Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del Palazzo Massimo alle Terme e della Palazzina di Libera ad Ostia.

 

I primi due esempi presi in esame durante questa parte del corso rappresentano due situazioni e quindi due approcci differenti di effettuare un restauro.

 

Nel caso di Palazzo Massimo alle Terme ci si trovava a dover operare su un edificio costruito tra il 1883 ed il 1886, sede di un collegio dei Gesuiti che mantenne questa destinazione fino al 1960.

Acquistato dallo Stato italiano nel 1981, subì un primo restauro ad opera dell’architetto Costantino Dardi per ospitare dal 1992 una parte del Museo nazionale romano.

Le difficoltà nel dover rifunzionalizzare un edificio nato come convitto furono subito evidenti portando i progettisti a dover effettuare una serie di operazioni di adeguamento che in alcuni casi avevano mutato l’architettura originale dell’edificio.

 Nel recente intervento di allestimento con grande maestria gli architetti Carlo Celia e Stefano Caccapaglia nel loro progetto sono riusciti a rispettare attraverso le loro scelte alcune caratteristiche architettoniche che l’edificio ottocentesco ancora conservava. Ciò accade in maniera evidente nella sala dell’ex teatro della scuola, dove l’architettura precedente non si è negata, lasciando i ballatoi, la galleria e il proscenio del teatro. Diminuendo però l’altezza dell’ambiente si è riusciti a rendere miglior lettura delle opere destinate ad ospitare, evidenziando una continua ricerca del compromesso tra ciò che l’edificio è e ciò che dovrà essere.

Anche le scelte cromatiche attraverso l’uso del colore e dell’illuminazione in tutto il progetto sono state effettuate proprio per evidenziare il rapporto tra le opere e l’ambiente destinato ad accoglierle. La scelta delle diverse tonalità di grigio ha permesso infatti di creare assi prospettici evidenziando gli elementi principali delle sale.

La riuscita del progetto è dipesa anche dal controllo dei lavori da parte degli architetti progettisti i quali però purtroppo per mancanza di fondi per ora hanno potuto eseguire i lavori solo in alcune sale del museo.

Nel secondo caso presentato dall’architetto Roberta Rainaldi  riguardante la palazzina di Libera degli anni ‘30 ad Ostia invece la situazione si presentava in modo differente.

L’edificio di rilevante interesse storico era stato lasciato dagli abitanti in uno stato di incuria con una conseguente perdita di valore del bene (oggetto architettonico) causata anche da un errata manutenzione straordinaria precedente degli intonaci, la quale conferendo alle facciate un color ocra aveva contribuito a snaturarne l’immagine.

L’architetto Rainaldi in qualità sia  di progettista che di direttore dei lavori attraverso la consultazione delle foto storiche e dei disegni di progetto è riuscita a risalire all’immagine iniziale dell’edificio cercando quindi di riproporla.

Gli interventi effettuati hanno riguardato principalmente il rifacimento degli intonaci delle facciate e degli spazi comuni ed il riposizionamento e conseguente ripristino delle recinzioni e ringhiere di progetto.

Durante l’esecuzione dei lavori la progettista si è trovata di fronte ad una serie di problematiche, sia in una prima fase nel rapporto con l’impresa che successivamente con le maestranze specializzate, con le quali l’architetto è dovuto intervenire per risolvere una serie di errori che causavano lo stravolgimento del progetto iniziale.

Anche in questo caso come nel precedente la scarsità di fondi non ha permesso di effettuare un restauro completo e completamente coerente con il materiale di archivio ritrovato, ma allo stesso tempo la figura del progettista anche come direttore dei lavori ha permesso che questi riuscissero a riconferire ed evidenziare sia il grande pregio storico culturale da cui gli edifici in questione erano caratterizati, che quello economico.