Architettura come costruzione nel tempo

“Non esiste un punto terminale in architettura: c’è solo mutamento ininterrotto”. Walter Gropius 1883-1969

Il concetto di durevolezza è da sempre insito nell’idea di architettura e nella necessità dello stesso uomo di avere un rifugio che possa resistere alle insidie del tempo. All'idea di durata è però connaturata anche l'idea di conservazione e di manutenzione, essendo un’operazione finalizzata a prolungare la vita dell'edificio e a riaffermare il suo valore artistico, funzionale e tecnico. Secondo questa prospettiva, gli edifici concepiti per durare nel tempo assumono dunque il carattere di permanenza, di “presenza nel tempo”. Su questa idea si fonda l'esigenza dell'uomo di rappresentare, con l'opera architettonica, valori trasmissibili nel tempo, sia funzionali e tecnici, che, soprattutto, simbolici, culturali e storici.

L’opera rappresenta un prezioso patrimonio in grado di raccontare una storia. Permane dunque il monumento, quel tipo edilizio che nel tempo si è adattato alle diverse funzioni, il più delle volte del tutto indipendenti dalla forma. Tuttavia è proprio quest’ultima a rimanerci impressa, a diventare un segno indelebile all’interno di un processo storico, temporale e progettuale. Il monumento diventa così uno “scrigno”, un elemento carico di suggestione inserito nell’ambiente urbano, con il quale deve convivere e confrontarsi. Uno spazio in continuo movimento, che molte volte non si accorge o da per scontato la presenza di queste opere, “vocabolari” da cui trarre definizioni architettoniche. Attraverso questi testimoni, infatti, è possibile leggere la storia, conoscere l’architettura, cogliere gli elementi fondanti della costruzione per poi ricomporli in una nuova idea. E’ lo spazio esistente che diventa l’elemento primario per una nuova architettura ed esempio, tra molti, di tale connessione è la Basilica Palladiana a Vicenza.

Palladio da prova della maturità da lui raggiunta e della pienezza del suo linguaggio, realizzando un’opera che costituisce uno dei massimi lasciti della cultura architettonica rinascimentale. La Basilica è il risultato “sconcertante” della sovrapposizione di culture costruttive diverse e di una mescolanza di spazi discordanti, il tutto mascherato sotto un apparato unitario e ordinato. Tale architettura è diventata così una memoria senza tempo, che “non passa mai di moda”, anzi è parte attiva della città, in quanto creazione per la collettività e capace di adattarsi alle esigenze mutevoli dell’uomo.

Nell’arco dell’ultimo ventennio, la Basilica Palladiana si è resa uno strumento attivo di cultura e di educazione grazie ad una serie di mostre di architettura, significative non solo per i soggetti trattati, ma anche per l’originale modo di allestire gli spazi. In realtà, tale edificio non è nuovo a manifestazioni espositive: infatti, notevole rilevanza ha avuto la mostra palladiana del 1973, organizzata dal Centro internazionale di studi di architettura e affidata alle esperte mani di Franco Albini, Franca Helg e Antonio Piva. L’allestimento, pensato dai progettisti, si basa sull’idea di riuscire a realizzare un percorso espositivo e interpretativo delle opere di Palladio, strettamente connesso con il monumentale invaso della Basilica. Avviene così una reciproca valorizzazione tra il contenitore e il contenuto e un rispetto, promosso in particolare da Franco Albini, della struttura interna, cercando di trasmettere così il linguaggio Palladiano.

La progettazione è, infatti, il modo per esprimersi, per comunicare con il mondo, per iniziare una ricerca di nuovi linguaggi, attraverso la sperimentazione, la capacità di risolvere i problemi sia dal punto di vista dell’utenza e dei committenti, ma anche dell’architetto stesso. E’ quest’ultimo ad imprimere nell’opera un segno stilistico, con la precisa volontà di far persistere nel tempo la propria architettura e il suo pensiero.

“V'è davvero alcunché di divino nei suoi progetti, né meno della forza del grande poeta, che dalla verità e dalla finzione trae una terza realtà, affascinante nella sua fittizia esistenza”. Goethe 1749-1832