Visita Villa Capo di Bove e Visita al cantiere del Teatro Argentina

La proprietà "villa Capo di Bove", fu acquistata nel 2002 dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, su proposta della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma. Essa si trova immersa nel Parco Archeologico dell' Appia Antica e nasce come abitazione privata negli anni 50 del Novecento: anni in cui Roma era investita dal fervore per l'intensa attività dell'industria cinematografica. Ed era proprio in questa parte della città che trovavano la loro residenza i più grandi esponenti del cinema internazionale.

Negli anni 80' il riflesso di quegli anni dorati, spinse alcuni commercianti, che arricchitesi, acquistarono ogni tipo di proprietà della zona, come fienili e rimesse, e le trasformarono in proprie abitazioni, affinchè queste potessero dimostrare la loro emancipazione sui gradini della scala sociale. Ancora oggi la Soprintendenza vigila su questo tipo di trasformazioni architettoniche.

Più grave è invece la situazione negli anni 90' in cui la zona venne minacciata da progetti di costruzione massiva di palazzine da parte di imprenditori edili, che riducevano il ruolo del Parco a semplice pertinenza per le abitazioni stesse: la cosiddetta "casa con parco".

Oggi il sito archeologico dell'Appia Antica è il più grande del mondo, tutelato da diversi organi competenti, tra cui l'Ente Parco dell'Appia Antica e la Soprintendenza per i Beni Archeologici.

E' proprio grazie all'intervento di questi Enti e alla vigilanza dello Stato su un atto di vendita non proprio a regola d'arte, se oggi la villa Capo di Bove è un bene pubblico tutelato e restituito alla cittadinanza.

Il sito ha un'area complessiva di 8500 mq. Subito dopo l'ingresso dalla strada principale, troviamo un impianto termale del II secolo d.C. di cui ancora non si è riusciti a stabilire l'appartenenza. Forse era legato a funzioni sacerdotali di tipo funerario relative alla vicina proprietà di Erode Attico: secondo alcune fonti, dopo aver ucciso sua moglie, Annia Regilla, con lo scopo di fugare i sospetti sulla sua colpevolezza, egli dedicò l'intera area alla defunta e alle funzioni funebri ad essa dedicate.

La sistemazione attuale dell'area e del giardino, si devono all'architetto De Vico, che arricchì lo spazio di una maggiore qualità visiva e spaziale.

Abbandonato l'impianto termale e attraversato un primo tratto di giardino, si giunge al casale degli anni 50' . Interessante è la caratteristica cortina muraria esterna costruita secondo la tecnica dello spolia che fa uso di materiali antichi, molti dei quali probabilmente recuperati dai monumenti romani che fiancheggiavano l’Appia.

La struttura ospita gli uffici della Soprintendenza, una sala conferenze e l'archivio Antonio Cederna, giornalista ed intellettuale che si battè strenuamente per la conservazione del sito dell'Appia Antica e paradossalmente contro la stessa tecnica dello spolia. Egli riteneva che questa rappresentasse, da parte del proprietario dell'abitazione, un' autocelebrazione del prestigio economico-sociale, utilizzando frammenti che devono invece ritenersi patrimonio della comunità, proclamando in tal modo la convinzione che la cultura è un bene pubblico di cui tutti devono poter avere diritto.

<<La lotta per la salvaguardia dei valori storico-naturali del nostro paese è la lotta stessa per l'affermazione della nostra dignità di cittadini, la lotta per il progresso e la coscienza civica contro la provocazione permanente di pochi privilegiati onnipotenti.>> Antonio Cederna

 

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Il teatro Argentina venne edificato nel 1732 dall'architetto Theodoli e inaugurato nello stesso anno, mentre la facciata, di cui si occupa il cantiere di restaro da noi visitato, è stata costruita in un momento successivo dall'architetto Ollo, nel 1832, coronata da un gruppo scultoreo che è da attribuirsi all'architetto Gioacchino Ersoch.

Essendo uno dei più importanti teatri presenti a Roma, ha subito molti interventi di restauro, che ne hanno mutato progressivamente la percezione cromatica e, in taluni episodi, anche plastica.

La facciata, infatti, aveva assunto nel tempo coloriture via via sempre più scure, assecondando l'usanza ottocentesca di rivestire gli edifici romani di un caratteristico "color del vecchio". Ma è con i restauri più recenti che la situazione va peggiorando: l'utilizzo del quarzo al posto dei materiali tradizionali a base di calce, e del cemento come rivestimento del gruppo scultoreo, hanno reso necessario l'intervento attuale ad opera dell'architetto Celia.

In primo luogo si è proceduto con il lavaggio della facciata e lo studio delle variazioni cromatiche possibili per il ripristino delle coloriture originali pur cercando di mantenere, ove queste si sono conservate in seguito alla descialbatura, piccole parti di colorazioni precedenti. Anche quando queste contrastano con la nuova colorazione adottata: a testimonianza della filosofia dell'architetto secondo cui si deve conservare in una certa misura anche il passaggio nel tempo di ciò che si intende restaurare.

E' la sensibilità e la cultura dell'architetto che opera a stabilire il limite entro cui ciò deve avvenire.

Di contro, infatti, il riempimento delle fessure tra una bugna e l'altra che caratterizzano le due ali laterali, è stato classificato dall'architetto come una superfetazione che mortifica le potenzialità espressive della facciata. Per cui non si è esitato a rimuovere lo strato di stucco, affinchè torni ad essere chiara la leggibilità del bugnato e la gerarchia delle superfici dalla strada.

Per quanto riguarda il gruppo scultoreo invece, allo stesso modo, si è proceduto ove possibile, con la rimozione dello strato cementizio e si è cercato di armonizzare le figure rimodellandole e scialbandole con acqua e calce del color del marmo.

Infine, è interessante notare la concertazione tra il responsabile alla sicurezza e il responsabile dei lavori di restauro, essenziale per un corretto svolgimento dei lavori, sia per ragioni di tipo economico che in termini di protezione della salute dei lavoratori.