Dalla riunione del 13/03 con i proff. Caudo, Franciosini, Tonelli

Il quartiere di Tor Fiscale è caratterizzato principalmente da due sistemi che si incontrano ed interagiscono tra loro: il borghetto, fatto di casette che sono sorte più o meno spontaneamente nel corso del tempo cercando di far fronte ad una situazione di disagio degli uomini e delle donne che ancora oggi vi dimorano, e il sistema del parco e dell'acquedotto che costituiscono a loro volta il grande sistema archeologico. Questo aspetto di conflittualità del resto è il tema fondamentale che identifica e differenzia Roma da qualsiasi altra città europea e mondiale. Agli occhi di un attraversatore esterno questo ambiente appare certamente connotato negativamente: carenza o totale mancanza di servizi, di attraversamenti, criteri di progettazione esistenti che in realtà rispondono esclusivamente ad esigenze di minima sopravvivenza. Sono queste alcune delle molteplici criticità che possono essere tutte riunite all'interno di un unico contenitore che si chiama "mancanza di abitare", mancanza della dimensione del vivere.

Soprattutto del vivere insieme, come una comunità che condivide insieme attimi di vita quotidiana, difficoltà e gioie.

Soprattutto manca lo spazio da destinare alla vita di comunità.

Questa gente per troppo tempo è stata abituata ad un tipo di vita in cui  prevale in assoluto la dimensione privata del vivere e dell'abitare. Ha dovuto prima arrangiarsi in uno luogo non suo e crearsi una baracca per sopravvivere agli stenti. La ricerca estenuante di una casa, di un riparo, di una famiglia ha portato nei fatti ad uno strappo e ad una chiusura completa verso l'esterno, quel mondo da cui ci si vuole proteggere perché portatore di emarginazione e povertà. E forse è stato proprio il desiderio di un'emancipazione a convincere queste persone ad appropriarsi di un pezzo importante della storia della nostra città. E' evidente quindi che questi riconoscano nell'acquedotto un simbolo di appartenenza ad un qualcosa cominciato anni, secoli fa in questa nostra penisola.

Non è più possibile quindi giudicare questo modo di vita in maniera positiva o negativa. L'attraversatore esterno non può far altro che immergersi completamente in questa realtà  e cercare di comprenderne le criticità e i bisogni.

Non bisogna quindi pensare di poter intervenire dall'alto, di poter produrre qualcosa di diverso, di razionalizzare  un sistema spontaneo connotativo e ormai ben consolidato.

Dal punto di vista strettamente architettonico prevale la tradizione contadina tipica della periferia romana, case unifamiliari di uno o due piani totalmente chiuse, dei veri e propri recinti. Eppure la dimensione del quartiere non sembra essere chiusa totalmente in se stessa. Il parco dell'acquedotto offre spunti, accoglie e attira utenze ed interessi plurali.

Occorre quindi capire come costruire e rafforzare lo spazio pubblico attraverso la casa stessa: esistono infatti alcuni aspetti della domesticità che vengono proiettati in una dimensione non più intima, ma esterna, che diventa pubblica e condivisa. E' proprio questo concetto di condivisione che manca, concetto che è stato strappato a queste persone dalla possibilità di essere compreso ed abbracciato e al quale alla fine si è rinunciato. Come la città incontra tutti, abbiamo il compito di creare spazi e luoghi destinati a tutti, di costruire la città pubblica, partendo dalla semplice possibilità di camminare, godendo dello spazio e non solo del recinto. In questo modo cambia radicalmente il rapporto tra casa e suolo e diventa per noi indispensabile una ricerca sui tipi edilizi. Una delle vie di possibile sviluppo è l'ibridazione dei tipi edilizi, cercando di modificare all'interno di un processo continuo.

E' necessario infine tener conto che il nostro "testimone" sarà destinato alle esigenze delle utenze temporanee, intendendo la casa  come bene d'uso, destinato appunto ad utenze che "usano" la casa e non la patrimonializzano.

Non definito
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