Quest’oggi ci è stata presentata la figura di un’illustre studioso di storia dell’architettura e teorico del restauro, che si è rivolto con particolare interesse alla sua città, Orvieto: Renato Bonelli. Ricoprì incarichi di spicco e scrisse numerose opere, tra cui Teoria e storia del restauro, del 1959. Secondo Bonelli “il restauro è un processo critico e un atto creativo”.
Noi oggi ci troviamo a vivere in un paese con un patrimonio artistico e architettonico tra i più ricchi al mondo. Proprio per questa ragione è fondamentale dare la giusta considerazione e rispetto a ogni opera architettonica che rappresenta il lascito che dovrà diventare ancora più valido per chi verrà dopo di noi. Per questa ragione non possiamo lasciare che i monumenti siano relegati nella loro fruizione più comune, ossia come contenitori carichi di informazioni che sono lì solo per essere trasmesse a chi le coglie. Un’opera architettonica non è solo un documento che testimonia il passaggio di un’epoca, bensì rappresenta per la nostra cultura il grado più altro proprio per il suo valore artistico. Come afferma Bonelli, lo studioso deve avere rispetto per l’opera d’arte ma contemporaneamente deve agire per migliorarlo. E’ questo il compito del restauratore: analizzare e riconoscere il valore dell’opera nel contesto in cui è collocata, eliminando gli elementi che la sfigurano e la snaturano per riportarla all’antica forma migliore.
Per cercare di codificare una corretta metodologia per compiere ed eseguire un restauro nel corso dei secoli sono state scritte Carte del restauro e redatti manuali, e nel 1978 è stata emanata una legge sul piano decennale della casa che comprendeva un articolo che riguarda gli interventi di recupero. Vengono individuate cinque categorie di intervento: la manutenzione ordinaria, la manutenzione straordinaria, la ristrutturazione edilizia, la ristrutturazione urbanistica e il restauro e risanamento conservativo.
Ci sarà sempre qualcuno, soggetto pubblico o privato, che metterà a disposizione il bene architettonico e ci sarà sempre qualcun altro che si prenderà carico di restaurarlo. Come di consueto, o almeno così si auspica, si esegue uno studio approfondito delle fasi cronologiche, si effettua un’attenta analisi dei documenti storici, si procede con un accurato rilievo e infine si ipotizza la migliore forma per attuare il restauro. Ma solo un problema rimane perché ciò effettivamente avvenga: chi è disposto a pagare? Naturalmente tutti sarebbero emozionalmente disposti a farsi carico di un restauro perché tutti sentono la responsabilità verso un bene che ci è stato lasciato e che è ricco di tracce di una cultura millenaria. Ma se non ci sarà mai un committente che farà il primo passo, non si arriverà mai ad un risultato. Molto spesso la mancanza di denaro porta a un parziale e mediocre intervento, volto a tamponare i problemi più evidenti, che non sempre sono i più critici, e a garantire la sopravvivenza del manufatto per un altro periodo limitato di tempo. Sono convinta invece che se si operasse in modo più attento e sistematico una volta per tutte, eseguendo analisi preventive per intervenire in modo mirato nei punti più critici, le risorse economiche necessarie sarebbero praticamente le stesse di quelle utilizzate per numerosi, piccoli e frequenti interventi, ma con un risultato, senza dubbio, più duraturo.
Naturalmente il più delle volte questo non avviene perché chi ha il potere di decidere non si avvale del buon senso ma risponde a un padrone molto più potente, il denaro.
Diversi sono gli interventi di restauro che si possono eseguire:
- manutenzione, che è un atto finalizzato al superamento o alla prevenzione di danni;
- conservazione, cioè un intervento volto a confermare lo stato di fatto di un’opera;
- ripristino, un’operazione finalizzata a condurre alla condizione morfologica originaria;
- restauro, un intervento che può portare alla costituzione di una diversa situazione materica e morfologica. E’ un’opera aperta, disponibile alle “interpretazioni” critiche.
Altro problema e dibattito sempre acceso è quello dell’accostamento di vecchio e nuovo. E’ giusto far convivere un monumento antico , ricco di secoli di storia e dotato di una sua autonoma identità con una struttura nuova, moderna e di maggior impatto visivo?
Un chiaro esempio di questa convivenza è il Kolumba Museum a Colonia di Peter Zumthor. L’architetto svizzero all’interno del nuovo museo dell’ Arcidiocesi di Colonia ha unito la forte presenza del passato con l’innovazione del presente, creando uno spazio irreale pervaso da luci ed ombre. L’obiettivo era quello di rifunzionalizzare a esposizione permanente lo spazio di un antico sito archeologico ricomponendo le preesistenze e accogliendole all’interno della nuova fabbrica. Nonostante lo studio approfondito della componente materica e cromatica ritengo che sia un intervento inadeguato. E’ come se il comune di Roma decidesse di attuare la stessa operazione ai Fori Imperiali, completandoli e ricoprendoli tanto da impedirne la visione dall’esterno. Annullerebbe totalmente la bellezza del sito archeologico più ricco ed evocativo del mondo, e credo che questo non sia il più opportuno degli interventi possibili.