Faccio la raccolta differenziata da una vita, ma ho sempre sbagliato con le bottiglie di plastica. Scopri quali errori evitare per migliorare il riciclo e fare la differenza per l’ambiente.
Il dubbio quotidiano tra “accartocciare” e “appiattire” non è banale: per i centri di selezione la bottiglia schiacciata in senso longitudinale, con tappo riavvitato, è più leggibile dai sensori e più facile da spostare sui nastri. Così aumentano riciclo effettivo ed efficienza della filiera.

Per anni ho compresso le bottiglie di plastica senza pensarci due volte: le stringevo fra le mani finché non diventavano una palla stropicciata, poi riavvitavo il tappo per evitare che riprendessero volume. Un gesto automatico, quasi “di buona educazione” civica. Eppure, proprio quel gesto rischiava di complicare la vita ai macchinari che, nei centri di selezione, devono riconoscere e deviare la plastica giusta verso il riciclo vero.
Raccolta bottiglie di plastica, meglio schiacciate o accartocciate?
La regola corretta è un’altra: le bottiglie andrebbero appiattite lungo il loro lato lungo, mantenendo quindi una sagoma piatta e allungata, e successivamente richiuse con il tappo. Non accartocciate a fisarmonica. Perché questa differenza, all’apparenza sottile, conta così tanto? La spiegazione arriva dalla catena di smistamento: una coreografia di nastri trasportatori, lettori ottici e ugelli che sparano aria compressa. Nelle prime fasi, le bottiglie scorrono su tappeti veloci, passano sotto occhi elettronici: sono sensori capaci di “leggere” la firma del materiale (il tipo di polimero, la trasparenza, talvolta il colore), ma lo fanno con maggior precisione quando l’oggetto presenta una superficie sufficiente e una forma regolare, o almeno estesa in lunghezza. Una bottiglia appiattita per il lato lungo offre proprio questo: una “finestra” più ampia e continua su cui il sensore può misurare e riconoscere.

La differenza non finisce qui. Dopo il riconoscimento, la selezione vera e propria si fa a colpi di aria compressa: piccoli ugelli, pilotati dai sensori, soffiano per deviare l’oggetto sull’apposita linea. Una sagoma piatta e allungata, con una superficie maggiore esposta al flusso d’aria, viene “presa” meglio dal getto e spostata con più decisione.
Al contrario, una bottiglia accartocciata e compatta offre meno superficie: può non deviare abbastanza, o muoversi in modo imprevedibile, con il rischio di finire nella frazione sbagliata e perdere così l’occasione del riciclo dedicato. Anche il semplice scorrimento sui nastri ne risente: le forme raccolte tendono a rotolare o a “ballare”, la sagoma piatta scorre più stabile.
In pratica, per fare davvero bene la differenziata delle bottiglie bisogna correggere una prassi molto diffusa. La compattazione è utile — riduce l’ingombro nel bidone, taglia costi di trasporto e impatti logistici — ma va fatta nel modo giusto. Ecco come: Svuota bene la bottiglia, assicurandoti che non ci siano liquidi residui. Appiattiscila lungo il lato lungo, “sdraiandola” con una pressione uniforme, fino a ottenere una sagoma piatta. Riavvita il tappo dopo l’appiattimento: serve a evitare che la bottiglia si reespanda e mantiene la forma utile ai macchinari. Inseriscila nel contenitore della plastica secondo le regole del tuo Comune; etichette e anelli, se non diversamente indicato, possono restare.

Questa sequenza ha effetti a catena. Nei centri di selezione e stoccaggio, dove la plastica viene differenziata in base al polimero e talvolta al colore, una bottiglia ben appiattita viene riconosciuta con più probabilità e instradata nella “corsa” giusta. Significa trasformarla più facilmente in nuova materia prima-seconda, migliorando resa e qualità del riciclo. Per il sistema nel suo complesso, tanti piccoli gesti corretti alleggeriscono i colli di bottiglia: meno errori di lettura, meno rilanci manuali, meno scarti finiti per errore nella frazione indifferenziata.
La differenza tra accartocciare e appiattire non è quindi una pignoleria tecnica. È il punto in cui l’impegno domestico incontra l’automazione industriale. I detettori ottici non “vedono” bene le palle stropicciate: hanno bisogno di un range di lettura sufficiente, di una porzione di plastica che “parli” per alcune decine di centimetri lungo il passaggio. È la stessa ragione per cui una bottiglia piatta è più facile da deviare con i getti: maggiore superficie, maggiore spinta, traiettoria più controllabile.
C’è anche un tema di sicurezza e di efficienza operativa. Nelle linee dove la portata è elevata, forme irregolari e troppo compatte tendono a incastrarsi nei punti di trasferimento tra un nastro e l’altro o a generare accumuli. L’appiattimento, standardizzando la sagoma, riduce queste micro-criticità e rende più fluido l’intero processo.
Negli ultimi anni si sono diffusi anche gli eco-compattatori: macchine presenti in supermercati, scuole e spazi pubblici che pre-selezionano e compattano le bottiglie, spesso premiando i conferitori con sconti o buoni. Anche qui, presentare la bottiglia già appiattita e con tappo riavvitato accelera le operazioni e migliora la lettura del materiale. È un esempio di come l’anello iniziale della filiera — il cittadino — può fare la differenza con un gesto semplice ma tecnicamente fondato.





