blog di Chiara Angelone

recupero architettonico e relativi costi

 

Il restauro può avere diverse interpretazioni e declinazioni ma tutte si possono raggruppare in due grandi insiemi che identificano principalmente il comportamento del tecnico con l’oggetto: atteggiamento di rispetto che lascia tutto così com’è e la possibilità che si lascia l’architetto di poter  modificare l’oggetto studiato per migliorarne la qualità.

La legge dello stato italiano, dopo gli innumerevoli atteggiamenti che si sono susseguiti nel dopoguerra durante la ricostruzione post bellica, ha cercato di definire in maniera più o meno chiara come si possono catalogare gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente.

Già da tempo infatti si cercava di capire quale poteva essere il miglior modo di intervenire su edifici storici, infatti numerose sono le Carte che parlavano di restauro. A partire da quella di Atene del 1931, la carta italiana del recupero del 1932, le istruzioni per il restauro dei monumenti del 1938, la carta di Venezia del1964, la carta di Gubbio del 1960, fino alla carta del restauro del 1972.

Nel 1978 la legge suddivide e definisce 5 categorie di intervento:

- manutenzione ordinaria

- manutenzione straordinaria

- ristrutturazione edilizia

- ristrutturazione urbanistica

- restauro e risanamento conservativo.

Ora, una volta definito che  tipo di intervento abbiamo intenzione di andare a fare bisogna capire chi è disposto a pagare per questo, perché a tutti sta a cuore il nostro patrimonio, ma a ciascuno sta a cuore a modo suo. Tutto il resto del mondo ce lo invidia, ma noi pur avendo una volontà generale di conservarlo, ci manca ci manca la volontà di pagare, o almeno siamo disposti a pagare solo una minima parte dei soldi necessari alla conservazione. Una volta fatto il piccolo intervento, per “tirare avanti un altro po’” ci scordiamo di manutenere l’intervento che in pochi anni andrà nuovamente a deteriorarsi e sembrerà di non aver fatto nulla. Ovviamente l’intervento di restauro deve partire da uno studio approfondito dei documenti storici e dall’osservazione diretta del manufatto.

Ma esistono diversi tipi di interventi di restauro che vanno a intervenire in maniera più o meno forte sull’edificio: la manutenzione che cerca di prevenire i danni dovuti a cause di origine diverse, la conservazione che va a conservare uno stato di fatto, il ripristino che tanta di ricondurre l’oggetto a uno sto  originario e infine il restauro che può portare a fine lavori anche a una diversa condizione di destinazione d’uso, sempre, si spera, nei limiti di trasformazione che il manufatto riesce a sopportare senza essere stravolto.

Ogni uno di questi tipi di intervento ha un suo costo molto diverso che varia dal prezzo dei materiale, della manodopera e dalle ricerche preventive fatte.

Purtroppo le ricerche preliminari, come i rilievi di tipo materico, geometrico e strutturale, i sondaggi e le osservazioni chimiche,  sono quel tipo di spesa su cui si cerca sempre più di tagliare, a discapito molto spesso dei successivi interventi, che risulteranno magari inutili, dannosi e spesso anche del tutto irreversibili per l’oggetto, andando a peggiorare in modo definitivo la conservabilità e la trasmettibilità dell’oggetto alle generazioni future.

Per quantificare il costo di un intervanto si possono seguire numerosi procedimenti di stima, che in modo più o meno accurato cercano di dare in maniera preventiva il costo totale dell’intervento, per poi valutare se è vantaggioso o meno effettuarlo.

Il primo metodo che si può utilizzare è quello sintetico comparativo, che, tramite il confronto con un bene analogo di cui si conosce il costo, deduce il costo definitivo del nostro intervento.

Il procedimento analitico riconoscitivo che determina il valore di costo dell’opera tramite l’analisi del processo produttivo, quindi attraverso la quantificazione e l’apprezzamento monetario di tutti i fattori produttivi impiegati.

Il terzo tipo di procedimento è quello di tipo misto che acquisisce il valore di costo aggregando l’elaborazione di tipo analitico e i passaggi di tipo sintetico.

Ora utilizziamo l’esempio portatoci della casa delle armi al foto italico per capire se il restauro o ripristino siano sempre davvero utili e necessari, e non solamente uno sforzo enorme sia dal punto di vista finanziario che di altro.

Il progetto straordinario di Moretti, ricco si sperimentazioni rivoluzionarie per il periodo in cui è stato costruito, attraverso le quali si riesce a creare uno spazio vuoto che si riempie solo con la luce, utilizzata come elemento base per la progettazione dell’oggetto.

Tutto l’edificio è stato violentato negli anni per diverse motivazioni tra cui la principale è quella  politiche. Infatti è stato trasformato per esigenze in un tribunale di massima sicurezza e una caserma dei carabinieri. Trasformazione che ha portato a una frammentazione degli spazi interni e dei volumi interni, intaccando in maniera irreversibile le strutture che potrebbero collassare se non si togliessero le aggiunte con la dovuta attenzione e con il posizionamento di strutture provvisorie che sostenessero la copertura fino al termine dei lavori.

Ora il processo che si svolgeva al suo interno si è concluso e anche la caserma si è trasferita. Rimane solo l’ombra del primo edificio che nell’anima si sente ancora pieno di bellezza, ma che in realtà non fa più trasparire nulla.

Anche i rivestimenti in travertino curati nei minimi dettagli sono stati sostituiti e bloccai in maniera indegna perche dopo poco che l’edificio era stato concluso già erano cominciate a cadere le prime lastre, forse perche sottodimensionate o perche sostenute da grappe in rame che non concedevano loro la naturale dilatazione dovuta al calore.

I costi per il ripristino dell’opera di Moretti son stati stimati a diversi milioni di euro. Ora questi soldi sarebbero da andare a prendere nelle casse dello stato che in questo periodo però languono, e non c’è nessuno disposto realmente a pagare una tale cifra per rimettere a posto questa parte del foro italico. Sarebbe più conveniente demolire il relitto un calcestruzzo e ricostruirlo, anche perche il contesto che lo circondava si è anch’esso modificato, con l’inserimento di una cancellata e un parcheggio con rampa che va a infilarsi sotto terra accanto alla casa delle armi.

 

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del palazzo Massimo alle terme e della palazzina di Libera a Ostia.

 

Nell’ambito dello studio del restauro si è cominciato a parlare dei costi di un intervento e della sua realizzazione. Per osservare sul campo due diversi tipi di approccio ci sono stai presentati gli esempi di palazzo Massimo e della palazzina di Libera a Ostia.

La prima ha avuto costi elevati, ma giustificati in quanto bisognava adeguare il precedente assetto dell’edificio, che era un collegio e convitto scolastico che all’interno comprendeva un teatro, aule per le lezioni e uffici; spazi lontani da uno sfruttamento museale e non adatti alla visione delle opere. Anche dal punto di vista delle norme anti incendio il palazzo è stato adeguato, modificando la facciata posteriore con due grandi scale anti incendio e l’assetto interno con ascensori e nuovi vani di servizio.

Una seconda ala è stata occupata da uffici della soprintendenza, i quali necessitano di un assetto ancora differente, sono stati spostati i solai e inserito nuovi spazi de servizio.

Nell’ultimo intervanto sono state apportate ulteriori modifiche all’assetto museale, inserendo nuove tecnologie e studi sulle visuali e sul colore usato.

Il primo allestimento non accentuava l’importanza delle opere esposte all’interno, e le scelte che erano state fatte erano anonime e poco incisive. Con il nuovo allestimento si è cercato di creare un ambiente che aiuti il visitatore a osservare le statue e gli affreschi al cambiare della luce del giorno. La scelta forte nel progettare l’allestimento di questa sezione riguarda l’illuminotecnica che fa ricorso a led e sistemi biodinamici: il visitatore potrà finalmente apprezzare i colori degli affreschi come li ha visti chi li dipinse e chi visse in quegli spazi

Con interventi mirati si è migliorata moltissimo la capacità comunicativa. I costi sono sicuramente più elevati dell’intervento a Ostia ma giustificati dall’importanza dell’oggetto su cui si sta intervenendo.

Per quanto riguarda la palazzina di Ostia l’intervento era necessario a salvaguardare una parte della nostra storia dell’architettura contemporanea. Con un intervento di costo limitato si è andato a riqualificare una parte del lungomare di Ostia e a rivalutare moltissimo l’edificio riportandolo quasi al suo stato normale.

L’intervento poteva essere realizzato sia a livello economico che per le conoscenze di base che si possedevano ed è risultato conveniente al fine della conservazione e della riqualificazione, rispecchiando al meglio la fattibilità del progetto.

L’incuria degli inquilini stava portando l’edificio al decadimento più totale, si stava pensando anche di demolirlo, e già alcune parti si stavano degradando in maniera irrimediabile.

Tramite uno studio filologico e accurato che ha cercato di unire diverse figure professionali per il miglio risultato possibile, si è riportato alla luce il vero spirito della palazzina, eliminando la rozza declinazione che era per giunta fino a noi.

Entrambi gli interventi che abbiamo avuto la possibilità di osservare sono andato a modificare uno stato che era arrivato a noi, ma per palazzo Massimo si è andati a modificare in maniera diversa da come era nato il palazzo e dal precedente assetto museale, mentre per Ostia si è andati a cercare l’aspetto iniziale. Il fine era diverso quindi ma l’iter che si è seguito ha sempre cercato di andare a migliorare l’assetto precedente.