blog di michela

IL VALORE DELLA PERMANENZA

Permanènza  – L’esser permanente, il persistere nel tempo (riferito a cose, è l’opposto di provvisorietà o temporaneità). Più genericamente, il permanere in una determinata condizione, come concetto che, nelle scienze della natura, si contrappone a quello di evoluzione.

[Enciclopedia Treccani]

 

Fin dagli anni 60 si è percepita la necessità e l’esigenza di occuparsi della città, di prendersi cura e di gestire quei luoghi che sono fatti collettivi e bene comune.

In questo periodo si affermò la figura di un architetto di successo che ebbe fama internazionale: Aldo Rossi. Di lui, nel 1986, Manfredo Tafuri disse:

«(...) un architetto che si pone fin dalla fine degli anni sessanta come il "caso" italiano e internazionale più seguito e discusso, l'unico "caposcuola" capace di alimentare di continuo, intorno alla propria opera e alla propria figura, una polemica e un interesse che investono (...) lo stesso concetto di architettura. »

Secondo Rossi non esiste l’unicità del progetto, bensì sussiste la processualità del progetto.

“Il progetto è un fatto tecnico e meccanico”.

Ciò che è davvero importante di un progetto non è ciò che avviene durante la sua realizzazione, ma ciò che avviene prima, cioè il processo creativo, e soprattutto quello che accade al termine della sua esecuzione e messa in opera, gli effetti e l’uso che ne viene fatto.

Diceva Rossi “la differenza tra passato e futuro è che il passato è in parte sperimentato oggi. Le permanenze sono sperimentate ancora”.

La nostra città è ricca di permanenze e di rovine del passato. Il contrasto tra vecchio e nuovo è al giorno d’oggi molto acceso in quanto c’è discordanza di opinioni su come agire sui monumenti antichi. Molte infatti sono anche le teorie che sono state formulate nel corso degli anni riguardo a come interpretare e affrontare un restauro.

Lo stesso Aldo Rossi sosteneva che gli era impossibile progettare le cose com’erano e dov’erano. Un progetto, anche quello di restauro, deve essere qualcosa di innovativo che migliori ma non alteri la permanenza, la memoria.

Gli architetti, ma soprattutto i restauratori, si trovano a doversi confrontare con manufatti collocati nel luogo in cui si trovano e in cui dovranno rimanere, almeno così si spera, per ancora lungo tempo. Il nostro compito è quello di far durare più a lungo, quasi in eterno, la PERMANENZA. È necessario prendersi cura del monumento e non alterare la sua identità, conservandone la memoria ma migliorandone la fruibilità.

 

“Ho sempre considerato l’architettura come un “lavoro” molto serio, un’arte che lascia il segno nel tempo e non come una semplice espressione personale o qualcosa alla moda.”

Queste le parole di José Ignacio Linazasoro, architetto Spagnolo, classe 1947. Molto particolare e di grande interesse è il suo progetto per una biblioteca situata nel quartiere di Lavapiés a Madrid. Linazasoro si trova a confrontarsi con i resti di un’antica chiesa del XVIII secolo, gravemente distrutta durante la guerra civile spagnola. In un’intervista quando gli viene chiesto come si pone di fronte alle preesistenze storiche, risponde così: “Ho cercato di mostrare la possibilità di integrazione tra ciò che è antico e il nuovo, a partire dal progetto. In un certo senso, ho voluto creare una continuità materica, ma con, allo stesso tempo, una discontinuità concettuale. Quando devo intervenire in un edificio storico, il mio intento è sempre di proporre un ordine nuovo in cui i resti dell’antico rimangano e vengano integrati nella costruzione recente.”

Naturalmente il doversi confrontare con una rovina ha condizionato l’architetto nella scelta del materiale da utilizzare, optando poi per il laterizio, materiale più adatto per uno spazio esterno che per uno interno, cercando di non interferire nella protezione e nella salvaguardia del sito. L’utilizzo di questo materiale è stato utile anche per ottenere un’immagine più unitaria tra il nuovo e il vecchio.

Credo che le intenzioni e le finalità di Lavapiés siano le più nobili possibili e le immagini che ho avuto modo di vedere presentano un ambiente suggestivo e surreale per quella che nell’immaginario comune è l’idea di una biblioteca. Non immagino quanto potesse essere distrutta e malridotta la preesistenza della chiesa sui quali resti è stata costruita la struttura, ma sono sempre dell’idea che in questi casi ci debba essere un estremo rispetto del manufatto su cui si interviene.

Onestamente sono un po’ dubbiosa sulla rifunzionalizzazione della chiesa, oggi trasformata e convertita in biblioteca. Da luogo di culto a luogo di cultura.

I COSTI DEL RECUPERO (E DEL RESTAURO)

Quest’oggi ci è stata presentata la figura di un’illustre studioso di storia dell’architettura e teorico del restauro, che si è rivolto con particolare interesse alla sua città, Orvieto: Renato Bonelli. Ricoprì incarichi di spicco e scrisse numerose opere, tra cui Teoria e storia del restauro, del 1959. Secondo Bonelli “il restauro è un processo critico e un atto creativo”.

Noi oggi ci troviamo a vivere in un paese con un patrimonio artistico e architettonico tra i più ricchi al mondo. Proprio per questa ragione è fondamentale dare la giusta considerazione e rispetto a ogni opera architettonica che rappresenta il lascito che dovrà diventare ancora più valido per chi verrà dopo di noi. Per questa ragione  non possiamo lasciare che i monumenti siano relegati nella loro fruizione più comune, ossia come contenitori carichi di informazioni che sono lì solo per essere trasmesse a chi le coglie. Un’opera architettonica non è solo un documento che testimonia il passaggio di un’epoca, bensì rappresenta per la nostra cultura il grado più altro proprio per il suo valore artistico. Come afferma Bonelli, lo studioso deve avere rispetto per l’opera d’arte ma contemporaneamente deve agire per migliorarlo. E’ questo il compito del restauratore: analizzare e riconoscere il valore dell’opera nel contesto in cui è collocata, eliminando gli elementi che la sfigurano e la snaturano per riportarla all’antica forma migliore.  

Per cercare di codificare una corretta metodologia per compiere ed eseguire un restauro nel corso dei secoli sono state scritte Carte del restauro e redatti manuali, e nel 1978 è stata emanata una legge sul piano decennale della casa che comprendeva un articolo che riguarda gli interventi di recupero. Vengono individuate cinque categorie di intervento: la manutenzione ordinaria, la manutenzione straordinaria, la ristrutturazione edilizia, la ristrutturazione urbanistica e il restauro e risanamento conservativo.

Ci sarà sempre qualcuno, soggetto pubblico o privato, che metterà a disposizione il bene architettonico e ci sarà sempre qualcun altro che si prenderà carico di restaurarlo. Come di consueto, o almeno così si auspica, si esegue uno studio approfondito delle fasi cronologiche, si effettua un’attenta analisi dei documenti storici, si procede con un accurato rilievo e infine si ipotizza la migliore forma per attuare il restauro. Ma solo un problema rimane perché ciò effettivamente avvenga: chi è disposto a pagare? Naturalmente tutti sarebbero emozionalmente disposti a farsi carico di un restauro perché tutti sentono la responsabilità verso un bene che ci è stato lasciato e che è ricco di tracce di una cultura millenaria. Ma se non ci sarà mai un committente che farà il primo passo, non si arriverà mai ad un risultato. Molto spesso la mancanza di denaro porta a un parziale e mediocre intervento, volto a tamponare i problemi più evidenti, che non sempre sono i più critici, e a garantire la sopravvivenza del manufatto per un altro periodo limitato di tempo. Sono convinta invece che se si operasse in modo più attento e sistematico una volta per tutte, eseguendo analisi preventive per intervenire in modo mirato nei punti più critici, le risorse economiche necessarie sarebbero praticamente le stesse di quelle utilizzate per numerosi,  piccoli e frequenti interventi, ma con un risultato, senza dubbio, più duraturo.

Naturalmente il più delle volte questo non avviene perché chi ha il potere di decidere non si avvale del buon senso ma risponde a un padrone molto più potente, il denaro.

Diversi sono gli interventi di restauro che si possono eseguire:

- manutenzione, che è un atto finalizzato al superamento o alla prevenzione di danni;

- conservazione, cioè un intervento volto a confermare lo stato di fatto di un’opera;

- ripristino, un’operazione finalizzata a condurre alla condizione morfologica originaria;

- restauro, un intervento che può portare alla costituzione di una diversa situazione materica e morfologica. E’ un’opera aperta, disponibile alle “interpretazioni” critiche.

Altro problema e dibattito sempre acceso è quello dell’accostamento di vecchio e nuovo. E’ giusto far convivere un monumento antico , ricco di secoli di storia e dotato di una sua autonoma identità con una struttura nuova, moderna e di maggior impatto visivo?

Un chiaro esempio di questa convivenza è  il Kolumba Museum a Colonia di Peter Zumthor. L’architetto svizzero  all’interno del nuovo museo dell’ Arcidiocesi di Colonia ha unito la forte presenza del passato con l’innovazione del presente, creando uno spazio irreale pervaso da luci ed ombre. L’obiettivo era quello di rifunzionalizzare a esposizione permanente lo spazio di un antico sito archeologico ricomponendo le preesistenze e accogliendole all’interno della nuova fabbrica. Nonostante lo studio approfondito della componente materica e cromatica ritengo che sia un intervento inadeguato. E’ come se il comune di Roma decidesse di attuare la stessa operazione ai Fori Imperiali, completandoli e ricoprendoli tanto da impedirne la visione dall’esterno. Annullerebbe totalmente la bellezza del sito archeologico più ricco ed evocativo del mondo, e credo che questo non sia il più opportuno degli interventi possibili.