MODULO DI ESTIMO Lab. Restauro

Per gli studenti del Lab. Restauro - Modulo di Estimo

Venerdì 25 prossimo inizieremo le revisioni.

Esse saranno dedicate a ciò che avete prodotto finora (poco o tanto che sia). Soprattutto sarò interessato a dialogare con ognuno (per gruppi, se credete), dello sviluppo dinamico del progetto. Con particolare riferimento ai temi da me affrontati nelle lezioni. E' d'obbligo portare disegni, fotocopie dei materiali acquisiti finora, foto e tutto ciò riterrete utile alla discussione.

Darò, quindi, indicazioni circa la stima da compiersi per la "valutazione economica del vostro progetto".

Prof. Alfredo Passeri

Architettura come costruzione nel tempo

“Non esiste un punto terminale in architettura: c’è solo mutamento ininterrotto”. Walter Gropius 1883-1969

Il concetto di durevolezza è da sempre insito nell’idea di architettura e nella necessità dello stesso uomo di avere un rifugio che possa resistere alle insidie del tempo. All'idea di durata è però connaturata anche l'idea di conservazione e di manutenzione, essendo un’operazione finalizzata a prolungare la vita dell'edificio e a riaffermare il suo valore artistico, funzionale e tecnico. Secondo questa prospettiva, gli edifici concepiti per durare nel tempo assumono dunque il carattere di permanenza, di “presenza nel tempo”. Su questa idea si fonda l'esigenza dell'uomo di rappresentare, con l'opera architettonica, valori trasmissibili nel tempo, sia funzionali e tecnici, che, soprattutto, simbolici, culturali e storici.

L’opera rappresenta un prezioso patrimonio in grado di raccontare una storia. Permane dunque il monumento, quel tipo edilizio che nel tempo si è adattato alle diverse funzioni, il più delle volte del tutto indipendenti dalla forma. Tuttavia è proprio quest’ultima a rimanerci impressa, a diventare un segno indelebile all’interno di un processo storico, temporale e progettuale. Il monumento diventa così uno “scrigno”, un elemento carico di suggestione inserito nell’ambiente urbano, con il quale deve convivere e confrontarsi. Uno spazio in continuo movimento, che molte volte non si accorge o da per scontato la presenza di queste opere, “vocabolari” da cui trarre definizioni architettoniche. Attraverso questi testimoni, infatti, è possibile leggere la storia, conoscere l’architettura, cogliere gli elementi fondanti della costruzione per poi ricomporli in una nuova idea. E’ lo spazio esistente che diventa l’elemento primario per una nuova architettura ed esempio, tra molti, di tale connessione è la Basilica Palladiana a Vicenza.

Palladio da prova della maturità da lui raggiunta e della pienezza del suo linguaggio, realizzando un’opera che costituisce uno dei massimi lasciti della cultura architettonica rinascimentale. La Basilica è il risultato “sconcertante” della sovrapposizione di culture costruttive diverse e di una mescolanza di spazi discordanti, il tutto mascherato sotto un apparato unitario e ordinato. Tale architettura è diventata così una memoria senza tempo, che “non passa mai di moda”, anzi è parte attiva della città, in quanto creazione per la collettività e capace di adattarsi alle esigenze mutevoli dell’uomo.

Nell’arco dell’ultimo ventennio, la Basilica Palladiana si è resa uno strumento attivo di cultura e di educazione grazie ad una serie di mostre di architettura, significative non solo per i soggetti trattati, ma anche per l’originale modo di allestire gli spazi. In realtà, tale edificio non è nuovo a manifestazioni espositive: infatti, notevole rilevanza ha avuto la mostra palladiana del 1973, organizzata dal Centro internazionale di studi di architettura e affidata alle esperte mani di Franco Albini, Franca Helg e Antonio Piva. L’allestimento, pensato dai progettisti, si basa sull’idea di riuscire a realizzare un percorso espositivo e interpretativo delle opere di Palladio, strettamente connesso con il monumentale invaso della Basilica. Avviene così una reciproca valorizzazione tra il contenitore e il contenuto e un rispetto, promosso in particolare da Franco Albini, della struttura interna, cercando di trasmettere così il linguaggio Palladiano.

La progettazione è, infatti, il modo per esprimersi, per comunicare con il mondo, per iniziare una ricerca di nuovi linguaggi, attraverso la sperimentazione, la capacità di risolvere i problemi sia dal punto di vista dell’utenza e dei committenti, ma anche dell’architetto stesso. E’ quest’ultimo ad imprimere nell’opera un segno stilistico, con la precisa volontà di far persistere nel tempo la propria architettura e il suo pensiero.

“V'è davvero alcunché di divino nei suoi progetti, né meno della forza del grande poeta, che dalla verità e dalla finzione trae una terza realtà, affascinante nella sua fittizia esistenza”. Goethe 1749-1832

Per gli studenti del modulo di Estimo/Restauro. Sciopero di domani

Mi è stato richiesto di rinviare la lezione di domani. Accordo il rinvio a data da destinarsi, ma comunico che dovremo recuperare le due lezioni perse, forse nelle giornate di sabato. Per favore, leggete la risposta che ho inviato alla vostra compagna, a seguito della richiesta di rinvio. Prof. Alfredo Passeri

Architetture: grandi affari oppure entità rappresentative?

 

C’è un uomo che guarda soddisfatto la “sua” fontana e gli si avvicina un turista italo-americano incuriosito. L’uomo si presenta: “Salve, sono Antonio Trevi, il proprietario di questa Fontana”.

Naturalmente, stiamo parlando dell’indimenticabile scena tratta dal film “Totòtruffa ‘62” in cui alla fine il visitatore credulone è convinto di aver comprato la Fontana di Trevi, un bene pubblico e appartenente allo Stato. La scelta di tale riferimento, non è casuale, ma è dettata dalla riflessione sulla situazione di tanti beni demaniali, cioè gestiti dalla Pubblica Amministrazione, che sono da tutti riconosciuti come proprietà di interesse storico, ma allo stesso tempo, a causa dei problemi economici e della “crisi”, sono lasciati deperire lentamente. Il visitatore sarebbe ancora disposto a comprare la Fontana di Trevi se fosse stata modificata oppure lasciata al degrado delle intemperie? La “riconoscerebbe” ancora?

La stessa riflessione la possiamo fare sul Foro Italico, discusso simbolo di una realtà idealista, che però fa parte integrante della nostra città ed è capace di trasmetterti delle emozioni uniche. Non scorderò mai l’ingresso che ho fatto, come volontaria, all’interno dello Stadio dei Marmi, insieme alle delegazioni partecipanti alle Special Olympics. E’ stata un’occasione che mi ha dato la possibilità di “essere osservata” dalle statue di marmo che coronano lo stadio e di poter “vivere” il Foro Italico non solo come visitatrice, ma come parte integrante di questo simbolo architettonico. Il problema è proprio questo: noi vediamo gli oggetti da lontano senza capire che questi fanno parte di noi e sono una realtà da cui noi stessi deriviamo. Ecco perché dovremmo porci delle domande quando vediamo la Casa delle Armi, un capolavoro di Luigi Moretti, cadere letteralmente a pezzi. Elemento di discordia, è stato più volte aggredito e deturpato, senza comprenderne il suo valore intrinseco. E’ come se questo edificio fosse un malato terminale e noi dovessimo decidere se farlo morire e dunque abbatterlo oppure tentare di recuperarlo, investendo su di esso. Il problema è proprio questo: chi è disposto a dare i soldi necessari, circa 15 milioni, per tentare di riporte la Casa delle Arme alla sua forma originaria? Bisogna fare una scelta. Infatti, la stessa parola “restauro” comporta una valutazione critica che può indurre ad una modifica della conformazione materica e morfologica diversa. L’atteggiamento con cui ci poniamo di fronte ad un’opera può essere di rispetto dell’attuale conformazione dell’opera stessa oppure di modifica della sua forma, attraverso un intervento diretto, a favore però di una miglior comprensione dell’architettura e del pensiero dall’architetto che l’ha creata. Sicuramente sarebbe possibile tentare di recuperare filologicamente la Casa delle Armi, grazie ad uno studio dei disegni progettuali di Moretti stesso, ma il problema resta sempre quello economico e così l’edificio rimane sospeso in un “limbo”.

Ormai le nostre azioni sono portate avanti solo se dietro c’è un “grande affare” e non perché le architetture sono entità che ci rappresentano e ci appartengono. Questa è proprio la situazione che ha condizionato gli interventi sullo Stadio Olimpico dove le leggi, facilmente scavalcabili, non hanno impedito delle modifiche incongrue sia rispetto alla storia della struttura, sia al suo significato sportivo e culturale. Infatti, l’ampliamento degli spalti e l’inserimento della copertura hanno condizionato non solo l’area del Foro Italico, ma anche i quartieri limitrofi. Perché non è stata realizzata una nuova struttura in un altro luogo? Perché non si è preso esempio dai nostri vicini europei?

Sicuramente non è sempre negativo l’accostamento tra il vecchio e il nuovo, anzi molte volte un edificio antico può essere esaltato dal nuovo e può far meglio comprendere la sua essenza, ma non a discapito dell’architettura stessa. L’edificio deve essere riconoscibile da tutti in quanto elemento culturale e portatore di un messaggio. La fruizione odierna deve essere rispettosa del lascito di una cultura precedente e gli interventi di recupero del patrimonio esistente, classificati nella legge 457/78, devono tener conto delle permanenze, così come i procedimenti di stima, sia nel procedimento sintetico-comparativo che in quello analitico-ricostruttivo. A partire dai restauri già eseguiti su un’opera analoga, si possono trarre delle conclusioni immediate, ma questo può anche comportare una incertezza nella stima a causa dell’eterogeneità delle variabili come i vincoli normativi, i materiali costruttivi originari, la tipologia del restauro, lo stato di conservazione dell’immobile, gli elementi di pregio architettonico, la configurazione plani-volumetrica.

Ecco perché bisogna tener conto del processo produttivo e quindi della quantità e qualità monetaria di tutti i fattori. Occorre pervenire ad indicazioni che permettono di valutare la convenienza del progetto e i benefici che se ne possono trarre. L’architettura è, infatti, un bene utile e accessibile su cui si può e si deve investire per rendere più “efficienti” le risorse. Noi dobbiamo essere in grado di orientarle, identificando preventivamente le possibili criticità, in modo tale da comportare un effetto benefico su tutta la collettività. Quindi, non si può solo pensare all’affare, ma all’importanza, alla rilevanza che il possedimento ha su ciascuno di noi, in quanto nostra entità rappresentativa e culturale.

Avviso per gli studenti del Laboratorio di Restauro - Sciopero di domani 20.4.2012

Su richiesta di molti, accolgo l'invito a rinviare la lezione di domani 20 aprile. Anche perche' anche il sottoscritto non e' sicuro possa raggiungere Roma da Viterbo in tempo utile.
Recupereremo il prossimo venerdi' 27 aprile con una visita ad un "cantiere" ove sono in corso lavori di restauro e di ripristino.
Vi daro' ovviamente conferma al piu' presto.
Prof. Alfredo Passeri

Agli Studenti del Laboratorio di Restauro (Modulo di Estimo)

Intendo esprimere un compiacimento personale e doveroso a tutti coloro che hanno postato il loro contributo. A me sembra, si sia conseguito un piccolo risultato d'interesse e di "partecipazione attiva". Insomma, avete dimostrato che, quando la docenza “interviene sul campo”, è possibile iniziare un dibattito, così importante in questo periodo incerto e oscuro. Dove il "progetto" è mortificato dall'annuncio... Voglio dire che troppo spesso ci si accontenta di annunciare lo svolgimento di un’iniziativa, senza preoccuparsi dello sviluppo dinamico di essa, del portato e delle conseguenze (soprattutto economico-finanziarie) che possono condurre a buon fine la medesima. I disegni, straordinario mezzo di conoscenza e comunicazione, non bastano più. E «il rinascimento delle metropoli» (titolo di un articolo di ieri su La Repubblica, a cura di Rosalba Castelletti e Franco La Cecla, pagg. 33, 34, 35) rappresenta l’unica via d’uscita dalla crisi. Soprattutto per voi, “architetti del futuro”.

Alfredo Passeri

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del Palazzo Massimo alle Terme e della Palazzina di Libera ad Ostia

 

Il Palazzo Massimo alle Terme e la Palazzina di Libera ad Ostia sono due edifici molto diversi diversi, tanto per le loro vicende storiche quanto per i loro destini, ma che hanno in comune un elemento forse apparentemente banale: Roma. Personalmente è questa l’unica città al mondo dove, girato l’angolo di qualunque strada, è possibile ritrovare le tracce di tante culture millenarie, giunte fino a noi in diverse forme. Questi manufatti sono in grado di suscitarci emozioni e sono uno strumento indispensabile per avvicinare chiunque alla conoscenza. Il loro “valore” economico, ma soprattutto estetico e morale, è tangibile a tutti ed è per questo che, accanto a tale parola, si dovrebbe sempre accompagnare quella di “tutela” del bene. Salvaguardare un’opera di architettura oppure di qualunque altra forma artistica è importante, tuttavia non sempre facile. Bisogna, infatti, cercare di conciliare la logica dell’epoca di realizzazione del manufatto con le esigenze della modernità e tutto questo comporta delle scelte, non sempre apprezzate.

E’ il caso del restauro effettuato al Palazzo Massimo alle Terme: edificio nato nell’ottocento per ospitare un collegio, abbandonato per un lungo periodo, si è ritrovato a dover ospitare una parte del Museo Nazionale Romano e dunque a dover cambiare la sua destinazione d’uso. Per far questo si è dovuto modificare l’interno dell’edificio, riducendo l’interasse tra i piani e convertire alcune aule presenti, nonché un teatro, così da ottenere spazi adatti per l’esposizione e per gli ambienti di servizio. Inoltre, per adeguare il fabbricato alle norme antincendio e alla buona fruibilità da parte degli utenti stessi, sono state inserite le scale di sicurezza nella parte posteriore della struttura e dei nuovi ascensori. Pertanto, esternamente l’edificio ha mantenuto il suo carattere ottocentesco, mentre all’interno è stato adattato alle nuove esigenze funzionali. Infatti, si è scelto anche di curare maggiormente l’esposizione delle opere stesse con l’uso di una nuova illuminazione e con una risistemazione delle collezioni, articolandole in modo tale da poter essere meglio apprezzate dai visitatori. Le scelte apportate per la realizzazione del progetto di rifunzionalizzazione del Palazzo Massimo alle Terme sono perfino fattibili da un punto di vista economico. Infatti, a fronte di una spesa sicuramente ingente, il ricavo auspicato si ritiene superiore ai costi, data l’importanza turistica e culturale del Museo Nazionale Romano. Sicuramente, l’edificio ha acquisito così una nuova “vita” ed è divenuto un bene di cui tutti possono godere in uguale misura, senza però modificare l’impatto visivo del fabbricato nel suo contesto urbano.

E’ importante conservare e comprendere il rapporto dell’edificio con l’ambito circostante e quando tale legame viene modificato, non solo il fabbricato perde la sua identità, ma anche l’ambiente adiacente ne subisce le conseguenze. Proprio com’è accaduto alla Palazzina di Libera a Ostia che, prima del restauro era segnata dall’ingrato destino di essere demolita poiché rudere. E’ possibile far “sparire dalla faccia della terra” un’opera così rilevante, realizzata da uno dei più grandi architetti del novecento? Come poter contrastare questa indifferenza nei confronti di opere di cui molte volte non si conosce la storia? Impresa molto ardua riuscire a sensibilizzare anche gli stessi condomini dell’edificio che, impossibilitati a pagare, si possono permettere di far degradare di un edificio così rilevante. Anche in questo caso è stata necessaria una scelta, una mediazione tra un problema economico e la conservazione di un bene comune. Ripristinando l’integrità dell’edificio, gli spazi comuni, l’involucro esterno e i balconi è stato possibile riabilitare la Palazzina. Fondamentale è stata la ricerca delle fonti e una loro accurata analisi in modo tale da poter comprendere pienamente le intenzionalità dello stesso Libera. Come nel precedente caso del Palazzo Massimo alle Terme, la fattibilità economica dell’edificio è sicuramente stata vantaggiosa. Infatti, il fabbricato ha acquisito un grande valore sia per i condomini, i quali, a seguito dei lavori, si ritrovano praticamente triplicati i costi al mq dei loro appartamenti, e sia per chi fa semplicemente una passeggiata per il lungomare di Ostia.

Da una scelta si può dunque decidere il “destino” di un bene, il suo “valore” e la sua “importanza”. Bisogna comprendere e far comprendere che qualunque manufatto ha una sua rilevanza e per questo deve essere tramandato ai posteri. Come noi abbiamo la possibilità di godere di tale bene, così ne hanno diritto anche le generazioni successive. Il nostro giudizio, anche più strettamente economico, è dunque alla base delle “scelte” che tutti dobbiamo fare. Preferendo una spesa per la conservazione si ottiene allora una convenienza non solo per un motivo finanziario, ma anche e principalmente per un motivo culturale. 

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