Visita alla Villa di Capo di Bove

 

La villa si trova lungo il percorso dell’appia Antica, poco lontano dal Mausoleo di Cecilia Metella ed occupa, compreso il giardino, una superficie di circa 8.500 mq. Dal catasto pio-gregoriano (1812-1835) l’area risultava proprietà del Monastero di San Paolo Fuori le Mura e l’edificio era la  “casa ad uso della vigna”. L’area divenne proprietà privata nel 1870, ma solo nel 1945 iniziò la sua trasformazione per uso residenziale ad opera di una famiglia di commercianti ortofrutticoli: i Romagnoli.

Tuttavia, a partire dagli anni ’60 l’area dell’Appia Antica divenne la residenza favorita da una committenza con elevata disponibilità economica che considerava la proprietà come un vero e proprio status symbol. In quest’ottica la villa venne acquistata nel ’62 dal produttore cinematografico Sauro Streccioni che affidò l’intervento sull’edificio principale a un architetto, probabilmente della scuola di Busiri Vici, che volle ricreare un casale all’antica utilizzando materiale di spoglio, ritrovato probabilmente lungo l’Appia Antica, sul paramento murario dell’edificio principale. Inoltre  si costruirono la dependance la piscina e si risistemò il giardino.

Nel gennaio del 2002 il Ministero dei Beni Culturali, su proposta della Soprintendenza Archeologica di Roma, ha acquistato la villa per 1.549.370,70 €,  esercitando il diritto di prelazione sul bene vincolato con lo scopo di “programmare un sistematica ricerca archeologica, nonché al fine di assicurare alla pubblica fruizione il complesso”. La Villa doveva infatti essere venduta da Sauro Streccioni a Valerio Morabito il quale, nota la volontà dello Stato di acquisire la proprietà, manifestò la sua disponibilità a cedere gratuitamente al Ministero per i beni e le attività culturali l’intera area su cui insistevano i resti antichi in considerazione del fatto che la stessa è strutturalmente scorporata dal resto della villa e munita di un secondo ingresso carrabile.  Tuttavia il Ministero non accettò la proposta e procedette all’acquisto della villa.

Il recupero, iniziato nel 2002, avvenne in due fasi: una volta alla riqualificazione del fabbricato principale e della dependance per i quali si stimò la spesa di 516.000 €, e una invece al recupero dello scavo archeologico che avvenne invece in un secondo momento. Il risultato è stato un grande equilibrio fra le parti naturalistica, archeologica e architettonica.

Per quanto riguarda l’edificio l’intervento è stato curaro dagli architetti Carlo Celia e Stefano Cacciapaglia. Essi hanno scelto di mantenere molti elementi che caratterizzavano l’intervento degli anni ’60: alcune porte interne, il paramento esterno, la scala principale; mentre sono stati eliminati quegli elementi che non si prestavano alla pubblica fruizione come ad esempio la piscina. Si è dunque provveduto alla messa a norma di tutto l’edificio, all’installazione di un ascensore, e alla sostituzione degli infissi (operazione mal riuscita forse a causa di maestranze abituate a produrre elementi in serie, o forse anche a causa di un supervisione poco attenta?).

Lo scavo archeologico a rilevato l’esistenza di un complesso termale le cui strutture più antiche risalgono al II sec. d.C. facente capo probabilmente a un collegio sacerdotale o a un culto. L’approvvigionamento idrico di tale impianto avveniva probabilmente dalla cisterna che si trova al di sotto dell’edificio principale. A proposito di tale cisterna: mentre all’esterno è possibile distinguere la muratura antica, all’interno questa è stata intonacata per mantenere l’uniformità dell’ambiente. Il pannello che spiega la presenza del muro della cisterna si trova in realtà nella dependance, ma forse, per maggior chiarezza, sarebbe meglio collocarlo nell’ambiente in cui si trova la cisterna.

Il progetto degli spazio esterni è stato curato dall’architetto De Vico  tenendo conto delle emergenze archeologiche. Egli ha infatti sostituito il precedente percorso rettilineo che attraversava i resti archeologici, con un percorso curvilineo più adatto al contesto. Si è inoltre intervenuto secondo tre linee guida: il rispetto delle alberature esistenti, l’eliminazione della vegetazione infestante e l’arricchimento cromatico attraverso la piantumazione di cespugli fioriferi.

Dal 2008 la villa ospita oltre alla sala conferenze, lo spazio espositivo e gli uffici della Soprintendenza, anche l’archivio Cederna che ospita foto, appunti manoscritti e documenti inediti. E’ curioso come proprio l’archivio di Antonio Cederna, che si batteva tanto contro la speculazione lungo l’Appia Antica sia finito proprio lì, tuttavia la lettura che si può dare è questa: l’acquisizione da parte dello Stato della villa e l’operazione di riscatto totale che l’ha resa fruibile al pubblico 7 giorni su 7 gratuitamente è da considerarsi una piccola vittoria contro la speculazione e l’abusivismo e va considerata un esempio per noi architetti del futuro. Non perdiamo la speranza.  

PER TUTTI GLI STUDENTI DEL TERZO ANNO

Vorrei cercare di illustrare, nel modo quanto più semplice possibile, cosa mi aspetto per le vostre conclusioni valutative.

Confermo che la tesina dovrà essere completa:

-         dei temi generali dell’Estimo trattati nelle lezioni (basteranno poche righe esplicative);

-         della relazione illustrativa (il “perché” delle scelte architettoniche operate) e di quella tecnica (comprendete dati generali metrici, quali cubatura superfici totali, etc.);

-         della scelta del bene analogo;

-         dei calcoli metrici di dettaglio del progetto (per esempio, analisi dettagliata dei singoli ambienti della residenza, e coefficienti di ragguaglio);

-         di ogni altro argomento a carattere valutativo;

-         della stima del progetto.

In merito a quest’ultima, voglio precisare che mi interessano due dati fondamentali.

1)      Il “costo di costruzione”, ricavabile per tramite del valore investigato per il bene analogo; detto valore (per esempio 1.100 €/mq) dovrà moltiplicarsi per la superficie ragguagliata di ogni vostro singolo progetto.

2)      Il “valore di mercato” sempre di ogni singolo vostro progetto; esso si riferirà all’indagine di mercato compiuta nella zona a cui appartiene la proposta progettuale, ma necessariamente “epurato” del surplus che comunemente un “venditore” aumenta per lucrare. Voglio dire, in via del tutto esemplificativa che, qualora l’Agenzia del Territorio (o altra fonte) considerino che per un’edilizia similare alla vostra, si vende ad un minimo di 2.800 €/mq e ad un massimo di 3.500 €/mq è impensabile che i vostri progetti possano attestarsi su tali cifre!

La sfida è nel contenere ragionevolmente i valori (non superare e andare oltre i 1.800-2.000 €/mq per l’esempio che precede; ma si tratta solo di un esempio!).

Ragionare sull’incremento percentuale attribuibile al “costo di costruzione” che la legge imporrebbe di non più del 18-20% e che comunemente (come è facile riscontrare anche nell’esempio che precede) sale a causa di un “mercato alterato” da imprenditori o pseudo costruttori o speculatori senza scrupoli e di non meno del 30 o, a volte, anche del 40-50%!

In conclusione, i vostri progetti dovranno costare poco (il giusto) e valere molto.

E’ scontato che, con ogni singolo gruppo, si discuterà nel merito e più dettagliatamente.

Spero di essere stato chiaro.

Concludo ribadendo che oggi pomeriggio 19 giugno, per chi volesse, sarò all’ex mattatoio dalle 15,30 alle 18,00; ma è bene prenotarsi presto, altrimenti – se non ci saranno studenti – non mi fermo più di tanto.

La prossima revisione è fissata per lunedì 25 pomeriggio dalle 14,00 in poi. Successivamente martedì 26, vi saranno altre revisioni.

Prof. Alfredo Passeri

PER GLI STUDENTI DEL LABORATORIO DI RESTAURO

Comunico che venerdì 22 giugno prossimo NON SARA' POSSIBILE LA VISITA alla
Villa dei Quintili, causa lo sciopero dei mezzi.
Mi dispiace davvero molto, e spero si possa ri-programmare prima della
fine del semestre.
Pertanto, per quel giorno (venerdì 22, appunto) ci dedicheremo alle
revisioni delle vostre valutazioni economiche legate al progetto di
restauro. Sarà l'occasione per riassumere i temi trattati, fare il punto
della situazione e tratteggiare le conclusioni.
Siete pregati di portare i vostri scritti (soprattuto quelli postati sul
Sito ed anche gli appunti) onde poter riflettere, tra l'altro, delle
esperienze sul campo.
Vi aspetto tutti, saluti
Prof. Alfredo Passeri
 

 

visita a villa capo di bove

Villa Capo di Bove è una villa situata lungo la via Appia antica divenuta proprietà del Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel 2002, su proposta della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma.

All'interno dello spazio espositivo abbiamo potuto vedere, dati alla mano, le grandi trasformazioni, urbane e paesistiche, che si sono susseguite negli anni sul territorio limitrofo alla via Appia; questo infatti pur essendo un parco controllato da un ente apposito, data la sua grande estensione rimane molto spesso vittima di abusi. In assenza di un costante controllo infatti si sono susseguite sempre più edificazione abusive anche al bordo del grande parco dell'Appia Antica deturpando per sempre il paesaggio godibile, ad esempio, dalla stessa villa Capo di Bove.

 

La proprietà della Villa Capo di Bove fu acquisita dalla Stato che, esercitando il diritto di prelazione, la tolse dalla mano di privati che volevano lucrare su una sua finta compra-vendita, altro abuso che sarebbe stato commesso su questa parte di territorio romano.

Della villa si hanno anche notizie precedenti rispetto all'acquisizione del 2002:

negli anni '60 del novecento la villa apparteneva a dei rivenditori ortofrutticoli, la famiglia dei Romagnoli; successivamente fu comprata da un cinematografaro romano, Streccioni, che finanziò un progetto di recupero “antiquario” della villa secondo la tecnina dello “spolia” per cui furono utilizzati dei reperti archeologici provenienti dagli scavi; ultimo proprietario fu un certo Mora.

 

Dopo l'acquisizione dell'area da parte della Soprintendenza si intervenì sulla proprietà con interventi che mirassero ad esaltare e valorizzare gli aspetti storici, mentre furono eliminati quelli appartenenti alle più povera fase residenziale. A questo proposito fu eliminata la piscina che si trovava nel giardino retrostante e fu creato un impianto di fitodepurazione. Negli interni si lasciarono tutti quegli elementi dati dalle stratificazioni dovute al tempo come la colonna in marmo antico sotto la scala, la scala stessa, le porte.

Nell'area esterna si portarono alla luce i resti archeologici di un piccolo complesso di terme romane private risalenti al II secolo d.C. Questo fu possibile con la rimozione del viale alberato che inquadrava la villa posta nella parte retrostante del lotto rettangolare. Le terme, poste nella parte del lotto più prossima alla via Appia, erano forse ad uso di una corporazione o di un collegio che frequentava l'area. Il complesso termale si pensa fosse rimasto in uso fino al IV sec. secondo le tipologie murarie e i bolli rinvenuti durante la fase di scavo.

Oggi, dopo la sistemazione dell'area in maniera didattica, è possibile comprendere chiaramente come erano organizzati e realizzati i complessi termali romani. Si può vedere come gli ospiti del complesso si trovavano all'interno di un cammino che prevedeva il passaggio da ambienti freddi, frigidarium, ad ambienti più caldi, tepidarium, sudatio, caldarium. Gli ambienti freddi erano ambienti molto ampi e caratterizzati dalla presenza di vasche di acqua fredda in cui gli ospiti si immergevano completamente; gli ambienti caldi erano invece di minori dimensioni perché più numerosi; erano delle vere e proprie saune caratterizzate dalla loro essenza architettonica: infatti questi ambienti erano dotati di un pavimento sostenuto da suspensure sotto alle quali passava costantemente l'aria calda proveniente dai forni; sulle pareti erano poi incastonati i tubuli, terracotte cave entro cui avveniva il passaggio di aria calda; queste tecnologie garantivano il calore costante all'interno di questi ambienti. Tutti gli ambienti interni erano arricchiti da pavimentazioni musive. In questo sito se ne conservano alcune con dei pregiati disegni geometrici; negli ambienti in cui non sono state ritrovate le pavimentazioni originali la loro presenza è stata suggerita dall'immissione di tessere bianche e nere nell'area di ingombro della pavimentazione interna. In una porzione dello scavo è possibile ammirare anche l'impianto idraulico di cui i romani si servivano composto da tubuli circolari di raccordo, utilizzati entro le murature, e cappuccine che costituivano il vero e proprio impianto fognario.

Azzurro-Boccanera_scelta del bene analogo

Continuando la ricerca del nostro bene analogo, abbiamo ora trovato un edificio che in tipologia e concezione degli spazi può essere abbinato al nostro edificio. Questo è un complesso residenziale progettato da Gabriel Verd Gallego in una zona periferica di Siviglia composto da 46 appartamenti. 

 

Data di concorso:                                                         2006

Data di affidamento dell'incarico:                                 2008

Data inaugurazione:                                                    2011

Costo di costruzione:                                         3'853'040 €

Superficie lorda:                                                      2246 mq

Costo di costruzione progetto:                        1715,5  €/mq

Arte e cultura come beni pubblici

 

I monumenti sono beni culturali, appartengono a ciascuno di noi e identificano un valore che con il passare del tempo rimane comunque inalterato. Il concetto di bene culturale si spinge però ben oltre a quello di monumento e comprende anche opere intellettuali e materiali archivistici. Quando poi l’oggetto architettonico e il suo contenuto coesistono e convivono, integrandosi, si creano dei luoghi unici come quello di <<Capo di Bove>>, la piccola tenuta sull'Appia Antica, a poche centinaia di metri da Cecilia Metella, che è stata acquistata definitivamente nel 2002 dallo Stato, dopo essere appartenuta alla famiglia Streccioni.

All’interno del suo alto recinto nascondeva fino a poco tempo fa un importante impianto termale e un sistema di cisterne per alimentarlo. Sono state elaborate una serie di ipotesi riguardanti la proprietà di tale impianto: da un lato potrebbe essere il bagno di un collegium o di una corporazione associativa con finalità cultuali o funerarie che aveva interessi nella zona, dall’altro, vista la tecnica costruttiva e alcuni materiali rinvenuti, potrebbe risultare una struttura di pertinenza dei vasti possedimenti che Erode Attico e Annia Regilla avevano nella zona durante II secolo d.C.Infatti, è stata riportata alla luce una lastra marmorea con un’iscrizione in greco che cita Annia Regilla ("to fòs tès oikìas" - la luce della casa).

Accanto al rinvenimento archeologico,è stato creato un nuovo parco fruibile ogni giorno, trasformando così uno spazio privato in un piccolo paradiso pubblico. Fulcro della tenuta èl'edificio principale che è stato restaurato nel 2006 e da allora ospita, in memoria dello studioso Antonio Cederna, il "Centro di Documentazione dell'Appia" e l'Archivio che porta il suo nome, che la famiglia ha di recente donato allo Stato. Tale archivio contiene un tesoro di carte, articoli e libri appartenuti al grande giornalista e strenuo difensore a tutela della "regina viarum", nome attribuito dai romani all’Appia Antica.La villa è distribuita su tre livelli e durante i lavori di restauro, è emerso che il fabbricato fu costruito sui resti di un'antica cisterna romana, utilizzata per alimentare l’elegante e lussuosa struttura termale che sorgeva all'esterno, proprio davanti all'ingresso situato su via Appia.

Le terme occupano una vasta area, parzialmente visibile, che comprende diversi ambienti, tra cui gli spogliatoi, il tepidarium, il frigidarium e il calidarium. Nelle terme sono stati ritrovati in ottimo stato di conservazione diversi stupendi reperti tra cui mosaici, monete, marmi policromi ed intonaci dipinti, attraverso i quali si è potuto stimare che l'impianto fosse rimasto in funzione fino al IV secolo.


A volte, quindi, un bene privato e ad uso esclusivo si può trasformare in un bene pubblico, fruibile da tutti. 

Però non sempre ci accorgiamo delle opere “pubbliche” e che fanno parte della nostra vita. Ad esempio molto spesso si arriva al Teatro Argentina appena in tempo per ritirare i biglietti nel foyer e non si ha modo di rendersi conto della neoclassica facciata di Pietro Holl, risistemata da Ersoch alla fine dell’ottocento.
 Ed è proprio questo “volto” che sta subendo un importante restauro, dopo altri due, eseguiti nel secolo scorso. Il primo di questi, eseguito nel 1970, ha previsto l’eliminazione delle capriate del tetto e l’inserimento del cordolo in cemento armato. Inoltre, l’uso del cemento per restaurare i gruppi scultorei, presenti in facciata, ha comportato l’annullamento del modellato, ottenuto con lo stucco, e la presenza di sali lungo la superficie, rilasciati dal cemento stesso.

Il secondo intervento è stato attuato nel 1993 e ha previsto l’uso di un intonaco a resina vinilica. Tale materiale, incongruente, è stato eliminato nell’attuale restauro, finanziato da una ditta di restauro, Mecenarte, che recupera i soldi grazie alla pubblicità. Infatti, la situazione economica è tale che non ci sono alternative al momento e, in questo caso, è stato impiegato il sistema di réclame sui ponteggi per trovare i finanziamenti.

Sicuramente il restauro è importante non solo per la tutela dell’edificio, ma per questo esperimento che potremmo ritenere “strategico”. Un’ulteriore dimostrazione di come arte e cultura non possano più essere considerati come un costo, ma una straordinaria opportunità di sviluppo e occupazione.

Argomenti Tesina Integrativa

 

Valutazione dei piani e dei progetti. Con esempi del ponte di Calatrava a Venezia e delle strutture non completate per i mondiali di Roma del 2009.
Pubblico questa bozza di argomentazione per chiedere se va bene affrontare la tesina integrativa in questo modo oltre a preparare in modo preventivo le prossime revisioni.
 
Calatrava-La maledizione del quarto ponte di Venezia
 
 
Promosso dai 22 mila pedoni che ogni giorno lo attraversano, bocciato dagli esperti. A 15 anni dal primo via libera e a tre anni dall’inaugurazione, alla querelle sul ponte sul Canal Grande di Calatrava si aggiunge un altro capitolo polemico. «Un ponte in prognosi riservata» lo definisce l’ultimo esperto a cui si è affidato il Comune di Venezia. I suoi mali? Un’arcata troppo bassa, fondazioni troppo sollecitate, un numero così elevato di tentativi, non risolutivi, di risolvere il problema dell’eccessiva spinta sulle rive che si allontanano (si parla di millimetri) da far usare l’espressione «accanimento terapeutico». La prognosi — con la necessità di continui controlli e manutenzioni — messa nero su bianco nel collaudo che ne ha permesso l’apertura nel 2008, rimane riservata. Le conseguenze? «Un’onerosa eredità manutentiva per la pubblica amministrazione che non trova riscontro in alcun ponte di Venezia».
E’ questa la conclusione a cui si arriva, al Comune rimane una patata a dir poco bollente: il ponte continua a spostarsi quale «logica e diretta conseguenza di un errore concettuale nella progettazione preliminare, esecutiva e nella costruzione dell’opera ».
L’archistar Santiago Calatrava e la sua équipe di ingegneri sono alla base di uno dei tanti sprechi che si verifica in Italia, questo, anche se di natura diversa rispetto ai soliti episodi di pessima amministrazione pubblica, si porta dietro un'infinità di problemi prima economici poi strutturali che fanno di quest'opera una pura controversia per quanto riguarda le tipologie di valutazione che hanno portato ad un aumento della richiesta economica durante la costruzione. 
Le aziende che hanno realizzato il quarto ponte sul Canal Grande, quello di Calatrava, stanno infatti sprofondando al punto di dover chiudere. È quasi una maledizione quella del Quarto ponte, dapprima occasione di investimento e di entusiasmo per la partecipazione di Santiago Calatrava, poi oggetto di contestazione sia dei privati che dell'amministrazione pubblica per i costi sempre più esorbitanti che giorno dopo giorno si trascinava. 
Il Quarto ponte è stato da subito al centro di controversie. Dopo aver speso molti anni a discutere se a Venezia si potesse costruire o meno una nuova architettura (cosa giusta e ovvia), si è usato meno tempo nella valutazione dell'adeguatezza del progetto dell'archistar spagnola. Durante la realizzazione sono emerse innumerevoli difficoltà costruttive e il ponte è stato inaugurato in ritardo, e in gran sordina (cosa mai successa per i ponti veneziani), la notte dell'11 settembre 2008.
Il mattino dopo agli occhi dei veneziani e dei turisti è apparso un ponte dalla bella forma arcuata, con una campata di 81 metri, struttura in acciaio e pavimenti in vetro. Un ponte salutato dalla critica architettonica come «progetto squisitamente moderno, ma che stilisticamente non fa a pugni con lo scenario».
Lieto fine? No, le polemiche sono continuate. Si è scoperto che il costo era passato da 6,7 milioni a 11,3; inoltre, il ponte risultava una barriera architettonica insuperabile per i diversamente abili e i gradini diventavano scivolosi con la pioggia. Il transito dei passanti, nel corso del tempo, è risultato al di sotto delle aspettative. Così la politica si è progressivamente sfilata, tanto che pochi sanno che si chiama Ponte della Costituzione , e la maledizione ha colpito chi l'ha realizzato. 
Le valutazioni personali di questo episodio di trasformazione urbana che sembra essere tipicamente italiano nonostante la presenza spagnola di Calatrava lasciano molto spazio al tema della valutazione progettuale traducibile nella programmazione dell'utilizzo delle risorse.
La valutazione decisionale dovrebbe passare attraverso dei processi secondo i quali si può giungere a determinate scelte, in sostanza secondo la propria disponibilità economica ci chiediamo se sia conveniente o meno effettuare un'operazione di mercato, vogliamo sapere in anticipo e quindi essere assicurati su quanto il progetto sarà compatibile con il capitale stanziato.
E' proprio questo il problema alla base del progetto di Calatrava? Parlando a posteriori nonostante le decine di perizie ci si chiede come sia stato possibile un aumento del costo del progetto rispetto al preventivo di quasi il doppio, l'esigenza di una valutazione preventiva è proprio quella di conseguire gli obiettivi prefissati.
Precedentemente abbiamo parlato delle tipologie di sostenibilità progettuali che vengono richieste per poter trovare una fonte di finanziamento:
-sostenibilità tecnica-economica: questi due punti soprattutto in quest'episodio sembrano abbastanza correlati, il bisogno di una continua manutenzione strutturale corre in modo parallelo all'aumento dei costi, questo è un fatto determinante perchè oltre l' aumento di quel preventivo e quindi dei costi dell'operazione durante il periodo di costruzione, i problemi strutturali che il ponte si porta dietro gravano sulle spese dell'amministrazione pubblica per la manutenzione dell'opera. Questo ci fa capire come oltre ad un errata valutazione estimativa sia stato fatto un grande errore di fattibilità di progetto.
-sostenibilità ambientale: le interpretazioni possono essere molteplici, si può assegnare un valore notevole all'opera nel suo insieme dato che secondo la critica il ponte porta un'aria di freschezza e modernità senza sembrare fuori il contesto di una venezia storica e "rurale". Se come sostenibilità ambientale pensiamo anche all'uso che la gente fa di questo elemento apparentemente di "unione" fra le due sponde del Canal grande di Venezia riscontriamo la mancanza di esigenze come una rampa per disabili e una superficie di vetro dei gradini troppo scivolosa e quindi rischiosa, possiamo quindi dire che è mancato soprattutto l'obiettivo sociale nel contesto urbano di Venezia.

Considerazioni sulla visita alla Villa Capo di Bove ed al cantiere del Teatro Argentina

 

La proprietà di “Capo di Bove” si trova all'interno del Parco Archeologico dell'Appia Antica; si tratta di un'area strategica, situata appunto sull'asse storico dell'Appia Antica, importante via di collegamento durante l'impero romano. Questa subì diversi cambiamenti nel dopoguerra: vi fu un primo periodo, durante gli anni '50, nel quale diviene lo scenario ideale di grandi imprenditori e personalità illustri, soprattutto produttori cinematografici, che si costruiscono la propria villa; lo stile è piuttosto sfarzoso e lussuoso, tipico di quegli anni. Nella seconda fase degli anni '70-'80 vengono acquistate, da parte di commercianti, tutte le parti edilizie, dai fienili alle case dismesse, e trasformate in proprie abitazioni. La terza fase, degli anni '90, è la fase dei grandi interventi massivi e speculativi con aumento di cubatura che avvengono ai margini del parco archeologico.

L'idea iniziale del Parco dell'Appia Antica nasce dal prefetto napoleonico, e inizialmente venne denominato “Grande Cesare”; si tratta infatti del sito archeologico più importante e più grande del mondo, soggetto a vincolo archeologico e oggetto di tutela da parte dell'Ente Parco dell'Appia Antica e della Sopraintendenza per i Beni Archeologici.

La proprietà attualmente comprende i ritrovamenti di un impianto termale risalente al II secolo d.C. e l'edificio principale, che dal 2008 ospita l'Archivio Antonio Cederna, giornalista, ambientalista, politico e intellettuale italiano difensore del patrimonio culturale e paesaggistico italiano.

L'area di questa villa nel II secolo d.C. era all'interno della vasta tenuta agricola di Erode Attico, durante il medioevo venne trasformata in fortilizio, pur mantenendo le caratteristiche agricole, e divenne in seguito un Bene dello Stato Pontificio, che finanziò infatti gli scavi archeologici.

L'area rimase in proprietà privata fino al 1870 e mantenne l'uso agricolo sino al 1945, anno in cui avvenne la trasformazione per uso residenziale. A partire dagli anni '50 la tenuta fu infatti acquistata da una famiglia di mercanti ortofrutticoli, i Romagnoli, che trasformarono la proprietà ad uso residenziale. Negli anni '60 fu comprata da Streccioni, un produttore cinematografico, il quale commissionò il progetto di recupero della villa secondo uno stile antiquario che era in voga in quegli anni.

Nel 2002 la proprietà fu acquistata dal Ministero per i Beni e le Attività culturali su proposta della Sopraintendenza speciale per i Beni Archeologici di Roma, esercitando il diritto di prelazione sul bene vincolato. Secondo delle recenti valutazioni, la villa era stata stimata 1.300.000 euro. Si è trattata di un'importante operazione di riscatto volta al recupero di un Bene da privato a pubblico, in cui si è andata consolidando l'acquisizione del patrimonio storico e l'equilibrio tra la parte naturalistica, archeologica e la parte del recupero.

Gli scavi archeologici del 2002 hanno portato alla scoperta di un impianto termale risalente al II secolo d.C., ad uso privato, una struttura sofisticata ed aristocratica probabilmente ad uso sacerdotale o di culto. I lavori dell'area, iniziati nel 2002, sono stati eseguiti dagli architetti Celia e Cacciapaglia per quanto ha riguardato la ristrutturazione degli edifici e gli spazi interni espositivi, e dal paesaggista De Vico per la sistemazione dei giardini.

Circa la sistemazione degli spazi esterni, ai fini della leggibilità dei resti archeologici dell'impianto termale, è stata utilizzata una ghiaia bicroma bianca e nera come riproposizione della pavimentazione in mosaico bicromo bianco e nero, e una ghiaia color cotto a riproporre la pavimentazione in laterizio. Trovo che sia una buona riuscita, in quanto rende più facilmente leggibile i resti al visitatore. Inoltre, per ciò che riguarda i giardini, sono stati abbattuti molti alberi piantati in precedenza senza alcun criterio perchè oscuravano gli spazi interni senza quindi permettere l'ingresso della luce e piantati quindi dei nuovi con maggior rigore. Inoltre, ai fini di non dare la sensazione di uno spazio rettangolare stretto e angusto, sono stati modificati i viali realizzando un tracciato ad andamento serpentino, così da dare l'impressione di uno spazio più vasto ed aperto.

La villa viene edificata sulla muratura di una cisterna romana a due vani, i cui resti del vano inferiore sono ben conservati e presentano parti dell'intonaco di cocciopesto, mentre di quelli del vano superiore rimangono poche tracce, visibili solo dai resti di opera cementizia in scaglie di selce. La muratura dell'edificio era stata realizzata adottando una tecnica moderna che deriva dallo “spolia” medievale, ossia attraverso lo spoglio di materiali antichi recuperati dalla distruzione di vari monumenti.

Per quanto ha riguardato gli spazi interni sono state effettuate alcune modifiche per rendere l'edificio a norma, in quanto essendo in precedenza ad uso residenziale non erano necessarie tutte le misure di sicurezza. A riguardo è stato realizzato un elevatore per permettere ai portatori di handicap di accedere al piano superiore; la ringhiera della scala è stata cambiata in quanto la precedente non risultava essere a norma.

Il risultato a mio avviso meno riuscito riguarda gli infissi, che precedentemente in legno, vennero sostituiti con dei nuovi in ferro. Per quanto riguarda i serramenti sono stati sostituiti i preesistenti in ferro battuto con altri più economici in lega. Inoltre la mal riuscita è dovuta anche al fatto che il fabbro ha realizzato gli infissi secondo una misura standard, senza prendere le misure su ogni singola finestra.

Inoltre ho notato la mancanza di pannelli esplicativi che documentino la presenza della cisterna romana su cui si imposta la villa, che , seppur all'esterno è visibile, nella parte interna non è stata lasciata a vista. Condivido l'idea messa in opera dagli architetti, in quanto ritengo che sia più corretto lasciare la testimonianza della sovrapposizione storica, di come l'edificio si sia evoluto.

In conclusione posso affermare che gli interventi realizzati sono congrui e corretti, è stata rispettata la struttura della cisterna, alta testimonianza storica, e si è agito nel rispetto della tutela e della salvaguardia. Si è quindi reso un bene pubblico fruibile dal quale si sono ottenuti benefici concreti.

 

 

 

Il Teatro Argentina, uno dei più antichi teatri di Roma, venne costruito nel 1732 su progetto di Girolamo Theodoli. La facciata, in stile neoclassico, venne realizzata un secolo dopo, nel 1836 da Pietro Holl. Divenuto proprietà comunale nel 1869, il teatro deve l'aspetto attuale al rifacimento operato da Gioacchino Ersoch nel 1887-1888, che inserì i palchi nella struttura in muratura, aprì il palco reale e ampliò l'atrio.

 

Nel corso della storia il teatro subì due interventi di restauro, uno nel 1970 e l'altro risalente al 1993.

Nel primo restauro fu eliminata la pensilina di quattro metri in quanto creava problemi alla linea del tram. Furono inoltre apportate modifiche alla copertura con eliminazione delle capriate lignee e aggiunto in sostituzione un cordolo in cemento armato lungo il perimetro dell'edificio, perchè ritenuto più idoneo per la staticità della struttura e per una maggiore resistenza sismica.

Per quanto riguarda il gruppo statuario collocato a coronamento della facciata, era stata applicata una colletta cementizia di 4/5 centimetri di spessore che aveva completamente annullato l'effetto dello stucco originale e di profondità, propria delle sculture. Inoltre questo strato cementizio, provocando la fuoriuscita dei sali, aveva gravemente danneggiato la superficie scultorea. Anche i ferri di armatura delle statue si erano interamente arrugginiti con il tempo.

Nei restauri del '93 si è intervenuti principalmente sulla facciata utilizzando una scialbatura a base di resina vinilica, che, non lasciando traspirare la muratura, aveva provocato delle lesioni e delle micro fessurazioni.

Il restauro in corso d'opera, curato dall'Architetto Celia, si prefigge come obiettivo principale quello di utilizzare materiali compatibili, come la tinta a calce, in sostituzione dei precedenti vinilici. Perciò in primo luogo è stato effettuato il descialbo degli strati precedenti in modo da poter così procedere ad un restauro di tipo filologico. Come sostiene l'Architetto, i descialbi delle coloriture non sono da considerarsi del tutto operazioni corrette perchè cancellano i segni della storia, eliminando le stratificazioni che si succedono nel corso del tempo, senza lasciare quindi una testimonianza storica. Ma in questo caso è stato necessario effettuare il descialbo per poter proseguire con un restauro di tipo corretto e compatibile dal punto di vista materico.

Sull'intonaco di tamponamento della facciata era stata applicata una tinta color ocra; attualmente sono in corso le prove di colore per restituire il colore originale, sui fondi un color cortina e sulle parti in finto bugnato un color travertino.

Per quanto riguarda il gruppo scultoreo, si è provveduto a sostituire gli elementi più pesanti, con dei nuovi più congrui e leggeri, anche ai fini della stabilità, e a rimuovere i ferri di supporto delle statue, ormai arrugginiti, e a sostituirli con dei nuovi. Inoltre sono state eliminate le aggiunte in cemento e la scialbatura precedente, al fine di ripristinare lo stucco originale e conferire al gruppo i giusti effetti di profondità.

Sono stati ripristinati anche gli infissi in legno del primo piano, sui quali è stato rimosso lo smalto color grigio precedentemente applicato e restituitogli quindi la colorazione originale.

Nel bassorilievo si sta cercando di ottenere una differenziazione cromatica del piano di fondo rispetto alle parti in rilievo, al fine di conferire maggior leggibilità.

Particolare importanza ha rivestito il contesto storico nell'organizzazione dei ponteggi. Infatti il montaggio di quest'ultimi è stato piuttosto complicato, perchè trovandosi a meno di 50 metri da un'area archeologica, ha richiesto il rispetto di vari tipi di vincoli e norme per la tutela e la salvaguardia dei beni storici. Inoltre si è sottolineata l'importanza che ricopre il ruolo di coordinatore della sicurezza e quanto sia delicato e fondamentale questo tema nell'organizzazione di un cantiere. Era infatti necessario lasciare un'uscita di sicurezza dal basso, perciò l'ingresso al cantiere si può effettuare esclusivamente dalla terrazza. Inoltre è sorta la problematica di come portare i materiali e inserire una piccola betoniera nella quale realizzare l'intonaco con tinta di calce; questo avrebbe comportato un sovraccarico del solaio, e a questo proposito è stata realizzata una terrazza al primo piano per deporre la betoniera con un tunnel verticale di carico dal quale sarebbero stati portati ai piani superiori i materiali.

Trattandosi di un teatro comunale, i lavori sono stati supervisionati dalla Sopraintendenza comunale e statale; il committente è un privato, Mecenarte, e le spese vengono sovvenzionate dalla pubblicità. I ponteggi risultano infatti attualmente coperti da un telo pubblicitario.

Riguardo l'utilizzo della pubblicità come strumento per finanziare un'opera, se usata come mezzo idoneo, senza che sia permanente ed evitando qualsiasi deturpazione del paesaggio, ritengo possa essere un mezzo utile ed efficace, che permette la manutenzione e la conservazione degli edifici storici, come in questo caso del Teatro Argentina.

 

 

 

PER TUTTI GLI STUDENTI (laurea Magistrale, Terzo Anno, per coloro che debbono fare la tesina,etc)

Comunico che, dopo l'interruzione del mio Sito, e' possibile di nuovo dialogare via internet. Mi scuso se alcune comunicazioni per e mail non sono arrivate (quelle, per esempio per gli studenti del Laboratorio di Restauro).
Riepilogo e correggo alcune precedenti avvisi. Saro' a disposizione di tutti coloro che vorranno fare revisioni, oppure che vogliono consegnare la tesina per gli imminenti esami nei seguenti giorni:
- oggi pomeriggio 18 all'ex mattatoio dalle 15,30 alle 17,30;
- domani 19 giugno, dalle 9,30 alle 12,30 e dalle 15,30 (anziche' dalle 13,30 come precedentemente annunciato) fino alle 18,00.
Venerdi, solo per gli studenti del Laboratorio di Restauro, e' forse prevista la visita alla Villa dei Quintili (ma per tale visita, darò tempestiva conferma al piu' presto).
Prof. Alfredo Passeri

Visita al Teatro Argentina

Il Teatro Argentina

Il Teatro Argentina rappresenta uno dei più importanti edifici culturali della città di Roma fin dalla sua fondazione nel 1732 su progetto di Theodoli e per tutto l’Ottocento quando fu terminata la facciata da Holl e gli interni da Ersoch, fino ai giorni nostri, passando per gli interventi di Piacentini nel foyer. L’attuale restauro del Teatro, costato circa 250.000 € e che dovrebbe terminare entro luglio di quest’anno, è ben rappresentativo di alcuni dei problemi che oggi affiorano quando si affrontano sfide di questo tipo, da quelli tecnico-logistici a quelli riguardanti scontri “ideologici”. Innanzitutto l’edificio, come molte altre opere del centro storico, ha necessitato di una serie di accortezze circa gli orari di alcune lavorazioni (e quindi un cronoprogramma ben studiato) per evitare blocchi stradali e disagi al passaggio, e per il posizionamento dei materiali utili, in quanto l’impossibilità di studiare la resistenza effettiva dei solai, ha comportato la realizzazione di una terrazza provvisoria per lo stoccaggio. La seconda questione riguarda i finanziamenti: il committente privato è stato affiancato da investimenti derivanti dalla pubblicità e dagli sponsor, e questo ha sollevato ulteriori questioni circa il deturpamento del paesaggio causato dai teloni, nonostante, secondo il mio parere, un giusto indirizzamento degli interessi  verso un obiettivo comune possa comunque dare ottimi risultati, soprattutto in un momento storico dove la spesa pubblica risulta molto ridotta. A queste figure si sono aggiunti inoltre anche due rappresentanti istituzionali, uno della sovrintendenza comunale e uno di quella statale, il che ha creato ulteriori difficoltà a livello decisionale, soprattutto riguardo le scelte effettuate dai progettisti, rappresentati, anche in questa visita, dal Direttore dei Lavori Carlo Celia. Le decisioni da prendere, infatti, hanno riguardato anche gli effetti degli ultimi restauri, effettuati nel 1970 e nel 1993: i primi avevano interessato l’eliminazione delle capriate del tetto, l’inserimento di un cordolo in calcestruzzo armato e l’appesantimento delle statue sommitali con pasta cementizia; i secondi avevano previsto invece la scialbatura dell’intera facciata con vernice con resina vinilica, altamente dannosa per la conservazione delle strutture stesse. Proprio su quest’ultimo intervento si è concentrato il grande dibattito tra il DL e una delle responsabili della Sovrintendenza, fino a quando, col parere favorevole dell’Arch. Giovannetti, si decise di rimuovere la resina e sostituirla con una tinta a calce respirante, di cui  molte prove del colore sono attualmente in esecuzione sulla facciata. Altri interventi hanno riguardato il recupero degli infissi lignei, e anche le statue sono state restaurate con la sostituzione, dove possibile, degli elementi in cemento, l’applicazione di resine per evitare il fenomeno dell’ossidazione dei ferri e la sostituzione di alcuni di questi con barre di vetroresina. Anche se oggi i risultati dei lavori non sono a tutti visibili a causa dello sponsor sui ponteggi, tra poco tempo potremo giudicare l’effettiva validità delle scelte effettuate per questo cantiere, nonché la bellezza di un recupero architettonico condotto da bravi professionisti.

 

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