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Considerazioni sulla visita alla Villa Capo di Bove ed al cantiere del Teatro Argentina

 

Villa Capo di Bove

Il Parco dell‘Appia Antica è un’area protetta di interesse regionale ed è stato istituito nel 1988 a seguito di una lunga battaglia condotta da Antonio Cederna insieme ad un gruppo di architetti, urbanisti, giornalisti ed intellettuali con la finalità di salvaguardare la zona dai continui tentativi di cementificazione selvaggia e di conservare e valorizzare il territorio in essa compreso. La superficie del parco di circa 3.400 ettari comprende la via Appia Antica e le sue adiacenze per un tratto di 16 chilometri, la valle della Caffarella, l’area archeologica della via Latina, l’area archeologica degli Acquedotti, la Tenuta di Tormarancia e quella della Farnesiana.

La villa visitata si colloca proprio in questa zona, specificatamente lungo la via Appia antica, strada realizzata nel 312 a.C. per volere del console Appio Claudio Cieco Il cui percorso originale collegava l'Urbe (partendo da Porta Capena, vicino alle Terme di Caracalla) con Ariccia, il Foro Appio, Terracina, Fondi, Itri, Formia, Minturno, Mondragone ed infine Capua e successivamente ampliata (268 a.C.) fino a Benevento e Venosa. Nel 191 a.C , la strada venne prolungata fino a Taranto e Brindisi il principale porto per la Grecia e per l’Oriente.

La proprietà è collocata a 450 m dal Mausoleo di Cecilia Metella ed a 250 dal limite delle mura del Castrum Caetani. In età medievale la zona era denominata “Casale di Capo di Bove e di Capo di Vacca”, toponimo originato dai bucrani che ancora oggi ornano il fregio posto alla sommità del sepolcro di Cecilia Metella, ed essa mantenne caratteristiche agricole fino a tempi recenti. L’edificio principale presente nell’area, censito nel catasto Pio Gregoriano (1812-1835), di proprietà privata dal 1870 mantenne come detto in precedenza l’uso agricolo fino al 1945 anno in cui acquistato da una famiglia di grossisti ortofrutticoli, i Romagnoli, fu trasformato ad uso residenziale dando inizio ad un nuovo periodo per la tenuta e per l’intera area. Periodo caratterizzato dalle logiche imprenditoriali ed occupazionali di questa fase storica italiana in cui l’abusivismo, se paragonato a quello speculativo degli anni successivi, poteva essere considerato per così dire “illuminato” ma pur sempre pericoloso e dannoso per le zone in cui si andava ad edificare.

Nel 1962 la villa passò nelle mani di Sauro Streccioni, un produttore cinematografico, il quale sulla scia della moda del momento della costruzione da parte di imprenditori ed attori della propria residenza privata  nella zona, fece “recuperare” l’edificio probabilmente da un architetto della scuola di Busiri Vici, basando il progetto su quello stile antiquario caratteristico del linguaggio del noto architetto.

Agli inizi del 2000 Streccioni tentò la vendita della residenza, commettendo però l’errore che riuscì a portare alla “salvezza” di quest’aera. Dichiarando infatti un prezzo troppo basso per essere un accordo del tutto legale, scoperto da un  funzionario statale, fu costretto a vendere la villa al Ministero dei beni culturali, il quale esercitando il diritto di prelazione sul bene vincolato rese pubblica la villa riuscendo a bloccare i possibili abusi futuri.

Dal 2002 si è quindi iniziato il recupero dell’intera area, la quale oltre alla villa comprende anche i resti di un importante impianto termale databile a circa la metà del II sec. d.C. ed una grande superficie di parco.

L’impianto termale, posto all’ingresso della villa di rilevanza archeologica già evidente dai resti di alcune strutture murarie antiche ed un mosaico bianco e nero è stato quindi riportato alla luce e reso visitabile, mentre il giardino è stato ridisegnato da Massimo De Vico, il quale eliminando la simmetria che caratterizzava l’assetto precedente e realizzando un tracciato curvilineo si è adattato in maniera più idonea  al luogo.

Per quanto riguarda invece l’edificio principale, destinato ad ospitare il centro di documentazione dedicato ad Antonio Cederna, è stato sottoposto a restauro sotto la guida degli architetti Carlo Celia e Stefano Cacciapaglia, i quali dovendo  rendere l’edificio a norma hanno però cercato di mantenere il più possibile l’impianto originario della villa, rispettando ad esempio l’apparecchiatura muraria esterna realizzata con elementi costruttivi nuovi uniti a reperti antichi, ma intonacando l’interno per protezione della muratura ma anche per non confondere il visitatore nella lettura dell’ambiente.

Ciò che a prima vista è sicuramente evidente è la capacità con cui tutti i responsabili del progetto sono riusciti a rendere quest’area fruibile al pubblico e ad evidenziare attraverso il percorso le diverse peculiarità che il sito di circa 8500 mq è in grado di offrire al visitatore, ma anche la vittoria, per una volta, della sovrintendenza dei beni culturali sullo scempio che invece continua spesso a consumarsi all’interno di queste ville poste in un paesaggio cosi rilevante dal punto di vista storico-naturalistico.

 

 

Teatro Argentina

Nel 1730 la famiglia Cesarini avviò il progetto di costruzione del teatro Argentina all’interno di un palazzetto ed una torre di loro proprietà (Casa del Burcardo): una parte dell’edificio secondario venne demolita per fare spazio al palcoscenicom, mentre la torre ed altri ambienti del palazzetto furono adibiti a servizi e camerini per artisti. Il Teatro venne inaugurato il 31 gennaio del 1732.

Originariamente fu realizzato completamente in legno ad eccezione delle mura e delle scale in muratura.

La platea, pavimentata con tavole di legno, era completata da quaranta file di banchi mentre i 186 palchi erano disposti in sei ordini. Normali lavori, necessari per l'agibilità del teatro venivano effettuati annualmente; notevoli furono quelli eseguiti nel 1742.

 L'edificio rimase a lungo senza facciata, costruita soltanto nel 1826 dall'architetto P. Holl dopo la concessione del teatro fatta dal duca Salvatore Sforza Cesarini, proprietario, a Pietro Cartoni, il quale eseguì "vari restauri e lo corredò ben anche di un prospetto, formandone un vestibolo e un sovrapposto Salone".

Fu solo nel 1887 che il teatro divenne comunale e l’anno successivo ad opera di G. Ersoch, assunse l’aspetto attuale.

Gli ultimi interventi di restauro, precedenti a quello attuale, sono stati effettuati nel 1970 e nel 1993 apportando in alcuni casi modifiche non congrue con l’architettura originaria dell’edificio che oggi si stanno cercando di correggere.

I restauri degli anni ’70 si interessarono di effettuate operazioni di  adeguamento sismico, sostituendo le  capriate lignee con una struttura in cemento armato al tempo ritenuta più resistente, mentre nei restauri del ’93 la facciata fu tinteggiata con resine viniliche di scarsissima durabilità.

Nella fase preliminare di pianificazione dei restauri attuali ci si è trovati subito a dover risolvere una serie di problemi soprattutto relativi all’organizzazione dei ponteggi e della loro sicurezza. Il cantiere infatti trovandosi in una delle piazze più trafficate del centro storico di Roma, non doveva rendere difficile la fruizione dei marciapiedi posti di fronte alla facciata del teatro, e per questo motivo che l’ingegner Vicari ha scelto di collocare l’accesso ai ponteggi esclusivamente sulla  terrazza del teatro garantendo però una via di uscita dal basso. Questa posizione dell’edificio creava però un ulteriore problema cioè quello della realizzazione di uno spazio dove poter collocare una piccola betoniera necessaria per la produzione dell’intonaco che non poteva essere posizionata sulla terrazza utilizzata per l’ingresso al cantiere per motivi di sicurezza. L’ingegnere ha quindi deciso di realizzare all’interno del cantiere una piccola terrazza dotata di un cavedio necessario per trasportare il materiale preparato sui vari piani del ponteggio.

Nel restauro condotto dall’architetto Carlo Celia, sono stati utilizzati a differenza del restauro precedente intonaci a tinta di calce, descialbando la superficie,(decisione presa con molte difficoltà) per eliminare la coloritura del restauro del ‘93. La scelta non è stata quella di eliminare la stratificazione formatasi nel tempo ma piuttosto quella di eliminarne una erronea ed artificiale a favore della nuova di tipo tradizionale. A tal proposito l’architetto con i suoi collaboratori, nell’attuale fase dei lavori, sta effettuando le prove di colore scegliendo, per i fondi il color cortina, mentre per le parti in finto bugnato un trattamento con un tono travertino.

Inoltre sono stati recuperati anche gli infissi in legno originali, che liberati da uno smalto colorato applicato nei restauri precedenti, sono stati rifiniti con una cera trasparente.

La particolarità di questo restauro supervisionato dalla Soprintendenza, è quella di rappresentare un unicum nel suo genere, riuscendo probabilmente anche a risolvere molti dei problemi economici legati alla realizzazione dei restauri all’interno della nostra nazione, poiché esso è finanziato ed eseguito dalla stessa azienda ovvero Mecenarte. Tale azienda si è proposta di sostenere completamente i costi, ricavando i proventi dalle inserzioni pubblicitarie poste sui teli a copertura dei ponteggi. Purtroppo, vista la forte crisi che in questo momento sta colpendo la nostra nazione e non solo,  l’azienda si è trovata di fronte a molte difficoltà riuscendo a vendere la pubblicità solo in quest’ultima fase dei lavori, iniziati a dicembre 2011 il cui termine è previsto per fine luglio.

Allego inoltre una relazione che le avevo consegnato solo a mano

 

 

 

L’architettura Razionalista e la Damnatio Memoriae

damnatio memoriae: Condanna, che si decretava in Roma antica in casi gravissimi, per effetto della quale veniva cancellato ogni ricordo (ritratti, iscrizioni) dei personaggi colpiti da un tale decreto.

Treccani.it

È interessante iniziare con la definizione del concetto di damnatio memoriae intesa letteralmente come condanna della memoria adoperata nel nostro caso nei confronti di un’ideologia ,quella legata al fascismo, nel contesto specifico riguardo alla sua architettura.

È proprio nel ventennio fascista  che si scrive una pagina importante dell’architettura Italiana grazie anche all’iniziativa del “gruppo 7” di cui facevano parte grandi nomi come: Giuseppe Terragni, Gino Pollini, Luigi Figini, Sebastiano Larco, Carlo Enrico Rava ed Adalberto Libera.

Purtroppo l’architettura durante il fascismo divenne una forma di propaganda ed ebbe l'effetto di rafforzare il prestigio internazionale del regime motivo per cui successivamente venne “condannata” ed in molti casi abbandonata a se stessa.

Esempio lampante di questa situazione è la figura dell’architetto Luigi Moretti che sebbene sia stato uno dei maggiori architetti a operare sulla scena romana dal tempo del fascismo a quello del dopoguerra e capace di proiettarsi da quella sulla scena milanese e internazionale, è rimasto a lungo ignorato.

Una delle opere significative della produzione dell’architetto è rappresentata dalla Casa delle Armi al Foro Italico progettata nel 1934 e costruita nel 1935, caratterizzata da un rivestimento in marmo statuario di Carrara, scelto da Moretti in una particolare venatura “lunense” che contribuisce ad esaltarne l’eleganza e la purezza dei volumi.

Nonostante sia tra migliori esempi di architettura razionalista questo edificio durante tutto il corso del secolo scorso ha dovuto attraversare una serie di vicissitudini nonché uno stato di abbandono che lo collocano proprio tra quegli edifici vittima della precedentemente descritta damnatio memoriae.

Nel 1981-82 viene addirittura adibita prima  ad  aula-bunker  (per l’occasione  recintata  di  ferro  e  cemento  armato),  poi a caserma  dei  Carabinieri completamente snaturata dai magnifici interni pensati dall’architetto. Fu rivalutata del suo valore architettonico da una direttiva della Presidenza del Consiglio di circa 15 anni fa che ne prevedeva il restauro e la restituzione al fine di adibirla a Museo dello  Sport cosa ad oggi ancora non attuata.

La domanda che ad una studentessa come me sorge spontanea è: nella nazione in cui la conservazione ed il restauro sono considerati come qualcosa di necessario per preservare i tesori che ci sono stati tramandati dai grandi maestri, è possibile che per il legame di uno dei gioielli dell’architettura razionalista italiana con l’ideologia fascista (sicuramente da condannare), sia possibile pensare di farla cadere in rovina, snaturarla della sua forma originaria ed addirittura pensare di arrivare a demolirla? La speranza è che il rinnovato interesse e quindi la nuova capacità di cogliere l’essenza della bellezza di queste architetture, riuscendo ad estrapolarle soprattutto dal contesto politico in cui sono sorte, gli permetta di riuscire ad arrivare avanti nel tempo e di trovare qualcuno con la voglia e la conoscenza tale da portarle a rivivere del loro splendore originario o comunque affidandogli quel valore intrinseco che negli anni non gli è stato concesso.

 

Permanenza storica e recupero

recuperare: v. tr. Tornare in possesso di una cosa che era già propria o, in genere, che si era perduta.

recupero :L’azione, l’operazione di recuperare, il fatto di venire recuperato, soprattutto con riferimento a cose disperse, rubate, o di cui si temeva la scomparsa, la perdita, la distruzione: r. di un’automobile caduta in un canale; r. marittimi, e r. dei relitti di navi o di aeromobili; r. di una salma di un alpinista precipitato; film di r., prodotto utilizzando le scenografie e i costumi di un altro film; r. della refurtiva, del bottino, r. di un... Leggi

 

Secondo Moneo c’è un rapporto diretto tra le architetture, anche le più moderne e apparentemente distratte o non curanti della storia, e il passato, c’è un legame «tra gli edifici e il passato che i luoghi nascondono; quel passato nel quale inevitabilmente ci imbattiamo quando inizia il primo lavoro richiesto dalla costruzione, cioè lo scavo che precede il processo di fondazione» Lo scavo è il primo gesto della costruzione e attraverso lo scavo l’architetto si mette in collegamento diretto con il passato di un luogo, «lo scavo diventa lo strumento lo strumento per cercare nelle sue viscere la diretta testimonianza di un passato sepolto» .

Con il ritrovamento dei resti archeologici del Teatro Romano di Cartagena (I siglo A.C.), l'architetto Rafael Moneo riceve l'incarico di intervenire nel contesto urbano del Teatro e di creare un nuovo Museo in grado di accogliere i pezzi raccolti durante le varie campagne di scavo.

L’intervento  ha recuperato l'edificio antico permettendone la lettura anche a fini didattici e culturali in modo da renderlo comprensibile al visitatore.

L’architetto ha pensato ad un sistema di percorsi che connette la cavea del teatro con la maglia delle strade della città antica, con il giardino e la Chiesa di Santa Maria la Vieja realizzata a partire dal XIII secolo in parte sul Teatro, recuperando le antiche pietre del sito.

La nuova architettura ha quindi lo scopo di porre in risalto il monumento coinvolgendo attraverso il suo sistema di percorsi  sia i visitatori occasionali che i cittadini di Tarragona attraverso un percorso urbano, paesaggistico e archeologico il quale accostando architetture romane, medievali e moderne permette di leggere il passaggio della città attraverso il tempo e quindi la sua storia. 

Visita alla Villa di Capo di Bove

 

La villa si trova lungo il percorso dell’appia Antica, poco lontano dal Mausoleo di Cecilia Metella ed occupa, compreso il giardino, una superficie di circa 8.500 mq. Dal catasto pio-gregoriano (1812-1835) l’area risultava proprietà del Monastero di San Paolo Fuori le Mura e l’edificio era la  “casa ad uso della vigna”. L’area divenne proprietà privata nel 1870, ma solo nel 1945 iniziò la sua trasformazione per uso residenziale ad opera di una famiglia di commercianti ortofrutticoli: i Romagnoli.

Tuttavia, a partire dagli anni ’60 l’area dell’Appia Antica divenne la residenza favorita da una committenza con elevata disponibilità economica che considerava la proprietà come un vero e proprio status symbol. In quest’ottica la villa venne acquistata nel ’62 dal produttore cinematografico Sauro Streccioni che affidò l’intervento sull’edificio principale a un architetto, probabilmente della scuola di Busiri Vici, che volle ricreare un casale all’antica utilizzando materiale di spoglio, ritrovato probabilmente lungo l’Appia Antica, sul paramento murario dell’edificio principale. Inoltre  si costruirono la dependance la piscina e si risistemò il giardino.

Nel gennaio del 2002 il Ministero dei Beni Culturali, su proposta della Soprintendenza Archeologica di Roma, ha acquistato la villa per 1.549.370,70 €,  esercitando il diritto di prelazione sul bene vincolato con lo scopo di “programmare un sistematica ricerca archeologica, nonché al fine di assicurare alla pubblica fruizione il complesso”. La Villa doveva infatti essere venduta da Sauro Streccioni a Valerio Morabito il quale, nota la volontà dello Stato di acquisire la proprietà, manifestò la sua disponibilità a cedere gratuitamente al Ministero per i beni e le attività culturali l’intera area su cui insistevano i resti antichi in considerazione del fatto che la stessa è strutturalmente scorporata dal resto della villa e munita di un secondo ingresso carrabile.  Tuttavia il Ministero non accettò la proposta e procedette all’acquisto della villa.

Il recupero, iniziato nel 2002, avvenne in due fasi: una volta alla riqualificazione del fabbricato principale e della dependance per i quali si stimò la spesa di 516.000 €, e una invece al recupero dello scavo archeologico che avvenne invece in un secondo momento. Il risultato è stato un grande equilibrio fra le parti naturalistica, archeologica e architettonica.

Per quanto riguarda l’edificio l’intervento è stato curaro dagli architetti Carlo Celia e Stefano Cacciapaglia. Essi hanno scelto di mantenere molti elementi che caratterizzavano l’intervento degli anni ’60: alcune porte interne, il paramento esterno, la scala principale; mentre sono stati eliminati quegli elementi che non si prestavano alla pubblica fruizione come ad esempio la piscina. Si è dunque provveduto alla messa a norma di tutto l’edificio, all’installazione di un ascensore, e alla sostituzione degli infissi (operazione mal riuscita forse a causa di maestranze abituate a produrre elementi in serie, o forse anche a causa di un supervisione poco attenta?).

Lo scavo archeologico a rilevato l’esistenza di un complesso termale le cui strutture più antiche risalgono al II sec. d.C. facente capo probabilmente a un collegio sacerdotale o a un culto. L’approvvigionamento idrico di tale impianto avveniva probabilmente dalla cisterna che si trova al di sotto dell’edificio principale. A proposito di tale cisterna: mentre all’esterno è possibile distinguere la muratura antica, all’interno questa è stata intonacata per mantenere l’uniformità dell’ambiente. Il pannello che spiega la presenza del muro della cisterna si trova in realtà nella dependance, ma forse, per maggior chiarezza, sarebbe meglio collocarlo nell’ambiente in cui si trova la cisterna.

Il progetto degli spazio esterni è stato curato dall’architetto De Vico  tenendo conto delle emergenze archeologiche. Egli ha infatti sostituito il precedente percorso rettilineo che attraversava i resti archeologici, con un percorso curvilineo più adatto al contesto. Si è inoltre intervenuto secondo tre linee guida: il rispetto delle alberature esistenti, l’eliminazione della vegetazione infestante e l’arricchimento cromatico attraverso la piantumazione di cespugli fioriferi.

Dal 2008 la villa ospita oltre alla sala conferenze, lo spazio espositivo e gli uffici della Soprintendenza, anche l’archivio Cederna che ospita foto, appunti manoscritti e documenti inediti. E’ curioso come proprio l’archivio di Antonio Cederna, che si batteva tanto contro la speculazione lungo l’Appia Antica sia finito proprio lì, tuttavia la lettura che si può dare è questa: l’acquisizione da parte dello Stato della villa e l’operazione di riscatto totale che l’ha resa fruibile al pubblico 7 giorni su 7 gratuitamente è da considerarsi una piccola vittoria contro la speculazione e l’abusivismo e va considerata un esempio per noi architetti del futuro. Non perdiamo la speranza.  

PER TUTTI GLI STUDENTI DEL TERZO ANNO

Vorrei cercare di illustrare, nel modo quanto più semplice possibile, cosa mi aspetto per le vostre conclusioni valutative.

Confermo che la tesina dovrà essere completa:

-         dei temi generali dell’Estimo trattati nelle lezioni (basteranno poche righe esplicative);

-         della relazione illustrativa (il “perché” delle scelte architettoniche operate) e di quella tecnica (comprendete dati generali metrici, quali cubatura superfici totali, etc.);

-         della scelta del bene analogo;

-         dei calcoli metrici di dettaglio del progetto (per esempio, analisi dettagliata dei singoli ambienti della residenza, e coefficienti di ragguaglio);

-         di ogni altro argomento a carattere valutativo;

-         della stima del progetto.

In merito a quest’ultima, voglio precisare che mi interessano due dati fondamentali.

1)      Il “costo di costruzione”, ricavabile per tramite del valore investigato per il bene analogo; detto valore (per esempio 1.100 €/mq) dovrà moltiplicarsi per la superficie ragguagliata di ogni vostro singolo progetto.

2)      Il “valore di mercato” sempre di ogni singolo vostro progetto; esso si riferirà all’indagine di mercato compiuta nella zona a cui appartiene la proposta progettuale, ma necessariamente “epurato” del surplus che comunemente un “venditore” aumenta per lucrare. Voglio dire, in via del tutto esemplificativa che, qualora l’Agenzia del Territorio (o altra fonte) considerino che per un’edilizia similare alla vostra, si vende ad un minimo di 2.800 €/mq e ad un massimo di 3.500 €/mq è impensabile che i vostri progetti possano attestarsi su tali cifre!

La sfida è nel contenere ragionevolmente i valori (non superare e andare oltre i 1.800-2.000 €/mq per l’esempio che precede; ma si tratta solo di un esempio!).

Ragionare sull’incremento percentuale attribuibile al “costo di costruzione” che la legge imporrebbe di non più del 18-20% e che comunemente (come è facile riscontrare anche nell’esempio che precede) sale a causa di un “mercato alterato” da imprenditori o pseudo costruttori o speculatori senza scrupoli e di non meno del 30 o, a volte, anche del 40-50%!

In conclusione, i vostri progetti dovranno costare poco (il giusto) e valere molto.

E’ scontato che, con ogni singolo gruppo, si discuterà nel merito e più dettagliatamente.

Spero di essere stato chiaro.

Concludo ribadendo che oggi pomeriggio 19 giugno, per chi volesse, sarò all’ex mattatoio dalle 15,30 alle 18,00; ma è bene prenotarsi presto, altrimenti – se non ci saranno studenti – non mi fermo più di tanto.

La prossima revisione è fissata per lunedì 25 pomeriggio dalle 14,00 in poi. Successivamente martedì 26, vi saranno altre revisioni.

Prof. Alfredo Passeri

PER GLI STUDENTI DEL LABORATORIO DI RESTAURO

Comunico che venerdì 22 giugno prossimo NON SARA' POSSIBILE LA VISITA alla
Villa dei Quintili, causa lo sciopero dei mezzi.
Mi dispiace davvero molto, e spero si possa ri-programmare prima della
fine del semestre.
Pertanto, per quel giorno (venerdì 22, appunto) ci dedicheremo alle
revisioni delle vostre valutazioni economiche legate al progetto di
restauro. Sarà l'occasione per riassumere i temi trattati, fare il punto
della situazione e tratteggiare le conclusioni.
Siete pregati di portare i vostri scritti (soprattuto quelli postati sul
Sito ed anche gli appunti) onde poter riflettere, tra l'altro, delle
esperienze sul campo.
Vi aspetto tutti, saluti
Prof. Alfredo Passeri
 

 

visita a villa capo di bove

Villa Capo di Bove è una villa situata lungo la via Appia antica divenuta proprietà del Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel 2002, su proposta della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma.

All'interno dello spazio espositivo abbiamo potuto vedere, dati alla mano, le grandi trasformazioni, urbane e paesistiche, che si sono susseguite negli anni sul territorio limitrofo alla via Appia; questo infatti pur essendo un parco controllato da un ente apposito, data la sua grande estensione rimane molto spesso vittima di abusi. In assenza di un costante controllo infatti si sono susseguite sempre più edificazione abusive anche al bordo del grande parco dell'Appia Antica deturpando per sempre il paesaggio godibile, ad esempio, dalla stessa villa Capo di Bove.

 

La proprietà della Villa Capo di Bove fu acquisita dalla Stato che, esercitando il diritto di prelazione, la tolse dalla mano di privati che volevano lucrare su una sua finta compra-vendita, altro abuso che sarebbe stato commesso su questa parte di territorio romano.

Della villa si hanno anche notizie precedenti rispetto all'acquisizione del 2002:

negli anni '60 del novecento la villa apparteneva a dei rivenditori ortofrutticoli, la famiglia dei Romagnoli; successivamente fu comprata da un cinematografaro romano, Streccioni, che finanziò un progetto di recupero “antiquario” della villa secondo la tecnina dello “spolia” per cui furono utilizzati dei reperti archeologici provenienti dagli scavi; ultimo proprietario fu un certo Mora.

 

Dopo l'acquisizione dell'area da parte della Soprintendenza si intervenì sulla proprietà con interventi che mirassero ad esaltare e valorizzare gli aspetti storici, mentre furono eliminati quelli appartenenti alle più povera fase residenziale. A questo proposito fu eliminata la piscina che si trovava nel giardino retrostante e fu creato un impianto di fitodepurazione. Negli interni si lasciarono tutti quegli elementi dati dalle stratificazioni dovute al tempo come la colonna in marmo antico sotto la scala, la scala stessa, le porte.

Nell'area esterna si portarono alla luce i resti archeologici di un piccolo complesso di terme romane private risalenti al II secolo d.C. Questo fu possibile con la rimozione del viale alberato che inquadrava la villa posta nella parte retrostante del lotto rettangolare. Le terme, poste nella parte del lotto più prossima alla via Appia, erano forse ad uso di una corporazione o di un collegio che frequentava l'area. Il complesso termale si pensa fosse rimasto in uso fino al IV sec. secondo le tipologie murarie e i bolli rinvenuti durante la fase di scavo.

Oggi, dopo la sistemazione dell'area in maniera didattica, è possibile comprendere chiaramente come erano organizzati e realizzati i complessi termali romani. Si può vedere come gli ospiti del complesso si trovavano all'interno di un cammino che prevedeva il passaggio da ambienti freddi, frigidarium, ad ambienti più caldi, tepidarium, sudatio, caldarium. Gli ambienti freddi erano ambienti molto ampi e caratterizzati dalla presenza di vasche di acqua fredda in cui gli ospiti si immergevano completamente; gli ambienti caldi erano invece di minori dimensioni perché più numerosi; erano delle vere e proprie saune caratterizzate dalla loro essenza architettonica: infatti questi ambienti erano dotati di un pavimento sostenuto da suspensure sotto alle quali passava costantemente l'aria calda proveniente dai forni; sulle pareti erano poi incastonati i tubuli, terracotte cave entro cui avveniva il passaggio di aria calda; queste tecnologie garantivano il calore costante all'interno di questi ambienti. Tutti gli ambienti interni erano arricchiti da pavimentazioni musive. In questo sito se ne conservano alcune con dei pregiati disegni geometrici; negli ambienti in cui non sono state ritrovate le pavimentazioni originali la loro presenza è stata suggerita dall'immissione di tessere bianche e nere nell'area di ingombro della pavimentazione interna. In una porzione dello scavo è possibile ammirare anche l'impianto idraulico di cui i romani si servivano composto da tubuli circolari di raccordo, utilizzati entro le murature, e cappuccine che costituivano il vero e proprio impianto fognario.

Azzurro-Boccanera_scelta del bene analogo

Continuando la ricerca del nostro bene analogo, abbiamo ora trovato un edificio che in tipologia e concezione degli spazi può essere abbinato al nostro edificio. Questo è un complesso residenziale progettato da Gabriel Verd Gallego in una zona periferica di Siviglia composto da 46 appartamenti. 

 

Data di concorso:                                                         2006

Data di affidamento dell'incarico:                                 2008

Data inaugurazione:                                                    2011

Costo di costruzione:                                         3'853'040 €

Superficie lorda:                                                      2246 mq

Costo di costruzione progetto:                        1715,5  €/mq

Arte e cultura come beni pubblici

 

I monumenti sono beni culturali, appartengono a ciascuno di noi e identificano un valore che con il passare del tempo rimane comunque inalterato. Il concetto di bene culturale si spinge però ben oltre a quello di monumento e comprende anche opere intellettuali e materiali archivistici. Quando poi l’oggetto architettonico e il suo contenuto coesistono e convivono, integrandosi, si creano dei luoghi unici come quello di <<Capo di Bove>>, la piccola tenuta sull'Appia Antica, a poche centinaia di metri da Cecilia Metella, che è stata acquistata definitivamente nel 2002 dallo Stato, dopo essere appartenuta alla famiglia Streccioni.

All’interno del suo alto recinto nascondeva fino a poco tempo fa un importante impianto termale e un sistema di cisterne per alimentarlo. Sono state elaborate una serie di ipotesi riguardanti la proprietà di tale impianto: da un lato potrebbe essere il bagno di un collegium o di una corporazione associativa con finalità cultuali o funerarie che aveva interessi nella zona, dall’altro, vista la tecnica costruttiva e alcuni materiali rinvenuti, potrebbe risultare una struttura di pertinenza dei vasti possedimenti che Erode Attico e Annia Regilla avevano nella zona durante II secolo d.C.Infatti, è stata riportata alla luce una lastra marmorea con un’iscrizione in greco che cita Annia Regilla ("to fòs tès oikìas" - la luce della casa).

Accanto al rinvenimento archeologico,è stato creato un nuovo parco fruibile ogni giorno, trasformando così uno spazio privato in un piccolo paradiso pubblico. Fulcro della tenuta èl'edificio principale che è stato restaurato nel 2006 e da allora ospita, in memoria dello studioso Antonio Cederna, il "Centro di Documentazione dell'Appia" e l'Archivio che porta il suo nome, che la famiglia ha di recente donato allo Stato. Tale archivio contiene un tesoro di carte, articoli e libri appartenuti al grande giornalista e strenuo difensore a tutela della "regina viarum", nome attribuito dai romani all’Appia Antica.La villa è distribuita su tre livelli e durante i lavori di restauro, è emerso che il fabbricato fu costruito sui resti di un'antica cisterna romana, utilizzata per alimentare l’elegante e lussuosa struttura termale che sorgeva all'esterno, proprio davanti all'ingresso situato su via Appia.

Le terme occupano una vasta area, parzialmente visibile, che comprende diversi ambienti, tra cui gli spogliatoi, il tepidarium, il frigidarium e il calidarium. Nelle terme sono stati ritrovati in ottimo stato di conservazione diversi stupendi reperti tra cui mosaici, monete, marmi policromi ed intonaci dipinti, attraverso i quali si è potuto stimare che l'impianto fosse rimasto in funzione fino al IV secolo.


A volte, quindi, un bene privato e ad uso esclusivo si può trasformare in un bene pubblico, fruibile da tutti. 

Però non sempre ci accorgiamo delle opere “pubbliche” e che fanno parte della nostra vita. Ad esempio molto spesso si arriva al Teatro Argentina appena in tempo per ritirare i biglietti nel foyer e non si ha modo di rendersi conto della neoclassica facciata di Pietro Holl, risistemata da Ersoch alla fine dell’ottocento.
 Ed è proprio questo “volto” che sta subendo un importante restauro, dopo altri due, eseguiti nel secolo scorso. Il primo di questi, eseguito nel 1970, ha previsto l’eliminazione delle capriate del tetto e l’inserimento del cordolo in cemento armato. Inoltre, l’uso del cemento per restaurare i gruppi scultorei, presenti in facciata, ha comportato l’annullamento del modellato, ottenuto con lo stucco, e la presenza di sali lungo la superficie, rilasciati dal cemento stesso.

Il secondo intervento è stato attuato nel 1993 e ha previsto l’uso di un intonaco a resina vinilica. Tale materiale, incongruente, è stato eliminato nell’attuale restauro, finanziato da una ditta di restauro, Mecenarte, che recupera i soldi grazie alla pubblicità. Infatti, la situazione economica è tale che non ci sono alternative al momento e, in questo caso, è stato impiegato il sistema di réclame sui ponteggi per trovare i finanziamenti.

Sicuramente il restauro è importante non solo per la tutela dell’edificio, ma per questo esperimento che potremmo ritenere “strategico”. Un’ulteriore dimostrazione di come arte e cultura non possano più essere considerati come un costo, ma una straordinaria opportunità di sviluppo e occupazione.

Argomenti Tesina Integrativa

 

Valutazione dei piani e dei progetti. Con esempi del ponte di Calatrava a Venezia e delle strutture non completate per i mondiali di Roma del 2009.
Pubblico questa bozza di argomentazione per chiedere se va bene affrontare la tesina integrativa in questo modo oltre a preparare in modo preventivo le prossime revisioni.
 
Calatrava-La maledizione del quarto ponte di Venezia
 
 
Promosso dai 22 mila pedoni che ogni giorno lo attraversano, bocciato dagli esperti. A 15 anni dal primo via libera e a tre anni dall’inaugurazione, alla querelle sul ponte sul Canal Grande di Calatrava si aggiunge un altro capitolo polemico. «Un ponte in prognosi riservata» lo definisce l’ultimo esperto a cui si è affidato il Comune di Venezia. I suoi mali? Un’arcata troppo bassa, fondazioni troppo sollecitate, un numero così elevato di tentativi, non risolutivi, di risolvere il problema dell’eccessiva spinta sulle rive che si allontanano (si parla di millimetri) da far usare l’espressione «accanimento terapeutico». La prognosi — con la necessità di continui controlli e manutenzioni — messa nero su bianco nel collaudo che ne ha permesso l’apertura nel 2008, rimane riservata. Le conseguenze? «Un’onerosa eredità manutentiva per la pubblica amministrazione che non trova riscontro in alcun ponte di Venezia».
E’ questa la conclusione a cui si arriva, al Comune rimane una patata a dir poco bollente: il ponte continua a spostarsi quale «logica e diretta conseguenza di un errore concettuale nella progettazione preliminare, esecutiva e nella costruzione dell’opera ».
L’archistar Santiago Calatrava e la sua équipe di ingegneri sono alla base di uno dei tanti sprechi che si verifica in Italia, questo, anche se di natura diversa rispetto ai soliti episodi di pessima amministrazione pubblica, si porta dietro un'infinità di problemi prima economici poi strutturali che fanno di quest'opera una pura controversia per quanto riguarda le tipologie di valutazione che hanno portato ad un aumento della richiesta economica durante la costruzione. 
Le aziende che hanno realizzato il quarto ponte sul Canal Grande, quello di Calatrava, stanno infatti sprofondando al punto di dover chiudere. È quasi una maledizione quella del Quarto ponte, dapprima occasione di investimento e di entusiasmo per la partecipazione di Santiago Calatrava, poi oggetto di contestazione sia dei privati che dell'amministrazione pubblica per i costi sempre più esorbitanti che giorno dopo giorno si trascinava. 
Il Quarto ponte è stato da subito al centro di controversie. Dopo aver speso molti anni a discutere se a Venezia si potesse costruire o meno una nuova architettura (cosa giusta e ovvia), si è usato meno tempo nella valutazione dell'adeguatezza del progetto dell'archistar spagnola. Durante la realizzazione sono emerse innumerevoli difficoltà costruttive e il ponte è stato inaugurato in ritardo, e in gran sordina (cosa mai successa per i ponti veneziani), la notte dell'11 settembre 2008.
Il mattino dopo agli occhi dei veneziani e dei turisti è apparso un ponte dalla bella forma arcuata, con una campata di 81 metri, struttura in acciaio e pavimenti in vetro. Un ponte salutato dalla critica architettonica come «progetto squisitamente moderno, ma che stilisticamente non fa a pugni con lo scenario».
Lieto fine? No, le polemiche sono continuate. Si è scoperto che il costo era passato da 6,7 milioni a 11,3; inoltre, il ponte risultava una barriera architettonica insuperabile per i diversamente abili e i gradini diventavano scivolosi con la pioggia. Il transito dei passanti, nel corso del tempo, è risultato al di sotto delle aspettative. Così la politica si è progressivamente sfilata, tanto che pochi sanno che si chiama Ponte della Costituzione , e la maledizione ha colpito chi l'ha realizzato. 
Le valutazioni personali di questo episodio di trasformazione urbana che sembra essere tipicamente italiano nonostante la presenza spagnola di Calatrava lasciano molto spazio al tema della valutazione progettuale traducibile nella programmazione dell'utilizzo delle risorse.
La valutazione decisionale dovrebbe passare attraverso dei processi secondo i quali si può giungere a determinate scelte, in sostanza secondo la propria disponibilità economica ci chiediamo se sia conveniente o meno effettuare un'operazione di mercato, vogliamo sapere in anticipo e quindi essere assicurati su quanto il progetto sarà compatibile con il capitale stanziato.
E' proprio questo il problema alla base del progetto di Calatrava? Parlando a posteriori nonostante le decine di perizie ci si chiede come sia stato possibile un aumento del costo del progetto rispetto al preventivo di quasi il doppio, l'esigenza di una valutazione preventiva è proprio quella di conseguire gli obiettivi prefissati.
Precedentemente abbiamo parlato delle tipologie di sostenibilità progettuali che vengono richieste per poter trovare una fonte di finanziamento:
-sostenibilità tecnica-economica: questi due punti soprattutto in quest'episodio sembrano abbastanza correlati, il bisogno di una continua manutenzione strutturale corre in modo parallelo all'aumento dei costi, questo è un fatto determinante perchè oltre l' aumento di quel preventivo e quindi dei costi dell'operazione durante il periodo di costruzione, i problemi strutturali che il ponte si porta dietro gravano sulle spese dell'amministrazione pubblica per la manutenzione dell'opera. Questo ci fa capire come oltre ad un errata valutazione estimativa sia stato fatto un grande errore di fattibilità di progetto.
-sostenibilità ambientale: le interpretazioni possono essere molteplici, si può assegnare un valore notevole all'opera nel suo insieme dato che secondo la critica il ponte porta un'aria di freschezza e modernità senza sembrare fuori il contesto di una venezia storica e "rurale". Se come sostenibilità ambientale pensiamo anche all'uso che la gente fa di questo elemento apparentemente di "unione" fra le due sponde del Canal grande di Venezia riscontriamo la mancanza di esigenze come una rampa per disabili e una superficie di vetro dei gradini troppo scivolosa e quindi rischiosa, possiamo quindi dire che è mancato soprattutto l'obiettivo sociale nel contesto urbano di Venezia.

Considerazioni sulla visita alla Villa Capo di Bove ed al cantiere del Teatro Argentina

 

La proprietà di “Capo di Bove” si trova all'interno del Parco Archeologico dell'Appia Antica; si tratta di un'area strategica, situata appunto sull'asse storico dell'Appia Antica, importante via di collegamento durante l'impero romano. Questa subì diversi cambiamenti nel dopoguerra: vi fu un primo periodo, durante gli anni '50, nel quale diviene lo scenario ideale di grandi imprenditori e personalità illustri, soprattutto produttori cinematografici, che si costruiscono la propria villa; lo stile è piuttosto sfarzoso e lussuoso, tipico di quegli anni. Nella seconda fase degli anni '70-'80 vengono acquistate, da parte di commercianti, tutte le parti edilizie, dai fienili alle case dismesse, e trasformate in proprie abitazioni. La terza fase, degli anni '90, è la fase dei grandi interventi massivi e speculativi con aumento di cubatura che avvengono ai margini del parco archeologico.

L'idea iniziale del Parco dell'Appia Antica nasce dal prefetto napoleonico, e inizialmente venne denominato “Grande Cesare”; si tratta infatti del sito archeologico più importante e più grande del mondo, soggetto a vincolo archeologico e oggetto di tutela da parte dell'Ente Parco dell'Appia Antica e della Sopraintendenza per i Beni Archeologici.

La proprietà attualmente comprende i ritrovamenti di un impianto termale risalente al II secolo d.C. e l'edificio principale, che dal 2008 ospita l'Archivio Antonio Cederna, giornalista, ambientalista, politico e intellettuale italiano difensore del patrimonio culturale e paesaggistico italiano.

L'area di questa villa nel II secolo d.C. era all'interno della vasta tenuta agricola di Erode Attico, durante il medioevo venne trasformata in fortilizio, pur mantenendo le caratteristiche agricole, e divenne in seguito un Bene dello Stato Pontificio, che finanziò infatti gli scavi archeologici.

L'area rimase in proprietà privata fino al 1870 e mantenne l'uso agricolo sino al 1945, anno in cui avvenne la trasformazione per uso residenziale. A partire dagli anni '50 la tenuta fu infatti acquistata da una famiglia di mercanti ortofrutticoli, i Romagnoli, che trasformarono la proprietà ad uso residenziale. Negli anni '60 fu comprata da Streccioni, un produttore cinematografico, il quale commissionò il progetto di recupero della villa secondo uno stile antiquario che era in voga in quegli anni.

Nel 2002 la proprietà fu acquistata dal Ministero per i Beni e le Attività culturali su proposta della Sopraintendenza speciale per i Beni Archeologici di Roma, esercitando il diritto di prelazione sul bene vincolato. Secondo delle recenti valutazioni, la villa era stata stimata 1.300.000 euro. Si è trattata di un'importante operazione di riscatto volta al recupero di un Bene da privato a pubblico, in cui si è andata consolidando l'acquisizione del patrimonio storico e l'equilibrio tra la parte naturalistica, archeologica e la parte del recupero.

Gli scavi archeologici del 2002 hanno portato alla scoperta di un impianto termale risalente al II secolo d.C., ad uso privato, una struttura sofisticata ed aristocratica probabilmente ad uso sacerdotale o di culto. I lavori dell'area, iniziati nel 2002, sono stati eseguiti dagli architetti Celia e Cacciapaglia per quanto ha riguardato la ristrutturazione degli edifici e gli spazi interni espositivi, e dal paesaggista De Vico per la sistemazione dei giardini.

Circa la sistemazione degli spazi esterni, ai fini della leggibilità dei resti archeologici dell'impianto termale, è stata utilizzata una ghiaia bicroma bianca e nera come riproposizione della pavimentazione in mosaico bicromo bianco e nero, e una ghiaia color cotto a riproporre la pavimentazione in laterizio. Trovo che sia una buona riuscita, in quanto rende più facilmente leggibile i resti al visitatore. Inoltre, per ciò che riguarda i giardini, sono stati abbattuti molti alberi piantati in precedenza senza alcun criterio perchè oscuravano gli spazi interni senza quindi permettere l'ingresso della luce e piantati quindi dei nuovi con maggior rigore. Inoltre, ai fini di non dare la sensazione di uno spazio rettangolare stretto e angusto, sono stati modificati i viali realizzando un tracciato ad andamento serpentino, così da dare l'impressione di uno spazio più vasto ed aperto.

La villa viene edificata sulla muratura di una cisterna romana a due vani, i cui resti del vano inferiore sono ben conservati e presentano parti dell'intonaco di cocciopesto, mentre di quelli del vano superiore rimangono poche tracce, visibili solo dai resti di opera cementizia in scaglie di selce. La muratura dell'edificio era stata realizzata adottando una tecnica moderna che deriva dallo “spolia” medievale, ossia attraverso lo spoglio di materiali antichi recuperati dalla distruzione di vari monumenti.

Per quanto ha riguardato gli spazi interni sono state effettuate alcune modifiche per rendere l'edificio a norma, in quanto essendo in precedenza ad uso residenziale non erano necessarie tutte le misure di sicurezza. A riguardo è stato realizzato un elevatore per permettere ai portatori di handicap di accedere al piano superiore; la ringhiera della scala è stata cambiata in quanto la precedente non risultava essere a norma.

Il risultato a mio avviso meno riuscito riguarda gli infissi, che precedentemente in legno, vennero sostituiti con dei nuovi in ferro. Per quanto riguarda i serramenti sono stati sostituiti i preesistenti in ferro battuto con altri più economici in lega. Inoltre la mal riuscita è dovuta anche al fatto che il fabbro ha realizzato gli infissi secondo una misura standard, senza prendere le misure su ogni singola finestra.

Inoltre ho notato la mancanza di pannelli esplicativi che documentino la presenza della cisterna romana su cui si imposta la villa, che , seppur all'esterno è visibile, nella parte interna non è stata lasciata a vista. Condivido l'idea messa in opera dagli architetti, in quanto ritengo che sia più corretto lasciare la testimonianza della sovrapposizione storica, di come l'edificio si sia evoluto.

In conclusione posso affermare che gli interventi realizzati sono congrui e corretti, è stata rispettata la struttura della cisterna, alta testimonianza storica, e si è agito nel rispetto della tutela e della salvaguardia. Si è quindi reso un bene pubblico fruibile dal quale si sono ottenuti benefici concreti.

 

 

 

Il Teatro Argentina, uno dei più antichi teatri di Roma, venne costruito nel 1732 su progetto di Girolamo Theodoli. La facciata, in stile neoclassico, venne realizzata un secolo dopo, nel 1836 da Pietro Holl. Divenuto proprietà comunale nel 1869, il teatro deve l'aspetto attuale al rifacimento operato da Gioacchino Ersoch nel 1887-1888, che inserì i palchi nella struttura in muratura, aprì il palco reale e ampliò l'atrio.

 

Nel corso della storia il teatro subì due interventi di restauro, uno nel 1970 e l'altro risalente al 1993.

Nel primo restauro fu eliminata la pensilina di quattro metri in quanto creava problemi alla linea del tram. Furono inoltre apportate modifiche alla copertura con eliminazione delle capriate lignee e aggiunto in sostituzione un cordolo in cemento armato lungo il perimetro dell'edificio, perchè ritenuto più idoneo per la staticità della struttura e per una maggiore resistenza sismica.

Per quanto riguarda il gruppo statuario collocato a coronamento della facciata, era stata applicata una colletta cementizia di 4/5 centimetri di spessore che aveva completamente annullato l'effetto dello stucco originale e di profondità, propria delle sculture. Inoltre questo strato cementizio, provocando la fuoriuscita dei sali, aveva gravemente danneggiato la superficie scultorea. Anche i ferri di armatura delle statue si erano interamente arrugginiti con il tempo.

Nei restauri del '93 si è intervenuti principalmente sulla facciata utilizzando una scialbatura a base di resina vinilica, che, non lasciando traspirare la muratura, aveva provocato delle lesioni e delle micro fessurazioni.

Il restauro in corso d'opera, curato dall'Architetto Celia, si prefigge come obiettivo principale quello di utilizzare materiali compatibili, come la tinta a calce, in sostituzione dei precedenti vinilici. Perciò in primo luogo è stato effettuato il descialbo degli strati precedenti in modo da poter così procedere ad un restauro di tipo filologico. Come sostiene l'Architetto, i descialbi delle coloriture non sono da considerarsi del tutto operazioni corrette perchè cancellano i segni della storia, eliminando le stratificazioni che si succedono nel corso del tempo, senza lasciare quindi una testimonianza storica. Ma in questo caso è stato necessario effettuare il descialbo per poter proseguire con un restauro di tipo corretto e compatibile dal punto di vista materico.

Sull'intonaco di tamponamento della facciata era stata applicata una tinta color ocra; attualmente sono in corso le prove di colore per restituire il colore originale, sui fondi un color cortina e sulle parti in finto bugnato un color travertino.

Per quanto riguarda il gruppo scultoreo, si è provveduto a sostituire gli elementi più pesanti, con dei nuovi più congrui e leggeri, anche ai fini della stabilità, e a rimuovere i ferri di supporto delle statue, ormai arrugginiti, e a sostituirli con dei nuovi. Inoltre sono state eliminate le aggiunte in cemento e la scialbatura precedente, al fine di ripristinare lo stucco originale e conferire al gruppo i giusti effetti di profondità.

Sono stati ripristinati anche gli infissi in legno del primo piano, sui quali è stato rimosso lo smalto color grigio precedentemente applicato e restituitogli quindi la colorazione originale.

Nel bassorilievo si sta cercando di ottenere una differenziazione cromatica del piano di fondo rispetto alle parti in rilievo, al fine di conferire maggior leggibilità.

Particolare importanza ha rivestito il contesto storico nell'organizzazione dei ponteggi. Infatti il montaggio di quest'ultimi è stato piuttosto complicato, perchè trovandosi a meno di 50 metri da un'area archeologica, ha richiesto il rispetto di vari tipi di vincoli e norme per la tutela e la salvaguardia dei beni storici. Inoltre si è sottolineata l'importanza che ricopre il ruolo di coordinatore della sicurezza e quanto sia delicato e fondamentale questo tema nell'organizzazione di un cantiere. Era infatti necessario lasciare un'uscita di sicurezza dal basso, perciò l'ingresso al cantiere si può effettuare esclusivamente dalla terrazza. Inoltre è sorta la problematica di come portare i materiali e inserire una piccola betoniera nella quale realizzare l'intonaco con tinta di calce; questo avrebbe comportato un sovraccarico del solaio, e a questo proposito è stata realizzata una terrazza al primo piano per deporre la betoniera con un tunnel verticale di carico dal quale sarebbero stati portati ai piani superiori i materiali.

Trattandosi di un teatro comunale, i lavori sono stati supervisionati dalla Sopraintendenza comunale e statale; il committente è un privato, Mecenarte, e le spese vengono sovvenzionate dalla pubblicità. I ponteggi risultano infatti attualmente coperti da un telo pubblicitario.

Riguardo l'utilizzo della pubblicità come strumento per finanziare un'opera, se usata come mezzo idoneo, senza che sia permanente ed evitando qualsiasi deturpazione del paesaggio, ritengo possa essere un mezzo utile ed efficace, che permette la manutenzione e la conservazione degli edifici storici, come in questo caso del Teatro Argentina.

 

 

 

PER TUTTI GLI STUDENTI (laurea Magistrale, Terzo Anno, per coloro che debbono fare la tesina,etc)

Comunico che, dopo l'interruzione del mio Sito, e' possibile di nuovo dialogare via internet. Mi scuso se alcune comunicazioni per e mail non sono arrivate (quelle, per esempio per gli studenti del Laboratorio di Restauro).
Riepilogo e correggo alcune precedenti avvisi. Saro' a disposizione di tutti coloro che vorranno fare revisioni, oppure che vogliono consegnare la tesina per gli imminenti esami nei seguenti giorni:
- oggi pomeriggio 18 all'ex mattatoio dalle 15,30 alle 17,30;
- domani 19 giugno, dalle 9,30 alle 12,30 e dalle 15,30 (anziche' dalle 13,30 come precedentemente annunciato) fino alle 18,00.
Venerdi, solo per gli studenti del Laboratorio di Restauro, e' forse prevista la visita alla Villa dei Quintili (ma per tale visita, darò tempestiva conferma al piu' presto).
Prof. Alfredo Passeri

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