PRIME IMPRESSIONI SULLA FATTIBILITA': I casi del Palazzo Massimo alle Terme e della palazzina di Libera ad Ostia

Nell'ambito del Restauro Architettonico,  il tema della fattibilità è uno degli aspetti più delicati e vincolanti, che si tratti di un progetto di restauro di un'opera pubblica o di una privata. In una città complessa come Roma, ricca di molteplici memorie storico-artistiche, è facile imbattersi in situazioni particolari e difficili che, anche nel loro piccolo, possono rappresentare un unicum o comunque un ottimo principio di novità. Qualsiasi sia la realtà con cui ci si confronta, bisogna sempre essere consapevoli che essa non è solo un espediente progettuale ma un delicato sistema di pesi e misure differenti in equilibrio tra loro.

L'intervento all'interno di Palazzo Massimo alle Terme si imposta proprio con quel principio di novità. Qui è possibile vedere l'intero iter di un progetto al limite tra il restauro e la progettazione, la riqualificazione e l'allestimento.  Contrariamente ai cantieri di costruzione che siamo abituati a vedere, il cantiere d'allestimento presenta due saldi vincoli: la data d'inaugurazione e i costi. Su questo due si deve basare tutto:  dalla più semplice disposizione di un pannello alla più complicata struttura, e perfino l'imprevisto. E' in quest'ottica che gli architetti Stefano Cacciapaglia e Antonio Celia si sono mossi. Bisognava dare nuova vita ad alcune sale del Museo rispettando i caratteri propri dell'edificio, senza alterare la memoria dei restauri condotti da Costantino Dardi. Per questo si è scelto di operare un allestimento il più discreto possibile: le opere d'arte sono le vere protagoniste e nient'altro. E' così che un intonaco grigio viene scelto per far risaltare il bianco delle statue, eliminando la monotonia data dal vecchio colore bianco; per ovviare ai problemi d'illuminazione sono stati realizzati corpi illuminanti leggerissimi, in pannelli componibili in PVC, che illuminano, come macchine teatrali, le opere d'arte valorizzandole al massimo. Tutto in funzione dell'opera e tutto in funzione dei costi. L’intervento complessivo ha avuto un costo intorno ai 500.000 €, di cui 300.000 ca. destinati all'allestimento vero e proprio (materiali e ristrutturazioni), 100.000 per l'illuminazione e il resto per la movimentazione delle statue. Non poco per un intervento simile, ma si è pur sempre di fronte ad un caso di allestimento permanente, che interessa 600 mq di museo e circa 70 opere.

Anche l'architettura privata deve entrare in questi meccanismi di necessità e restrizioni. E' il caso, ad esempio, dellapalazzina di Libera degli anni '30 sul lungomare di Ostia. Il progetto di restauro è stato condotto dall'architetto Roberta Rinaldi, la quale si è trovata di fronte ad una situazione pressoché drammatica. A causa della totale noncuranza da parte degli inquilini, dell'aggressività del clima marino e di errori commessi in un precedente restauro, la casa si presentava in uno stato di completa fatiscenza. Problemi di vincoli paesaggistici e mancanza di fondi hanno spinto, sin da subito, l'architetto ad operare delle scelte, dettate anche da numerosi problemi presentatisi in corso d'opera. Le ringhiere fronte mare, per esempio, sono state rifatte per ben due volte: realizzate inizialmente in ferro pre-zincato lavorato a caldo, già dopo due mesi presentavano segni di ruggine, con il secondo appalto saranno sostituite interamente con delle altre ben fatte (a scapito dei già esigui fondi);  la facciata presentava una colorazione inadeguata ed era stata inoltre deturpata dalla messa in opera, in un precedente restauro, di uno strato di quarzo plastico: picconata fino ad eliminare la parte compromessa, è stato steso un intonaco bianco (colore scelto grazie ad indagini di colore in facciata) in bio calce che, a lavori conclusi, presentava delle cavillature, risarcite dalla ditta fornitrice Keraton. Questi inconvenienti, insieme ad altri minori, hanno inciso notevolmente sulla sfera dei costi. Essendo un'opera finanziata da privati, con un somma a disposizione modesta, ogni errore commesso doveva essere risolto togliendo spazio e cura ad altri aspetti del progetto:  impensabile superare la somma a disposizione. Ma il risultato finale è valso questi ostacoli? Inizialmente il valore della palazzina era intorno ai 1500 €/mq, dopo gli interventi di manutenzione si è arrivati a 5000 €/mq, un notevole miglioramento che ha permesso di rivalutare un'architettura che altrimenti sarebbe andata persa.

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del palazzo Massimo alle terme e della palazzina di Libera ad Ostia.

Il 30 Maggio 2012 siamo andati a visitare Palazzo Massimo alle terme, oggi sede di uno dei quattro Musei Nazionali, con l’intento di analizzare e valutare l’intervento di riqualificazione dell’edificio.

L’edificio nasceva come convitto e collegio alla fine dell’ottocento; la sua successiva rifunzionalizzazione comportò la necessità di modificare gli interni per meglio adattarli ad un linguaggio espositivo, così si scelse di smontare e rimontare i solai originari per ridurre gli interassi dei piani, non solo per potervi porre gli uffici, ma anche ai fini pratici della musealizzazione, in quanto uno spazio molto alto può risultare dispersivo e distraente. Altro aspetto molto importante fu quello legato alla sicurezza, a questo proposito scelsero di adottare dei dispositivi non invasivi all’interno delle sale, per non interferire nella visione delle opere, mentre le scale esterne furono realizzate in ferro e poste sul retro dell’edificio. In questo caso il risultato, non è dei migliori, la scala antincendio è troppo massiccia e imponente e non dialoga minimamente con il resto dell’edificio, in totale antitesi con le accortezze prestate per le sale interne.

Per quanto riguarda l’allestimento vero e proprio abbiamo analizzato la sala del teatro, questa sala una volta era il teatro del collegio, la sala è molto alta così per ridurre lo spazio, ma nello stesso tempo permettere ad un pubblico interessato di percepirne le originali dimensioni hanno scelto delle controsoffittature aperte e dinamiche, la soluzione però non riesce adeguatamente nel suo intento, in quanto le luci poste sui pannelli e la loro vicinanza alle pareti non permettono la visione dell’insieme; per il resto della sala hanno scelto dei giochi cromatici sul tono del grigio per meglio esaltare le candide statue, e in questo caso trovo la scelta corretta e di effetto.

La particolarità nell’allestimento sta nella voluta differenziazione delle sale, ogni ambiente ha un suo tema e un suo particolare allestimento, che varia tra i colori delle pareti, le altezze o particolati tensiostrutture in grado di riprodurre, con particolari giochi di luce, l’alternarsi delle ore, riproponendo il ciclo solare soprattutto nella sezione della mostra dedicata ai resti di Villa Farnesina e della Villa di Livia, mostrando una particolare cura nei dettagli espositivi.

I lavori costati 500.000€, in parte stanziati dalla sovrintendenza, hanno interessato gran parte delle sale espositive e nel loro complesso hanno cercato, nei limiti del vincolo, di attuare dei lavori di allestimento che fossero il meno invasivi possibile, a mio avviso ben riusciti nelle sale interne, meno per quanto riguarda il rapporto tra sicurezza e  facciata esterna.

L’altro edificio preso in considerazione è la palazzina di Libera ad Ostia, costato complessivamente 200.000€, ad opera di privati e quindi un budget che non lasciava spazio ad errori. L’architetto Rinaldi, che si è occupata dei lavori ci ha spiegato le difficili condizioni in cui versava l’edificio, in quanto essendo di privati e non sottoposto a vincoli era abbandonato a se stesso. Il lavoro si è incentrato soprattutto nelle aree comuni, compresa la facciata. Questa versava in condizioni critiche a seguito di una tinteggiatura al quarzo veramente dannosa, in quanto dopo alcuni anni provoca delle “esplosioni di intonaco”, lasciando profonde lacune. Ciò ha comportato un lavoro di rimozione delle superfici intonacate e ripristino di un intonaco biologico del colore iniziale, attenendosi alle fonti e alle analisi di laboratorio; altro intervento ha riguardato la rimozione e sostituzione delle ringhiere, poiché la tinta al quarzo aveva portato in superficie i ferri di ancoraggio, proponendo una zincatura a caldo perché ha migliorie resistenza alla salsedine, però per errore del fabbro sono stati costretti a rifarle, mentre quelle sul fronte laterale sono state realizzate più corte di circa 20 cm. Sono stati sostituiti gli infissi dove possibile e la recinzione, sulla base dei disegni originali. La comparsa di micro fessure ha comportato una nuova ritinteggiatura delle facciate, con preventivo lavaggio, in modo da far aderire meglio l’intonaco lavando le impurità.

Questi “doppi” interventi sono andati a discapito di altri, in quanto sarebbero andati oltre lo stretto mergine del budget. D’altro canto il restauro ha significato una sostanziale riqualificazione dell’edificio.

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del palazzo Massimo alle terme e della palazzina di Libera a Ostia.

I due casi che abbiamo analizzato di interventi di restauro o ripristino di edifici di valore storico, ci hanno posto di fronte alle diverse problematiche e tematiche che si devono affrontare quando si interviene nel costruito.

Per quanto riguarda il caso del palazzo Massimo alle Terme, l’intervento avviene su un edificio di fine ottocento, la cui primaria funzione era quella di collegio e che oggi, invece, è diventato la sede centrale del Museo Nazionale Romano.

La visita in loco, guidati dall’architetto Celia, ci ha fatto comprendere quali intenti e quali diffocoltà hanno caratterizzato l’attuazione del progetto di restauro. Molta attenzione è stata posta verso l’allestimento dei diversi ambienti che compongono il percorso di visita del museo. Si è cercato di creare degli spazi adatti a valorizzare gli oggetti antichi, senza alterare in maniera eccessiva gli ambienti che li ospitano, rispettando la loro storia e senza negare la loro vecchia funzione. Un caso esemplare è, per esempio, la sala dell’ex teatro dove, nonstante le scelte di trattamento delle superfici con colori diversi dagli orginali e l’inserimento di impianti di illuminazione applicati su pannelli sospesi dal soffitto che vanno a diminuire il volume dell’ambiente, si cerca di mantenere l’impianto originario che viene richiamato anche dai balconi correnti lasciati in vista.

Per quanto riguarda la riproposizione di affreschi o mosaici, si è cercato di ricreare gli ambienti per come erano originariamente in modo da rendere i pezzi antichi intellegibili, anche con il supporto di impianti di illuminazione posti in copertura che vanno a riprodurre la variazione della luce per come è percepita durante l’arco di una giornata.

L’attenzione primaria è posta sempre verso la valorizzazione dei pezzi antichi, ciò, però, non può ignorare delle necessità pratiche, di tipo economico, di sicurezza, ecc, che invitabilmente obbligano a scendere a dei compromessi. In questo caso i lavori sono stati in parte finanziati dalla Sovrintendenza, ed i committenti pur avendo presentato ogni tanto delle perplessità riguardo alcune scelte di progetto, si sono mostrati abbastanza aperti al dialogo ed attenti a scelte colte e studiate.

L’imminente inaugurazione della mostra temporanea “I regni immaginari” ospitata in un’ ala del museo, ci ha fatto comprendere “dal vivo” quanti problemi possano sorgere in fase di attuazione di un progetto.   

Per quanto riguarda, invece, la palazzina di Adalberto Libera ad Ostia,si passa ad un progetto che, a differenza del caso precedente, tratta interventi prevalentemente su spazi esterni, all’aperto. La palazzina che negli anni 30 del Novecento, si presentava come un gioiello del razionalismo italiano, dopo circa sessant’anni di vita era ridotta in stato di forte degrado e rischiava l’abbattimento per motivi di sicurezza poichè considerato un edificio pericolante.

In questo caso l’intervento è stato spinto dalla volontà di riportare questo edificio, se non alla bellezza originale, almeno ad uno status decoroso. Tramite il percorso dell’ante e post restauro proposto dall’architetto Rinaldi, abbiamo compreso come i lavori di restauro abbiano incontrato, sin da subito, diversi ostacoli.

Il badget disponibile per i lavori di restauro era molto limitato, così i vari imprevisti in corso d’opera, hanno comportato delle scelte sugli interventi da compiere più urgenti.

In una manutenzione ordinaria degli anni 70/80 circa, sulle superfici esterne dell’edificio è stato steso un intonaco di rivestimento contente quarzo plastico, questo ha compromesso fortemente le facciate che con il tempo hanno riportato importanti distacchi di parti di intonaco, dovuti alla poco traspirazione delle murature. La rimozione di questo strato di intonaco ha gravato molto sulle spese di cantiere. Tra le varie accortezze portate avanti negli ultimi lavori, c’è stata invece l’attenzione alla durabilità degli interventi e comunque alla previsione di una manutenzione poco frequente e onerosa.

Un problema da non sottovalutare, quando si lavora su edifici privati, è il rapporto con i proprietari. In questo caso, pur essendo soltanto tre condomini, è stato difficile far comprendere l’importanza di certe scelte di cantiere, soprattutto perchè le spese ricadevano principalmente su questi. Non sempre si collabora con persone con una sensibilità culturale che permetta di rendere comprensibile l’intento di un progetto di restauro filologico. Ed è anche vero che il valore degli appartamenti che, prima del restauro era di 1500 €/mq è diventato di 5000 €/mq, cifre che non si possono sottovalutare. L’edificio di Libera, sebbene sia considerato un elemento di valore storico ed artistico non è soggetto a vincoli di nessun tipo e non si è potuto usufruire di nessun tipo di finanziamento pubblico. E’ stata, infatti, necessaria la ricerca di uno sponsor, che però è riuscito a sostenere le spese in modo consistente.

Anche in questo caso, gli imprevisti in fase di attuazione non sono mancati, un esempio sono le ringhiere dei balconi che dopo essere state montate sono arrugginite in breve tempo. In questo caso, oltre all’imprevisto in se, il fatto di dover rifare da capo le ringhiere ha comportato delle spese non previste che hanno inciso sugli altri interventi previsti.

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del Palazzo Massimo alle Terme e della Palazzina di Libera ad Ostia

 

Un progetto di allestimento museale in una struttura ottocentesca al centro di Roma ed un intervento di restauro su un edificio di architettura moderna ad Ostia: seppure questi due esempi possano sembrare molto distanti ci sono alcune caratteristiche comuni che si ritrovano nel metterli a confronto.

Palazzo Massimo è un edificio ottocentesco, nato come convitto e trasformato in museo dalla Soprintendenza nella metà degli ’80 del Novecento. La nuova funzione si è ben presto rivelata incongrua per il tipo di fabbricato in cui doveva essere inserita. L’edificio ha dovuto subire una serie di trasformazioni di adeguamento che hanno alterato l’architettura originaria e gli ambienti si sono rivelati di dimensioni esigue per essere usati come spazi espositivi.Il primo allestimento è stato curato dall’architetto friulano Costantino Dardi che ha organizzato il percorso museale, studiando un sistema di illuminazione con pannelli orientabili in reticoli tridimensionali.Il risultato, ancora visibile in alcune sale, non metteva però in risalto le opere che si confondevano tra le pareti bianche e le basi in marmo chiaro. L’intervento dell’architetto Carlo Celia, che insieme a Stefano Cacciapaglia si è occupato non solo del progetto ma anche della direzione dei lavori, si inserisce in questo contesto. La prima difficoltà incontrata è stata quella di dover operare in una struttura già fortemente caratterizzata ed organizzata. Si è proceduto quindi per compromessi ma senza rinunciare ad alcuni principi fondamentali, come il rispetto per le caratteristiche architettoniche degli ambienti: i nuovi elementi sono stati progettati in modo da lasciare la visibilità della funzione originaria senza che l’allestimento risultasse per questo di minore forza espressiva.  Lo studio del colore e delle superfici per ottenere visuali preferenziali, la cura dell’illuminazione, una più coerente disposizione delle opere sono alla base del nuovo allestimento. La mancanza di finanziamenti non ha permesso purtroppo di operare in tutto il museo: l’intervento è stato quindi limitato ad una sola parte del museo e si è ottenuta una differenziazione forzata tra sale nuove e vecchie che potrebbe lasciare perplesso il visitatore.

 

Il secondo restauro riguarda una palazzina di Libera degli anni ‘30 sul lungomare di Ostia, curato dall’architetto Roberta Rinaldi che, come Celia, ha ricoperto anche il ruolo di direttore dei lavori. L’edificio versava in uno stato di fortissimo degrado, a causa della mancata manutenzione e del disinteresse degli inquilini, ed aveva perso qualsiasi tipo di attrattiva, divenendo anzi un elemento peggiorativo per l’intera zona. Alcune scelte sbagliate nel restauro precedente avevano contribuito ad alterare ulteriormente l’aspetto del complesso, che si mostrava con un intonaco color ocra ed una recinzione inadeguata. Lo studio dei disegni di progetto e della documentazione fotografica ha consentito di compiere un restauro filologico che riportasse l’edificio quanto più possibile al suo stato originario. Anche in questo caso l’esiguità dei fondi ha costituito un impedimento ed ha comportato una limitazione delle scelte nell’esecuzione. Ad Ostia, ancor più che nell’esempio precedente, è stata fondamentale la partecipazione del progettista nella direzione dei lavori. Nel cantiere si sono trovate una serie di difficoltà sia nel rapporto con l’impresa che con le maestranze (come ad esempio il fabbro), che hanno reso necessario un intervento diretto dell’architetto per risolvere gli errori che erano stati commessi. Questa molteplicità di problematiche che si possono presentare in fase di esecuzione, se non controllate, rischiano di portare ad un’alterazione del progetto.

 

Nei due esempi l’esigenza di avere un controllo completo, anche durante la fase di cantiere, appare quindi evidente. La supervisione del progettista ha infatti permesso di ottenere un risultato di qualità nonostante in entrambi i casi si sia operato con una disposizione economica ridotta che ha limitato le scelte in fase di progetto e di esecuzione. L’architettura dei due fabbricati era stata alterata e snaturata (nel caso di Ostia in modo sicuramente più drastico e preoccupante) ed il merito del restauro è stato di ridonare il valore e la qualità che nel tempo si era perduta.

 

 

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del Palazzo Massimo alle Terme e della Palazzina di Libera ad Ostia

 

Il Palazzo Massimo alle Terme e la Palazzina di Libera ad Ostia sono due edifici molto diversi diversi, tanto per le loro vicende storiche quanto per i loro destini, ma che hanno in comune un elemento forse apparentemente banale: Roma. Personalmente è questa l’unica città al mondo dove, girato l’angolo di qualunque strada, è possibile ritrovare le tracce di tante culture millenarie, giunte fino a noi in diverse forme. Questi manufatti sono in grado di suscitarci emozioni e sono uno strumento indispensabile per avvicinare chiunque alla conoscenza. Il loro “valore” economico, ma soprattutto estetico e morale, è tangibile a tutti ed è per questo che, accanto a tale parola, si dovrebbe sempre accompagnare quella di “tutela” del bene. Salvaguardare un’opera di architettura oppure di qualunque altra forma artistica è importante, tuttavia non sempre facile. Bisogna, infatti, cercare di conciliare la logica dell’epoca di realizzazione del manufatto con le esigenze della modernità e tutto questo comporta delle scelte, non sempre apprezzate.

E’ il caso del restauro effettuato al Palazzo Massimo alle Terme: edificio nato nell’ottocento per ospitare un collegio, abbandonato per un lungo periodo, si è ritrovato a dover ospitare una parte del Museo Nazionale Romano e dunque a dover cambiare la sua destinazione d’uso. Per far questo si è dovuto modificare l’interno dell’edificio, riducendo l’interasse tra i piani e convertire alcune aule presenti, nonché un teatro, così da ottenere spazi adatti per l’esposizione e per gli ambienti di servizio. Inoltre, per adeguare il fabbricato alle norme antincendio e alla buona fruibilità da parte degli utenti stessi, sono state inserite le scale di sicurezza nella parte posteriore della struttura e dei nuovi ascensori. Pertanto, esternamente l’edificio ha mantenuto il suo carattere ottocentesco, mentre all’interno è stato adattato alle nuove esigenze funzionali. Infatti, si è scelto anche di curare maggiormente l’esposizione delle opere stesse con l’uso di una nuova illuminazione e con una risistemazione delle collezioni, articolandole in modo tale da poter essere meglio apprezzate dai visitatori. Le scelte apportate per la realizzazione del progetto di rifunzionalizzazione del Palazzo Massimo alle Terme sono perfino fattibili da un punto di vista economico. Infatti, a fronte di una spesa sicuramente ingente, il ricavo auspicato si ritiene superiore ai costi, data l’importanza turistica e culturale del Museo Nazionale Romano. Sicuramente, l’edificio ha acquisito così una nuova “vita” ed è divenuto un bene di cui tutti possono godere in uguale misura, senza però modificare l’impatto visivo del fabbricato nel suo contesto urbano.

E’ importante conservare e comprendere il rapporto dell’edificio con l’ambito circostante e quando tale legame viene modificato, non solo il fabbricato perde la sua identità, ma anche l’ambiente adiacente ne subisce le conseguenze. Proprio com’è accaduto alla Palazzina di Libera a Ostia che, prima del restauro era segnata dall’ingrato destino di essere demolita poiché rudere. E’ possibile far “sparire dalla faccia della terra” un’opera così rilevante, realizzata da uno dei più grandi architetti del novecento? Come poter contrastare questa indifferenza nei confronti di opere di cui molte volte non si conosce la storia? Impresa molto ardua riuscire a sensibilizzare anche gli stessi condomini dell’edificio che, impossibilitati a pagare, si possono permettere di far degradare di un edificio così rilevante. Anche in questo caso è stata necessaria una scelta, una mediazione tra un problema economico e la conservazione di un bene comune. Ripristinando l’integrità dell’edificio, gli spazi comuni, l’involucro esterno e i balconi è stato possibile riabilitare la Palazzina. Fondamentale è stata la ricerca delle fonti e una loro accurata analisi in modo tale da poter comprendere pienamente le intenzionalità dello stesso Libera. Come nel precedente caso del Palazzo Massimo alle Terme, la fattibilità economica dell’edificio è sicuramente stata vantaggiosa. Infatti, il fabbricato ha acquisito un grande valore sia per i condomini, i quali, a seguito dei lavori, si ritrovano praticamente triplicati i costi al mq dei loro appartamenti, e sia per chi fa semplicemente una passeggiata per il lungomare di Ostia.

Da una scelta si può dunque decidere il “destino” di un bene, il suo “valore” e la sua “importanza”. Bisogna comprendere e far comprendere che qualunque manufatto ha una sua rilevanza e per questo deve essere tramandato ai posteri. Come noi abbiamo la possibilità di godere di tale bene, così ne hanno diritto anche le generazioni successive. Il nostro giudizio, anche più strettamente economico, è dunque alla base delle “scelte” che tutti dobbiamo fare. Preferendo una spesa per la conservazione si ottiene allora una convenienza non solo per un motivo finanziario, ma anche e principalmente per un motivo culturale. 

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi di palazzo Massimo alle Terme e della palazzina di Libera ad Ostia.

 

 

Il  restauro condotto dall’architetto Rinaldi presso una delle case di Libera ad Ostia mostra le numerose problematiche che possono insorgere anche in un intervento su un edificio moderno, che in questo caso era, ed è tuttora, soggetto a vincolo paesaggistico. Dal momento che l’abitazione non era tutelata, i lavori sono stati finanziati dai tre proprietari dell’edificio (i quali in un primo momento erano contrari al restauro) che hanno messo a disposizione un budget molto limitato di circa 200.000€. I lavori hanno riguardato solo l’esterno e gli ambienti comuni (come la scala); la presenza del vincolo paesaggistico imponeva di non modificare l’aspetto esterno della palazzina che però aveva già subito delle trasformazioni, non congrue con il progetto iniziale di Libera, che ne avevano alterato l’aspetto (una modifica tra le tante il color ocra-giallo dell’intonaco esterno che non rispecchiava l’immagine originale dell’edificio). Il doppio appalto ha comportato un aumento dei costi e quindi uno spreco di risorse che potevano essere sfruttate per migliorare alcuni interventi (come ad esempio la realizzazione delle pendenze sulla copertura dell’abitazione).

Nonostante i numerosi studi preliminari, sono però emersi diversi problemi durante la fase esecutiva.

Le ringhiere, attualmente in ferro zincato a caldo e verniciate a polvere, erano state realizzate in un primo momento con ferro prezincato che si era arrugginito dopo soli due mesi. E’ stato dunque necessario sostituirle determinando un aumento dei costi. 

La facciata, oltre ad avere (come detto in precedenza) un colore non congruo con il progetto di Libera, presentava un forte degrado dovuto agli interventi non corretti compiuti nella manutenzione straordinaria degli anni ’70-’80 durante la quale è stato utilizzato il quarzo plastico. Si è dunque dovuto spicconare la parete eliminando anche lo spesso strato di intonaco e ciò ha comportato l’utilizzo di impalcature che hanno inciso fortemente sui costi dell’intervento. E’ stato ripristinato l’intonaco bianco, il quale però al termine dei lavori ha mostrato delle cavillature, dovute probabilmente al diverso assorbimento dell’intonaco in alcune zone del prospetto. Il gruppo Keraton ha però fornito il materiale per rimediare al danno provocato.

Nell’intervenire si è pensato anche ad un piano di manutenzione. L’uso della linea Bio della Keraton per il rivestimento esterno consentirà di restaurare l’intonaco attraverso una ripittura e non una picchettatura, non richiedendo quindi l’utilizzo di impalcature, bensì di ponti mobili, che incidono in maniera minore sui costi.

Dai 1.500€/mq del 1999 (anno in cui un’ordinanza dei vigili del fuoco prevedeva di demolire l’edificio perché pericolante) si è passati, grazie ai lavori di restauro, ad un valore di 5.000€/mq favorendo in questo modo anche la riqualificazione dell’intera area.

Il vincolo economico ha fortemente condizionato anche il progetto di allestimento del Museo Nazionale Romano presso il Palazzo Massimo alle Terme, condotto dagli architetti Cacciapaglia e Celia. Il costo complessivo del progetto, finanziato in parte dalla Sovraintendenza, è stato di 500.000€ ed ha interessato 600 mq di sale espositive. Altro fattore immutabile dei lavori, oltre ai costi, era rappresentato dalla data di inaugurazione del museo, avvenuta il 19 dicembre del 2011. Il progetto, che si fonda sul recupero di elementi della tradizione e della storia (e dunque anche sui restauri di Costantino Dardi condotti alla fine degli anni ’80 del ‘900) ha puntato alla realizzazione di un “allestimento invisibile” che valorizzasse le opere d’arte. L’ incombenza della luce (o troppo piatta, o abbagliante), i supporti non adeguati per il materiale di cui erano costituite le statue, le proporzioni non armoniche delle sale, il colore bianco delle pareti  che non faceva emergere il marmo delle sculture, non permettevano una facile lettura degli oggetti esposti e non consentivano dunque di far ammirare i dettagli delle opere. Il progetto si è concentrato sullo studio dei percorsi, sulla giusta collocazione delle sculture e sulla realizzazione di sale che mettessero in risalto le opere d’arte, facendo attenzione all’uso dei colori (per pareti, soffitti, supporti), ma soprattutto all’illuminazione, studiata e pensata per ogni singola opera esposta. Sale espositive che quindi si “adattano ed adeguano” alle necessità delle opere, divenute le vere protagoniste dell’allestimento grazie all’intervento non solo di architetti, ma anche di storici dell’arte e archeologici, il cui confronto/scontro ha portato al pieno successo del progetto.

 

 

Prime impressioni di fattibilità: i casi di palazzo Massimo alle Terme e della palazzina di Libera a Ostia

I due progetti analizzati fino a questo momento prendono in esame due realtà tra loro molto diverse ma che progettualmente e dal punto di vista della realizzazione, affrontano le stesse problematiche dal punto di vista tecnico e dal punto di vista economico.

Si può dire che dal punto di vista strettamente progettuale il caso della rifunzionalizzazione del Palazzo Massimo alle Terme ha comportato molte modifiche alla struttura originale: costruito come sede di un collegio, fu adibito a sede del Museo Nazionale Romano, come accadde per palazzo Altemps, le Terme di Diocleziano o la Crypta Balbi. Questo cambio d'uso ha provocato irrimediabilmente degli adattamenti necessari per adempire alle richieste delle normative vigenti per gli edifici di uso pubblico.

Oggi questo palazzo appare nelle sue fattezze originali nella facciata principale neo-rinascimentale, totalmente intatta, ma mostra i segni degli interventi nel prospetto posteriore su cui si è malamente “attaccata” una scala antincendio in acciaio.

I segni delle trasformazioni avvenute sono visibili anche all'interno sopratutto nella scansione verticale dei piani. Come ci è stato descritto dallo stesso architetto incaricato dei lavori infatti, negli interni si è molto lavorato per curare un allestimento congruo per le opere esposte ma che al contempo garantisse la sicurezza all'interno del museo. Per fare questo si è inevitabilmente mascherata parzialmente la vera natura delle sale interne che in parte appaiono ridotte e ribassate. Certo è che in alcune sale, come ad esempio la sala del teatro, si è cercato di far rimanere intatta e visibile la funzione originaria dello spazio.

Seppure l'esito risulta molto gradevole e ben fatto dal punto di vista espositivo e dal punto di vista della fruizione delle opere esposte, mi sento di dire che affrontando una rifunzionalizzazione di un edificio storico di tale pregio e importanza (edificio ottocentesco costruito sui terreni dapprima di Sisto IV, poi del Card. Montaldo-Peretti), si dovrebbe rispettare maggiormente l'immagine e la struttura, anche intesa come successione spaziale, dell'opera su cui si va ad operare.

Naturalmente essendo un progetto temporalmente posteriore ad un altro, mi rendo conto che intervenendo su un opera già rimaneggiata i progettisti abbiano dovuto confrontarsi con modifiche e stravolgimenti planimetrici e spaziali attuati dai precedenti interventi.

Detto questo vorrei risalire per così dire “a monte del problema”: vorrei sottolineare il fatto che tali interventi dovrebbe essere curati con maggior diligenza dalla stessa Soprintendenza, ossia dovrebbe essere messa maggior cura o maggiori vincoli sugli edifici destinati a tali funzioni per evitare che si attuino trasformazioni irreversibili su edifici storici o di particolare pregio. Si dovrebbero destinare quindi funzioni congrue a congrui edifici o viceversa.

Ritengo che parte di questo stesso problema sia alla base delle difficoltà riscontrate agli inizi del progetto di restauro per la palazzina di Libera: ritenuto edificio di pregio storico e artistico, universalmente noto e visitato da turisti, presente su molti se non tutti i libri di architettura moderna, non può essere finanziato dalla Sovrintendenza nel suo necessario, se non vitale, intervento di restauro perché non sottoposto a nessun vincolo di tutela.

Come ci ha ampiamente spiegato l'architetto Rinaldi quello attuato sulla palazzina di Libera è un progetto di restauro che mira alla conservazione della memoria di un “pezzo” di architettura storica, per molto tempo dimenticata e resa, al momento degli interventi, irriconoscibile. Prima degli interventi sono stati condotti saggi e ricerche al fine di trovare risposte circa l'aspetto originario di questa architettura e le successive modifiche che questa aveva subito.

Ritengo questo punto notevolmente importante in quanto se problema principale era quello di diminuire e contenere il più possibile i costi, indagini conoscitive attente rendono meno probabili errori deleteri in tempi successivi ai costi complessivi.

Il progetto di restauro penso sia totalmente rispettoso del progetto di Libera in quanto, come ci è stato illustrato a lezione, nonostante le difficoltà si è cercato di riproporre dettagli e caratteristiche perché figlie di un determinato modo di pensare all'architettura.

 

 

 

Prime impressioni sulla fattibilità: i casi del palazzo Massimo alle terme e della palazzina di Libera a Ostia.

 

Nell’ambito dello studio del restauro si è cominciato a parlare dei costi di un intervento e della sua realizzazione. Per osservare sul campo due diversi tipi di approccio ci sono stai presentati gli esempi di palazzo Massimo e della palazzina di Libera a Ostia.

La prima ha avuto costi elevati, ma giustificati in quanto bisognava adeguare il precedente assetto dell’edificio, che era un collegio e convitto scolastico che all’interno comprendeva un teatro, aule per le lezioni e uffici; spazi lontani da uno sfruttamento museale e non adatti alla visione delle opere. Anche dal punto di vista delle norme anti incendio il palazzo è stato adeguato, modificando la facciata posteriore con due grandi scale anti incendio e l’assetto interno con ascensori e nuovi vani di servizio.

Una seconda ala è stata occupata da uffici della soprintendenza, i quali necessitano di un assetto ancora differente, sono stati spostati i solai e inserito nuovi spazi de servizio.

Nell’ultimo intervanto sono state apportate ulteriori modifiche all’assetto museale, inserendo nuove tecnologie e studi sulle visuali e sul colore usato.

Il primo allestimento non accentuava l’importanza delle opere esposte all’interno, e le scelte che erano state fatte erano anonime e poco incisive. Con il nuovo allestimento si è cercato di creare un ambiente che aiuti il visitatore a osservare le statue e gli affreschi al cambiare della luce del giorno. La scelta forte nel progettare l’allestimento di questa sezione riguarda l’illuminotecnica che fa ricorso a led e sistemi biodinamici: il visitatore potrà finalmente apprezzare i colori degli affreschi come li ha visti chi li dipinse e chi visse in quegli spazi

Con interventi mirati si è migliorata moltissimo la capacità comunicativa. I costi sono sicuramente più elevati dell’intervento a Ostia ma giustificati dall’importanza dell’oggetto su cui si sta intervenendo.

Per quanto riguarda la palazzina di Ostia l’intervento era necessario a salvaguardare una parte della nostra storia dell’architettura contemporanea. Con un intervento di costo limitato si è andato a riqualificare una parte del lungomare di Ostia e a rivalutare moltissimo l’edificio riportandolo quasi al suo stato normale.

L’intervento poteva essere realizzato sia a livello economico che per le conoscenze di base che si possedevano ed è risultato conveniente al fine della conservazione e della riqualificazione, rispecchiando al meglio la fattibilità del progetto.

L’incuria degli inquilini stava portando l’edificio al decadimento più totale, si stava pensando anche di demolirlo, e già alcune parti si stavano degradando in maniera irrimediabile.

Tramite uno studio filologico e accurato che ha cercato di unire diverse figure professionali per il miglio risultato possibile, si è riportato alla luce il vero spirito della palazzina, eliminando la rozza declinazione che era per giunta fino a noi.

Entrambi gli interventi che abbiamo avuto la possibilità di osservare sono andato a modificare uno stato che era arrivato a noi, ma per palazzo Massimo si è andati a modificare in maniera diversa da come era nato il palazzo e dal precedente assetto museale, mentre per Ostia si è andati a cercare l’aspetto iniziale. Il fine era diverso quindi ma l’iter che si è seguito ha sempre cercato di andare a migliorare l’assetto precedente.

Laboratorio di Progettazione Architettonica e Urbana 3B_prof: Palmieri_ stud: Onorati Davide

Area di progetto

L'area di progetto è posta nel quartiere Portuense, compresa tra gli Ambiti di valorizzazione previsti dal vigente PRG di Roma. Allo stato attuale si presenta come un vuoto urbano generato dalle lottizzazioni edilizie residenziali deglia anni '70. Le palazzine circostanti sono poste su terrazzamenti realizzati per ovviare con semplicità al problema orografico del territorio che si presenta leggermente acclive. Questa caratteristica ha contribuito a conferire individualità agli edifici, accumunati solo dalla stessa tipologia e materiali utilizzati. 

L'area è di forma trapezoidale delimitata ad est da via Belluzzo, allineata con la linea FR1; a sud dal fabbricato ottocentesco del convitto scolastico "Vigna Pia"; a nord da via Greppi; a est da via Pellati, posta ad una quota mediamente più alta di 5 metri rispotto a via Belluzzo.

Il lato su via Belluzzo è in gran parte aperto sulla valle del Tevere sottostante, offrendo una vista su San Paolo, il quartiere dell'EUR, fino ai colli Albani.

 

 
 
 

Progetto di riferimento

140 Social Housing in Monte Hacho, Ceuta, Spagna

MGM arquitectos

superficie costruita a terra: 1484mq

costo complessivo dell'opera: 10.200.000euro

progetto: 1998, concorso Europan V, primo premio

completamento lavori: 2010

La zona dove sorge il progetto è una ex-cava, posta su un terreno acclive esposto a forti venti e aperto sul panorama dello stretto di Gibilterra. Le abitazioni sono dislocate in 41 unità monofamiliari a corte, e 6 blocchi a torre. Le abitazioni hanno tutte uno spazio esterno al quale viene data la stessa importanza di quello interno. Le unità monofamiliari hanno accesso direttamente dalla strada, e hanno una diretta relazione con il terreno sul quale sono costruite. Le torri sono caratterizzate da spazi open-air che senza sporgere dal volume, garantiscono illuminzaione e areazione alle abitazioni, e costituiscono anche diagonali visive verso il panorama.

 

 

Descrizione intervento

L'intervento si riferisce tipologicamente all'esperienza di Monte Hacho, mediante la realizzazione di unità abitative a corte e tre torri. Il programma edilizio prevede la realizzazione di 5 taglie differenti:

8 alloggi da 100mq

10 alloggi da 75mq

10 alloggi da 50mq

8 alloggi da 35mq

10 alloggi da 20mq, pensati per studenti o ospiti temporanei, per i quali vanno progettati anche 100mq di servizi comuni

500mq di negozi

Gli alloggi più grandi da 100mq e 75mq, saranno dislocati nelle tipologie a corte mentre gli altri nelle torri. Linsieme è unito da un sistema di percorsi pedonali, adagiato sul suolo in pendenza, che districandosi tra i volumi crea effetti di compressione e dilatazione generanti piccole piazze, luoghi di aggregazione o semplicemente di passaggio che offrono scorci sul panorama romano. L'obiettivo oltre a creare alloggi, è quello di completare il tessuto edilizio e di percorsi esistente, collegandosi anche alla sottostante piazza Antonio Meucci.

L'impronta a terra del progetto preliminare è di circa 1900mq

La superficie del lotto è di circa 12000mq

 

 
 
 
 

 

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