Considerazioni sulla visita alla Villa Capo di Bove ed al cantiere del Teatro Argentina

 

La proprietà di “Capo di Bove” si trova all'interno del Parco Archeologico dell'Appia Antica; si tratta di un'area strategica, situata appunto sull'asse storico dell'Appia Antica, importante via di collegamento durante l'impero romano. Questa subì diversi cambiamenti nel dopoguerra: vi fu un primo periodo, durante gli anni '50, nel quale diviene lo scenario ideale di grandi imprenditori e personalità illustri, soprattutto produttori cinematografici, che si costruiscono la propria villa; lo stile è piuttosto sfarzoso e lussuoso, tipico di quegli anni. Nella seconda fase degli anni '70-'80 vengono acquistate, da parte di commercianti, tutte le parti edilizie, dai fienili alle case dismesse, e trasformate in proprie abitazioni. La terza fase, degli anni '90, è la fase dei grandi interventi massivi e speculativi con aumento di cubatura che avvengono ai margini del parco archeologico.

L'idea iniziale del Parco dell'Appia Antica nasce dal prefetto napoleonico, e inizialmente venne denominato “Grande Cesare”; si tratta infatti del sito archeologico più importante e più grande del mondo, soggetto a vincolo archeologico e oggetto di tutela da parte dell'Ente Parco dell'Appia Antica e della Sopraintendenza per i Beni Archeologici.

La proprietà attualmente comprende i ritrovamenti di un impianto termale risalente al II secolo d.C. e l'edificio principale, che dal 2008 ospita l'Archivio Antonio Cederna, giornalista, ambientalista, politico e intellettuale italiano difensore del patrimonio culturale e paesaggistico italiano.

L'area di questa villa nel II secolo d.C. era all'interno della vasta tenuta agricola di Erode Attico, durante il medioevo venne trasformata in fortilizio, pur mantenendo le caratteristiche agricole, e divenne in seguito un Bene dello Stato Pontificio, che finanziò infatti gli scavi archeologici.

L'area rimase in proprietà privata fino al 1870 e mantenne l'uso agricolo sino al 1945, anno in cui avvenne la trasformazione per uso residenziale. A partire dagli anni '50 la tenuta fu infatti acquistata da una famiglia di mercanti ortofrutticoli, i Romagnoli, che trasformarono la proprietà ad uso residenziale. Negli anni '60 fu comprata da Streccioni, un produttore cinematografico, il quale commissionò il progetto di recupero della villa secondo uno stile antiquario che era in voga in quegli anni.

Nel 2002 la proprietà fu acquistata dal Ministero per i Beni e le Attività culturali su proposta della Sopraintendenza speciale per i Beni Archeologici di Roma, esercitando il diritto di prelazione sul bene vincolato. Secondo delle recenti valutazioni, la villa era stata stimata 1.300.000 euro. Si è trattata di un'importante operazione di riscatto volta al recupero di un Bene da privato a pubblico, in cui si è andata consolidando l'acquisizione del patrimonio storico e l'equilibrio tra la parte naturalistica, archeologica e la parte del recupero.

Gli scavi archeologici del 2002 hanno portato alla scoperta di un impianto termale risalente al II secolo d.C., ad uso privato, una struttura sofisticata ed aristocratica probabilmente ad uso sacerdotale o di culto. I lavori dell'area, iniziati nel 2002, sono stati eseguiti dagli architetti Celia e Cacciapaglia per quanto ha riguardato la ristrutturazione degli edifici e gli spazi interni espositivi, e dal paesaggista De Vico per la sistemazione dei giardini.

Circa la sistemazione degli spazi esterni, ai fini della leggibilità dei resti archeologici dell'impianto termale, è stata utilizzata una ghiaia bicroma bianca e nera come riproposizione della pavimentazione in mosaico bicromo bianco e nero, e una ghiaia color cotto a riproporre la pavimentazione in laterizio. Trovo che sia una buona riuscita, in quanto rende più facilmente leggibile i resti al visitatore. Inoltre, per ciò che riguarda i giardini, sono stati abbattuti molti alberi piantati in precedenza senza alcun criterio perchè oscuravano gli spazi interni senza quindi permettere l'ingresso della luce e piantati quindi dei nuovi con maggior rigore. Inoltre, ai fini di non dare la sensazione di uno spazio rettangolare stretto e angusto, sono stati modificati i viali realizzando un tracciato ad andamento serpentino, così da dare l'impressione di uno spazio più vasto ed aperto.

La villa viene edificata sulla muratura di una cisterna romana a due vani, i cui resti del vano inferiore sono ben conservati e presentano parti dell'intonaco di cocciopesto, mentre di quelli del vano superiore rimangono poche tracce, visibili solo dai resti di opera cementizia in scaglie di selce. La muratura dell'edificio era stata realizzata adottando una tecnica moderna che deriva dallo “spolia” medievale, ossia attraverso lo spoglio di materiali antichi recuperati dalla distruzione di vari monumenti.

Per quanto ha riguardato gli spazi interni sono state effettuate alcune modifiche per rendere l'edificio a norma, in quanto essendo in precedenza ad uso residenziale non erano necessarie tutte le misure di sicurezza. A riguardo è stato realizzato un elevatore per permettere ai portatori di handicap di accedere al piano superiore; la ringhiera della scala è stata cambiata in quanto la precedente non risultava essere a norma.

Il risultato a mio avviso meno riuscito riguarda gli infissi, che precedentemente in legno, vennero sostituiti con dei nuovi in ferro. Per quanto riguarda i serramenti sono stati sostituiti i preesistenti in ferro battuto con altri più economici in lega. Inoltre la mal riuscita è dovuta anche al fatto che il fabbro ha realizzato gli infissi secondo una misura standard, senza prendere le misure su ogni singola finestra.

Inoltre ho notato la mancanza di pannelli esplicativi che documentino la presenza della cisterna romana su cui si imposta la villa, che , seppur all'esterno è visibile, nella parte interna non è stata lasciata a vista. Condivido l'idea messa in opera dagli architetti, in quanto ritengo che sia più corretto lasciare la testimonianza della sovrapposizione storica, di come l'edificio si sia evoluto.

In conclusione posso affermare che gli interventi realizzati sono congrui e corretti, è stata rispettata la struttura della cisterna, alta testimonianza storica, e si è agito nel rispetto della tutela e della salvaguardia. Si è quindi reso un bene pubblico fruibile dal quale si sono ottenuti benefici concreti.

 

 

 

Il Teatro Argentina, uno dei più antichi teatri di Roma, venne costruito nel 1732 su progetto di Girolamo Theodoli. La facciata, in stile neoclassico, venne realizzata un secolo dopo, nel 1836 da Pietro Holl. Divenuto proprietà comunale nel 1869, il teatro deve l'aspetto attuale al rifacimento operato da Gioacchino Ersoch nel 1887-1888, che inserì i palchi nella struttura in muratura, aprì il palco reale e ampliò l'atrio.

 

Nel corso della storia il teatro subì due interventi di restauro, uno nel 1970 e l'altro risalente al 1993.

Nel primo restauro fu eliminata la pensilina di quattro metri in quanto creava problemi alla linea del tram. Furono inoltre apportate modifiche alla copertura con eliminazione delle capriate lignee e aggiunto in sostituzione un cordolo in cemento armato lungo il perimetro dell'edificio, perchè ritenuto più idoneo per la staticità della struttura e per una maggiore resistenza sismica.

Per quanto riguarda il gruppo statuario collocato a coronamento della facciata, era stata applicata una colletta cementizia di 4/5 centimetri di spessore che aveva completamente annullato l'effetto dello stucco originale e di profondità, propria delle sculture. Inoltre questo strato cementizio, provocando la fuoriuscita dei sali, aveva gravemente danneggiato la superficie scultorea. Anche i ferri di armatura delle statue si erano interamente arrugginiti con il tempo.

Nei restauri del '93 si è intervenuti principalmente sulla facciata utilizzando una scialbatura a base di resina vinilica, che, non lasciando traspirare la muratura, aveva provocato delle lesioni e delle micro fessurazioni.

Il restauro in corso d'opera, curato dall'Architetto Celia, si prefigge come obiettivo principale quello di utilizzare materiali compatibili, come la tinta a calce, in sostituzione dei precedenti vinilici. Perciò in primo luogo è stato effettuato il descialbo degli strati precedenti in modo da poter così procedere ad un restauro di tipo filologico. Come sostiene l'Architetto, i descialbi delle coloriture non sono da considerarsi del tutto operazioni corrette perchè cancellano i segni della storia, eliminando le stratificazioni che si succedono nel corso del tempo, senza lasciare quindi una testimonianza storica. Ma in questo caso è stato necessario effettuare il descialbo per poter proseguire con un restauro di tipo corretto e compatibile dal punto di vista materico.

Sull'intonaco di tamponamento della facciata era stata applicata una tinta color ocra; attualmente sono in corso le prove di colore per restituire il colore originale, sui fondi un color cortina e sulle parti in finto bugnato un color travertino.

Per quanto riguarda il gruppo scultoreo, si è provveduto a sostituire gli elementi più pesanti, con dei nuovi più congrui e leggeri, anche ai fini della stabilità, e a rimuovere i ferri di supporto delle statue, ormai arrugginiti, e a sostituirli con dei nuovi. Inoltre sono state eliminate le aggiunte in cemento e la scialbatura precedente, al fine di ripristinare lo stucco originale e conferire al gruppo i giusti effetti di profondità.

Sono stati ripristinati anche gli infissi in legno del primo piano, sui quali è stato rimosso lo smalto color grigio precedentemente applicato e restituitogli quindi la colorazione originale.

Nel bassorilievo si sta cercando di ottenere una differenziazione cromatica del piano di fondo rispetto alle parti in rilievo, al fine di conferire maggior leggibilità.

Particolare importanza ha rivestito il contesto storico nell'organizzazione dei ponteggi. Infatti il montaggio di quest'ultimi è stato piuttosto complicato, perchè trovandosi a meno di 50 metri da un'area archeologica, ha richiesto il rispetto di vari tipi di vincoli e norme per la tutela e la salvaguardia dei beni storici. Inoltre si è sottolineata l'importanza che ricopre il ruolo di coordinatore della sicurezza e quanto sia delicato e fondamentale questo tema nell'organizzazione di un cantiere. Era infatti necessario lasciare un'uscita di sicurezza dal basso, perciò l'ingresso al cantiere si può effettuare esclusivamente dalla terrazza. Inoltre è sorta la problematica di come portare i materiali e inserire una piccola betoniera nella quale realizzare l'intonaco con tinta di calce; questo avrebbe comportato un sovraccarico del solaio, e a questo proposito è stata realizzata una terrazza al primo piano per deporre la betoniera con un tunnel verticale di carico dal quale sarebbero stati portati ai piani superiori i materiali.

Trattandosi di un teatro comunale, i lavori sono stati supervisionati dalla Sopraintendenza comunale e statale; il committente è un privato, Mecenarte, e le spese vengono sovvenzionate dalla pubblicità. I ponteggi risultano infatti attualmente coperti da un telo pubblicitario.

Riguardo l'utilizzo della pubblicità come strumento per finanziare un'opera, se usata come mezzo idoneo, senza che sia permanente ed evitando qualsiasi deturpazione del paesaggio, ritengo possa essere un mezzo utile ed efficace, che permette la manutenzione e la conservazione degli edifici storici, come in questo caso del Teatro Argentina.