Palazzina di Libera a Ostia

Considerazioni sulle ultime lezioni di Estimo: il Vecchio e il Nuovo

Trovo intrigante l’analogia tra composizione metafisica in pittura  e compresenza di antico e moderno in  composizione architettonica. La suggestione metafisica che deriva dall’accostamento di passato e presente in architettura può essere un’esperienza edificante, piacevole e addirittura esaltante ma  anche grottesca, nociva e deprimente.

Riflettendo sui progetti di restauro analizzati durante le lezioni del corso del Prof. Passeri e non solo, ritengo che gli interventi che hanno generato risultati del secondo tipo siano purtroppo numerosi.

In alcuni casi la negatività di questi restauri è giustificata dal periodo in cui questi vennero effettuati, come il restauro del palazzo di Cnosso realizzato nei primi del ‘900, anni in cui il cemento armato veniva considerato un materiale ottimo proprio per la sua versatilità, venne quindi abbondantemente utilizzato nelle strutture storiche; ingiustificabili sono invece interventi che manifestano una non volontà di tramandare ai posteri le caratteristiche formali di una determinata architettura ma anzi addirittura di negarle come nel caso del Foro Italico ed in particolare della Casa delle Armi di Moretti.

Tuttavia se troppo spesso il nuovo non è stato all’altezza del vecchio mancandone di rispetto e deturpandolo , vorrei ricordare interventi che a mio parere sono stati benefici, quelli che partendo da una solida preparazione filologica si sono relazionati all’edificio storico in modo colto e generoso.

Considerando i casi analizzati a lezione non posso non elogiare il lavoro effettuato sulla palazzina di Libera ad Ostia che ha restituito l’ aspetto originario a questo importante esempio di architettura razionalista italiana. L’intervento non ha ricevuto sovvenzioni dallo stato in quanto l’edificio non è sottoposto a vincoli se non quello paesaggistico, i progettisti hanno quindi cercato di mantenere al minimo le spese,  ricadenti  esclusivamente sui tre proprietari, questa operazione di restauro ha richiesto quindi una continua abilità nel scegliere il giusto compromesso tra interessi privati e proposito culturale.

Palazzo Massimo alle Terme, sede di una parte del Museo Nazionale Romano, è un altro interessante caso che ha posto i restauratori (Carlo Celia e Stefano Cacciapaglia) di fronte alla necessità di far conciliare tra loro epoche distanti: l’antichità greco-romana delle opere esposte, l’ involucro ottocentesco e le operazioni effettuate nel passato intervento di restauro risalente agli anni ottanta diretto da Costantino Dardi.

Visitando il museo ho percepito la volontà dei progettisti di rispettare e valorizzare gli ambienti ottocenteschi, subordinandoli però al loro attuale compito di museo, ogni intervento manifesta questa generosità nei confronti delle opere esposte, questa volontà di guidare l’attenzione del visitatore verso l’esposizione: trovo quindi che Celia e Cacciapaglia siano intervenuti  progettando il “presente” in funzione del “passato”, ed è  in questo la piacevolezza delle loro scelte architettoniche, e il buon esito del progetto.

Trovo saggia e corretta anche la loro volontà di mantenere le installazioni per l’illuminazione risalenti al progetto di Dardi, nonostante il loro carattere, a mio avviso, un po’ egocentrico sia distante dalla filosofia del nuovo allestimento.

Altri due architetti , citati durante il corso, abili nel coniugare antico e moderno, sono Peter Zumthor che ha realizzato il Kolumba Museum di Colonia e Rafael Moneo il quale ha progettato il Museo del Teatro Romano di Cartagena.

Non ho mai personalmente visitato le loro opere ma guardando alcune fotografie trovate in rete, mi sembra che in questi ambienti il nuovo diventi custode dell’antico, diventi un mezzo che rende piacevole e agevole la fruizione del passato ai visitatori.

Concludo quindi elogiando il matrimonio tra passato e presente in architettura, nel caso del restauro però ritengo che, affinché lo stupore metafisico generato da questo accostamento sia quanto più edificante, il presente debba restare al servizio del passato, debba dialogare con il passato evitando il pericolo di sopraffarlo ed in questo suo delicato compito di servitore trovare la propria essenza formale e materica.