Sciopero mezzi pubblici

Gentile prof. Passeri,
 
Visto lo sciopero dei mezzi pubblici di domani, la quasi totalità di noi non potrà raggiungere la facoltà. Le vogliamo chiedere se può rimandare la lezione alla settimana prossima. Ci sembrava giusto avvisarla e aspettiamo la sua risposta sul blog.
La ringraziamo
 
Gli studenti del Laboratorio di Restauro

PRIME IMPRESSIONI SULLA FATTIBILITA': I casi del Palazzo Massimo alle Terme e della palazzina di Libera ad Ostia

Primeimpressioni sulla fattibilità

Il palazzo Massimoalle Terme

Le prime impressioni che il restauro (o nuovo allestimento)da è che non si vuole aggiungere niente architettonicamente, ma attraverso l’architetturasi prova dare più valore alle opere esposte. In modo figurativo e letterale siè provato di mettere tutto sotto una luce migliore. In questo senso il progettosecondo me ha raggiunto i suoi obbiettivi.  Il museo è abbastanza particolare, quello chepiù mi ha colpito è che le opere di maggiore importanza (es. maschera d’avorioe il sarcofago di portonaccio) stanno in una sala molto piccola, chestranamente le rende più importanza che al centro di una sala grande. Insomma,le opere vengono esposte nello spazio e le condizioni più adatte alle loroesigenze.
E’ difficile dire qualcosa sulla fattibilità del progetto soltanto dai costi(ca. €500.000) per 600m2. Ovviamente si può dire che è fattibile vedendo ilprogetto adesso quasi completato. Sarebbe molto interessante studiare le stimefatte in tutte le fasi del progetto fino alla realizzazione con alla fine ilconto finale (dopo tutti lavori imprevisti ecc.) insieme alle scadenze inizialie la data del collaudo. In più sarebbe interessante capire i costi di ognispazio separato (visto che sono molto diverse tra di loro), per capire l’impattodi certe scelte architettoniche sul budget e la qualità architettonica ottenuta.In questo caso i conti sembrano quadrare abbastanza bene (dentro il budget)anche se è leggermente oltre la data di scadenza (19 dicembre 2011 ?). Allafine un progetto veramente è un successo non solo quando si realizza (quasi)come si è pensato, ma anche quando è dentro il budget e dentro la scadenzaprevista.
 

La Palazzina di Libera ad Ostia

L’intervento sulla palazzina di Libera è molto singolareperché si tratta di un edificio che non veniva considerata di grande valorearchitettonica fino a qualche anno fa. Un’ idea che sta cambiando soprattutto dovutoal lavoro della DOCOMOMO che prova dare valore agli edifici del MovimentoModerno che spesso si trovano in condizioni molto degradate. Mentre è chiaroche l’edificio non poteva essere lasciata alla demolizione, il progetto direstauro è molto ambizioso con grande attenzione per il dettaglio. Mi vienequindi il dubbio sulla fattibilità e posso capire bene che un proprietarioesita ad investire in un progetto del genere. I valori dati nella presentazioneanche non mi convincono molto è sembrano appartenere al solito gioco dei numeriche il venditore fa per vendere ad un prezzo più alto.
Sarebbe quindi utile capire qual è il fattore del l’aumento dei prezzi daquando l’edificio è stata costruita (e costava ca. €300.000 => ma questo èpoi il valore stimato, il valore di assicurazione o il costo di costruzione??)quando si fa il confronto col prezzo attuale dopo i restauri (ca €900.000).Ovviamente è impossibile che il valore a mq aumenta da €1500 a €5000 dopo l’interventodi facciata. Soltanto giocando un po’ con i numeri (valore assicurazione controvalore stimato troppo alto non realistico, mq lordi contro mq netti, ecc.,ecc.)Un analisi approfondito dei veri costi e benefici sarebbe in questo caso moltointeressante da studiare.

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del palazzo Massimo alle Terme e della palazzina di Libera ad Ostia

 

Palazzo Massimo alle Terme

L’ edificio fu costruito tra il 1883-87 da parte dell’ Architetto Camillo Pistrucci su committenza del gesuita Massimiliano Massimo. Il palazzo Massimo, che va ad occupare la villa Poretti-Montalto, svolge la funzione di collegio d’istruzione fino al 1960; acquistato nel 1981 dallo Stato italiano, è interessato da un primo intervento di restauro a cura dell’ architetto Costantino Dardi, che ha il compito di predisporlo ad ospitare parte del Museo Nazionale Romano e uffici della soprintendenza.

L’ architettura del palazzo cambia così per riadattarsi alla nuova destinazione d’uso: l’esposizione d’arte. Il progetto è ambizioso e complesso, infatti l’intervento dovrà lasciar spazio a compromessi per molteplici motivi, tra i quali l’ inadeguatezza degli spazi poichè le vecchie aule scolastiche risultano piuttosto piccole e dunque sarà necessaria la modifica degli interpiani.

Oggi l’ edificio è oggetto di un nuovo progetto a cura di Carlo Celia e Stefano Cacciapaglia. L’ approccio degli architetti è stato di continuità rispetto al passato, infatti risulta chiaro il tentativo di lasciare tracce delle configurazioni precedenti (i ballatoi del coro della sala un tempo adibita a teatro della scuola; l’ impronta della visione dell’architetto Dardi, del suo concetto di “osservare l’arte da fessure”).

Per quanto riguarda la resa degli spazi espositivi credo che gli architetti abbiano saputo sfruttare al massimo e con economia le possibilità dell’edificio, studiando molto accuratamente la luce e la cromia degli ambienti per enfatizzare le opere, inserendole negli spazi a disposizione con tecniche quasi scenografiche.

Ritengo inoltre utile e positiva la conversione di vecchi fabbricati, per nuove funzioni specie se di sfondo culturale e di interesse pubblico.

Dopo aver fatto una breve analisi descrittiva dei lavori effettuati, si può ardire al porsi una domanda: perché stravolgere un edificio pensato originariamente per tutt’altra funzione? Perché non riutilizzare altri edifici più spaziosi e che meglio si prestino ad ospitare un’ esposizione?

L’ambiziosità e la complessità sono sicuramente valori aggiunti che caratterizzano le grandi opere. Il punto sta nel capire in quale caso e in che misura valga la pena trasformare un edificio e stravolgere la propria funzionalità per nuovi scopi.

Infatti la domanda successiva che mi pongo è come si poteva fare diversamente? Come si potevano organizzare gli spazi, quali impianti e disposizioni avrei concepito? Oppure, più radicalmente, quali erano i siti alternativi che potevano ospitare la mostra?

Rispondere a queste domande mi risulta piuttosto difficile data la scarsa disponibilità di elaborati e documenti riguardo l’iter del lavoro.

Spostando ora la discussione sul piano prettamente economico, pur non conoscendo l’effettiva cifra sostenuta, posso intuire che la spesa è stata notevole già solo considerando l’entità dell’intervento di modifica delle quote dei solai.

Penso che sia un’ operazione  sterile considerare una cifra, senza rapportarla alla qualità del prodotto finale  ed è proprio tenendo presente questa relazione che ritengo  il progetto “fattibile” ,in quanto il rapporto tra costo e qualità risulta bilanciato.

In conclusione, considerando le ingenti difficoltà di partenza credo che l’intervento, sia in termini economici che architettonici (costi-benefici), debba essere considerato riuscito per la modalità in cui sono riusciti ad esplicare la nuova funzione dell’ edificio e per il valore culturale e sociale rappresentato dall’ opera.

 

Palazzina a Ostia – Arch. Adalberto Libera

 

In questo caso l’intervento di restauro è atto a ripristinare più che sconvolgere la funzionalità e l’integrità del fabbricato in oggetto.

La complessità di questo lavoro è rappresentata, oltre che dalle condizioni fisiche dell’edificio, dall’ opposizione dei proprietari all’intervento di restauro, causata principalmente da motivi economici. Questi infatti furono quasi costretti ad affrontare l’intervento, dato che era stato decretato lo stato di emergenza e l’ordinanza di demolizione della palazzina.

In termini di fattibilità dunque, rispetto all’altro caso, le condizioni di criticità giustificano la necessità di un intervento.

Dato il valore storico dell’edificio, credo che si sarebbe dovuto fare tutto il possibile per riportarlo allo stato ottimale come è stato effettivamente fatto dalla commissione di architetti, nonostante le esigue capacità economiche e le difficoltà affrontate nell’esecuzione dei lavori.

Dal punto di vista della fattibilità il pesante stato di degrado si scontra con il grande valore architettonico rappresentata dall’opera. Quindi, se da un lato c’è l’ordinanza di demolizione perché edificio pericolante, dall’altra parte c’è la volontà di salvare un pezzo di storia spinta dalla sensibilità culturale e dalla lotta all’ incuria dei “beni culturali” che spesso si nota nel nostro paese.

Come per il palazzo Massimo, la mancanza di fondi non ha consentito di rispettare totalmente il progetto originario, tuttavia la tenacia dei progettisti ha saputo valorizzare l’entità storico-culturale dell’edificio.

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del palazzo Massimo alle Terme e della palazzina di Libera ad Ostia

Facendo riferimento ai due casi analizzati, il palazzo Massimo alle Terme e la palazzina di Libera ad Ostia, emergono delle differenze sostanziali: il primo caso riguarda un intervento mirato alla proposizione di uno spazio interno adatto ad una destinazione d’uso diversa rispetto a quella originaria di collegio, il secondo invece ha puntato sull’aspetto esterno dell’edificio.

Nel palazzo Massimo è importante tenere presente lo scopo dell’intervento: l’esposizione della collezione del Museo Nazionale Romano. Questo ha comportato, nell’ideare il progetto, una scelta di fondamentale importanza: trattandosi di un edificio storico, quale aspetto dare agli ambienti interni? Cosa favorire, l’architettura o le collezioni d’arte? Visitando il museo è chiaro che i progettisti, Carlo Celia e Stefano Cacciapaglia, hanno preferito mettere in risalto le qualità artistiche della collezione piuttosto che le caratteristiche dell’edificio che, in seguito all’intervento, non sono più percepibili. Probabilmente anche nel teatro del palazzo, un visitatore non informato, non potrebbe riconoscere l’originaria funzione della sala, nonostante l’architetto abbia espresso la volontà di lasciarne le tracce. Gli elementi architettonici infatti (ballatoi, galleria e proscenio) non sono immediatamente leggibili ad un occhio non abituato alla lettura dello spazio, che si fa catturare invece, anche grazie all’intervento eseguito, dalle sculture custodite nella sala. Lo scopo dell’intervento è dunque raggiunto a pieno perché lo spettatore, invece di “distrarsi” guardando l’architettura, concentra tutta la propria attenzione sull’apparato scultoreo e pittorico, il vero obiettivo della sua visita, mentre l’allestimento, ispirato al “cielo stellato” resta un gradevole ambiente in cui immergersi senza soffermarsi troppo ad osservarlo. Gli scorci prospettici creati attraverso i pannelli delle sale offrono dei punti di vista interessanti, ma solo i più curiosi si soffermeranno a guardarvi attraverso, e fra questi, quello verso il sarcofago, che traguarda addirittura due sale mi è sembrato un po’ forzato.

Al piano superiore invece, l’intervento si è svolto secondo un’ottica diversa data la diversa natura delle opere esposte. Trattandosi infatti di affreschi provenienti dalla villa Farnesina, per renderne più agevole la comprensione si sono riprodotti gli ambienti originari. Le strutture tuttavia non sono predominanti, ma sono nascoste dalla luminosità stessa delle sale. La resa volumetrica è molto efficace, peccato che nella sala che riproduce il giardino la volta a botte che chiudeva l’ambiente non sia stata riproposta, quando invece l’imposta è chiaramente visibile.

Infine è importante sottolineare anche come, data la scarsità di risorse economiche, si sia agito riutilizzando elementi preesistenti come ad esempio le basi in travertino su cui poggiavano le sculture che sono state semplicemente coperte con dei pannelli, i tendaggi o le teche in vetro.

L’intervento condotto alla palazzina di Libera ha invece riguardato gli esterni e gli spazi comuni interni, ed essendo stato pagato quasi per intero dagli stessi condomini anche in questo caso è stato portato avanti prestando particolare attenzione a mantenere dei costi contenuti. Può essere che questo vincolo abbia portato a scegliere materiali non corrispondenti agli originari, tuttavia il risultato generale è buono. Inoltre bisogna tener presente che ogni appartamento, grazie all’intervento, ha più che triplicato il suo valore al mq passando dai 1500 euro/mq iniziali ai 5000 euro/mq dopo l'intervento. Si tratta di un esempio positivo dal punto di vista economico poiché il valore aggiunto delle proprietà supera di gran lunga il costo sostenuto per effettuare i lavori.  Speriamo che l’edificio non torni mai più nelle condizioni in cui si trovava prima dell’intervento ma questo sarà possibile solo se interverranno due fattori: la redazione di un piano di manutenzione ordinaria efficace, e la presa di coscienza da parte dei proprietari…magari ci abitassi io!!! Il problema è il riconoscimento del valore degli edifici moderni che non viene ancora sufficientemente riconosciuto dagli enti preposti e da molti studiosi.

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi di Palazzo Massimo alle Terme e della Palazzina di Libera ad Ostia

Situato nei pressi della Stazione Termini a Roma, Palazzo Massimo alle Terme è un edificio ottocentesco, costruito in stile rinascimentale, che nel corso dei secoli ha subito dei cambiamenti di destinazione d’uso: da scuola-convitto si è infatti trasformato in una delle nuove sedi del Museo Nazionale Romano che ospita una collezione d’ arte classica fra le più importanti in Italia e nel mondo. Inoltre, in questi ultimi anni, è stata avviata una revisione dell’allestimento, curata dagli architetti Carlo Celia e Stefano Cacciapaglia, i quali si sono prefissi lo scopo di rendere  il più possibile fruibili e piacevoli sezioni museali altrimenti anonime; anche se il progetto non è stato ancora del tutto completato, ritengo che l’obiettivo dei progettisti sia stato pienamente raggiunto attraverso alcuni particolari accorgimenti architettonici. Innanzitutto, si è pensato di rimodellare gli spazi: nel vecchio teatro del convitto, ad esempio, l’altezza originale del soffitto era piuttosto consistente (circa 9,5 m) e, per evitare uno spazio espositivo troppo dispersivo, sono stati utilizzati dei pannelli sospesi che, collegati a tralicci in acciaio per mezzo di cavi anch’essi in acciaio, essendo disposti a quote leggermente sfalsate, non costituiscono una sorta di controsoffitto ma svolgono una duplice funzione di caratterizzare esteticamente gli ambienti senza alterare la leggibilità della struttura preesistente e di nascondere gli apparecchi illuminanti. A questo proposito, per quanto concerne le sezioni dedicate alla scultura, sono stati scelti degli apparecchi illuminanti al led che diffondono una luce bianca naturale e che, essendo sospesi in alto, rappresentano una sorta di “cielo stellato” e permettono di illuminare senza problemi di abbagliamento, in modo da poter apprezzare al meglio lo splendore del marmo  e la perfezione delle forme umane scolpite nella pietra. Ancora una considerazione sul colore: prima del nuovo allestimento le pareti delle sale erano tinteggiate con colori chiari, come il bianco ed il beige, e le statue poggiavano su basi in pietra; successivamente si è pensato di sostituire le basi delle statue con dei cubi grigio-scuro e di tinteggiare le pareti con diverse tonalità di grigio, sovrapponendovi, in alcune parti, pannelli di una sfumatura leggermente diversa, in maniera tale da sottolineare l’importanza di alcune sculture. In questa maniera il museo non è più uno spazio asettico, che può essere compreso solo dagli studiosi o dai grandi patiti di arte che vogliono ammirare le antiche sculture romane senza essere distratti dal contesto circostante, ma diventa un luogo fruibile da un gran numero di persone che, consapevoli o meno, si lasciano incantare dall’aura quasi magica dello spazio che li circonda e possono così apprezzare appieno il patrimonio artistico che hanno di fronte. Maggiormente didattico è, invece, l’allestimento delle sezioni che ospitano, sin dagli anni Novanta del XX secolo, gli affreschi di epoca augustea ritrovati nel parco della Villa Farnesina. Utilizzando le più moderne tecnologie nel campo della museografia e basandosi su studi di psicologia della percezione, i progettisti hanno scelto di definire una collocazione degli ambienti affrescati secondo una sequenza corrispondente a quella originaria; di annullare il più possibile il contesto, usando geometrie primarie e colori neutri, per lasciare protagonisti assoluti gli affreschi delle pareti; di illuminare le opere nella maniera migliore, evitando ogni riflesso o abbagliamento, con un sistema di illuminazione biodinamica. Il percorso di visita  inizia dalla lunga galleria del Criptoportico: si tratta di circa 25 m di parete, i cui affreschi, montati su pannelli per facilitarne il trasporto ed assicurarne la conservazione, rappresentano finte colonne, architravi e basamenti che incorniciano riquadri figurati; sulla parete opposta, gran parte delle vetrate che si affacciano sul terrazzo sono state tamponate per ridurre la quantità di luce solare e ricreare l'antica alternanza luce-ombra. Successivamente si accede ad una grande sala le cui pareti esterne sono di colore grigio-medio per segnalarne la neutralità e in cui sono collocati gli apparati figurativi di duecubicula e del triclinio, posti  in posizione analoga a quella della pianta originaria. Da notare la presenza di lacerti di pavimento in mosaico che non sono collocati come in origine sia per permettere un facile passaggio dei visitatori, sia perché non si conosce la loro esatta posizione. Di particolare pregio è poi una sala in cui sono esposti gli affreschi che rappresentano un giardino illusionistico riprodotto a grandezza naturale nei minimi particolari, con una grande varietà di specie vegetali e di uccelli. Non è certa la destinazione d’uso originaria di questa stanza, ma è probabile che si trattasse di un ambiente senza finestre, usato per difendersi dalla calura estiva, la cui illuminazione era forse consentita attraverso un lucernario posto sulla volta a botte con cui era sicuramente coperto il vano, dal momento che ne è stata ritrovata l’imposta. L’unico difetto che rimprovero all’allestimento,  dovuto peraltro all’insufficienza dello spazio e non alla mancanza di cultura dei progettisti, è il fatto di non aver ripristinato la copertura voltata di questo spazio, cosa che invece è stata fatta nel triclinio nonostante non fossero presenti tracce dell’imposta della volta stessa. Inoltre, l’idea di un sistema di illuminazione biodinamica ottenuta con l’uso di tubi al neon la cui temperatura di colore varia tra i 3000 e i 6000° K, permette di riprodurre, ogni 90 secondi, il ciclo del sole durante il giorno, in modo che i visitatori possano godere al meglio degli affreschi; tuttavia il risultato da un punto di vista prettamente estetico non è, a mio avviso, dei migliori. In definitiva, penso che gli architetti Celia e Cacciapaglia siano stati in grado di creare un perfetto connubio fra l’architettura dell’edificio, i materiali e le tecnologie moderne e il patrimonio artistico contenuto all’interno del museo, dando così vita all’idea espressa da Mario Ridolfi secondo cui “[…] opere architettoniche appartenenti a periodi diversi l’uno dall’altro […] possono coesistere armonizzandosi reciprocamente”.  Diverso è il caso del restauro della Palazzina B di Adalberto Libera ad Ostia, curato dall’architetto Roberta Rinaldi. L’edificio, realizzato negli anni Trenta del XX secolo, pur rappresentando un simbolo dell’architettura razionalista italiana, prima dell’intervento era caratterizzato da un forte degrado che riguardava: la facciata, tanto che l’intonaco, di un colore giallo-ocra assolutamente inappropriato, si distaccava perché realizzato con il quarzo plastico, un materiale estremamente dannoso per gli edifici perché non lascia traspirare i muri; i ferri dei balconi, che si erano ossidati a causa della salsedine e di altri agenti atmosferici; le ringhiere dei balconi, alcune delle quali erano state rimosse; il terrazzo, che presentava problemi di infiltrazione d’acqua e la cui fisionomia originale era stata sconvolta da un intervento abusivo; gli infissi, tra loro tutti diversi perché la palazzina è abitata da tre inquilini; il giardino incolto. Dal momento che l’edificio non è un bene culturale e quindi non è sottoposto ad alcun vincolo, fatta eccezione per quello paesaggistico, il restauro non è stato sovvenzionato da fondi pubblici, ma dagli stessi condomini, i quali, inizialmente, hanno posto qualche perplessità al riguardo. In effetti il costo dell’intervento è stato ridotto al minimo (circa 200.000,00 €) ma si è trattata comunque di una spesa ingente da parte dei tre inquilini. C’è però anche da dire che, dopo il restauro, che purtroppo ha riguardato solo gli spazi comuni (giardino, atrio di ingresso e corpo scala, involucro esterno, balconi) il valore degli appartamenti, ognuno dei quali avente una superficie di circa 140 mq, è triplicato da 1.500,00 €/mq nel 1999 a 5.000,00 €/mq ad oggi. L’intervento, avvenuto nel rispetto del progetto di Libera, ha avuto come obiettivo quello di riqualificare l’edificio, restituendogli una propria dignità ed identità e, a mio parere, tale traguardo è stato raggiunto più che discretamente, tenendo conto dei numerosi problemi avuti sul cantiere; ciò che colpisce maggiormente la mia attenzione è però una riflessione: se ai condomini non fosse stato proposto tale intervento, se non fossero stati convinti ad investire i loro risparmi in un’operazione del genere, quanto ancora si sarebbe aspettato prima che la palazzina crollasse del tutto? E questo è un problema che non riguarda solo l’edilizia residenziale di zone periferiche, ma anche quella di quartieri più centrali della città di Roma (basti pensare alle tante facciate dei palazzi sulla centralissima Via Cavour, sporche per lo smog o violentate dai vandali con le loro bombolette spray, o ai quartieri che sorgono a ridosso della Stazione Termini) o agli edifici pubblici di una certa importanza. A questo proposito, trovo emblematico il caso del Museo delle Navi Romane a Nemi, realizzato gratuitamente dall’architetto Vittorio Ballio Morpurgo ed inaugurato nel 1936; si tratta di una struttura unica nel suo genere, concepita come un’enorme scatola in cemento armato che, nonostante la sua bellezza nel panorama architettonico dei nostri giorni, appare come una sorta di rudere, uno scheletro pieno di infiltrazioni d’acqua, sporco, un malato terminale cui non si presta un minimo di cura e che invece, con un restauro colto, avrebbe ancora molto da raccontare.

 

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del Palazzo Massimo alle Terme e della Palazzina di Libera ad Ostia.

 

I primi due esempi presi in esame durante questa parte del corso rappresentano due situazioni e quindi due approcci differenti di effettuare un restauro.

 

Nel caso di Palazzo Massimo alle Terme ci si trovava a dover operare su un edificio costruito tra il 1883 ed il 1886, sede di un collegio dei Gesuiti che mantenne questa destinazione fino al 1960.

Acquistato dallo Stato italiano nel 1981, subì un primo restauro ad opera dell’architetto Costantino Dardi per ospitare dal 1992 una parte del Museo nazionale romano.

Le difficoltà nel dover rifunzionalizzare un edificio nato come convitto furono subito evidenti portando i progettisti a dover effettuare una serie di operazioni di adeguamento che in alcuni casi avevano mutato l’architettura originale dell’edificio.

 Nel recente intervento di allestimento con grande maestria gli architetti Carlo Celia e Stefano Caccapaglia nel loro progetto sono riusciti a rispettare attraverso le loro scelte alcune caratteristiche architettoniche che l’edificio ottocentesco ancora conservava. Ciò accade in maniera evidente nella sala dell’ex teatro della scuola, dove l’architettura precedente non si è negata, lasciando i ballatoi, la galleria e il proscenio del teatro. Diminuendo però l’altezza dell’ambiente si è riusciti a rendere miglior lettura delle opere destinate ad ospitare, evidenziando una continua ricerca del compromesso tra ciò che l’edificio è e ciò che dovrà essere.

Anche le scelte cromatiche attraverso l’uso del colore e dell’illuminazione in tutto il progetto sono state effettuate proprio per evidenziare il rapporto tra le opere e l’ambiente destinato ad accoglierle. La scelta delle diverse tonalità di grigio ha permesso infatti di creare assi prospettici evidenziando gli elementi principali delle sale.

La riuscita del progetto è dipesa anche dal controllo dei lavori da parte degli architetti progettisti i quali però purtroppo per mancanza di fondi per ora hanno potuto eseguire i lavori solo in alcune sale del museo.

Nel secondo caso presentato dall’architetto Roberta Rainaldi  riguardante la palazzina di Libera degli anni ‘30 ad Ostia invece la situazione si presentava in modo differente.

L’edificio di rilevante interesse storico era stato lasciato dagli abitanti in uno stato di incuria con una conseguente perdita di valore del bene (oggetto architettonico) causata anche da un errata manutenzione straordinaria precedente degli intonaci, la quale conferendo alle facciate un color ocra aveva contribuito a snaturarne l’immagine.

L’architetto Rainaldi in qualità sia  di progettista che di direttore dei lavori attraverso la consultazione delle foto storiche e dei disegni di progetto è riuscita a risalire all’immagine iniziale dell’edificio cercando quindi di riproporla.

Gli interventi effettuati hanno riguardato principalmente il rifacimento degli intonaci delle facciate e degli spazi comuni ed il riposizionamento e conseguente ripristino delle recinzioni e ringhiere di progetto.

Durante l’esecuzione dei lavori la progettista si è trovata di fronte ad una serie di problematiche, sia in una prima fase nel rapporto con l’impresa che successivamente con le maestranze specializzate, con le quali l’architetto è dovuto intervenire per risolvere una serie di errori che causavano lo stravolgimento del progetto iniziale.

Anche in questo caso come nel precedente la scarsità di fondi non ha permesso di effettuare un restauro completo e completamente coerente con il materiale di archivio ritrovato, ma allo stesso tempo la figura del progettista anche come direttore dei lavori ha permesso che questi riuscissero a riconferire ed evidenziare sia il grande pregio storico culturale da cui gli edifici in questione erano caratterizati, che quello economico. 

PER GLI STUDENTI DEL TERZO ANNO: MATERIALE DIDATTICO

Al fine d'iniziare con alcune importanti definizioni, per prendere cognizione delle regole della “stima”, vi invito a leggere (e studiare) il materiale in allegato. Sarà il tema delle prossime lezioni. Buon lavoro

Prof. Alfredo Passeri

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Prime impressioni sulla fattibilità: i casi di Palazzo Massimo alle Terme e la palazzina di Libera ad Ostia

Fattibilità del progetto, due casi complessi

Dall’inizio degli incontri del modulo di Estimo con il professor Passeri, abbiamo cercato di delineare l’importanza di un’attenta valutazione economica del progetto, nonché della reale fattibilità da verificare all’interno dell’ iter evolutivo dello stesso, dalle sue fasi embrionali fino a quelle di cantierizzazione e realizzazione. Sono due i casi che ci hanno posto dinanzi la problemicità della questione, ovvero l’allestimento museale del Palazzo Massimo alle Terme ed il restauro di una palazzina di Libera ad Ostia.

Nel primo caso, nonostante si trattasse di un progetto di allestimento e non di restauro, gli architetti, in particolar modo Celia e Cacciapaglia, si sono dovuti confrontare con la pianificazione di un’opera totale, che comprendeva non solo la sistemazione degli apparati pittorici e scultorei, ma anche la rifunzionalizzazione delle stanze di questo Palazzo (il quale nasceva quale collegio d’istruzione e tale è rimasto fino al 1960), la sistemazione degli apparecchi illuminanti, la valutazione delle richieste dell’utenza e,non in ultimo, la valutazione dei costi in visione di un recupero degli investimenti. Un progetto dunque complesso, in cui i vari professionisti si sono dovuti confrontare anche con fondi economici abbastanza esigui ( l’intervento è costato circa 500.000 € per un’area di 600 mq) e date di scadenza improrogabili (19 dicembre 2011).

I nuovi allestimenti hanno riguardato quattro sale e confrontandole con altri ambienti espositivi del museo, penso di poter affermare che il progetto è stato una vera vittoria. I nuovi spazi hanno assunto una loro connotazione definita, le opere sono diventate protagoniste, stagliate ad esempio con il loro bianco marmoreo su fondi più o meno grigi, seguendo ottiche scientifiche, ma soprattutto le direttrici di bravi architetti, che sanno al tempo stesso essere tecnici preparati, come dimostrano i nuovi impianti d’illuminazione e la sistemazione delle dotazioni anti-incendio, ma anche grandi immaginatori di spazi esaltanti e ben studiati dal punto di vista delle visuali prospettiche, dei percorsi funzionali e della giusta scelta dei materiali da accostare. Il buon risultato non è nato però da sé, bensì ha richiesto tenacia, costanza e preparazione.

Gli stessi ingredienti hanno segnato il percorso dell’architetto Rinaldi durante il restauro di una palazzina di Libera sul litorale romano, ridotta ormai alla stregua di un rudere, condannato alla demolizione per motivi di sicurezza. La scarsa cura dei tre inquilini, nonché l’inesistente consapevolezza del valore di un’opera di architettura contemporanea, avevano già segnato le sorti dell’edificio. Grazie ad un’attenta e precisa elaborazione degli interventi da proporre e alla valutazione dei costi, i quali, senza la successiva necessità di un secondo appalto, sarebbero ammontati a soli 130.000 €, l’architetto e tutti i suoi collaboratori sono riusciti a riqualificare e rivalorizzare l’edificio, nonché a triplicarne il valore economico. Hanno dovuto in tutto ciò confrontarsi con i precedenti errori di manutenzione, con gli illeciti dei proprietari, con la mancanza di fondi e le incompetenze delle maestranze, problematiche che non sempre possono essere previste e che comportano una continua revisione dei processi di realizzazione.

Pur potendosi occupare delle sole aree esterne dell’edificio e dovendo rientrare nel budget dei committenti privati, la Rinaldi ha rianimato un piccolo pezzettino della nostra storia architettonica e lo ha nuovamente reso fruibile alla conoscenza.

Agli Studenti del Laboratorio di Restauro (Modulo di Estimo)

Intendo esprimere un compiacimento personale e doveroso a tutti coloro che hanno postato il loro contributo. A me sembra, si sia conseguito un piccolo risultato d'interesse e di "partecipazione attiva". Insomma, avete dimostrato che, quando la docenza “interviene sul campo”, è possibile iniziare un dibattito, così importante in questo periodo incerto e oscuro. Dove il "progetto" è mortificato dall'annuncio... Voglio dire che troppo spesso ci si accontenta di annunciare lo svolgimento di un’iniziativa, senza preoccuparsi dello sviluppo dinamico di essa, del portato e delle conseguenze (soprattutto economico-finanziarie) che possono condurre a buon fine la medesima. I disegni, straordinario mezzo di conoscenza e comunicazione, non bastano più. E «il rinascimento delle metropoli» (titolo di un articolo di ieri su La Repubblica, a cura di Rosalba Castelletti e Franco La Cecla, pagg. 33, 34, 35) rappresenta l’unica via d’uscita dalla crisi. Soprattutto per voi, “architetti del futuro”.

Alfredo Passeri

Prime impressioni di fattibilità: i casi di Palazzo Massimo alla Terme e della palazzina di Libera a Ostia

Prime impressioni di fattibilità: i casi di Palazzo Massimo alla Terme e della palazzina di Libera a Ostia.

Il Palazzo Massimo alle Terme fu costruito tra il 1883 e il 1887. Il palazzo, che svolse la funzione di collegio d’istruzione fino al 1960, negli anni ottanta è stato acquistato dallo Stato italiano e restaurato per la valorizzazione del patrimonio archeologico di Roma. La sede museale, inaugurata nel 1998, ospita le sezioni di arte antica, numismatica e oreficeria del Museo Nazionale Romano.

I nuovi allestimenti, degli architetti Carlo Celia e Stefano Cacciapaglia, che sostituiscono quelli precedenti dell’arch. Costantino Dardi hanno lo scopo di esaltare le sculture antiche e collocarle nel modo migliore all’interno della nuova sistemazione.

Nel nuovo allestimento i due architetti volendo mantenere leggibile la struttura del vecchio convitto Massimo hanno dovuto ripensare l’organizzazione dello spazio che presentava un’altezza di oltre nove metri.

Per raggiungere questo obiettivo hanno optato per l’utilizzo di un sistema di pannelli, di dimensioni differenti che essendo disposti su piani differenti si rendono permeabili lasciando vedere la struttura di aggancio di questi con le murature,  che unisce insieme la necessità di abbassare la quota e di ospitare i sistemi illuminanti.

Nel progetto al fine di rendere più visibile e far esaltare le opere l’intervento ha riguardato l’introduzione del colore sulle pareti delle sale, con diverse sfumature di grigio.

Nel nuovo allestimento è stato ripensato e rinnovato il sistema di illuminazione anche con l’uso della tecnologia LED che consente di unire allo stesso tempo un miglior effetto visivo delle opere e una  riduzione dei costi di gestione e manutenzione. La luce dei led, infatti, esalta la porosità della materia, lascia emergere le venature del marmo, esalta i panneggi e le ombre creando un’atmosfera magica.

Il  secondo caso riguarda l’intervento di restauro della palazzina di Adalberto Libera a Ostia.

 La palazzina di via Capo Corso uno dei capolavori di Adalberto Libera, un maestro dell’architettura del Novecento, si presentava nel 1933 come un gioiello del razionalismo italiano. Dopo anni a causa della mancanza di manutenzione verteva in un evidente stato di degrado reso ancora più evidente dal disinteresse degli inquilini.

Il recupero dell’opera di Libera si deve all’impegno del Dipartimento di Studi urbani dell’Università Roma Tre, del Prof. Alfredo Passeri unitamente all’opera dell’arch. Roberta Rinaldi.

L’intento è quello, come dichiarato dallo stesso Prof. Alfredo Passeri, di creare un percorso da compiere a piedi, provvedendo al restauro dei beni architettonici presenti ad Ostia.

La prima grande difficoltà incontrata è stata quella di cercare di comunicare ai proprietari dell’immobile la necessità di recuperare il capolavoro dell’architetto trentino.

Il degrado dell’opera era evidente: l’intonaco originario era stato coperto con un intonaco plastico, formato da granuli di quarzo, che non permettendo la giusta traspirazione ha causato il distacco di ampie parti del rivestimento di facciata. Inoltre la salsedine, dovuta alla vicinanza al mare, aveva aggredito il ferro delle ringhiere rendendole non più utilizzabili.

La palazzina presentava, e in alcuni casi presenta ancora, interventi  incongrui compiuti dagli inquilini.

L’intervento quindi si proponeva di ridare all’opera di Libera la sua immagine originaria, quella immagine che ne aveva fatto uno dei capolavori del razionalismo italiano.

 

Dalle problematiche individuate nei due casi appare chiaro l’importanza dello studio di fattibilità che punta ad analizzare la fattibilità economica, organizzativa e tecnica del progetto.

A Palazzo Massimo alle Terme i lavori di Carlo Celia e Stefano Cacciapaglia mirano ad esaltare le opere contenute nel museo ma a causa di problemi economici il nuovo allestimento si è limitato solo ad alcune sale, lasciando nelle altre la precedente sistemazione. Inoltre, l’adeguamento dell’edificio a funzione museale ha comportato, per motivi di sicurezza, l’installazione delle scale di emergenza, che nonostante poste nel fronte meno visibile certo non offrono un contributo estetico positivo all’edificio.

Nella palazzina di Libera invece la prima difficoltà, essendo uno stabile privato, è stata quella di riuscire a comunicare, agli inquilini proprietari dell’immobile, l’importanza di effettuare i lavori. Inoltre nonostante il controllo costante da parte dell’arch. Roberta Rinaldi, a lavoro ultimato, sono emersi diversi difetti che hanno reso necessario interventi puntuali in alcune aree della palazzina.

 

Virgilio Ciancio

 

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