blog di LucaDiCarlo

La domatrice di leoni (Cicconi, Cristofaro, Di Carlo)

Riportiamo alcuni interventi degli architetti Celia e Cacciapaglia e dell'ing. Vicari che -ricordiamo- ha svolto, nel cantiere di allestimento di palazzo Massimo, il ruolo di Coordinatore della Sicurezza in fase di esecuzione.

 

Arch. Carlo Celia: (il responsabile della sicurezza) ha svolto un ruolo fondamentale per l'aiuto che ha dato all'architettura per risolvere delle questioni di carattere normativo sull'antincendio, le vie di fuga e altre cose... vedremo (...) quanto alcune scelte di carattere normativo possono fortemente condizionare in un senso o nell'altro il progetto. (...) Una delle difficoltà principali è aver lavorato in un museo che continua a vivere, a essere visitato...

Celia: Il ruolo che ha il responsabile della sicurezza, responsabile anche di tutti i sistemi antincendio, è anche quello di stabilire a posteriori nei rapporti con le ditte quelle che sono le documentazioni che vanno necessariamente allegate (statiche, antincendio, certificazioni…), in modo tale da lasciare memoria di quello che si è fatto, un’individuazione precisa del rispetto delle normative e soprattutto le indicazioni che riguardano gli aspetti manutentivi.

Arch. Stefano Cacciapaglia: La cosa fondamentale, si deve dar merito ad Arianna (Vicari, ndr) di questo dettaglio, è stata la gestione della quantità di persone che si sono alternate in questo cantiere (restauratori, archeologi, movimentatori, elettricisti, i montatori della parte di falegnameria, i montatori della parte del telo termoteso, i montatori delle strutture metalliche…) e non è semplice, perché naturalmente il committente primario, quello che paga, preferisce dare direttamente incarichi alle singole imprese, risparmia naturalmente, perché non ha un unico referente. La figura del responsabile della sicurezza del cantiere è simile diciamo a quella del domatore di leoni.

Ing. Arianna Vicari: Scusate vorrei precisare che infatti, più che di “responsabile della sicurezza” si parla di “coordinatore alla sicurezza”. Proprio perchè il coordinatore deve coordinare le varie figure, le varie ditte presenti affinchè possano operare nella realizzazione dei lavori, in sicurezza; quindi provvedendo a fare o delle segregazioni di aree oppure un cronoprogramma dei lavori in modo tale che non ci siano interferenze sia negli spazi che nei tempi.

Celia: […] in un cantiere del genere è anche molto difficile  riuscire a controllare in ogni singolo istante tutto quello che la norma di legge ti indicherebbe. Quello che però Arianna non ha mai lasciato da parte è la sicurezza vera, perché c’è una sicurezza formale (che bisogna rispettare eh), ma soprattutto una sicurezza vera, reale e quindi la capacità di sapere esattamente in ogni singolo istante quali sono le operazioni che si devono e si possono effettuare e in quale modo.

Vicari: Per esempio durante lo stivaggio dei materiali per le verniciature bisogna considerare la reazione dell’ambiente, che non ci sia diffusione di odori fastidiosi per i visitatori; anche questa è una questione di sicurezza.

Io ho badato più che altro all’aspetto reale, sostanziale della sicurezza, perché oggi purtroppo si fanno troppe carte, si producono piani di sicurezza di migliaia di pagine ma poi in realtà i coordinatori non sono presenti o sono presenti poco nei cantieri. Quindi la presenza del coordinatore nel cantiere può anche accettare che in un determinato momento il lavoratore non abbia il casco perché magari il casco è un impedimento per guardare in alto nel sollevamento del pannello, magari lo fai posizionare in una posizione non pericolosa e fai andare avanti l’operazione in sicurezza ugualmente. Quindi, quello che volevo dire è che è importante la presenza della sicurezza reale.

Passeri: […] c’è da dire che nel nostro paese una vera e propria cultura della sicurezza non c’è.

Vicari: C’è la prassi di prepararsi tante carte per ripararsi nel caso di un eventuale controllo però non è un rispetto del lavoratore e della sicurezza sul lavoro ma è un rispetto formale. Quindi diciamo che la prima cosa che uno deve pensare è “il lavoratore come sta lavorando?” , se sta lavorando in sicurezza, le temperature in cui sta, il riposo...ci sono tanti aspetti, reali, che vanno curati.
 

[A proposito del progetto per il “controsoffitto” con i pannelli rivestiti con il telo termoteso…]

Vicari: La direzione tecnica del museo si opponeva a questa realizzazione, la voleva ma conservando le dotazioni antincendio automatiche, gli sprinkler, che erano posizionate sul soffitto. Il restauro precedente (finito del 1998) era stato fatto con tantissime spese, mettendo dotazioni superiori a quelle necessarie, all’epoca non c’era nemmeno una regola tecnica precisa che è nata del ’96 per i musei, i palazzi storici. Questa regola tecnica non prevede che ci siano delle dotazioni con sprinkler nei palazzi storici perché potrebbero essere dannose per le strutture, per le opere. Allora, a questa mia osservazione :“la regola tecnica non li prevede quindi leviamoli” per realizzare questo intervento e poter migliorare le condizioni del museo, c’è stata una lotta che si è conclusa con una visita al comando dei vigili del fuoco. Ho fatto venire l’architetto responsabile, a cui è affidato questo museo, il quale ha detto:” ma voi avete un sistema per evacuare eventualmente le acque quando partono gli sprinkler dai solai?”. “No”. “E allora provocherebbe un danno quindi: levateli!”.

Quindi bisogna conoscere bene le normative perché uno deve essere sempre controparte con una conoscenza specifica della materia.
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Nelle foto è possibile apprezzare gli accorgimenti presi dai progettisti, in collaborazione con la figura del coordinatore della sicurezza, per limitare il più possibile l'impatto visivo dei dispositivi antincendio, pur preservendone l'accessibilità in caso di emergenza.
L'ultima foto in basso a destra mostra invece i "mulini di luce": dispositivi d'illuminazione progettati da Costantino Dardi e qui riutilizzati da Celia e Cacciapaglia nel nuovo allestimamento.

Bonifica e manutenzione dell'amianto nei cantieri edili (Cicconi, Cristofaro, Di Carlo)

 

Dalla visita del 16/12/2011 al cantiere della sede dell’ENAV (Ente Nazionale Assistenza al Volo) a Ciampino, lungo la via Appia Nuova, è emersa una tematica molto rilevante in ambito di “sicurezza nei cantieri”, ovvero la presenza dell’amianto, di cui ne è vietato l’utilizzo in Italia sin dal 1992. Il cantiere attualmente in funzione ha lo scopo di intervenire sulla struttura in acciaio, che sostiene l’edifico esistente, per adeguare quest’ultima alle vigenti normative in Italia. La visita è stato un punto di partenza per approfondire la tematica dell’amianto. Il pericolo maggiore dell’amianto consiste nelle fibre che lo compongono, che, se inalate, causano gravi malattie respiratorie e per questo motivo bisogna evitare assolutamente l'esposizione alle polveri d'amianto. Anche se l'uso dell'amianto è stato bandito, ci sono ancora molti prodotti e manufatti contenenti questo materiale, i quali necessitano di una bonifica o di una dettagliata manutenzione. La particolarità delle sue fibre è di essere resistenti al fuoco, agli acidi e alle sollecitazioni a trazione. Inoltre, poteva essere miscelato ad altri materiali (ad es. cemento e resine) per creare dei materiali compositi. Nell’edilizia l’amianto è stato utilizzato come materiale spruzzato per il rivestimento (ad es. di strutture metalliche, travature) per aumentare la resistenza al fuoco, nelle coperture sotto forma di lastre piane o ondulate, tubazioni e serbatoi o canne fumarie, in cui l'amianto era inglobato nel cemento per formare il cemento-amianto, un materiale chiamato eternit, nella preparazione e posa in opera di intonaci con impasti spruzzati o applicati a cazzuola, nei pannelli per controsoffittature, nei pavimenti costituiti da vinil-amianto e infine come sottofondo di pavimenti in linoleum. Il cemento-amianto, quando si trova all'interno degli edifici, anche dopo lungo tempo, non va incontro ad alterazioni significative tali da determinare un rilascio di fibre, se non viene manomesso. Invece, lo stesso materiale esposto ad agenti atmosferici subisce un progressivo degrado per azione delle piogge acide, degli sbalzi termici, dell'erosione eolica e di microrganismi vegetali. Di conseguenza, dopo anni dall'installazione si possono determinare alterazioni corrosive superficiali con affioramento delle fibre e liberazione delle stesse. Per le strutture che ancora oggi contengono amianto è previsto un duplice intervento di bonifica che prevede inizialmente la rimozione e in seguito lo smaltimento. Tutti gli interventi di bonifica devono essere preceduti dalla comunicazione, a cura del datore di lavoro, alla ASL di un piano di lavoro o di una notifica.

 

 

La rimozione
Questa operazione comporta lo smontaggio degli elementi ad esempio lastre di copertura, il loro trasferimento a terra e il successivo imballaggio e trasporto in discarica. Si applica sia nel caso di sostituzione della copertura con un’altra di materiale diverso, sia nel caso di demolizione dell’edificio. Questa operazione infatti, secondo le norme legislative vigenti, deve essere preceduta dalla rimozione di tutti i materiali contenenti amianto. Questo è il metodo di bonifica che elimina radicalmente e definitivamente ogni rischio di emissione di fibre nell’aria. Tuttavia, associato a questo vantaggio, vi è l’inconveniente, potenzialmente pericoloso, di uno sviluppo consistente di fibre nelle varie fasi di questa operazione. Inoltre si producono grandi quantità di rifiuti contenenti amianto il cui smaltimento, se effettuato in modo inadeguato, può costituire un ulteriore motivo di inquinamento ambientale. Tutte le fasi dell'intervento per la bonifica devono essere impostate e realizzate adottando idonee misure per limitare al minimo la dispersione di fibre nell’ambiente. Le lastre da rimuovere durante la bonifica amianto devono essere preventivamente trattate superficialmente con resine sintetiche la cui azione pellicolante impedisce l’emissione di fibre sia durante lo smontaggio che durante le fasi successive. La resina sintetica, fluidificata e nebulizzata, è spruzzata a pioggia sulle lastre mediante delle pompe dotate di bassa pressione di mandata. In questo modo si attenua l’impatto tra il getto fluido e la superficie della copertura e si limita l’emissione di fibre nell’atmosfera. Inoltre non è necessario pulire la superficie delle lastre prima di spruzzare su di essa la resina. Questa operazione di pulizia, pur essendo necessaria per migliorare l’adesione tra copertura e resina e prolungare così nel tempo l’azione ricoprente di quest’ultima, potrebbe causare il distacco e la dispersione di fibre nell’ambiente. D’altra parte il ricoprimento delle lastre con la resina non deve necessariamente essere duraturo poiché ha la funzione di fissare le fibre sulla superficie delle lastre per il tempo che intercorre tra lo smontaggio ed il deposito in discarica. Gli elementi di fissaggio delle coperture, ganci, viti e chiodi devono essere rimossi adottando ogni cautela per evitare danneggiamenti o rotture. Occorre evitare possibilmente durante la rimozione tutte quelle operazioni, come il taglio, la foratura, la raschiatura che, alterando l’integrità strutturale delle lastre, causano l’emissione di fibre nell’atmosfera. Si ricorre, solo se necessario, ad attrezzature manuali o a macchine utensili caratterizzate da velocità di rotazione ridotta, dell’ordine di 300 giri/min. Le lastre rimosse devono essere manipolate con cura per evitare rischi di frantumazione o di caduta dall’alto e devono essere trasferite a terra mediante un adeguato dispositivo di sollevamento. Sono quindi impilate e pallettizzate per facilitare la loro movimentazione nell’area del cantiere destinata al loro stoccaggio. L’impilamento costituisce una fase operativa che può causare una consistente emissione di fibre nell’atmosfera. Si ritiene pertanto necessario, per limitare questa evenienza, bagnare le lastre su entrambi i lati. Le lastre, ordinatamente impilate, sono avvolte in imballaggi sigillati, costituiti in genere da teli di plastica. Si deve evitare con cura la presenza nelle pile di pezzi acuminati sporgenti che possono causare la lacerazione e lo sfondamento del materiale di imballaggio. I materiali di risulta, ottenuti durante tutta l’operazione, adeguatamente imballati, devono essere etichettati come rifiuti contenenti amianto e allontanati dal cantiere al più presto possibile. Gli addetti alla rimozione durante la bonifica amianto devono essere dotati di mezzi protettivi sia durante lo smontaggio delle lastre che durante la loro successiva manipolazione.

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Nelle attività di bonifica, può succedere che si presentino dei motivi per cui una vera e propria rimozione dell’amianto non possa essere eseguita. Ad esempio quando l’amianto può trovarsi all’interno di manufatti di considerevole estensione o volume integrati nella struttura portante di palazzi o comunque costruzioni complesse. Oppure se la rimozione comporti dei costi non sostenibili e non giustificati rispetto alla rimozione. In questi casi si procede all’incapsulamento o al confinamento. 
 

Incapsulamento  (in conformità al D.M. 20/08/1999)
Questa tecnica consiste nel bonificare i manufatti composti di amianto senza che l’operazione comporti uno spostamento degli stessi e viene effettuata attraverso l’uso di due tipi di prodotti: penetranti e ricoprenti. I prodotti penetranti vengono utilizzati quando l’amianto è presente in materiali particolarmente friabili: penetrano nei materiali e legano le fibre di amianto con gli altri materiali costituenti (principalmente cemento). Nel caso in cui invece l’amianto si presenti in manufatti solidi e poco friabili, si ricorre all’utilizzo di prodotti ricoprenti. Questi prodotti creano un rivestimento, che può avere spessori diversi, e che costituisce una insuperabile barriera di contenimento.
Questo trattamento non produce significative quantità di rifiuti e non richiede una copertura sostitutiva. Conferisce inoltre alle lastre una migliore resistenza agli agenti atmosferici, alle radiazioni solari, ai microrganismi vegetali. Infine non sempre è necessario rendere inagibile l’edificio da bonificare.

Confinamento (in conformità al D.M. 06/09/1994 e al D.M. 20/08/1999)
Può essere adottato nel caso di strutture in amianto piuttosto ampie, quali ad esempio coperture di capannoni. Il confinamento consiste nel posizionare una barriera a tenuta che divida le aree che vengono utilizzate all'interno dell'edificio dai luoghi dove è collocato l'amianto,  creando un rivestimento che ricopre fedelmente tutti gli elementi in amianto. Per evitare che le fibre vengano rilasciate all'interno dell'area, il processo deve essere accompagnato da un trattamento incapsulante. Il vantaggio principale è quello di creare una barriera resistente agli urti. Non si producono inoltre rifiuti speciali. Allo stesso modo non devono essere effettuati trasporti, asportazioni di elementi edili, tantomeno si deve provvedere alla sostituzione delle componenti in questione con degli altri materiali. Gli spazi devono tuttavia essere abbastanza vasti da poter realizzare il confinamento, dunque deve esser possibile abbassare, ad esempio, il livello del soffitto, oppure diminuire l’area interna facendo indietreggiare dei muri. Bisogna verificare infine che la struttura originaria sia in grado di supportare il rivestimento, (soprattutto nel caso di soffitti e coperture) e provvedere allo spostamento diimpianti elettrici, impianti di ventilazione o altre apparecchiature installate a muro, che saranno rese inutilizzabili dal nuovo rivestimento.
 

In entrambi i casi sono necessarie attività preliminari di pulizia e, non essendo operazioni di bonifica definitive come la rimozione, la disposizione da parte del Proprietario di un programma di manutenzione e controllo e nomina di un Responsabile preposto alla sua applicazione.


 
Sitografia

Visita ai cantieri di Macchia Palocco - Infernetto (Cicconi, Cristofaro, Di Carlo)

Riportiamo il breve 'botta e risposta' sulla sicurezza in cantiere tra il professore e l'ing. Ledda.

Ing. Ledda: ”Il coordinatore alla sicurezza deve redigere il P.S.C., in cui deve inserire tutti i rischi del cantiere. A fronte di questo P.S.C., tutte le ditte che lavorano all’interno del cantiere, presentano il loro P.O.S. “piano operativo di sicurezza” che va ad integrare il P.S.C. redatto dal responsabile della sicurezza del cantiere che oggi è una figura di grande spessore, di grande peso ed è giusto che sia così perché muoiono 3 persone al giorno nei cantieri. Io ho di cantiere circa 20 anni e in 20anni ho visto due morti […] uno è cascato da un tetto perché era tornato dalla pausa pranzo dove aveva bevuto vino; in cantiere non si beve vino, non si beve birra […] non è che quando rientrano i ragazzi che sono andati a mangiarsi un panino, gli fai l’alcool test […]. L’altro è morto di infarto, era un pittore; i pittori sono le categorie più a rischio di tutte perché hanno sempre le mani più in alto del cuore, lui era anche cardiopatico ma non lo sapeva e quel giorno era un po’ stanco[…]. Io ero giovane, inesperto e non gli ho detto, come faccio oggi, “fermati, riposati un attimo…” […].

A. Passeri: “[…] questo grande ed importantissimo documento che deve stilare il responsabile della sicurezza, raccogliendo le varie istanze delle varie imprese subappaltatrici, perché ogni impresa subappaltatrice DEVE redigere un proprio registro con le qualità dei rischi che corrono gli operai ecc…. purtroppo spessissimo, troppo spesso viene considerato una noia. Ecco perché ci sono 3 morti al giorno in cantiere: una strage ragazzi, 1200-1300 morti l’anno in Italia è una strage. Su questo vi pregherei di imparare SUBITO, oggi, mentre siete all’università, le regole del comportamento DILIGENTE. Lo sapete quale può essere la parola più offensiva da dire a un direttore dei lavori, a un responsabile della sicurezza? NEGLIGENZA, la parola più grave dal punto di vista deontologico […]. Quando si dice “negligenza” uno può essere o espulso dall’ordine, significa che tu non puoi più lavorare, hai chiuso, devi fare un altro mestiere; oppure sospeso ed è una macchia gravissima perché è un reato PENALE. Ricordatevi che gli ordini professionali sono tenuti dal Ministero di Grazia e Giustizia[…], l’ordine è soprattutto un organo di TUTELA della professione, è punitivo quando c’è grave negligenza.

[…] agli operai stranieri avevamo fatto il libretto di istruzioni sui pericoli nella loro lingua in modo che loro capissero che se cammini sul tetto senza casco e senza cinghia sei a rischio, sei a rischio per te per la tua vita e anche per tutte le conseguenze

L.: “La formazione-informazione è fondamentale, le visite in cantiere vanno controllate dai propri dipendenti e quando gira il direttore dei lavori deve controllare TUTTO, anche dai rumori deve capire quali possono essere i rischi. Qualunque attività dovrete svolgere in cantiere, dovrete essere attenti alla sicurezza

A.P.: “Quante volte viene in cantiere il responsabile alla sicurezza?”

L.: “Beh, il responsabile alla sicurezza deve fare un giretto almeno 1-2 volte a settimana e vedere il ponteggio, il battitacco se è fissato, se ci sono i cappellotti sui ferri in attesa, la cartellonistica, la segnaletica, i cancelletti, le luci, la scala va parapettata perché sopra i 50cm si considera la caduta letale perché puoi sbattere la testa.”

Bene analogo e indagine sul territorio (Lab. Leoni)

Bene analogo:
Kodály Centre

Architetti: Epitesz Studio
Luogo: Pecs, Ungheria
Superficie: 11200 mq
Anno di costruzione: 2007-2010

L'edificio comprende un grande auditorium, una sala prove e locali accessori (magazzini etc.) oltre a una libreria, un punto ristoro, un'area lounge e i locali di servizio.
La struttura è in cemento armato e i materiali dominanti sono la pietra chiara, usata per il rivestimento esterno, e il legno dei dettagli architettonici interni.


Analogie con il mio progetto: tipologia edilizia, caratteristiche costruttive, funzioni, simile rapporto tra superficie vetrata e non (che, insieme ad un rivestimento analogo, richiama un'immagine architettonica comparabile) e anno di costruzione.

Costo di costruzione: 21.600.000 €
Costo unitario: 1963 €/mq

 

Indagine sul territorio (edificio pubblico museale a Roma): 
Museo dell'Ara Pacis

Architetti: Richard Meier & Partners
Luogo: Roma, Italia
Anni: 1995-2006
Superficie: 3986 mq
Stima iniziale: circa 6.000.000 €
Costo complessivo di costruzione: circa 16.000.000 €
Costo unitario: circa
4.000 €/mq

 

Superfici e volumetrie - Lab. 3A, prof. Leoni - Luca Di Carlo

Progetto di una galleria d'arte, ristorante e area commerciale a piazza Albania.
 
La mia proposta prevede la chiusura al traffico veicolare della porzione di strada antistante il tratto di mura serviane, per la creazione di una nuova piazza definita dalla preesistenza archeologica e dai due edifici (uno che contiene la galleria d'arte e le sale conferenze, l'altro il ristorante e la zona commerciale). 
 
Dati metrici >
 
Impronta a terra dell'edificio: 873 mq + 390 mq =  1263 mq
 
Cubatura: 19600 mc + 3600 mc = 23200 mc
 
Altezza massima: 22 m
 
Superfici:
 
Ristorante: 380 mq
 
Area commerciale: 600 mq
 
Galleria + sale conferenze (compresi locali tecnici e uffici): 2500 mq