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Ricerca di mercato Cirulli- Canè

 

tipo di destinazione: residenziale

Provincia: ROMA

Comune: ROMA

Fascia/zona: Semicentrale/TUSCOLANO 2 (PIAZZA S.MARIA AUSILIATRICE)

Codice di zona: C8

Microzona catastale n.: 50

Tipologia prevalente: Abitazioni civili

Destinazione: Residenziale
 

Tipologia Stato conservativo Valore Mercato (€/mq) Superficie (L/N) Valori Locazione (€/mq x mese) Superficie (L/N)
Min Max Min Max
Abitazioni civili NORMALE 3500 4800 L 13 17,5 L
Abitazioni di tipo economico NORMALE 3300 4200 L 12,3 16,3 L
Box NORMALE 2750 3800 L 14,5 19,8 L
Posti auto coperti NORMALE 1950 2700 L 11 15 L
Posti auto scoperti NORMALE 1150 1550 L 6,8 9 L

 

tipo di destinazione: commerciale

 

Provincia: ROMA

Comune: ROMA

Fascia/zona: Semicentrale/TUSCOLANO 2 (PIAZZA S.MARIA AUSILIATRICE)

Codice di zona: C8

Microzona catastale n.: 50

Tipologia prevalente: Abitazioni civili

Destinazione: Commerciale
 

Tipologia Stato conservativo Valore Mercato (€/mq) Superficie (L/N) Valori Locazione (€/mq x mese) Superficie (L/N)
Min Max Min Max
Negozi NORMALE 3800 4900 L 23,8 30,8 L

 

 

Planimetria del progetto e bene analogo.

 

Bene Analogo:

 

Progetto: House of Agostos;

Architetti: Pedro Domingos Arquitectos;

Ubicazione: Santa barbara de Nexe, Faro, Portogallo;

Anno di costruzione: 2011;

Tipologia: residenziale, case unifamiliari;

Costo del progetto/mq: 1600 €/mq.

 

  

 

 

Visita al teatro Argentina

Il Teatro Argentina, uno dei più antichi teatri di Roma, venne inaugurato nel 1732 su progetto dell’arch. Girolamo Teodoli. La facciata, in stile neoclassico, venne realizzata tra il 1836-37 da Pietro Holl.  Un intervento di notevole rilievo è rappresentato dai lavori condotti da Gioacchino Ersoch alla fine dell’800 (1886-1888), che consistettero in una completa ristrutturazione distributiva con la costruzione di quattro nuove scale in luogo di quelle settecentesche e con un generale riassetto dell'architettura degli interni, ma i  successivi restauri di Marcello Piacentini (1926) e quelli effettuati nella seconda metà del secolo hanno quasi totalmente cancellato i segni della sua opera.
Con i restauri degli anni ‘70 del ‘900 sono state eliminate le capriate lignee e introdotti dei cordoli in calcestruzzo armato in sommità secondo le prescrizioni del Genio Civile per realizzare un presidio antisismico.
Col tempo si è però dimostrato che l’elevata rigidezza del calcestruzzo, superiore a quella della muratura sottostante, fa sì che si creino distacchi tra le due strutture in caso di sollecitazioni dinamiche, in quanto i due materiali rispondono diversamente alle accelerazioni trasmesse dal suolo.
Sempre negli stessi anni si è intervenuti sul gruppo statuario situato a coronamento della facciata con una colletta cementizia che ha eliminato l’effetto stucco alterando l’estetica delle sculture e provocando la fuoriuscita di sali. Con gli interventi del 1993 si è invece proceduto ad una scialbatura in resina vinilica dell’intero prospetto che ha totalmente alterato l’immagine della facciata non consentendone tra l’altro la traspirazione e provocando delle micro fessurazioni. L’architetto Celia, direttore dei lavori, con l’appoggio dell’architetto Giovannetti, ha proceduto all’eliminazione del cemento e delle recente scialbatura e al ripristino dello stucco originale in polvere di marmo e latte di calce. Dove non era possibile si è dovuto conservare il materiale cementizio, ora privo di sali, che ormai costituisce la parte materica delle sculture.
Sono stati condotti una serie di studi per conoscere la stratigrafia del rivestimento di facciata e comprendere i colori e i materiali originali: prima dei lavori infatti il prospetto tendeva ad un color ocra-marrone ed ora si sta cercando di restituire l’immagine originale dell’800 costituita da un finto bugnato color travertino. I restauri hanno riguardato anche gli infissi, in origine in legno, che nel corso degli anni sono stati nascosti da una vernice grigia e che ora sono stati liberati e riportati al loro colore naturale.
I lavori del teatro rappresentano un importante capitolo della città di Roma che vede per la prima volta un bene pubblico restaurato interamente con i proventi della pubblicità di privati. 

 

Considerazioni sulla visita alla Villa Capo di Bove ed al cantiere del Teatro Argentina

 

VILLA CAPO DI BOVE, Appia Antica

L’esempio della Villa di Capo di Bove è un perfetta testimonianza del susseguirsi di vicende che ha riguardato molte delle proprietà che affacciano sull’asse storico dell’Appia Antica. A differenza di altre, la villa è stata interessata da un’ultima fase di ‘riscatto’, grazie all’acquisizione da parte dello Stato che l’ha resa un bene pubblico fruibile.

La via Appia, iniziata dal console Appio Claudio nel IV secolo a.C., era uno dei maggiori assi di ingresso a Roma da sud e principale via di comunicazione verso l’Oriente: il diretto collegamento con il porto di Brindisi garantiva infatti l’apertura verso la Grecia ed il Mediterraneo. Il tratto della via consolare più vicino a Roma era caratterizzato dall’alternanza di vaste tenute agricole o residenziali e numerosi monumenti funerari, che per legge dovevano essere edificati oltre il limite sacro del Pomerio. La tenuta di Capo di Bove, così chiamata nel Medioevo in rimando ai bucrani del fregio del Mausoleo di Cecilia Metella, a partire dal II secolo d.C. rientrò nel Triopo di Erode Attico, un vasto latifondo di cui faceva parte anche un pagus, ossia un villaggio. Un casale era già presente all’inizio del ‘300, quando il cardinale Caetani acquistò il terreno con il rispettivo edificio. L’area, che nel corso dei secoli ha conosciuto numerosi passaggi di proprietà e conseguenti trasformazioni, ha avuto destinazione agricola fino alla metà del ‘900.

Negli anni ’50 del Novecento la proprietà venne acquistata da una famiglia di grossisti ortofrutticoli, i Romagnoli, che trasformarono il casale ad uso residenziale. Iniziò così una nuova fase per la tenuta, che rientrò nelle logiche di occupazione dei suoli tipiche di quegli anni, capeggiate da una committenza con elevata disponibilità economica. Un abusivismo che può essere definito consolidato, o addirittura illuminato, se contrapposto a quello speculativo; ma pur sempre abusivismo. L’immenso sviluppo dell’industria cinematografica, soprattutto a Roma, intensificò questo fenomeno. La via Appia vide una proliferazione di ville costruite da imprenditori e attori, desiderosi di avere la loro residenza privata in questa parte di città immersa nel verde. E fu così che nel ’62 un produttore cinematografico, Sauro Streccioni, comprò la villa di Capo di Bove: il progetto di recupero, probabilmente compiuto da un esponente della scuola di Busiri Vici, rientrava in quello stile antiquario a quei tempi così in voga nelle case dell’Appia.

Negli anni ’80 iniziò una nuova trasformazione della zona. Ai precedenti proprietari subentrarono i ‘nuovi ricchi’, che acquistarono le ville non più per amore del luogo ma per avere evidenza sociale. Con lo stesso spirito, alcuni anni più tardi, Streccioni tentò di vendere la sua residenza ad un nuovo acquirente, dichiarando un prezzo evidentemente troppo basso per essere un accordo esercitato nei termini della legalità. Un funzionario statale, venuto a conoscenza del prezzo stranamente esiguo, esercitò il diritto di prelazione sul bene vincolato, rendendo pubblica la villa e bloccando la frode in corso.

Dal 2002 sono iniziati i lavori tesi a valorizzare l’edificio e l’intera area da parte di un team della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, con a capo Rita Paris: un’operazione che è riuscita a trovare un equilibrio efficace tra la parte archeologica, naturalistica e di recupero architettonico.

A pochi metri dall’ingresso è stato parzialmente riportato alla luce un complesso termale, in origine più vasto, che si pensa sia stato costruito nel II secolo d.C. seguendo l’impianto di due precedenti edifici sepolcrali. Data la vicinanza con Roma, le terme non avevano funzione pubblica ma erano forse destinate ad una corporazione che frequentava la zona e, probabilmente, a coloro che si occupavano della gestione del territorio del Triopio di Erode Attico e degli edifici di culto in esso compresi. L’approvvigionamento idrico dell’impianto termale avveniva grazie a due cisterne, una delle quali è stata utilizzata per costruire il casale in epoca medievale.

Il giardino è stato ridisegnato da Massimo De Vico, che ha sostituito la simmetria che caratterizzava l’assetto precedente con un tracciato curvilineo, più adatto al gusto eclettico e pittoresco del luogo.

L’intervento sul casale è stato curato da Carlo Celia e Stefano Cacciapaglia. I due architetti hanno cercato di mantenere quanto più possibile l’impianto della villa, operando gli adeguamenti necessari per rendere a norma l’edificio. All’esterno è stata rispettata l’apparecchiatura muraria: un caprice architettonico, in cui i resti in selce dell’antica cisterna sono stati reintegrati dalla muratura degli anni ’60, che rivisitava in termini moderni il concetto medievale dello ‘spolia’, unendo reperti antichi ad elementi costruttivi nuovi. L’interno è stato volutamente intonacato, previa documentazione dell’apparecchiatura romana ritrovata, per favorire al visitatore una corretta lettura dell’insieme.

L’edificio ospita dal 2008, oltre agli edifici della Soprintendenza, l’archivio di Antonio Cederna. Il noto archeologo e giornalista ha lottato durante la sua vita in difesa dei patrimoni artistici e paesaggistici, dedicando particolare attenzione alla tutela dell’Appia Antica e al progetto del Parco regionale. La scelta di collocare il suo archivio in un edificio rappresentativo di quei principi contro cui ha duramente combattuto in vita può sembrare a prima vista poco adeguata. Letta in una luce diversa, l’intera vicenda è però l’emblema della vittoria schiacciante dell’opera di risanamento morale da lui intrapresa contro una mentalità volta alla commercializzazione della storia e dei beni culturali: il riscatto di quei valori trova piena concretizzazione nel Parco dell’Appia e nella villa Capo di Bove, che da proprietà privata simbolo dell’abusivismo anni ’60 è diventata un contenitore di cultura illuminata.

 

TEATRO ARGENTINA, Restauro della facciata

Il Teatro Argentina è stato sottoposto nel tempo a molteplici trasformazioni: inaugurato nel 1732, rimase per quasi un secolo privo di facciata, costruita solo nel 1826 ad opera di P. Holl. Nel 1887 il teatro divenne comunale e l’anno successivo, grazie all’intervento di G. Ersoch, assunse l’aspetto attuale. Inizialmente il prospetto dell’edificio si caratterizzava per un’ampia pensilina, ormai demolita. I due ultimi interventi di restauro sono stati effettuati nel 1970 e nel 1993. In entrambi i casi sono state apportate modifiche incongrue alle quali si sta cercando di porre rimedio nei lavori in corso di esecuzione. 

Negli anni Settanta sono state effettuate operazioni di  adeguamento sismico, rimuovendo le capriate lignee per sostituirle con una struttura in cemento armato, ritenuta più resistente. Sul gruppo scultoreo di facciata si applicò una colletta cementizia, di spessore variabile dai 4 mm ai 5 cm, che modificò completamente il modellato originario. Negli anni Novanta la facciata era stata tinteggiata con coloriture a base di resina vinilica, che si è presto rivelata di scarsa durabilità. Il restauro attuale, curato dall’architetto Carlo Celia, si basa su uno studio filologico più attento ed è volto a ridonare alla facciata un aspetto corretto, dal punto di vista storico e materiale. Per questo motivo si è scelto di utilizzare intonaci a tinta di calce, in sostituzione dei precedenti sintetici. Si è quindi deciso di descialbare la superficie, per eliminare la coloritura del ’93 che non avrebbe favorito l’aderenza della nuova tinteggiatura. Descialbare una coloritura, come sostenuto dall’architetto, non è in generale un’operazione rispettosa della storia dell’edificio, in quanto cancella la stratificazione degli strati nel tempo. In questo caso però un tale intervento era necessario per non compromettere la buona riuscita del restauro. Sono ora in corso le prove di colore sia per i fondi color cortina che per le parti in finto bugnato, che verranno trattate con un tono travertino. Per quanto riguarda il gruppo scultoreo si sta intervenendo eliminando la colletta cementizia; nelle zone in cui l’asportazione potrebbe compromettere l’opera, è stato lasciato in opera il materiale a base di cemento e si sono attuate delle semplici integrazioni. La superficie in grassello e polvere di marmo sarà poi rifinita con una coloritura, che verrà decisa in relazione alle altre in un piano unitario di colore. L’applicazione del cemento è stata deleteria su più fronti: ha causato la formazione di sali all’interno dello stucco e fatto arrugginire le barre metalliche ottocentesche, di supporto al modellato.  Il ferro è stato quindi passivato, quando possibile, e negli altri casi rimosso e sostituito. Altri interventi riguardano gli infissi in legno del primo piano, gli unici ad essere rimasti originali. Gli elementi sono stati accuratamente liberati da uno smalto colorato, erroneamente applicato in passato, e rifiniti con una cera trasparente.

La conclusione dei lavori, iniziati a dicembre, è prevista a fine luglio.

Vista la particolare collocazione in pieno centro storico, grande importanza è stata posta al rispetto del contesto. Le scelte dell’ingegner Vicari, responsabile della sicurezza, sono state fondamentali. Uno dei primi problemi da affrontare è stata l’organizzazione dei ponteggi.  Si è scelto di rendere il cantiere accessibile solo dalla terrazza del teatro, garantendo per sicurezza una via di fuga dal basso. Altra difficoltà riguardava il deposito dei molti materiali e di una piccola betoniera, necessaria per ottenere l’intonaco con tinta a calce. E’ stata costruita una piccola terrazza per depositare la betoniera ed un cavedio di lavoro per trasportare volta per volta il materiale preparato.

Il restauro, supervisionato dalla Soprintendenza statale e comunale, è finanziato attraverso la pubblicità da un committente privato, Mecenarte. L’azienda, che coincide con l’impresa esecutrice dei lavori, si è proposta di sostenere completamente i costi, ricavando i proventi dalle inserzioni pubblicitarie poste sui teli a copertura dei ponteggi. Eventuali aumenti di costo, come quelli già causati dagli interventi relativi al gruppo statuario non prevedibili da una perizia da terra, saranno coperti dalla ditta, in virtù dell’impegno contrattuale. Questa scelta, che nel caso del Colosseo è stata ampiamente criticata, consentirà di eseguire i lavori in questo periodo di difficoltà economica del paese.

 

Considerazioni sulle visite a Villa Capo di Bove e al cantiere del Teatro Argentina

Il primo giugno siamo andati a visitare Villa Capo di Bove, sull'Appia, una proprietà acquisita dallo Stato nel 2002 a seguito di un tentativo di truffa ai danni dello stesso.
La villa si trova all'interno del percorso archeologico dell'Appia Antica, inizialmente era una residenza privata, sorta negli anni cinquanta, a seguito di una riscoperta del luogo da parte di famiglie benestanti e appartenenti al mondo del cinema. La villa venne costruita sopra i resti di una cisterna romana, che in parte ha funzionato come fondazione del nuovo caseggiato realizzato in stile antico, con tanto di marmi di recupero, o meglio di spoglio, inoltre vennero anche scavate parte delle terme romane risalenti al II secolo d.C. appartenute forse alla tenuta di Erode Attico.

Negli anni '90 la forte speculazione edilizia ha portato alla costruzione di palazzine a ridosso del parco e i proprietari delle ville a sbizzarrirsi con le più improbabili trasformazioni, così la sovrintendenza si trova ancora oggi costretta a vigilare che non ci siano abusi e opere non pertinenti con il contesto nel quale sono immerse le ville.
L'acquisizione della villa da parte della Soprintendenza ha comportato la prosecuzione e ampliamento degli scavi dell'impianto termale, con conseguente sistemazione degli ambienti ormai privi di pavimentazione mediante una differenziazione cromatica della ghiaia, della sistemazione del giardino, dell'eliminazione degli elementi non pertinenti al contesto, come la piscina e infine la risistemazione della villa stessa, oggi sede dell'archivio Antonio Cederna.

Gli ambienti sono stati trasformati e adeguati per consentire l'esposizione di mostre temporanee e una sala conferenze, un intervento non propriamente riuscito è quello sugli infissi, dovuto in parte all'errore del fabbro, che li ha realizzati più corti rispetto all'apertura, comportando l'aggiunta di un fascia di raccordo in acciaio, mentre prima le finestre erano in legno, tutto sommato basterebbe una tinteggiatura di parte dell'infisso per alleggerire l'effetto massiccio che dà oggi.

Un altro problema che è stato sollevato è quello riguardante la non completa informazione sulla lettura delle stratigrafie dell'edificio, poichè i pannelli informativi sulla presenza di una cisterna romana, si trovano esclusivamente nella depandance, dando per scontato che i turisti passino prima da lì, inoltre non è ben evidenziato il limite tra i resti della cisterna e il resto della villa, ciò non perchè si debba necessariamente separare le due cose per non creare un falso storico, ma più per permettere a tutti, anche coloro che non hanno le conoscenze necessarie di poter usufruire di ciò.

Infine durante la spiegazione delle evoluzioni della villa si è parlato della eventuale possibilità di acquisire, un pò per volta l'intera area del Parco dell'Appia Antica, io non lo trovo possibile, in quanto dubito fortemente che lo Stato da solo sia in grado di gestire il tutto, basta vedere come vengono gestiti i migliaia di siti archeologici, da Pompei ad Ostia Antica, e molti altri, per rendersi conto che l'assenza di fondi e la vastità delle aree di interesse non consente un efficace controllo sul territorio già acquisito figuriamoci aggiungerne altro.
A questo punto sarebbe meglio concentrare le risorse su ciò che già è pubblico.


L'otto giugno invece siamo andati a visitare il cantiere del Teatro Argentina, la particolarità rispetto agli altri cantieri visitati fino ad oggi è che questo è situato nel centro storico e quindi è soggetto ad alcune regole particolari, come ad esempio l'obbligo di montare le impalcature nella notte, oppure di porre particolare attenzione alla problematica dello stoccaggio dei materiali, a tale proposito è stata realizzata una piattaforma apposita, poichè l'uso di determinati strumenti, come la betoniera, e i materiali avrebbero comportato un sovraccarico del terrazzo. Il cantiere è stato finanziato interamente da un privato, grazie all'uso della pubblicità. A tale proposito si è discusso sull'utilità o meno della pubblicità per finanziare le opere, a mio avviso questo strumento può risultare efficace, in un periodo di crisi, dove i finanziamenti scarseggiano, se così facendo si può preservare un edificio dalla rovina, ben venga.

Nel corso della sua storia il teatro ha avuto due interventi di restauro, uno risalente agli anni 70, che comportò l'abolizione di una pensilina lunga 4 metri, che andava ad interferire con le linee del tram, l'aggiunta di un cordolo in cemento, a detta loro più efficace in caso di sisma e il rivestimento delle statue con un abbondante strato di cemento, che ha portato non solo alla fuoriuscita dei sali, ma anche l'aumento del peso, dell'instabilità delle stesse e soprattutto di un appiattimento delle profondità.

I restauri del 1993 hanno interessato soprattutto la facciata, in quanto venne interamente rivestita da una tinta al quarzo, non traspirante quindi fortemente dannosa per la muratura stessa e del trattamento delle statue con un eccessivo strato di tinte di polvere di marmo, che hanno ulteriormente omogeneizzato le superfici.
Fortunatamente oggi si è rimosso lo strato di intonaco al quarzo, anche a seguito di un lungo e acceso dibattito, conclusosi per il meglio, in quanto gli intonaci usti stavolta sono intonaci di calce, in tutto e per tutto compatibili con la muratura originaria, poichè permettono alle superfici di traspirare e conservati più a lungo.

Altro intervento di questo restauro è quello sulle statue, si è proceduto ad asportare dove possibile il cemento superfluo e a sostituire gli elementi più pesanti ed instabilizzanti con altri più leggeri e compatibili e a ridare le giuste profondità alle opere scultoree.
Inoltre quelli di noi che hanno fatto parte del secondo gruppo di visita hanno avuto l'opportunità di approfondire un tema importante e spesso sottovalutato, quello della sicurezza di un cantiere, che consiste in un progetto apposito e diversificato rispetto a quello dei lavori stessi, che comprende inoltre di costi diversificati dal resto del progetto.

CONSIDERAZIONI SULLA VISITA ALLA VILLA CAPO DI BOVE SULL’APPIA ANTICA E AL CANTIERE DEL TEATRO ARGENTINA

 

Nelle ultime due settimane abbiamo visitato due edifici molto diversi per posizione, storia e funzione, che , però, rappresentano dei luoghi di grande interesse storico e culturale a Roma.

La villa Capo di Bove sull’Appia Antica è immersa nel parco archeologico più grande del mondo, attualmente comprende gli scavi di un impianto termale risalente al II secolo d.C. e la villa, che dal 2008, ospita l’archivio Antonio Cederna. Antonio Cederna è stato un giornalista, ambientalista, politico e intellettuale italiano, venuto a mancare nel 1996.Cederna si è dedicato alla denuncia sistematica dell'attività di rovina dei beni culturali e del territorio italiani, in un periodo di ripresa economica e di ricostruzione in cui erano sempre più grandi le minacce al patrimonio artistico, storico e paesaggistico italiano. Tra le sue battaglie, quella per la tutela dell'Appia Antica è stata presente durante tutta la sua esistenza: ad essa ha dedicato più di 140 articoli. Nel 1993 è stato nominato Presidente dell’Azienda Consortile per il Parco dell'Appia Antica, e si batte duramente perché il progetto del Parco possa decollare. La presenza dell’archivio Cederna nella Villa Capo di Bove potrebbe inizialmente risultare poco adeguata, ma se si analizza la storia e l’evoluzione di questo luogo, si comprende come, questa scelta, sia stata intelligente e rispecchi pienamente gli intenti che la lunga lotta di Cederna si era prefissata.

La proprietà del lotto della villa nel II secolo d.C., risale alla vasta tenuta agricola di Erode Attico, nel Medioevo diventa un fortilizio mantenendo le caratteristiche agricole, divenendo poi un bene Pontificio. Nel 1945 avviene il cambiamento della tenuta da uso agricolo ad uso residenziale. Streccioni, un famoso produttore cinematografico, compra la tenuta, commissionando un progetto di recupero, realizzando un casale con aspetto antico con il corpo scala impostato sulla cisterna dell’antico impianto termale e giardino con piscina. Negli anni 50 l’Appia Antica si presenta come uno scenario perfetto dove grandi imprenditori e personalità famose si costruiscono la propria villa, andando ad alterare quei luoghi e ad utilizzare i vari resti antichi come collezioni private o rivendendoli. La villa costruita in questi anni si presenta come un collage antico, la facciata presenta un ampio campionario di spolia provenienti, per la gran parte, dalle zone circostanti. Il gusto è molto sfarzoso e pacchiano, tipico di quegli anni e di quella specifica classe sociale, di cui possiamo, ancora oggi, avere qualche esempio in qualche elemento di arredo ancora presente, come le porte dei piani superiori.

Nel 2002 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, su proposta della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, ha acquistato la proprietà esercitando il diritto di prelazione sul bene vincolato. La villa era stata valutata 1 milione e 300 mila euro. Questa operazione è stata uno dei pochi casi in cui lo Stato si riappropria di un bene privato, avvia un progetto di recupero  e rende l’area aperta al pubblico. Nel 2002 si sono avviati i lavori di scavo sull’area archeologica che ha portato alla scoperta di un’impianto termale inedito, di proprietà privata ad uso, probabilmente, di un collegio sacerdotale. Attualmente, ci si è dedicati alla sistemazione dell’area archeologica, per rendere visitabili i resti ancora leggibili, interessante l’idea di riproporre l’idea di una pavimentazione in mosaico bicromo utilizzando sassolini bianchi e grigi e una pavimentazione in laterizio con sassolini color cotto. L’area archeologica era anche occultata dalla strada che dall’ingresso sulla Via Appia, proseguiva dritta fino all’ingresso della villa, è stato, di conseguenza, scelto di modificare il percorso verso la villa rendendolo serpeggiante, adattandolo alla struttura termale e agli alberi presenti nell’area e cambiando la percezione del lotto, che non risulta più stretto e lungo, ma molto più vasto e arioso.

Per quanto riguarda la villa stessa, il progetto è andato a ripristinare i vari ambienti e a modificare l’impianto esistente inserendo un elevatore per il collegamento con i piani superiori. Una scelta poco riuscita è stata la modifica degli infissi delle finestre. Gli infissi che originariamente erano in legno, oggi si presentano in un acciaio molto scuro che lega poco con lo stile della villa, evidenziato da un imprevisto in corso d’opera che ha portato alla realizzazione di cornici di infisso molto spesse ed esteticamente poco apprezzabili. Un appunto al progetto che è uscito fuori durante la nostra visita è stata l’assenza di pannelli esplicativi che spiegassero che sotto la villa fosse presente una cisterna romana, visibile nel prospetto esterno, poichè la muratura si appoggia sui resti dell’opera cementizia in scaglie di selce. Questo particolare non è, però, evidente per chi viene a visitare la villa e non ha le conoscenze adatte per motivare questa disomogeneità nella muratura. Ci è stato spiegato che questi pannelli esplicativi sono stati collocati nella ex depandance che oggi viene usata come punto ristoro, non sono quindi assenti, ma probabilmente mal collocati, poichè per chi entra direttamente nella villa non c’è la possibilità di leggere queste informazioni utili ad una visita corretta dell’edificio.

Per quanto riguarda la visita al cantiere del Teatro Argentina, essendo un cantiere ancora operativo ci è stato molto utile per poter comprendere e vedere di persona come è organizzato un lavoro di restauro per una facciata di un edificio del centro storico di Roma. Il teatro risale al 1732, ma la facciata viene realizzata quasi un secolo dopo. Il teatro era costruito originariamente tutto in legno, ad esclusione, solo delle mura e delle scale in muratura; la sala fu progettata con la forma a ferro di cavallo per soddisfare al meglio le necessità acustiche e visive.

Nella sua storia recente, il teatro ha subito due interventi di restauro, uno negli anni 70 e uno nel 1993. Con gli interventi portati avanti negli anni 70, invece di portare delle migliorie, si sono andate a peggiorare soprattutto le capacità di resistenza della struttura, sono, infatti, state rimosse le capriate in legno della copertura per motivi sismici, e si è aggiunto lungo il perimetro dell’edificio un cordolo in cemento armato. Questo tipo di interventi, molto in voga in quegli anni, avevano l’intento di portare le strutture a capacità resistenti maggiori, soprattutto per eventi sismici, la storia ci ha però dimostrato come molto spesso questi interventi abbiano creato grossi problemi a livello strutturale, peggiorando le capacità di resistenza della struttura. Nei restauri del 1993 si è intervenuto sulla facciata principale, andando a stendere un intonaco realizzato con resine acriliche, che hanno creato come una pellicola che non permetteva la traspirazione dell’intonaco e del muro, comportando problemi di lesioni e microfessurazioni. Per quanto riguarda il gruppo scultoreo posizionato a coronamento della facciata nella parte centrale, si erano realizzati delle reintegrazioni in cemento di alcuni elementi rovinati o mancanti e si è applicato un manto di calce cementizia su tutte le statue contenente una parte di polvere di marmo eccessiva, andando a omogeneizzare gli elementi e perdendo gli effetti di profondità tipici delle sculture. I restauri, che sono attualmente in corso d’opera, hanno come committenza l’impresa stessa che si occupa della realizzazione dei lavori e quindi da un privato, e sono comunque finanziati dalla pubblicità, i ponteggi sono, infatti, coperti da un telo con una stampa pubblicitaria. Un sacrificio che si può sopportare in vista di un lavoro che riporti questo teatro allo splendore che merita.Il fatto di trovarci nel centro storico presenta vari tipi di vincoli nell’affrontare un progetto di restauro di una facciata, si deve aggiungere, inoltre, che ci troviamo a meno di 50 m da un’area archeologica, e quindi si è ulteriormente soggetti a limitazioni normative per la tutela dei beni storici e culturali. L’attuale progetto, in linea con i principi di restauro compatibile e filologico, si è occupato di descialbare le integrazioni realizzate con resine acriliche e andare a rimuovere le aggiunte in cemento, alleggerendo il gruppo scultureo e ristendendo uno strato di intonaco a calce con una colorazione che non tendesse ad appiattire le figure scultoree. Per quanto riguarda, invece, il resto della facciata, si sono portate avanti varie indagini stratigrafiche per poter rintracciare la facies originaria del teatro. Nel tempo, infatti, la facciata era divenuta color ocra, con tonalità, mano a mano, sempre più scure. Attualmente si è cercato di ridare alle parti trattate a finto bugnato un color travertino, e si stanno cercando di fare varie prove di colore per le parti fondali. Un altro intervento interessante è stato il ripristino del color legno per gli infissi che nel tempo erano stati ricoperti di uno smalto color grigio.

Il poter toccare con mano un cantiere di questa importanza ci ha permesso di capire come si svolga il lavoro effettivo in un progetto di restauro, di poter colloquiare con i responsabili del progetto e anche con chi realizza ciò che il progetto prevede. Ci siamo inoltre resi conto, anche in questo caso, dell’importanza che riveste il responsabile della sicurezza del cantiere, che permette di svolgere il lavoro in situazioni e tempi migliori. Per ultimo, ma non meno importante, quanto sia essenziale che le varie figure professionali che lavorano allo stesso progetto, collaborino, coscienti delle proprie competenze, per ottenere un lavoro eccellente sotto tutti i punti di vista.

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