti più illustri, l’edificio negli anni ’80 è stato trasformato in un bunker divenendo la sede per i processi al terrorismo di quegli anni e subendo delle radicali e probabilmente irreversibili modifiche che hanno snaturato completamente il progetto originale.
Di certo non possiamo parlare in questo caso di recupero di un’opera architettonica, intendendo per recupero un insieme di interventi e di trasformazioni che si integrano il più possibile nel rispetto dell'esistente (sia degli aspetti materiali e fisici che di quelli immateriali come il significato e la storia).
Cosa ne sarà di questo edificio tra qualche anno? Purtroppo temo che con moltissima difficoltà si potranno trovare i finanziamenti per ripristinare l’edificio così come era stato pensato da Moretti pur essendoci documenti di archivio che lo permetterebbero. Dovrebbe essere per questo demolito? Oppure bisognerebbe conservare lo stato di fatto in modo che diventi monito e testimonianza di come interventi superficiali, che trascurano il significato storico e architettonico di un edificio, possano trasformare irreversibilmente un’architettura?
Per cui la alla domanda su quando intervenire con una manutenzione, piuttosto che con un intervento di conservazione o di ripristino o di restauro, la risposta dipende da una serie complessa e lunga di fattori, tra i quali il contesto nel quale ci si trova, l’opera architettonica con la quale abbiamo a che fare, ma anche le risorse economiche a disposizione. Purtroppo la mancanza di risorse non consente, sempre e ovunque, di conservare il nostro patrimonio e di restaurare o ripristinare edifici che hanno subito delle trasformazioni che ne hanno alterato il significato architettonico.
Molti danni, ad esempio, sono stati prodotti dall’uso incosciente del calcestruzzo che comporta una continua e periodica manutenzione, oltre ovviamente a non rispettare i concetti di compatibilità con i materiali originali e di reversibilità che si sono affermati solamente negli ultimi anni.
La presenza della storia non sempre però preclude l’inserimento del “nuovo”, anzi, a volte, l’”antico” può essere esaltato e valorizzato dal “moderno”. Qui torniamo al progetto di Zumpthor del Kolumba Museum di cui ho parlato in precedenza: in un contesto del genere, in cui il ripristino sarebbe stato eccessivo e la conservazione non avrebbe fino in fondo esaltato le rovine in una città moderna, quasi completamente ricostruita dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, il progetto di Zumpthor dà valore ai resti della rovine, pur rispettando il progetto originario.
E in una città diversa come Roma, fortemente stratificata, sarebbe giusto e possibile un progetto del genere? Il nostro patrimonio è talmente vasto e versa a volte in tali condizioni di degrado per cui, in presenza di risorse, in primo luogo è doveroso procedere a lavori di conservazione e manutenzione, e poi forse, non ovunque, ma soprattutto con molta cautela e consapevolezza, si potrebbe combinare l’”antico” con il “moderno”.
 

 

PRIME IMPRESSIONI SULLA FATTIBILITA': I casi del Palazzo Massimo alle Terme e della palazzina di Libera ad Ostia

Nell'ambito del Restauro Architettonico,  il tema della fattibilità è uno degli aspetti più delicati e vincolanti, che si tratti di un progetto di restauro di un'opera pubblica o di una privata. In una città complessa come Roma, ricca di molteplici memorie storico-artistiche, è facile imbattersi in situazioni particolari e difficili che, anche nel loro piccolo, possono rappresentare un unicum o comunque un ottimo principio di novità. Qualsiasi sia la realtà con cui ci si confronta, bisogna sempre essere consapevoli che essa non è solo un espediente progettuale ma un delicato sistema di pesi e misure differenti in equilibrio tra loro.

L'intervento all'interno di Palazzo Massimo alle Terme si imposta proprio con quel principio di novità. Qui è possibile vedere l'intero iter di un progetto al limite tra il restauro e la progettazione, la riqualificazione e l'allestimento.  Contrariamente ai cantieri di costruzione che siamo abituati a vedere, il cantiere d'allestimento presenta due saldi vincoli: la data d'inaugurazione e i costi. Su questo due si deve basare tutto:  dalla più semplice disposizione di un pannello alla più complicata struttura, e perfino l'imprevisto. E' in quest'ottica che gli architetti Stefano Cacciapaglia e Antonio Celia si sono mossi. Bisognava dare nuova vita ad alcune sale del Museo rispettando i caratteri propri dell'edificio, senza alterare la memoria dei restauri condotti da Costantino Dardi. Per questo si è scelto di operare un allestimento il più discreto possibile: le opere d'arte sono le vere protagoniste e nient'altro. E' così che un intonaco grigio viene scelto per far risaltare il bianco delle statue, eliminando la monotonia data dal vecchio colore bianco; per ovviare ai problemi d'illuminazione sono stati realizzati corpi illuminanti leggerissimi, in pannelli componibili in PVC, che illuminano, come macchine teatrali, le opere d'arte valorizzandole al massimo. Tutto in funzione dell'opera e tutto in funzione dei costi. L’intervento complessivo ha avuto un costo intorno ai 500.000 €, di cui 300.000 ca. destinati all'allestimento vero e proprio (materiali e ristrutturazioni), 100.000 per l'illuminazione e il resto per la movimentazione delle statue. Non poco per un intervento simile, ma si è pur sempre di fronte ad un caso di allestimento permanente, che interessa 600 mq di museo e circa 70 opere.

Anche l'architettura privata deve entrare in questi meccanismi di necessità e restrizioni. E' il caso, ad esempio, dellapalazzina di Libera degli anni '30 sul lungomare di Ostia. Il progetto di restauro è stato condotto dall'architetto Roberta Rinaldi, la quale si è trovata di fronte ad una situazione pressoché drammatica. A causa della totale noncuranza da parte degli inquilini, dell'aggressività del clima marino e di errori commessi in un precedente restauro, la casa si presentava in uno stato di completa fatiscenza. Problemi di vincoli paesaggistici e mancanza di fondi hanno spinto, sin da subito, l'architetto ad operare delle scelte, dettate anche da numerosi problemi presentatisi in corso d'opera. Le ringhiere fronte mare, per esempio, sono state rifatte per ben due volte: realizzate inizialmente in ferro pre-zincato lavorato a caldo, già dopo due mesi presentavano segni di ruggine, con il secondo appalto saranno sostituite interamente con delle altre ben fatte (a scapito dei già esigui fondi);  la facciata presentava una colorazione inadeguata ed era stata inoltre deturpata dalla messa in opera, in un precedente restauro, di uno strato di quarzo plastico: picconata fino ad eliminare la parte compromessa, è stato steso un intonaco bianco (colore scelto grazie ad indagini di colore in facciata) in bio calce che, a lavori conclusi, presentava delle cavillature, risarcite dalla ditta fornitrice Keraton. Questi inconvenienti, insieme ad altri minori, hanno inciso notevolmente sulla sfera dei costi. Essendo un'opera finanziata da privati, con un somma a disposizione modesta, ogni errore commesso doveva essere risolto togliendo spazio e cura ad altri aspetti del progetto:  impensabile superare la somma a disposizione. Ma il risultato finale è valso questi ostacoli? Inizialmente il valore della palazzina era intorno ai 1500 €/mq, dopo gli interventi di manutenzione si è arrivati a 5000 €/mq, un notevole miglioramento che ha permesso di rivalutare un'architettura che altrimenti sarebbe andata persa.

Prime impressioni di fattibilità: i casi di palazzo Massimo alle Terme e della palazzina di Libera a Ostia

I due progetti analizzati fino a questo momento prendono in esame due realtà tra loro molto diverse ma che progettualmente e dal punto di vista della realizzazione, affrontano le stesse problematiche dal punto di vista tecnico e dal punto di vista economico.

Si può dire che dal punto di vista strettamente progettuale il caso della rifunzionalizzazione del Palazzo Massimo alle Terme ha comportato molte modifiche alla struttura originale: costruito come sede di un collegio, fu adibito a sede del Museo Nazionale Romano, come accadde per palazzo Altemps, le Terme di Diocleziano o la Crypta Balbi. Questo cambio d'uso ha provocato irrimediabilmente degli adattamenti necessari per adempire alle richieste delle normative vigenti per gli edifici di uso pubblico.

Oggi questo palazzo appare nelle sue fattezze originali nella facciata principale neo-rinascimentale, totalmente intatta, ma mostra i segni degli interventi nel prospetto posteriore su cui si è malamente “attaccata” una scala antincendio in acciaio.

I segni delle trasformazioni avvenute sono visibili anche all'interno sopratutto nella scansione verticale dei piani. Come ci è stato descritto dallo stesso architetto incaricato dei lavori infatti, negli interni si è molto lavorato per curare un allestimento congruo per le opere esposte ma che al contempo garantisse la sicurezza all'interno del museo. Per fare questo si è inevitabilmente mascherata parzialmente la vera natura delle sale interne che in parte appaiono ridotte e ribassate. Certo è che in alcune sale, come ad esempio la sala del teatro, si è cercato di far rimanere intatta e visibile la funzione originaria dello spazio.

Seppure l'esito risulta molto gradevole e ben fatto dal punto di vista espositivo e dal punto di vista della fruizione delle opere esposte, mi sento di dire che affrontando una rifunzionalizzazione di un edificio storico di tale pregio e importanza (edificio ottocentesco costruito sui terreni dapprima di Sisto IV, poi del Card. Montaldo-Peretti), si dovrebbe rispettare maggiormente l'immagine e la struttura, anche intesa come successione spaziale, dell'opera su cui si va ad operare.

Naturalmente essendo un progetto temporalmente posteriore ad un altro, mi rendo conto che intervenendo su un opera già rimaneggiata i progettisti abbiano dovuto confrontarsi con modifiche e stravolgimenti planimetrici e spaziali attuati dai precedenti interventi.

Detto questo vorrei risalire per così dire “a monte del problema”: vorrei sottolineare il fatto che tali interventi dovrebbe essere curati con maggior diligenza dalla stessa Soprintendenza, ossia dovrebbe essere messa maggior cura o maggiori vincoli sugli edifici destinati a tali funzioni per evitare che si attuino trasformazioni irreversibili su edifici storici o di particolare pregio. Si dovrebbero destinare quindi funzioni congrue a congrui edifici o viceversa.

Ritengo che parte di questo stesso problema sia alla base delle difficoltà riscontrate agli inizi del progetto di restauro per la palazzina di Libera: ritenuto edificio di pregio storico e artistico, universalmente noto e visitato da turisti, presente su molti se non tutti i libri di architettura moderna, non può essere finanziato dalla Sovrintendenza nel suo necessario, se non vitale, intervento di restauro perché non sottoposto a nessun vincolo di tutela.

Come ci ha ampiamente spiegato l'architetto Rinaldi quello attuato sulla palazzina di Libera è un progetto di restauro che mira alla conservazione della memoria di un “pezzo” di architettura storica, per molto tempo dimenticata e resa, al momento degli interventi, irriconoscibile. Prima degli interventi sono stati condotti saggi e ricerche al fine di trovare risposte circa l'aspetto originario di questa architettura e le successive modifiche che questa aveva subito.

Ritengo questo punto notevolmente importante in quanto se problema principale era quello di diminuire e contenere il più possibile i costi, indagini conoscitive attente rendono meno probabili errori deleteri in tempi successivi ai costi complessivi.

Il progetto di restauro penso sia totalmente rispettoso del progetto di Libera in quanto, come ci è stato illustrato a lezione, nonostante le difficoltà si è cercato di riproporre dettagli e caratteristiche perché figlie di un determinato modo di pensare all'architettura.

 

 

 

Integrazione alla Relazione Mercati di TRAIANO

Gentile Professore,

Le inviamo l'integrazione alla nostra relazione sui Mercati di Traiano, riguardante il computo metrico dei lavori di restauro fatti negli anni 30, "attualizzati" ad oggi (come ci eravamo detti durante la revisione della settimana scorsa).

Purtroppo ieri siamo arrivati alle 16.30, troppo tardi!, e non ci siamo incontrati per poterLe consegnare a mano l'intera relazione. Ci scusi. Le mandiamo per ora l'integrazione richiesta, con il proposito di consegnarLe il cartaceo della relazione completa lunedi prossimo (se è confermata la revisione).

Grazie!

Anna Cavigioli, Francesca Berardi, Andrea Benedetto

 

Indice della relazione critica di Benedetto-Berardi- Cavigioli

 

GLI INTERVENTI DI RESTAURO DELL’800 E DEGLI ANNI ’30 DELL’EMICICLO DEI MERCATI DI TRAIANO
1. PREMESSA
2. IL MONUMENTO
    2.1 Ubicazione
    2.2 Descrizione
    2.3 Cenni storici
3. IL RESTAURO
    3.1. L’intervento di VALADIER
    3.2  I restauri degli anni ‘30
        3.2.1 Gli obiettivi del Governatorato
        3.2.2 Il progetto di restauro
            3.2.2.1 Il restauro ideologico
            3.2.2.2 I criteri operativi
            3.2.2.3 La coerenza filologica
    3.3 L’organizzazione del cantiere
4. L’OSSERVAZIONE DIRETTA
    4.1 Ambito di applicazione
    4.2 Mappatura dell’intervento di restauro
    4.3 Interpretazione del metodo di finitura adottato
    4.4 Analisi critica

 

Villa Gentili_Manuela Michelini, Silvia Rinalduzzi, Alice Scortecci

Salve Professore,
come accordato abbiamo lasciato una copia cartacea e il cd contenente il pdf del nostro lavoro in portineria a Madonna dei Monti.
Ora provvederemo a pubblicarlo sul sito.

Cordiali saluti

Alice Scortecci
Manuela Michelini
Silvia Rinalduzzi

 

 

 

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