Riflessioni sulle ultime lezioni

Durante gli ultimi anni di studio, e in particolare durante le lezioni del modulo di Estimo, mi sono trovata a riflettere spesso sul significato della parola “restauro”. Dal momento che ho scelto di assecondare le mie attitudini personali, scegliendo di studiare Architettura e Restauro, questo equivale a porsi una domanda quasi di tipo esistenziale. Che cos'è il “restauro”?

 

Esistono diverse definizioni della parola e quasi tutte si riferiscono ad una serie di azioni volte alla manutenzione, al recupero, al ripristino e alla conservazione delle opere storiche, come suggerisce del resto, anche l'etimologia stessa della parola: dal latino: “re” e “staurare” = rendere solido nuovamente.

 

Ma le cose non sono così semplici. Esistono vari dibattiti sviluppatisi intorno alla materia, derivanti soprattutto dal fatto che restaurare non è mai un'operazione oggettiva. Esattamente come per la progettazione del nuovo, il restauratore esprime la sua personalità e la sua sensibilità professionale immersa inevitabilmente nell' humus culturale, sociale, politico in cui si trova a vivere.

Risulta chiaro quindi che non può esserci un'oggettività della materia sospesa nel tempo che si traduca in una definizione letterale univoca e chiara.

 

Non trovando risposta nelle definizioni della parola, ho ascoltato con interesse le varie lezioni sul tema nel corso degli anni di studio, in particolare quelle del modulo di Estimo.

 

A partire dalla visita al Palazzo Massimo alle Terme fino alle parole del Bonelli, è emerso un concetto fondamentale che appare quasi scontato se riferito al progetto dell' architettura del nuovo, ma che quasi mai si ascolta o si legge quando si parla di restauro: il concetto di fruibilità.

 

Il motivo che ci porta a desiderare il restauro delle opere è di certo l'interesse che queste abbiano la possibilità di continuare a vivere nel tempo, e ancor di più, che vivano affinché l'umanità abbia la possibilità di conoscerle e di farle proprie. E' importante capire che la cultura non deve restare fine a se stessa. affinchè possa portare a termine la sua missione intrinseca: quella di comunicare la bellezza dell'esistenza a tutti, in maniera indiscriminata.

 

Per questo motivo, quando ho ascoltato le parole dell'architetto Bonelli, tratte dal libro "Architettura e Restauro", questo concetto che da un po' cercava di emergere tra le mie idee, si è fatto evidente in maniera lampante.

Non c'è dubbio che per Bonelli, l'opera di restauro sia prima un' azione culturale e poi un'azione fisica:  le opere infatti, devono occupare la giusta posizione all'interno di un contesto culturale che sia in grado di giovare alle generazioni future. Che siano fruibili, quindi, comprese e vissute, prima a livello emotivo e poi a livello sensoriale.

 

Se pensiamo ad esempio, al riallestimento di Palazzo Massimo alle Terme, questo concetto appare immediatamente più chiaro. Si pensi all'utilizzo magistrale del colore, attraverso il quale è stato possibile esaltare le opere scultoree inserite negli spazi espositivi e allo stesso tempo conferire una guida che accompagnasse lo spettatore per mano lungo il percorso da seguire.

Il coraggioso intervento, ha portato anche delle critiche agli architetti incaricati di realizzare l'opera, dovute probabilmente all'atteggiamento di timore reverenziale verso l'antico che si ha spesso in questa nazione. Ma, dal confronto con le sale ancora non riallestite, l'intervento esce sicuramente vincitore, sia per la chiarezza del percorso, sia per l'interesse suscitato nello spettatore sia per la riuscita messa in luce delle opere esposte attraverso i contrasti cromatici. Rendere fruibile un'opera significa anche renderla immediatamente accessibile, cosa che a mio avviso accade felicemente in questo edificio.

 

C'è un altra questione da considerare quando si parla di restauro architettonico: quella del falso storico.

Pensando al Teatro di Ostia Antica, da molti definito come "pesantemente restaurato", possiamo dire di trovarci di fronte ad un falso storico oppure possiamo apprezzare la restituzione di un edificio nelle sue proporzioni spaziali, nei suoi materiali, nelle funzioni che doveva assumere ai tempi dell'antica Roma?

Se pensiamo alle parole del Bonelli, è assolutamente giusto che un'opera sopravviva allo scorrere del tempo per portare giovamento alle generazioni future, eppure il dubbio resta quando osserviamo i lavori di restauro del Partenone.

C'è bisogno di risarcire ogni singola lacuna dell'apparecchio murario affinchè si abbia una percezione che renda giustizia all'opera più famosa dell'acropoli di Atene?

 

La domanda nasconde il travaglio interiore di ogni progettista che si trovi ad affrontare un'opera di restauro: limitarsi a conservare oppure compiere un atto creativo che modifichi la forma dell'oggetto in base alle nuove concezioni culturali del tempo presente?

 

La questione ancora non trova risposta.