Kolumba Museum di Colonia di Peter Zumthor

Considerazioni sulle ultime lezioni

 

“Il senso e il significato di monumenti non spettano alle opere in virtù della loro destinazione originale, ma siamo piuttosto noi, i soggetti moderni, che li attribuiamo ad essi”

A. Riegl Il culto moderno dei monumenti

Esistono ormai numerose teorie riguardanti il restauro che si pongono in modo diverso rispetto all’antico. La molteplicità dei punti di vista può spesso generare confusione in uno studente che si avvia allo studio della materia, ma basta guardarsi intorno e riflettere per capire che non esiste una teoria più corretta rispetto ad un’altra ma solo una differenziazione dovuta alla compresenza di più fattori.

Da una parte la cultura preminente. In Italia, per una serie di avvenimenti storici e per l’abbondanza di opere che caratterizza il territorio, spesso si sacrifica lo sviluppo contemporaneo in favore della testimonianza storica. Siamo a tal punto abituati all’importanza dell’antico che qualsiasi intervento che vada a modificarne l’aspetto (il restauro di una facciata, la copertura di rovine romane ecc.), anche se condotto nel pieno rispetto dei dati storici, scatena critiche e polemiche. La compresenza di nuovo è antico è un dato sconvolgente da “mimetizzare” il più possibile, viene denunciata con elementi a volte non leggibili se non in seguito allo studio attento della storia dell’edificio.

Tuttavia basta spostarsi al di là delle Alpi che lo scenario cambia completamente: in molti casi si sceglie di denunciare apertamente l’intervento, di sovrapporsi all’antico con un altro edificio o di circondarlo con edifici dal carattere completamente diverso (con risultati più o meno efficaci).

Un altro fattore è costituito dalla motivazione. Cosa ci spinge a preservare un edificio antico dal degrado e cosa invece ci spinge a lasciarlo in rovina, cosa invece a conservarlo così come ci è pervenuto senza restituirne l’aspetto originario? Da ogni teoria del restauro bisogna trarre la soluzione che più si confà al caso di studio inserito nel suo contesto culturale ed ambientale. Spesso infatti può capitare che la rovina in quanto risultato di un determinato avvenimento storico assuma una forza maggiore rispetto invece all’edificio ricostruito. E’ quello che succede per molti edifici bombardati a seguito del secondo conflitto mondiale. Alcuni come nel caso emblematico della Cattedrale di Dresda sono stati ricostruiti, altri invece no. In tal caso, mentre in alcune situazioni si è scelto di lasciare l’edificio in rovina, altre volte ai resti si è sovrapposto un nuovo edificio. E’ il caso del museo di Santa Kolumba (Colonia) dove Zumthor si sovrappone all’edificio antico in continuità senza volutamente sottolineare le “fratture storiche”, prestando particolare attenzione alla scelta dei materiali e allo studio della luce naturale, come si faceva nell’antichità quando ad un edificio se ne sovrapponeva uno più moderno. In una simile visione le superfetazioni non esistono perché ogni intervento che si sussegue si inserisce nel divenire storico.

Qual è il risultato di questi diversi punti di vista? Sono convinta che nessuno possa dire cosa è giusto e cosa è sbagliato, si tratta semplicemente di essere in grado contestualizzare l’intervento e di comprendere con lucidità il valore culturale di ogni testimonianza adattando il carattere dell’intervento al singolo caso. Bisogna essere coscienti che purtroppo non si può assegnare lo stesso valore a tutti gli edifici, e in misura di questa attribuzione di valori bisogna scegliere se e come intervenire. In altre parole alcune cose possono essere sacrificate, mentre per altre è invece opportuno attuare al più presto un intervento per il recupero. A questo proposito cito la Casa delle Armi di Moretti: se questa ha un valore storico, artistico, architettonico, allora perché non siamo disposti ad affrontare la spesa per recuperarla? La motivazione è solo economica, o sta anche nel mancato riconoscimento del suo valore? La verità è che l’uomo resta sempre legato ad un’opinione soggettiva, per quanto gli studi storico-critici possano essere approfonditi, il giudizio finale è sempre legato alla soggettività di chi lo esprime, alla sua formazione e cultura. Occorre molto tempo affinché un monumento venga considerato come tale da tutti senza condizioni, ma nel frattempo, cosa si fa?

Considerazioni sulle ultime lezioni di Estimo: il Vecchio e il Nuovo

Trovo intrigante l’analogia tra composizione metafisica in pittura  e compresenza di antico e moderno in  composizione architettonica. La suggestione metafisica che deriva dall’accostamento di passato e presente in architettura può essere un’esperienza edificante, piacevole e addirittura esaltante ma  anche grottesca, nociva e deprimente.

Riflettendo sui progetti di restauro analizzati durante le lezioni del corso del Prof. Passeri e non solo, ritengo che gli interventi che hanno generato risultati del secondo tipo siano purtroppo numerosi.

In alcuni casi la negatività di questi restauri è giustificata dal periodo in cui questi vennero effettuati, come il restauro del palazzo di Cnosso realizzato nei primi del ‘900, anni in cui il cemento armato veniva considerato un materiale ottimo proprio per la sua versatilità, venne quindi abbondantemente utilizzato nelle strutture storiche; ingiustificabili sono invece interventi che manifestano una non volontà di tramandare ai posteri le caratteristiche formali di una determinata architettura ma anzi addirittura di negarle come nel caso del Foro Italico ed in particolare della Casa delle Armi di Moretti.

Tuttavia se troppo spesso il nuovo non è stato all’altezza del vecchio mancandone di rispetto e deturpandolo , vorrei ricordare interventi che a mio parere sono stati benefici, quelli che partendo da una solida preparazione filologica si sono relazionati all’edificio storico in modo colto e generoso.

Considerando i casi analizzati a lezione non posso non elogiare il lavoro effettuato sulla palazzina di Libera ad Ostia che ha restituito l’ aspetto originario a questo importante esempio di architettura razionalista italiana. L’intervento non ha ricevuto sovvenzioni dallo stato in quanto l’edificio non è sottoposto a vincoli se non quello paesaggistico, i progettisti hanno quindi cercato di mantenere al minimo le spese,  ricadenti  esclusivamente sui tre proprietari, questa operazione di restauro ha richiesto quindi una continua abilità nel scegliere il giusto compromesso tra interessi privati e proposito culturale.

Palazzo Massimo alle Terme, sede di una parte del Museo Nazionale Romano, è un altro interessante caso che ha posto i restauratori (Carlo Celia e Stefano Cacciapaglia) di fronte alla necessità di far conciliare tra loro epoche distanti: l’antichità greco-romana delle opere esposte, l’ involucro ottocentesco e le operazioni effettuate nel passato intervento di restauro risalente agli anni ottanta diretto da Costantino Dardi.

Visitando il museo ho percepito la volontà dei progettisti di rispettare e valorizzare gli ambienti ottocenteschi, subordinandoli però al loro attuale compito di museo, ogni intervento manifesta questa generosità nei confronti delle opere esposte, questa volontà di guidare l’attenzione del visitatore verso l’esposizione: trovo quindi che Celia e Cacciapaglia siano intervenuti  progettando il “presente” in funzione del “passato”, ed è  in questo la piacevolezza delle loro scelte architettoniche, e il buon esito del progetto.

Trovo saggia e corretta anche la loro volontà di mantenere le installazioni per l’illuminazione risalenti al progetto di Dardi, nonostante il loro carattere, a mio avviso, un po’ egocentrico sia distante dalla filosofia del nuovo allestimento.

Altri due architetti , citati durante il corso, abili nel coniugare antico e moderno, sono Peter Zumthor che ha realizzato il Kolumba Museum di Colonia e Rafael Moneo il quale ha progettato il Museo del Teatro Romano di Cartagena.

Non ho mai personalmente visitato le loro opere ma guardando alcune fotografie trovate in rete, mi sembra che in questi ambienti il nuovo diventi custode dell’antico, diventi un mezzo che rende piacevole e agevole la fruizione del passato ai visitatori.

Concludo quindi elogiando il matrimonio tra passato e presente in architettura, nel caso del restauro però ritengo che, affinché lo stupore metafisico generato da questo accostamento sia quanto più edificante, il presente debba restare al servizio del passato, debba dialogare con il passato evitando il pericolo di sopraffarlo ed in questo suo delicato compito di servitore trovare la propria essenza formale e materica.