visita a villa capo di bove

Villa Capo di Bove è una villa situata lungo la via Appia antica divenuta proprietà del Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel 2002, su proposta della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma.

All'interno dello spazio espositivo abbiamo potuto vedere, dati alla mano, le grandi trasformazioni, urbane e paesistiche, che si sono susseguite negli anni sul territorio limitrofo alla via Appia; questo infatti pur essendo un parco controllato da un ente apposito, data la sua grande estensione rimane molto spesso vittima di abusi. In assenza di un costante controllo infatti si sono susseguite sempre più edificazione abusive anche al bordo del grande parco dell'Appia Antica deturpando per sempre il paesaggio godibile, ad esempio, dalla stessa villa Capo di Bove.

 

La proprietà della Villa Capo di Bove fu acquisita dalla Stato che, esercitando il diritto di prelazione, la tolse dalla mano di privati che volevano lucrare su una sua finta compra-vendita, altro abuso che sarebbe stato commesso su questa parte di territorio romano.

Della villa si hanno anche notizie precedenti rispetto all'acquisizione del 2002:

negli anni '60 del novecento la villa apparteneva a dei rivenditori ortofrutticoli, la famiglia dei Romagnoli; successivamente fu comprata da un cinematografaro romano, Streccioni, che finanziò un progetto di recupero “antiquario” della villa secondo la tecnina dello “spolia” per cui furono utilizzati dei reperti archeologici provenienti dagli scavi; ultimo proprietario fu un certo Mora.

 

Dopo l'acquisizione dell'area da parte della Soprintendenza si intervenì sulla proprietà con interventi che mirassero ad esaltare e valorizzare gli aspetti storici, mentre furono eliminati quelli appartenenti alle più povera fase residenziale. A questo proposito fu eliminata la piscina che si trovava nel giardino retrostante e fu creato un impianto di fitodepurazione. Negli interni si lasciarono tutti quegli elementi dati dalle stratificazioni dovute al tempo come la colonna in marmo antico sotto la scala, la scala stessa, le porte.

Nell'area esterna si portarono alla luce i resti archeologici di un piccolo complesso di terme romane private risalenti al II secolo d.C. Questo fu possibile con la rimozione del viale alberato che inquadrava la villa posta nella parte retrostante del lotto rettangolare. Le terme, poste nella parte del lotto più prossima alla via Appia, erano forse ad uso di una corporazione o di un collegio che frequentava l'area. Il complesso termale si pensa fosse rimasto in uso fino al IV sec. secondo le tipologie murarie e i bolli rinvenuti durante la fase di scavo.

Oggi, dopo la sistemazione dell'area in maniera didattica, è possibile comprendere chiaramente come erano organizzati e realizzati i complessi termali romani. Si può vedere come gli ospiti del complesso si trovavano all'interno di un cammino che prevedeva il passaggio da ambienti freddi, frigidarium, ad ambienti più caldi, tepidarium, sudatio, caldarium. Gli ambienti freddi erano ambienti molto ampi e caratterizzati dalla presenza di vasche di acqua fredda in cui gli ospiti si immergevano completamente; gli ambienti caldi erano invece di minori dimensioni perché più numerosi; erano delle vere e proprie saune caratterizzate dalla loro essenza architettonica: infatti questi ambienti erano dotati di un pavimento sostenuto da suspensure sotto alle quali passava costantemente l'aria calda proveniente dai forni; sulle pareti erano poi incastonati i tubuli, terracotte cave entro cui avveniva il passaggio di aria calda; queste tecnologie garantivano il calore costante all'interno di questi ambienti. Tutti gli ambienti interni erano arricchiti da pavimentazioni musive. In questo sito se ne conservano alcune con dei pregiati disegni geometrici; negli ambienti in cui non sono state ritrovate le pavimentazioni originali la loro presenza è stata suggerita dall'immissione di tessere bianche e nere nell'area di ingombro della pavimentazione interna. In una porzione dello scavo è possibile ammirare anche l'impianto idraulico di cui i romani si servivano composto da tubuli circolari di raccordo, utilizzati entro le murature, e cappuccine che costituivano il vero e proprio impianto fognario.