Il valore della Permanenza

 

(…)la città è il prodotto di un lavoro incessante, è anche un immenso deposito di fatica umana: quindi in essa memoria e fatica tendono a coincidere; la memoria non è un repertorio statico di oggetti passati; è invece la consapevolezza di un processo che è stato, ma che si allunga nel presente e nel futuro. La città è il deposito della memoria stessa(...)

Aldo Rossi

Queste parole dell’architetto Aldo Rossi introducono in modo molto esplicativo il concetto di valore della permanenza. Permanenza intesa come  presenza continua e durevole di un qualcosa, che in questo caso è rappresentata dall’architettura del passato, la quale molto spesso, per nostra fortuna, noi contemporanei sperimentiamo ancora.

Nell’”Architettura della città”, pubblicato nel 1966, l’architetto basa il suo studio sulle città intendendole come organismo composto da tante parti compiute che si formano a lungo andare con il tempo, acquistando nella memoria individuale e collettiva valori che ne costituiscono l'anima.

È molto interessante notare come introduca il concetto di memoria: la città come memoria collettiva dei popoli legata a dei fatti ed a dei luoghi del passato nei quali però ne crescono di nuovi. Memoria di un passato il quale dovendosi allungare nel presente obbliga l’architetto ad un’analisi del contesto in cui si trova ad operare.

È proprio la capacità di saper svolgere quest’analisi che mostra la sensibilità del professionista, che se capace, è in grado di amalgamarsi e dialogare con un luogo storico ricco di simbolismi antichi reinterpretandone magari il paesaggio in funzione però  dell’esistente.

A tal proposito è molto interessante affrontare lo studio delle opere di Franco Albini. L’architetto, a metà del ‘900, condivide il rinnovato interesse del periodo per la tradizione assumendolo però nell'ambito di un metodo di lavoro che implica la necessità di darsi delle regole; la tradizione non è quindi un a priori cui conformarsi, ma un elemento di coscienza individuale e collettiva, di interpretazione di valori riconosciuti. La tradizione viene quindi vista come patrimonio da reinterpretare per creare "una nuova tradizione" e diviene così un filo che collega gli interventi dell’architetto in ambienti e periodi diversi.

Tra i primi vi è la realizzazione dell’albergo-rifugio Pirovano a Cervinia, dove la progettazione parte dall’analisi e dalla reinterpretazione del procedimento costruttivo delle baite valdostane. Questa attenzione è espressa anche nella realizzazione degli edifici comunali di Genova che, sorgendo nel centro storico della città, si trovano su di un’area in pendio che dal seicentesco palazzo Tursi sale a Castelleto i cui due corpi di fabbrica paralleli hanno andamento degradante per non chiudere la visuale della città. I tetti sono piani utilizzati a giardino in modo che l’architettura non si ponga come elemento di rottura rispetto al contesto urbano. Ma quello che, a mio parere, è l’esempio emblematico del pensiero architettonico di Albini è il progetto per il Museo dei Tesori di San Lorenzo a Genova. Si tratta dell’allestimento di un museo ipogeo, realizzato dietro l’abside del Duomo di Genova, al di sotto di un cortile. La presenza del basamento dell’abside del Duomo, fa pensare subito ad Albini all’uso della pietra ed infatti se si escludono i travetti in cemento armato del soffitto e le teche espositive ci si trova di fronte ad un unico materiale: l’ardesia ligure. Il piccolo spazio ipogeo viene quindi trasformato in una sorta di scrigno carico di suggestione, giocato sul contrasto tra la brillantezza degli oggetti esposti ed il grigio della pietra che quindi ricopre le murature ed i pavimenti rifacendosi all’esempio classico della Tholos Micenea costituita solitamente da un vano circolare, sottostante ad un tumulo di terra e coperto con cerchi concentrici di blocchi lapidei a costituire una sezione più o meno ogivale. Tradizione che viene espressa in modo personale anche nel progetto dei magazzini La Rinascente di Roma considerati un monumento della città. In questo edificio l’architetto si colloca nella città, affiancando l’uso di una sempre più raffinata ricerca tecnologica, ad una serie di suggestioni  e colori in riferimento alla tradizione storica dei palazzi rinascimentali e delle vicine mura aureliane.

La lezione di questi due maestri dell’architettura dovrebbe, a mio parere, rappresentare la base ed insieme il punto di partenza per la crescita progettuale di noi studenti, non solo nei confronti della tradizione e della memoria per noi restauratori , ma anche per quei futuri progettisti che, operando in un territorio  come quello italiano ricco di storia e tradizione, dovrebbero essere in grado di dare uno sguardo  al passato contribuendo alla sua tutela ed al dialogo con il contemporaneo  e non limitandosi a guardare solo al futuro.