blog di Alice Mattias

Arte e cultura come beni pubblici

 

I monumenti sono beni culturali, appartengono a ciascuno di noi e identificano un valore che con il passare del tempo rimane comunque inalterato. Il concetto di bene culturale si spinge però ben oltre a quello di monumento e comprende anche opere intellettuali e materiali archivistici. Quando poi l’oggetto architettonico e il suo contenuto coesistono e convivono, integrandosi, si creano dei luoghi unici come quello di <<Capo di Bove>>, la piccola tenuta sull'Appia Antica, a poche centinaia di metri da Cecilia Metella, che è stata acquistata definitivamente nel 2002 dallo Stato, dopo essere appartenuta alla famiglia Streccioni.

All’interno del suo alto recinto nascondeva fino a poco tempo fa un importante impianto termale e un sistema di cisterne per alimentarlo. Sono state elaborate una serie di ipotesi riguardanti la proprietà di tale impianto: da un lato potrebbe essere il bagno di un collegium o di una corporazione associativa con finalità cultuali o funerarie che aveva interessi nella zona, dall’altro, vista la tecnica costruttiva e alcuni materiali rinvenuti, potrebbe risultare una struttura di pertinenza dei vasti possedimenti che Erode Attico e Annia Regilla avevano nella zona durante II secolo d.C.Infatti, è stata riportata alla luce una lastra marmorea con un’iscrizione in greco che cita Annia Regilla ("to fòs tès oikìas" - la luce della casa).

Accanto al rinvenimento archeologico,è stato creato un nuovo parco fruibile ogni giorno, trasformando così uno spazio privato in un piccolo paradiso pubblico. Fulcro della tenuta èl'edificio principale che è stato restaurato nel 2006 e da allora ospita, in memoria dello studioso Antonio Cederna, il "Centro di Documentazione dell'Appia" e l'Archivio che porta il suo nome, che la famiglia ha di recente donato allo Stato. Tale archivio contiene un tesoro di carte, articoli e libri appartenuti al grande giornalista e strenuo difensore a tutela della "regina viarum", nome attribuito dai romani all’Appia Antica.La villa è distribuita su tre livelli e durante i lavori di restauro, è emerso che il fabbricato fu costruito sui resti di un'antica cisterna romana, utilizzata per alimentare l’elegante e lussuosa struttura termale che sorgeva all'esterno, proprio davanti all'ingresso situato su via Appia.

Le terme occupano una vasta area, parzialmente visibile, che comprende diversi ambienti, tra cui gli spogliatoi, il tepidarium, il frigidarium e il calidarium. Nelle terme sono stati ritrovati in ottimo stato di conservazione diversi stupendi reperti tra cui mosaici, monete, marmi policromi ed intonaci dipinti, attraverso i quali si è potuto stimare che l'impianto fosse rimasto in funzione fino al IV secolo.


A volte, quindi, un bene privato e ad uso esclusivo si può trasformare in un bene pubblico, fruibile da tutti. 

Però non sempre ci accorgiamo delle opere “pubbliche” e che fanno parte della nostra vita. Ad esempio molto spesso si arriva al Teatro Argentina appena in tempo per ritirare i biglietti nel foyer e non si ha modo di rendersi conto della neoclassica facciata di Pietro Holl, risistemata da Ersoch alla fine dell’ottocento.
 Ed è proprio questo “volto” che sta subendo un importante restauro, dopo altri due, eseguiti nel secolo scorso. Il primo di questi, eseguito nel 1970, ha previsto l’eliminazione delle capriate del tetto e l’inserimento del cordolo in cemento armato. Inoltre, l’uso del cemento per restaurare i gruppi scultorei, presenti in facciata, ha comportato l’annullamento del modellato, ottenuto con lo stucco, e la presenza di sali lungo la superficie, rilasciati dal cemento stesso.

Il secondo intervento è stato attuato nel 1993 e ha previsto l’uso di un intonaco a resina vinilica. Tale materiale, incongruente, è stato eliminato nell’attuale restauro, finanziato da una ditta di restauro, Mecenarte, che recupera i soldi grazie alla pubblicità. Infatti, la situazione economica è tale che non ci sono alternative al momento e, in questo caso, è stato impiegato il sistema di réclame sui ponteggi per trovare i finanziamenti.

Sicuramente il restauro è importante non solo per la tutela dell’edificio, ma per questo esperimento che potremmo ritenere “strategico”. Un’ulteriore dimostrazione di come arte e cultura non possano più essere considerati come un costo, ma una straordinaria opportunità di sviluppo e occupazione.

Architettura come costruzione nel tempo

“Non esiste un punto terminale in architettura: c’è solo mutamento ininterrotto”. Walter Gropius 1883-1969

Il concetto di durevolezza è da sempre insito nell’idea di architettura e nella necessità dello stesso uomo di avere un rifugio che possa resistere alle insidie del tempo. All'idea di durata è però connaturata anche l'idea di conservazione e di manutenzione, essendo un’operazione finalizzata a prolungare la vita dell'edificio e a riaffermare il suo valore artistico, funzionale e tecnico. Secondo questa prospettiva, gli edifici concepiti per durare nel tempo assumono dunque il carattere di permanenza, di “presenza nel tempo”. Su questa idea si fonda l'esigenza dell'uomo di rappresentare, con l'opera architettonica, valori trasmissibili nel tempo, sia funzionali e tecnici, che, soprattutto, simbolici, culturali e storici.

L’opera rappresenta un prezioso patrimonio in grado di raccontare una storia. Permane dunque il monumento, quel tipo edilizio che nel tempo si è adattato alle diverse funzioni, il più delle volte del tutto indipendenti dalla forma. Tuttavia è proprio quest’ultima a rimanerci impressa, a diventare un segno indelebile all’interno di un processo storico, temporale e progettuale. Il monumento diventa così uno “scrigno”, un elemento carico di suggestione inserito nell’ambiente urbano, con il quale deve convivere e confrontarsi. Uno spazio in continuo movimento, che molte volte non si accorge o da per scontato la presenza di queste opere, “vocabolari” da cui trarre definizioni architettoniche. Attraverso questi testimoni, infatti, è possibile leggere la storia, conoscere l’architettura, cogliere gli elementi fondanti della costruzione per poi ricomporli in una nuova idea. E’ lo spazio esistente che diventa l’elemento primario per una nuova architettura ed esempio, tra molti, di tale connessione è la Basilica Palladiana a Vicenza.

Palladio da prova della maturità da lui raggiunta e della pienezza del suo linguaggio, realizzando un’opera che costituisce uno dei massimi lasciti della cultura architettonica rinascimentale. La Basilica è il risultato “sconcertante” della sovrapposizione di culture costruttive diverse e di una mescolanza di spazi discordanti, il tutto mascherato sotto un apparato unitario e ordinato. Tale architettura è diventata così una memoria senza tempo, che “non passa mai di moda”, anzi è parte attiva della città, in quanto creazione per la collettività e capace di adattarsi alle esigenze mutevoli dell’uomo.

Nell’arco dell’ultimo ventennio, la Basilica Palladiana si è resa uno strumento attivo di cultura e di educazione grazie ad una serie di mostre di architettura, significative non solo per i soggetti trattati, ma anche per l’originale modo di allestire gli spazi. In realtà, tale edificio non è nuovo a manifestazioni espositive: infatti, notevole rilevanza ha avuto la mostra palladiana del 1973, organizzata dal Centro internazionale di studi di architettura e affidata alle esperte mani di Franco Albini, Franca Helg e Antonio Piva. L’allestimento, pensato dai progettisti, si basa sull’idea di riuscire a realizzare un percorso espositivo e interpretativo delle opere di Palladio, strettamente connesso con il monumentale invaso della Basilica. Avviene così una reciproca valorizzazione tra il contenitore e il contenuto e un rispetto, promosso in particolare da Franco Albini, della struttura interna, cercando di trasmettere così il linguaggio Palladiano.

La progettazione è, infatti, il modo per esprimersi, per comunicare con il mondo, per iniziare una ricerca di nuovi linguaggi, attraverso la sperimentazione, la capacità di risolvere i problemi sia dal punto di vista dell’utenza e dei committenti, ma anche dell’architetto stesso. E’ quest’ultimo ad imprimere nell’opera un segno stilistico, con la precisa volontà di far persistere nel tempo la propria architettura e il suo pensiero.

“V'è davvero alcunché di divino nei suoi progetti, né meno della forza del grande poeta, che dalla verità e dalla finzione trae una terza realtà, affascinante nella sua fittizia esistenza”. Goethe 1749-1832

Architetture: grandi affari oppure entità rappresentative?

 

C’è un uomo che guarda soddisfatto la “sua” fontana e gli si avvicina un turista italo-americano incuriosito. L’uomo si presenta: “Salve, sono Antonio Trevi, il proprietario di questa Fontana”.

Naturalmente, stiamo parlando dell’indimenticabile scena tratta dal film “Totòtruffa ‘62” in cui alla fine il visitatore credulone è convinto di aver comprato la Fontana di Trevi, un bene pubblico e appartenente allo Stato. La scelta di tale riferimento, non è casuale, ma è dettata dalla riflessione sulla situazione di tanti beni demaniali, cioè gestiti dalla Pubblica Amministrazione, che sono da tutti riconosciuti come proprietà di interesse storico, ma allo stesso tempo, a causa dei problemi economici e della “crisi”, sono lasciati deperire lentamente. Il visitatore sarebbe ancora disposto a comprare la Fontana di Trevi se fosse stata modificata oppure lasciata al degrado delle intemperie? La “riconoscerebbe” ancora?

La stessa riflessione la possiamo fare sul Foro Italico, discusso simbolo di una realtà idealista, che però fa parte integrante della nostra città ed è capace di trasmetterti delle emozioni uniche. Non scorderò mai l’ingresso che ho fatto, come volontaria, all’interno dello Stadio dei Marmi, insieme alle delegazioni partecipanti alle Special Olympics. E’ stata un’occasione che mi ha dato la possibilità di “essere osservata” dalle statue di marmo che coronano lo stadio e di poter “vivere” il Foro Italico non solo come visitatrice, ma come parte integrante di questo simbolo architettonico. Il problema è proprio questo: noi vediamo gli oggetti da lontano senza capire che questi fanno parte di noi e sono una realtà da cui noi stessi deriviamo. Ecco perché dovremmo porci delle domande quando vediamo la Casa delle Armi, un capolavoro di Luigi Moretti, cadere letteralmente a pezzi. Elemento di discordia, è stato più volte aggredito e deturpato, senza comprenderne il suo valore intrinseco. E’ come se questo edificio fosse un malato terminale e noi dovessimo decidere se farlo morire e dunque abbatterlo oppure tentare di recuperarlo, investendo su di esso. Il problema è proprio questo: chi è disposto a dare i soldi necessari, circa 15 milioni, per tentare di riporte la Casa delle Arme alla sua forma originaria? Bisogna fare una scelta. Infatti, la stessa parola “restauro” comporta una valutazione critica che può indurre ad una modifica della conformazione materica e morfologica diversa. L’atteggiamento con cui ci poniamo di fronte ad un’opera può essere di rispetto dell’attuale conformazione dell’opera stessa oppure di modifica della sua forma, attraverso un intervento diretto, a favore però di una miglior comprensione dell’architettura e del pensiero dall’architetto che l’ha creata. Sicuramente sarebbe possibile tentare di recuperare filologicamente la Casa delle Armi, grazie ad uno studio dei disegni progettuali di Moretti stesso, ma il problema resta sempre quello economico e così l’edificio rimane sospeso in un “limbo”.

Ormai le nostre azioni sono portate avanti solo se dietro c’è un “grande affare” e non perché le architetture sono entità che ci rappresentano e ci appartengono. Questa è proprio la situazione che ha condizionato gli interventi sullo Stadio Olimpico dove le leggi, facilmente scavalcabili, non hanno impedito delle modifiche incongrue sia rispetto alla storia della struttura, sia al suo significato sportivo e culturale. Infatti, l’ampliamento degli spalti e l’inserimento della copertura hanno condizionato non solo l’area del Foro Italico, ma anche i quartieri limitrofi. Perché non è stata realizzata una nuova struttura in un altro luogo? Perché non si è preso esempio dai nostri vicini europei?

Sicuramente non è sempre negativo l’accostamento tra il vecchio e il nuovo, anzi molte volte un edificio antico può essere esaltato dal nuovo e può far meglio comprendere la sua essenza, ma non a discapito dell’architettura stessa. L’edificio deve essere riconoscibile da tutti in quanto elemento culturale e portatore di un messaggio. La fruizione odierna deve essere rispettosa del lascito di una cultura precedente e gli interventi di recupero del patrimonio esistente, classificati nella legge 457/78, devono tener conto delle permanenze, così come i procedimenti di stima, sia nel procedimento sintetico-comparativo che in quello analitico-ricostruttivo. A partire dai restauri già eseguiti su un’opera analoga, si possono trarre delle conclusioni immediate, ma questo può anche comportare una incertezza nella stima a causa dell’eterogeneità delle variabili come i vincoli normativi, i materiali costruttivi originari, la tipologia del restauro, lo stato di conservazione dell’immobile, gli elementi di pregio architettonico, la configurazione plani-volumetrica.

Ecco perché bisogna tener conto del processo produttivo e quindi della quantità e qualità monetaria di tutti i fattori. Occorre pervenire ad indicazioni che permettono di valutare la convenienza del progetto e i benefici che se ne possono trarre. L’architettura è, infatti, un bene utile e accessibile su cui si può e si deve investire per rendere più “efficienti” le risorse. Noi dobbiamo essere in grado di orientarle, identificando preventivamente le possibili criticità, in modo tale da comportare un effetto benefico su tutta la collettività. Quindi, non si può solo pensare all’affare, ma all’importanza, alla rilevanza che il possedimento ha su ciascuno di noi, in quanto nostra entità rappresentativa e culturale.

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del Palazzo Massimo alle Terme e della Palazzina di Libera ad Ostia

 

Il Palazzo Massimo alle Terme e la Palazzina di Libera ad Ostia sono due edifici molto diversi diversi, tanto per le loro vicende storiche quanto per i loro destini, ma che hanno in comune un elemento forse apparentemente banale: Roma. Personalmente è questa l’unica città al mondo dove, girato l’angolo di qualunque strada, è possibile ritrovare le tracce di tante culture millenarie, giunte fino a noi in diverse forme. Questi manufatti sono in grado di suscitarci emozioni e sono uno strumento indispensabile per avvicinare chiunque alla conoscenza. Il loro “valore” economico, ma soprattutto estetico e morale, è tangibile a tutti ed è per questo che, accanto a tale parola, si dovrebbe sempre accompagnare quella di “tutela” del bene. Salvaguardare un’opera di architettura oppure di qualunque altra forma artistica è importante, tuttavia non sempre facile. Bisogna, infatti, cercare di conciliare la logica dell’epoca di realizzazione del manufatto con le esigenze della modernità e tutto questo comporta delle scelte, non sempre apprezzate.

E’ il caso del restauro effettuato al Palazzo Massimo alle Terme: edificio nato nell’ottocento per ospitare un collegio, abbandonato per un lungo periodo, si è ritrovato a dover ospitare una parte del Museo Nazionale Romano e dunque a dover cambiare la sua destinazione d’uso. Per far questo si è dovuto modificare l’interno dell’edificio, riducendo l’interasse tra i piani e convertire alcune aule presenti, nonché un teatro, così da ottenere spazi adatti per l’esposizione e per gli ambienti di servizio. Inoltre, per adeguare il fabbricato alle norme antincendio e alla buona fruibilità da parte degli utenti stessi, sono state inserite le scale di sicurezza nella parte posteriore della struttura e dei nuovi ascensori. Pertanto, esternamente l’edificio ha mantenuto il suo carattere ottocentesco, mentre all’interno è stato adattato alle nuove esigenze funzionali. Infatti, si è scelto anche di curare maggiormente l’esposizione delle opere stesse con l’uso di una nuova illuminazione e con una risistemazione delle collezioni, articolandole in modo tale da poter essere meglio apprezzate dai visitatori. Le scelte apportate per la realizzazione del progetto di rifunzionalizzazione del Palazzo Massimo alle Terme sono perfino fattibili da un punto di vista economico. Infatti, a fronte di una spesa sicuramente ingente, il ricavo auspicato si ritiene superiore ai costi, data l’importanza turistica e culturale del Museo Nazionale Romano. Sicuramente, l’edificio ha acquisito così una nuova “vita” ed è divenuto un bene di cui tutti possono godere in uguale misura, senza però modificare l’impatto visivo del fabbricato nel suo contesto urbano.

E’ importante conservare e comprendere il rapporto dell’edificio con l’ambito circostante e quando tale legame viene modificato, non solo il fabbricato perde la sua identità, ma anche l’ambiente adiacente ne subisce le conseguenze. Proprio com’è accaduto alla Palazzina di Libera a Ostia che, prima del restauro era segnata dall’ingrato destino di essere demolita poiché rudere. E’ possibile far “sparire dalla faccia della terra” un’opera così rilevante, realizzata da uno dei più grandi architetti del novecento? Come poter contrastare questa indifferenza nei confronti di opere di cui molte volte non si conosce la storia? Impresa molto ardua riuscire a sensibilizzare anche gli stessi condomini dell’edificio che, impossibilitati a pagare, si possono permettere di far degradare di un edificio così rilevante. Anche in questo caso è stata necessaria una scelta, una mediazione tra un problema economico e la conservazione di un bene comune. Ripristinando l’integrità dell’edificio, gli spazi comuni, l’involucro esterno e i balconi è stato possibile riabilitare la Palazzina. Fondamentale è stata la ricerca delle fonti e una loro accurata analisi in modo tale da poter comprendere pienamente le intenzionalità dello stesso Libera. Come nel precedente caso del Palazzo Massimo alle Terme, la fattibilità economica dell’edificio è sicuramente stata vantaggiosa. Infatti, il fabbricato ha acquisito un grande valore sia per i condomini, i quali, a seguito dei lavori, si ritrovano praticamente triplicati i costi al mq dei loro appartamenti, e sia per chi fa semplicemente una passeggiata per il lungomare di Ostia.

Da una scelta si può dunque decidere il “destino” di un bene, il suo “valore” e la sua “importanza”. Bisogna comprendere e far comprendere che qualunque manufatto ha una sua rilevanza e per questo deve essere tramandato ai posteri. Come noi abbiamo la possibilità di godere di tale bene, così ne hanno diritto anche le generazioni successive. Il nostro giudizio, anche più strettamente economico, è dunque alla base delle “scelte” che tutti dobbiamo fare. Preferendo una spesa per la conservazione si ottiene allora una convenienza non solo per un motivo finanziario, ma anche e principalmente per un motivo culturale.