Architettura, permanenza. Josè Ignacio Linazasoro e Aldo Rossi

 

L’esempio di Linazasoro bene si inserisce nel discorso sulla permanenza storica ed il recupero affrontato la volta scorsa. Come afferma lo stesso progettista, il suo lavoro riguarda la ricerca di una "architettura vera e pura, (…) un’arte che lascia un segno nel tempo e non una semplice espressione personale". Edifici fortemente legati al sito e alla sua storia.

E’ questo il caso della Biblioteca nel quartiere di Lavapiés a Madrid, in cui si interfacciano architetture di epoche diverse. Realizzato tra il 1996  e il 2004, l’edificio è stato costruito nel sito di una chiesa settecentesca, fortemente danneggiata durante la guerra civile spagnola. L’architetto ha cercato di mostrare la possibilità di integrazione tra ciò che è nuovo e ciò che appartiene al passato, proponendo un nuovo ordine all’esistente: i resti dell’antico sono riutilizzati ed inglobati nel nuovo edificio. Un solido connubio tra ciò che è stato restaurato e le parti di nuova costruzione. "La biblioteca riutilizza in parte i resti della chiesa barocca e questo le permette (…) di approfittare della potenzialità espressiva della rovina".

La presenza storica ha condizionato Linazasoro nella scelta dei materiali, optando per il mattone nella ricerca di uniformità. Un materiale nobile legato alla terra, collaudato da migliaia di anni di esistenza.

 Le rovine diventano parte integrante di uno spazio totalmente nuovo, reinterpretato, rinnovato. E’ un intervento urbano, che gravita intorno al ‘segno’ dei resti della chiesa. 

E’ questa negazione del passato? No, forse piuttosto un atteggiamento più aperto che ammette un utilizzo della “permanenza” e la garanzia della sua continuità nel tempo, del suo continuo mutamento. Niente viene abbandonato, può ancora parlare, può ancora esprimere il suo carattere storico. Nonostante sia differente il suo (ri)uso, e la funzione originaria nel tempo abbia modificato la sua natura, è come se il suo valore non fosse mai diminuito, anzi, viene sovrapposto, senza invasività, il contributo di una cultura in continuo movimento. Abbiamo la necessità di progredire, ma nel rispetto del preesistente. Un esempio raffinato di “corretto”  progetto moderno nel contesto storico.

Tema molto delicato,  tutt’oggi trova opinioni discordanti ed in continua evoluzione.

 Aldo Rossi  nel suo --Architettura della Città- affrontando la questione dice che “La città è il prodotto di un lavoro incessante, è anche un immenso deposito di fatica umana: quindi in essa memoria e fatica tendono a coincidere; la memoria non è un repertorio statico di oggetti passati; è invece la consapevolezza di un processo che è stato, ma che si allunga nel presente e nel futuro”.

Il rapporto con il passato non è di illogica incompatibilità bensì di una sana complicità nello stesso sviluppo culturale.

Progettare l’Architettura significa portare a coerenza le spinte della contemporaneità e quelle della memoria: e la città è il deposito della memoria”.

Il suo volere è quello di sottolineare un’architettura che DEVE essere pensata come “ creazione umana” di un valore che ha una “natura collettiva” e che deve essere tramandata, curata ed apprezzata senza dover rinunciare al nuovo contributo; al pensiero contemporaneo. DEVE saper far convivere la sua natura, seppur diversa, nel presente, passato e futuro. Allora ha senso considerare l’architettura come custodia di fatica umana e della sua memoria; perchè non ha finito di scrivere la sua storia, bensì continua il processo di crescita; si “allunga” all’odierno e al suo futuro.