Architetture: grandi affari oppure entità rappresentative?

 

C’è un uomo che guarda soddisfatto la “sua” fontana e gli si avvicina un turista italo-americano incuriosito. L’uomo si presenta: “Salve, sono Antonio Trevi, il proprietario di questa Fontana”.

Naturalmente, stiamo parlando dell’indimenticabile scena tratta dal film “Totòtruffa ‘62” in cui alla fine il visitatore credulone è convinto di aver comprato la Fontana di Trevi, un bene pubblico e appartenente allo Stato. La scelta di tale riferimento, non è casuale, ma è dettata dalla riflessione sulla situazione di tanti beni demaniali, cioè gestiti dalla Pubblica Amministrazione, che sono da tutti riconosciuti come proprietà di interesse storico, ma allo stesso tempo, a causa dei problemi economici e della “crisi”, sono lasciati deperire lentamente. Il visitatore sarebbe ancora disposto a comprare la Fontana di Trevi se fosse stata modificata oppure lasciata al degrado delle intemperie? La “riconoscerebbe” ancora?

La stessa riflessione la possiamo fare sul Foro Italico, discusso simbolo di una realtà idealista, che però fa parte integrante della nostra città ed è capace di trasmetterti delle emozioni uniche. Non scorderò mai l’ingresso che ho fatto, come volontaria, all’interno dello Stadio dei Marmi, insieme alle delegazioni partecipanti alle Special Olympics. E’ stata un’occasione che mi ha dato la possibilità di “essere osservata” dalle statue di marmo che coronano lo stadio e di poter “vivere” il Foro Italico non solo come visitatrice, ma come parte integrante di questo simbolo architettonico. Il problema è proprio questo: noi vediamo gli oggetti da lontano senza capire che questi fanno parte di noi e sono una realtà da cui noi stessi deriviamo. Ecco perché dovremmo porci delle domande quando vediamo la Casa delle Armi, un capolavoro di Luigi Moretti, cadere letteralmente a pezzi. Elemento di discordia, è stato più volte aggredito e deturpato, senza comprenderne il suo valore intrinseco. E’ come se questo edificio fosse un malato terminale e noi dovessimo decidere se farlo morire e dunque abbatterlo oppure tentare di recuperarlo, investendo su di esso. Il problema è proprio questo: chi è disposto a dare i soldi necessari, circa 15 milioni, per tentare di riporte la Casa delle Arme alla sua forma originaria? Bisogna fare una scelta. Infatti, la stessa parola “restauro” comporta una valutazione critica che può indurre ad una modifica della conformazione materica e morfologica diversa. L’atteggiamento con cui ci poniamo di fronte ad un’opera può essere di rispetto dell’attuale conformazione dell’opera stessa oppure di modifica della sua forma, attraverso un intervento diretto, a favore però di una miglior comprensione dell’architettura e del pensiero dall’architetto che l’ha creata. Sicuramente sarebbe possibile tentare di recuperare filologicamente la Casa delle Armi, grazie ad uno studio dei disegni progettuali di Moretti stesso, ma il problema resta sempre quello economico e così l’edificio rimane sospeso in un “limbo”.

Ormai le nostre azioni sono portate avanti solo se dietro c’è un “grande affare” e non perché le architetture sono entità che ci rappresentano e ci appartengono. Questa è proprio la situazione che ha condizionato gli interventi sullo Stadio Olimpico dove le leggi, facilmente scavalcabili, non hanno impedito delle modifiche incongrue sia rispetto alla storia della struttura, sia al suo significato sportivo e culturale. Infatti, l’ampliamento degli spalti e l’inserimento della copertura hanno condizionato non solo l’area del Foro Italico, ma anche i quartieri limitrofi. Perché non è stata realizzata una nuova struttura in un altro luogo? Perché non si è preso esempio dai nostri vicini europei?

Sicuramente non è sempre negativo l’accostamento tra il vecchio e il nuovo, anzi molte volte un edificio antico può essere esaltato dal nuovo e può far meglio comprendere la sua essenza, ma non a discapito dell’architettura stessa. L’edificio deve essere riconoscibile da tutti in quanto elemento culturale e portatore di un messaggio. La fruizione odierna deve essere rispettosa del lascito di una cultura precedente e gli interventi di recupero del patrimonio esistente, classificati nella legge 457/78, devono tener conto delle permanenze, così come i procedimenti di stima, sia nel procedimento sintetico-comparativo che in quello analitico-ricostruttivo. A partire dai restauri già eseguiti su un’opera analoga, si possono trarre delle conclusioni immediate, ma questo può anche comportare una incertezza nella stima a causa dell’eterogeneità delle variabili come i vincoli normativi, i materiali costruttivi originari, la tipologia del restauro, lo stato di conservazione dell’immobile, gli elementi di pregio architettonico, la configurazione plani-volumetrica.

Ecco perché bisogna tener conto del processo produttivo e quindi della quantità e qualità monetaria di tutti i fattori. Occorre pervenire ad indicazioni che permettono di valutare la convenienza del progetto e i benefici che se ne possono trarre. L’architettura è, infatti, un bene utile e accessibile su cui si può e si deve investire per rendere più “efficienti” le risorse. Noi dobbiamo essere in grado di orientarle, identificando preventivamente le possibili criticità, in modo tale da comportare un effetto benefico su tutta la collettività. Quindi, non si può solo pensare all’affare, ma all’importanza, alla rilevanza che il possedimento ha su ciascuno di noi, in quanto nostra entità rappresentativa e culturale.

Considerazioni sulle ultime due lezioni di estimo

L’architettura Razionalista e la Damnatio Memoriae

Negli anni Venti e Trenta in Italia nel difficile clima politico e culturale si fa strada, per iniziativa dei giovani del «Gruppo 7», l’interesse al «movimento moderno». Ne fanno parte Giuseppe Terragni, Gino Pollini, Luigi Figini, Sebastiano Larco, Carlo Enrico Rava, ai quali si aggiunge Adalberto Libera.

Luigi Moretti fu un esponente di primo piano del gruppo di architetti che costituirono l'avanguardia, in quella formidabile stagione dell'architettura italiana.

Una delle opere più significative della produzione di Luigi Moretti è la Casa delle Armi al Foro Italico progettata nel 1934 e costruita nel 1935. E’ il primo edificio dopo l’età classica completamente rivestito in marmo lunense.

La vicenda dell'edificio  è caratterizzata da vicissitudini rocambolesche: non entrò mai pienamente in funzione, fu dimenticato sino agli anni Ottanta, quando venne riadattato ad aula bunker per i processi al terrorismo, subendo così tante modificazione che ne rendono molto difficile il recupero.

 Si tratta di un tesoro architettonico e urbanistico completamente rimosso dal dibattito culturale odierno, la cui sfortuna è stata solamente quella di essere stato realizzato in un periodo storico brillante dal punto di vista artistico, ma scuro dal punto di vista politico.

Ma è solo un’architettura italiana e fascista?

Per chiarire tale concetto si fa riferimento all’architettura dello stesso periodo storico di altre capitali estere. Infatti la Parigi di quei tempi era quella del fronte popolare di Lèon Blum e guardando le architetture dello stesso periodo possiamo notare molti caratteri in comune. Nella Washington di Franklin Roosevelt, l’architettura federale segue la medesima cifra architettonica dell’Italia di Mussolini, la Federal Reserve ha gli stessi ritmi dei palazzi di Roma o di Milano. Uno stile internazionale, dunque, che ha il suo centro di nascita in Italia.

Era un’architettura fatta per durare nei secoli, non era fascista, ma divenne un aulico modello internazionale.

Dopo il lungo periodo, di natura sostanzialmente morale e politica, opposto a tale architettura, molti in Italia hanno cominciato ad analizzarla senza i pregiudizi e stereotipi ideologici, e a rivalutarne il valore architettonico; quel valore che ha reso l’Italia capace di esportare a livello internazionale un modello architettonico.

Il Vecchio e il Nuovo

Una antica polemica riconosceva  contrapposti due campi in cui si vedevano schierati da un lato i sostenitori di una sostanziale libertà di comportamento dell’architetto nei confronti dell’antico, da subordinare ad un progetto del nuovo in cui permangono eventualmente le tracce di ciò che un tempo sussisteva. L’antico riletto ed interpretato viene ricondotto al moderno. Viene effettuata un’operazione selettiva frutto di un implicito giudizio critico attraverso la sensibilità del progettista. Viene in mente la teoria del restauro critico, articolata da Roberto Pane e Renato Bonelli, con il “giudizio critico” e l’”atto creativo”.  

Sul fronte opposto c’è chi invece pone in primo piano l’autonomia dell’antico, la sua trasmissione al futuro, come portatore di valori irripetibili, come portatore del sentimento d’arte di una civiltà, testimonianza della capacità artistico costruttiva di una determinata epoca.

Paolo Marconi con Arte e cultura della manutenzione dei monumenti, del 1984, pone l’esigenza di comprendere l’architettura come testimonianza storica. Egli rifiuta la dialettica opposizione tra nuovo intervento e antica fabbrica e rifugge anche la necessità di distinzione tra nuovo e vecchio. Ritiene quindi necessario muoversi in una continuità governata dalle forme, dalle materie e dalle abilità costruttive. Da tutto questo nasce  l’esperienza dei Manuali del Recupero in cui l’elemento conoscitivo diventa un supporto e una guida sicura all’azione.

Il rapporto tra vecchio e nuovo è quindi un tema molto discusso in architettura. Ogni qual volta si interviene su qualche preesistenza storica ci si chiede fino a che punto debba spingersi l’incisività dell’architetto.

La questione del rapporto tra nuovo e antico, non cessa di essere d’attualità e continua ad alimentare il dibattito tra gli architetti e gli organi preposti alla tutela del patrimonio storico.

Su questo difficile rapporto si è cimentato Rafael Moneo nella progettazione del Museo del teatro romano a Cartagena. Moneo realizza all’interno del museo un percorso. Lungo il percorso si incontrano una serie di preesistenze, “trasformando frammenti di accadimenti appartenenti a epoche tra loro lontane in un tessuto ben ordito”.

In questo modo Rafael Moneo valorizza frammenti di storia della città offrendoli ai visitatori.

Un ulteriore esempio, di come l’architettura possa far emergere monumenti millenari portatori di valori storici che giganteggiano nella solitudine, rendendoli fruibili e conosciuti, è offerto da Peter Zumthor nel museo diocesano di Colonia.

L’edificio  sorge sulle rovine di un chiesa tardogotica distrutta durante la seconda guerra mondiale. Il bando del concorso prevedeva quindi l’inserimento nel museo dell’area archeologica e medievale. Zumthor ha, pertanto, concepito nell’area delle rovine una grande hall delimitata da dei bassi muri di mattoni in prosecuzione delle antiche strutture preesistenti.

Questi due casi mostrano come sia possibile all’architettura moderna rendere le città custodi del passato, oltre la separazione tra passato e futuro, e quindi superare la convinzione che «l’architettura moderna, proprio in quanto moderna, deve rispettare il carattere e l’autonomia di quella passata con la quale non ha più niente a che fare, né materialmente né spiritualmente».

 

recupero architettonico e relativi costi

 

Il restauro può avere diverse interpretazioni e declinazioni ma tutte si possono raggruppare in due grandi insiemi che identificano principalmente il comportamento del tecnico con l’oggetto: atteggiamento di rispetto che lascia tutto così com’è e la possibilità che si lascia l’architetto di poter  modificare l’oggetto studiato per migliorarne la qualità.

La legge dello stato italiano, dopo gli innumerevoli atteggiamenti che si sono susseguiti nel dopoguerra durante la ricostruzione post bellica, ha cercato di definire in maniera più o meno chiara come si possono catalogare gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente.

Già da tempo infatti si cercava di capire quale poteva essere il miglior modo di intervenire su edifici storici, infatti numerose sono le Carte che parlavano di restauro. A partire da quella di Atene del 1931, la carta italiana del recupero del 1932, le istruzioni per il restauro dei monumenti del 1938, la carta di Venezia del1964, la carta di Gubbio del 1960, fino alla carta del restauro del 1972.

Nel 1978 la legge suddivide e definisce 5 categorie di intervento:

- manutenzione ordinaria

- manutenzione straordinaria

- ristrutturazione edilizia

- ristrutturazione urbanistica

- restauro e risanamento conservativo.

Ora, una volta definito che  tipo di intervento abbiamo intenzione di andare a fare bisogna capire chi è disposto a pagare per questo, perché a tutti sta a cuore il nostro patrimonio, ma a ciascuno sta a cuore a modo suo. Tutto il resto del mondo ce lo invidia, ma noi pur avendo una volontà generale di conservarlo, ci manca ci manca la volontà di pagare, o almeno siamo disposti a pagare solo una minima parte dei soldi necessari alla conservazione. Una volta fatto il piccolo intervento, per “tirare avanti un altro po’” ci scordiamo di manutenere l’intervento che in pochi anni andrà nuovamente a deteriorarsi e sembrerà di non aver fatto nulla. Ovviamente l’intervento di restauro deve partire da uno studio approfondito dei documenti storici e dall’osservazione diretta del manufatto.

Ma esistono diversi tipi di interventi di restauro che vanno a intervenire in maniera più o meno forte sull’edificio: la manutenzione che cerca di prevenire i danni dovuti a cause di origine diverse, la conservazione che va a conservare uno stato di fatto, il ripristino che tanta di ricondurre l’oggetto a uno sto  originario e infine il restauro che può portare a fine lavori anche a una diversa condizione di destinazione d’uso, sempre, si spera, nei limiti di trasformazione che il manufatto riesce a sopportare senza essere stravolto.

Ogni uno di questi tipi di intervento ha un suo costo molto diverso che varia dal prezzo dei materiale, della manodopera e dalle ricerche preventive fatte.

Purtroppo le ricerche preliminari, come i rilievi di tipo materico, geometrico e strutturale, i sondaggi e le osservazioni chimiche,  sono quel tipo di spesa su cui si cerca sempre più di tagliare, a discapito molto spesso dei successivi interventi, che risulteranno magari inutili, dannosi e spesso anche del tutto irreversibili per l’oggetto, andando a peggiorare in modo definitivo la conservabilità e la trasmettibilità dell’oggetto alle generazioni future.

Per quantificare il costo di un intervanto si possono seguire numerosi procedimenti di stima, che in modo più o meno accurato cercano di dare in maniera preventiva il costo totale dell’intervento, per poi valutare se è vantaggioso o meno effettuarlo.

Il primo metodo che si può utilizzare è quello sintetico comparativo, che, tramite il confronto con un bene analogo di cui si conosce il costo, deduce il costo definitivo del nostro intervento.

Il procedimento analitico riconoscitivo che determina il valore di costo dell’opera tramite l’analisi del processo produttivo, quindi attraverso la quantificazione e l’apprezzamento monetario di tutti i fattori produttivi impiegati.

Il terzo tipo di procedimento è quello di tipo misto che acquisisce il valore di costo aggregando l’elaborazione di tipo analitico e i passaggi di tipo sintetico.

Ora utilizziamo l’esempio portatoci della casa delle armi al foto italico per capire se il restauro o ripristino siano sempre davvero utili e necessari, e non solamente uno sforzo enorme sia dal punto di vista finanziario che di altro.

Il progetto straordinario di Moretti, ricco si sperimentazioni rivoluzionarie per il periodo in cui è stato costruito, attraverso le quali si riesce a creare uno spazio vuoto che si riempie solo con la luce, utilizzata come elemento base per la progettazione dell’oggetto.

Tutto l’edificio è stato violentato negli anni per diverse motivazioni tra cui la principale è quella  politiche. Infatti è stato trasformato per esigenze in un tribunale di massima sicurezza e una caserma dei carabinieri. Trasformazione che ha portato a una frammentazione degli spazi interni e dei volumi interni, intaccando in maniera irreversibile le strutture che potrebbero collassare se non si togliessero le aggiunte con la dovuta attenzione e con il posizionamento di strutture provvisorie che sostenessero la copertura fino al termine dei lavori.

Ora il processo che si svolgeva al suo interno si è concluso e anche la caserma si è trasferita. Rimane solo l’ombra del primo edificio che nell’anima si sente ancora pieno di bellezza, ma che in realtà non fa più trasparire nulla.

Anche i rivestimenti in travertino curati nei minimi dettagli sono stati sostituiti e bloccai in maniera indegna perche dopo poco che l’edificio era stato concluso già erano cominciate a cadere le prime lastre, forse perche sottodimensionate o perche sostenute da grappe in rame che non concedevano loro la naturale dilatazione dovuta al calore.

I costi per il ripristino dell’opera di Moretti son stati stimati a diversi milioni di euro. Ora questi soldi sarebbero da andare a prendere nelle casse dello stato che in questo periodo però languono, e non c’è nessuno disposto realmente a pagare una tale cifra per rimettere a posto questa parte del foro italico. Sarebbe più conveniente demolire il relitto un calcestruzzo e ricostruirlo, anche perche il contesto che lo circondava si è anch’esso modificato, con l’inserimento di una cancellata e un parcheggio con rampa che va a infilarsi sotto terra accanto alla casa delle armi.

 

Considerazioni sulle lezioni di estimo

Venerdì scorso abbiamo affrontato il tema del foro italico, analizzando le varie trasformazioni dei singoli edifici e il loro utilizzo nel tempo. Ci siamo principalmente concentrati sulla figura di Luigi Moretti, fino a pochi anni fa criticato aspramente in quanto ritenuto un architetto di committenza. Il Foro italico infatti fu interamente finanziato dallo Stato nel 1933. Di Moretti abbiamo principalmente analizzata la casa delle armi, l’edificio sarebbe dovuto divenire la sede degli allenamenti di scherma, ma non entrò mai pienamente in funzione e nel 1974 venne trasformato nella sede del tribunale politico, con tanto di carcere, venne recintata e nella zona della biblioteca venne posta la caserma dei carabinieri, oggi spostata. All’interno vennero costruite 7000 mc di cemento e acciaio, alterando irrimediabilmente la struttura dell’edificio. Gli interventi all’esterno consistettero nella costruzione di una recinzione, mentre i paramenti in marmo, ormai instabili, vennero riattaccati alla facciata in malo modo, tanto da alterarne definitivamente l’immagine. Inoltre venne scavata una trincea per consentire alle auto di entrare direttamente nei luoghi del tribunale in sicurezza.

Oggi la struttura è completamente fatiscente in avanzato stato di degrado, tanto che le stime per un eventuale restauro sono molto alte, all’incirca 15 milioni di euro, tanto che alcuni ipotizzano sia meglio la demolizione dell’edificio.

Un altro edificio analizzato è lo stadio Olimpico di Annibale Vitellozzi realizzato negli anni cinquanta del novecento, sennonché in occasione delle Olimpiadi del 1960 vennero apportate delle modifiche sostanziali che hanno finito per alterarne il carattere dell’impianto, con la costruzione al di sopra di 14 m di copertura dello stadio anziché costruirne uno nuovo.

Oggi la lezione è iniziata con la lettura di alcuni brani tratti da “Architettura e restauro” di Bonelli, trattando alcuni temi, come quello dei costi del recupero, o il restauro come forma di cultura, ma anche il rapporto tra il vecchio e il nuovo.

La lezione di oggi verteva principalmente sul chiarimento di alcuni concetti fondamentali, ovvero quelli di manutenzione, conservazione, ripristino e restauro, analizzati sia dal punto di vista legislativo, in particolare la legge 457//78, articolo 31, e le definizioni del dizionario. Con il primo termine, manutenzione intendiamo quegli interventi volti alla prevenzione dei danni dovuti a varie cause, che può comportare anche modificazioni materiche e morfologiche. Per conservazione intendiamo la preservazione di ciò che c’è. Mentre ripristino racchiude le operazioni volte a riportare un edificio al suo stato naturale, infine con restauro si intendono quegli interventi che nel rispetto degli elementi tipologici ne consentono destinazioni d’uso compatibili con esso.

La cosa fondamentale che dobbiamo chiederci è Quanto siamo disposti a pagare per queste operazioni? Mi piacerebbe poter rispondere “qualsiasi cosa”, ma la realtà è ben diversa, poiché sembra che oggi siano solo gli “addetti ai lavori” e pochi altri “dotti” a preoccuparsi degli effetti dell’incuria sugli edifici e spesso, quasi sempre, questi non dispongono dei finanziamenti necessari.

Questo argomento ci ha introdotto il tema della stima del costo del recupero, questo processo avviene tramite 1) un procedimento sintetico – comparativo, dove il costo viene desunto dal confronto con opere simili; 2)un procedimento analitico comparativo, qui il costo è determinato dall’analisi dei processi produttivi ela quantificazione monetaria di tutti i fattori produttivi; 3) procedimenti “misti”, ovviamente è una stima che si avvale di entrambe le ipotesi sopra citate.

Per quanto riguarda il rapporto tra antico e nuovo abbiamo visto alcuni esempi, come il restauro del Partenone, fortemente criticato perché gli interventi attuali stanno ricostruendo i singoli elementi in ogni sua parte, personalmente non lo trovo disdicevole come atteggiamento anche a fronte di due considerazioni, la prima inerente ad un’analisi storica dei precedenti restauri, che ha visto soprattutto sotto la direzione di Balanos, un intervento fortemente distruttivo a causa dell’uso di materiali incongrui, che ha comportato un repentino degrado degli elementi, che ha costretto i restauratori di oggi a dover sostituire alcuni elementi originali, altrimenti ancora funzionanti; la seconda considerazione invece riguarda un aspetto pratico della fruibilità dell’opera, in quanto credo che non tutti siano in grado di comprendere appieno i “ruderi”, e forse una chiara lettura delle architetture, almeno quelle più significative, potrebbe coinvolgere un pubblico più vasto e forse ciò potrebbe servire come auto finanziamento di altre opere.

Riflessioni sulle ultime due lezioni del modulo di Estimo: Recupero architettonico e i relativi costi

 

Il restauro architettonico può essere definito come quella branca dell'architettura il cui fine è garantire la conservazione di un manufatto architettonico, per valorizzarlo e consentirne il riuso, mantenendo però vivo il suo valore storico. Le diverse tendenze metodologiche che caratterizzano il restauro architettonico si fondano sull'esistenza di due posizioni fondamentali: una dedita alla conservazione assoluta dell'edificio storico nella situazione in cui si trova e l'altra che legittima quelle ricostruzioni, anche se consistenti, dell'opera così com'era e dov'era.

In quest'ottica s'inserisce un ulteriore tema, a mio avviso fondamentale, quello del rapporto tra l'organismo oggetto di restauro, l'antico, e il nuovo intervento, il moderno. Il mutuo contrasto tra restaurare e rinnovare. Del resto non si può intraprendere il mestiere di architetto se non si tiene bene a mente questo binomio. Accenno a queste tematiche viene fatto dall'architetto Renato Bonelli nella sua monografia Architettura e Restauro; qui l'architetto definisce il restauro come "un processo critico e creativo", il cui scopo sarà ridare all'antico la pregnanza, persa nei tempi, e adeguarlo alla nuova fruizione.

Ma prima di proseguire nel discorso, è doveroso osservare anche ciò che la legge stabilisce in materia di restauro. Nel dopoguerra la legge 457/78 all'articolo 31 da una definizione di quelli che sono gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, classificandoli in:

·       interventi di manutenzione ordinaria;

·       interventi di manutenzione straordinaria;

·       interventi di restauro e di risanamento conservativo;

·       interventi di ristrutturazione edilizia;

·       interventi di ristrutturazione urbanistica.

Ad ognuno di questi interventi fa capo un costo. Ma quando questo fa riferimento ad un intervento di restauro di manufatto antico, quanto si sarebbe disposti a pagare per lo stesso? Quanto vale, in termini di costi, la conservazione di una memoria storica? Credo che non si possa  quantificare come cifra. Che si parli di restauro (architettura come opera aperta), di ripristino (architettura come documento storico) o conservazione (architettura come documento storiografico) bisogna tenere bene a mente che abbiamo il diritto di tramandare l'architettura che ci è stata lasciata nei tempi. Nonostante definisca non quantificabile il costo che si dovrebbe essere disposti a pagare a tale fine, viene da sé che questo può essere vero solo nella soggettività di ognuno ma non nella realtà. Alla realtà dei fatti il recupero di un bene costa. La stima è però incerta a causa dell'eterogeneità delle variabili che definiscono il valore finale, esso è costituito da:

·       vincoli normativi;

·       stato di conservazione dell'immobile;

·       elementi di pregio architettonico;

·       tipologia di restauro;

·       materiali costruttivi originali;

·       configurazione planivolumetrica.

Ma cosa succede quando i costi di recupero sono così elevati da impossibilitare quel processo di recupero di una memoria? Quand'è che non si è più disposti a pagare per un intervento di restauro?

E' il caso ad esempio della Casa delle Armi realizzata nel 1933 dall'architetto Luigi Moretti. Colpito per anni da una sorta di dannatio memoriae a causa del suo dichiarato schieramento politico, vicino all'ideale fascista dell'epoca, tutto ciò che ricordava il Ventennio doveva essere cancellato. Solo in tempi recenti le sue opere sembrano essere poste sotto una nuova luce.

Negli anni una serie di devastazioni del Foro Italico hanno profondamente compromesso l'intero complesso. Nel 1974 la Casa delle Armi, uno degli edifici più importanti del Foro, viene sottoposta ad un intervento di manutenzione straordinaria per ridargli "nuova vita"; si decise di cambiargli destinazione d'uso destinando una parte a carcere e tribunale politico e un'altra a caserma dei carabinieri. Ben 7000 mc vengono costruiti all'interno di un'architettura che era stata concepita sulla scia della poetica dei vuoti. Forse una delle più gravi deturpazioni di un bene pubblico da parte di un'epoca la cui cultura architettonica si è rivelata più che superficiale. Proprio a causa di questa superficialità si è definito impossibile porre rimedio a tali danni, le nuove strutture hanno infatti irrimediabilmente corrotto la struttura originaria in cemento armato rendendo i costi di recupero altissimi.

Stessa sorte spetterà negli anni Novanta allo Stadio Olimpico. Costruito in occasione delle Olimpiadi del 1960, nel 1990 sarà pesantemente trasformato in occasione dei campionati. La struttura doveva essere al coperto, così verrà innalzata di 14m con una sovrastruttura reticolare in acciaio che comporterà la demolizione di gran parte dello stadio degli anni Sessanta. Una memoria deturpata in nome di un affare economico, una superfetazione, se mi è concesso il termine, di migliaia di metri quadri di cui solo 30000, destinati ad uffici, mai utilizzati.

Era davvero necessario agire in questo senso? Non era forse meglio conservare lo Stadio Olimpico di Luigi Moretti e realizzarne uno "ad hoc" solo per il calcio?

Ecco che si torna al concetto iniziale di valore storico e di rispetto dello stesso. Un architetto, a qualsiasi periodo storico appartenga, ha il dovere di documentarsi e approcciarsi ad un intervento di restauro con la giusta consapevolezza, al fine di poter così tramandare, a chi verrà, la stessa architettura che ha avuto il privilegio di conoscere per primo, senza eccessive e fuorvianti manipolazioni. A mio avviso è questo ciò che significa restauro e il confronto tra antico e moderno è proprio incentrato sul riuscire a far vivere un'opera antica grazie a interventi moderni lasciando la prima in grado di dialogare autonomamente.

Considerazioni sulle ultime lezioni del modulo di Estimo

 

(In: C. Brandi et alii, voce Restauro, in Enciclopedia Universale dell’Arte, vol. XI, col. 322 e ss., ms coll. 344-351, Venezia-Roma 1963)                                                                                                                        “ Il restauro architettonico è concezione tipicamente moderna, che muove da un modo nuovo e diverso di considerare i monumenti del passato e di intervenire su di essi, modificandone la forma visibile e l'organismo statico e strutturale. Il principio fondamentale del restauro, rimasto costantemente a base delle dottrine che si sono susseguite nel corso del secolo XIX, è quello di restituire l'opera architettonica al suo mondo storicamente determinato, ricollocandola idealmente nell'ambiente dove è sorta e considerandone i rapporti con la cultura ed il gusto del suo tempo; e contemporaneamente quello di operare su di essa per renderla nuovamente viva ed attuale, quale parte valida ed integrante del mondo moderno. [...]”

Il restauro architettonico è una disciplina che, nonostante sia nata di “recente”, ha visto nella sua breve storia fino ad oggi, un susseguirsi di diverse interpretazioni e idee conduttrici che l’hanno caratterizzata nei diversi periodi storici. E’ pur vero che, al di là dei gusti e delle tendenze, il restauro porta con sè delle problematiche che, inevitabilmente, non trovano delle soluzioni assolute.

Pur essendo presenti degli articoli di legge ( Legge 457/48- articolo 31) che definiscono in maniera sistematica gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, la disciplina del restauro lascia sempre aperte molte chiavi di lettura e, soprattutto, è soggetta fortemente a giudizi e interpretazioni, che per natura sono soggettivi.

Di solito, quando si parla di restauro, si pensa subito all’antico, e attualmente, dopo le svariate barbarie architettoniche degli anni passati, si è arrivati a una sorta di venerazione di tutto ciò che appartiene al passato, tale da lasciare i vari edifici o monumenti in una sfera di cristallo, che però, non sempre, è sintomo di una buona salute. Questa visione è tipicamente italiana, negli altri paesi esteri il rapporto con l’antico è visto con molta più disinvoltura. Questo atteggiamento, viene spesso associato ad una cultura meno attenta e rispettosa della storia, ma non è sempre così. Alcuni interventi permettono di mantenere in vita, in maniera del tutto decorosa, edifici di pregio, conferendogli un nuovo aspetto e mantenendone la fruibilità.  E’ il caso del Kolumba Museum di Colonia realizzato da Peter Zumthor, dove l’architetto affronta il compito di ordinare a esposizione permanente il complesso spazio di un antico edificio.

Zumthor succede ai costruttori del passato “senza spezzarne l’opera”. Non è il desiderio fine a se stesso di innovare o di inserire lo spazio museale nel consumo turistico di massa, ma sono il rispetto verso il progetto originario e la ricerca coerente e filologica a guidare il suo lavoro. Il suo progetto viene apprezzato e appoggiato dai committenti dell’Archidiocesi di Colonia e riceve l’assenso, non scontato, della Soprintendenza ai Monumenti.

Un altro esempio è il Museo del Teatro Romano di Cartagena di Rafael Moneo in Spagna. Con il ritrovamento dei resti archeologici del Teatro Romano risalente al I secolo a.C., l'architetto viene incaricato dalla fondazione composta dalla regione della Murcia, il Municipio di Cartagena, la fondazione Cajamurcia e l’impresa Saras Energia S.A. della creazione di un nuovo museo in grado di accogliere i pezzi raccolti durante le varie campagne di scavo. Il progetto finale è un edificio che lavora sull'idea dello scavo come momento evocativo. 

In Italia, invece, molti edifici storici, essendo considerati intoccabili, sono lasciati in stato di abbandono o di rudere, nel gusto tipicamente romantico. Risulta necessario, quindi, prendere delle decisioni, scegliere se intervenire e con quali metodologie. Attualmente l’intento degli interventi di restauro è quello di riportare il monumento al suo stato ideale, con materiali e tecniche compatibili a quelli originali.  Se, però, il monumento per incuria, manutenzioni sbagliate, uso improprio, risulta fortemente alterato rispetto alla sua configurazione originale, la tendenza è spesso quella di lasciarlo così com’è. I motivi sono di varia natura, tra i più determinanti troviamo sicuramente le ingenti spese che gli interventi di restauro con materiali e maestranze e manodopera ricercate, comportano.

Queste problematiche non variano se si parla di architettura moderna.

Se alcuni edifici antichi sono trattati con profonda venerazione e rispetto, non si può dire lo stesso di alcuni esempi di architettura più recente, che magari fanno riferimento ad un periodo storico particolarmente controverso.

E’ il caso della Casa delle Armi di Luigi Moretti, realizzata nel grande complesso, finanziato dallo Stato, del Foro Italico nel 1933.

Moretti, oggi, è considerato uno dei massimi architetti nel Novecento in Italia.  A lungo il suo nome è rimasto però isolato, a causa dei suoi ideali politici, venendo collegato inevitabilmente con il periodo fascista.

Nel 1974 l’edificio in stato di abbandono deve subire degli interventi di manutenzione, si decide così di cambiarne la destinazione d’uso, trasformandolo in un tribunale politico con carcere e caserma dei carabinieri. Vengono costruiti circa 7000 mc all’interno dell’edificio in più, rispetto al progetto originale, andando a modificare in maniera irreversibile gli spazi e le forme così attentamente studiate e volute da Moretti. Anche il rivestimento esterno viene fortemente alterato, manomettendo la lastre marmoree, con un diverso sistema di ancoraggio alla struttura rispetto a quello previsto dal progetto.

Attualmente la Casa delle Armi si trova in uno stato di degrado molto avanzato, la stima dei costi per restituirlo allo stato ideale sarebbe di circa 15 milioni di euro, una cifra che non può essere sostenuta certamente dalle casse dello Stato. Servirebbe quindi un “mecenate” che si prenda la cura di investire nella Casa delle Armi, come sta accadendo per il Colosseo con Della Valle. E’ ovvio, però, che l’interesse che attira il Colosseo rispetto all’edificio di Moretti non è minimamente paragonabile in termini di ritorni economici.

C’è chi sostiene che, data la situazione, sarebbe meglio demolire l’edificio, piuttosto che lasciarlo nelle condizioni odierne. Non posso pensare di arrendermi all’idea di trovarmi in un Paese dove sia meglio cancellare l’esistenza di un edificio di tale valore che investire su di esso. Probabilmente, con dei sacrifici sia economici che concettuali, con delle scelte oculate e con una politica di sostegno a questi interventi di riqualificazione, la Casa delle Armi potrebbe tornare, se non allo splendore originario, almeno ad un aspetto dignitoso e accettabile, diventando uno spazio nuovamente fruibile e con una destinazione d’uso rispettosa, utile e consona.

Considerazioni sulle lezioni di Estimo svolte finora

 

E’, a mio avviso, molto interessante constatare come ogni lezione finora svolta abbia trattato un tema differente, ma ugualmente pertinente, nell’ambito dell’estimo e del restauro: il progetto di allestimento di un museo,  il restauro ben riuscito di una palazzina significativa come quella di Libera ad Ostia, il recupero invece probabilmente impossibile del Foro Italico, che rappresenta, purtroppo, un esempio di deturpazione di un Bene Pubblico.

Mi ha sinceramente colpito la duplice visita a Palazzo Massimo alle Terme, in cui è stato possibile  capire, grazie alla grande disponibilità degli architetti Stefano Cacciapaglia e Carlo Celia e dell’ingegnere Arianna Vicari, quali siano gli obiettivi  che  si pongono di fronte a chi intraprende un’opera di rifunzionalizzazione, tema caro a noi studenti che abbiamo deciso di fare del Restauro la nostra scelta di vita. E’ infatti innanzitutto indispensabile la lettura e la comprensione del luogo in cui si opera, e trasmettere la sensazione che il manufatto non potrebbe trovarsi in un posto diverso da quello in cui si è scelto di collocarlo ( “bisogna  appaesare l’opera d’arte”, ci disse Carlo Celia ). Non si possono poi certo trascurare i costi di costruzione e di gestione, che devono anche prevedere quelli che saranno i successivi costi di manutenzione, e che, specie in casi come questo, vanno rispettati e mantenuti immutati. Il costo complessivo è stato di poco superiore ai 500.000 € e il lavoro ha riguardato una superficie di 600 mq e circa 70 opere d’arte.

L’intervento nella Sala del Teatro è sicuramente quello che mi ha più affascinato, in quanto ho riscontrato notevoli miglioramenti rispetto alla situazione in cui verteva la stanza prima dei lavori. La maggior parte delle statue si presentava infatti ai visitatori dalla parte posteriore e non era possibile la piena lettura delle sculture, a causa del colore chiaro delle pareti e dei sostegni, che si confondevano con il marmo dei monumenti. Si è così proceduto innanzitutto con l’ideazione di un percorso organico e di una diversa collocazione  delle opere, in modo tale da attribuire ad ognuna di esse il giusto valore. In secondo luogo non solo è stato dato un colore scuro alle pareti,  ma sono anche state rivestite le marmoree basi delle statue. Infine, per risolvere i problemi di illuminazione, è stato inserito un controsoffitto nero, composto da originali elementi illuminanti, fatti con pannelli componibili in PVC.

L’architetto Roberta Rinaldi ci ha invece raccontato la sua esperienza riguardante il restauro della Palazzina di Adalberto Libera, collocata ad Ostia. I lavori sono risultati abbastanza difficili, a causa soprattutto dei proprietari degli appartamenti, molto poco disposti a spendere soldi per migliorare la qualità del posto in cui vivono. Ma i risultati sono stati grandiosi: l’edificio valeva nel 1999 1.500 € al mq, mentre adesso è salito a 5.000 € al mq. Questo credo possa darci un’idea di quanto la nostra attività possa portare, se svolta bene, grandi benefici.

L’operazione, trattandosi di una struttura di proprietà privata, ha riguardato la facciata e gli spazi comuni, mentre non ha potuto interessare elementi come gli infissi, su cui invece sarebbe stato utile poter intervenire, a causa del dissenso dei proprietari. In realtà il vincolo paesaggistico presente nella zona vietava anche l’intervento sulle parti esterne, ma in questo caso è stato possibile intraprendere l’opera perché si è garantito il rifacimento allo Stato normale, tramite l’ausilio dei disegni originali dell’autore. Come in ogni intervento accade, i problemi durante il cantiere non sono di certo mancati, anche perché si trattava di un edificio molto vicino al mare. E’ stato necessario, per esempio, rifare per due volte le ringhiere, poiché la prima volta il fabbro ha usato ferro pre-zincato e di conseguenza la zincatura è saltata dopo pochi mesi e sono usciti punti di ruggine. In prossimità del mare è infatti opportuno utilizzare ferro zincato a caldo e verniciato a polvere, perché, nonostante questa procedura richieda certamente costi più elevati, garantisce di contro maggiore resistenza. Altra faccenda complicata riguardava la facciata, la quale, oltre a presentare un colore che non corrispondeva a quello originale di Libera, era in forte stato di degrado, a causa degli erronei interventi di manutenzione straordinaria degli anni ’70-’80, durante i quali era stato utilizzato il quarzo plastico, materiale che creava un film che dava compattezza all’insieme, ma che non faceva traspirare il muro, tanto che questo era successivamente “esploso”, aprendo  vari buchi. E’ stato quindi necessario spicconare la parete per levare lo strato di intonaco e inserirne uno nuovo, il quale, a sua volta, ha mostrato cavillature. Il gruppo Kerakon, ovvero la ditta fornitrice, ha però in questo caso fornito il materiale per risolvere il problema. Attraverso indagini e varie analisi di colore, oltre al bianco della facciata, si  è deciso di utilizzare una specifica tonalità di blu sotto i balconi, già usata da Libera nei soffitti di altre palazzine.

Il totale dei costi per il lavoro è stata di circa 200.000 €, nei quali non è stato facile rientrare, sia a causa del doppio appalto che delle problematiche, come quelle elencate, riscontrate in corso d’opera. Sta ovviamente all’abilità dei progettisti trovare i giusti espedienti per rientrare nelle cifre stabilite, portanto comunque ad un risultato di qualità.

L’ultimo esempio analizzato è stato quello del Foro Italico, che nasce dall’idea politica di costruire impianti dedicati alla mistica fascista. Doveva essere infatti un luogo in cui rappresentare i vari aspetti dell’ideologia: quello sociale, quello politico e anche quello ludico. Si trattava di un’Opera Pubblica, finanziata interamente dallo Stato, collocata in un posto in cui era possibile “adeguarsi alla natura”, alla maniera dei Greci, che, al contrario dei Romani, i quali si sviluppavano in alzato, tendevano a scendere verso gli invasi naturalistici, così come succedeva alle pendici della collina di Monte Mario. Il progetto di Enrico Del Debbio per lo Stadio dei Cipressi prevedeva per l’appunto un impianto che si adeguava al degradare del colle, ma, come in molti casi avviene, alla fine non fu realizzato, e lo scopo per cui era stato scelto quel sito non venne  compiuto.

Alla realizzazione del Foro di Mussolini ha largamente contribuito Luigi Moretti, personaggio per lungo tempo considerato “ingombrante”, in quanto facente parte della destra economica italiana, e al giorno d’oggi rivalutato. Egli ideò nel 1933 la Casa delle Armi, un edificio straordinario, che aveva nella sua concezione architettonica il senso del vuoto e dei giochi di luce: si trattava infatti di volumi vuoti, in cui la luce, radente o soffusa, illuminava la pietra. Questo concetto è però nel corso degli anni stato aggredito, attraverso l’attribuzione di una funzione incongrua. Nel 1974, in un periodo in cui l’avversione per il Fascismo si estendeva anche alla sua intera architettura, la costruzione fu destinata a tribunale politico. Al suo interno vennero edificati 7.000 mc e furono così colmati quei vuoti, tanto voluti dall’autore, per farne un recettacolo di nuove funzioni. Inoltre si è scavata una trincea per costruire un garage, ed è evidente che si tratta di un danno a cui non si può porre rimedio, un danno che ha irrimediabilmente compromesso l’integrità di un Bene così prezioso. Il restauro di questo pezzo di storia della nostra città, infatti, verrebbe a costare circa 15 miliardi di euro! Chi mai è disposto a spenderli?

Un altro esempio, certamente meno drammatico, di deturpazione all’interno del Foro è quello dello Stadio dei Marmi, diventato negli anni luogo di pubblicità, scenografia di eventi non idonei, oggetto di “degenerazioni d’uso”.

C’è poi lo Stadio Olimpico, opera di Annibale Vitellozzi, a cui le Olimpiadi del 1990 sono costate care: per quest’evento infatti, anzi per un'unica partita che è stata giocata al suo interno, l’opera è stata pesantemente trasformata. Sono infatti state costruite travi alte 14 metri e aggiunte delle parti che non sono più state tolte. E’ valsa la pena di “violentare” una testimonianza romana come l’Olimpico per avere dei profitti? Non sarebbe stato meglio costruire uno stadio appositamente per le Olimpiadi? Io credo di sì. Come credo sia assurdo inserire delle travi di acciaio che intaccano l’ossatura portante della Casa delle Armi solo per guadagnare spazi destinati agli uffici, o come penso sia da pazzi organizzare gare di sci allo Stadio dei Marmi. Ci sono dei limiti che non andrebbero superati, specie quando si tratta di processi irreversibili, che ledono la memoria collettiva.

La lezione di oggi e l’ultima parte della scorsa lezione hanno riguardato tematiche più teoriche, nozioni che è fondamentale avere per poter avere padronanza dell’estimo.

In occasione della discussione sul Foro Italico si è parlato di Opera Pubblica, ma cosa è esattamente un Bene Pubblico? Esso merita di documentazione d’archivio, di un progetto di valorizzazione e di una valutazione per scelte sostenibili. Abbiamo poi visto la distinzione tra Beni demaniali  e Beni  patrimoniali, per passare successivamente alla definizione di Fattibilità, che ha il fine di fornire indicazioni qualitative e quantitative che permettano di VALUTARE la convenienza di un progetto, sotto ogni punto di vista. Si tratta ovviamente di un’operazione molto delicata e complessa, soggetta all’elevata durata temporale del progetto e all’elevata incertezza che grava sui benefici e sui costi.

Infine si è parlato dei procedimenti di stima del costo di recupero, che sono di tre tipi: sintetico-comparativo, analitico-ricostruttivo e misto. Nel primo caso, quello forse che ha intrinsecamente più limiti, il costo dell’opera viene desunto dal suo confronto con opere simili di cui il costo è noto, ed è il metodo che abbiamo usato nel Laboratorio di progettazione architettonica e urbana 3. Nel secondo caso invece è determinato tramite l’analisi del processo produttivo e il computo metrico, e quindi si fa una classificazione, una misurazione e una determinazione dei prezzi unitari. Nel terzo caso il valore di costo è ottenuto aggregando elaborazioni di tipo analitico e passaggi di natura sintetica, e c’è quindi  una parte “a misura” e una parte “a corpo”. Naturalmente le fasi del costo di produzione sono diverse nell’eventualità in cui si parli di recupero e in quella in cui si parli di una nuova costruzione. Le fasi invece del costo di costruzione sono praticamente uguali nei due casi: si hanno la manodopera, i materiali, i noli e trasporti, le spese generali e l’utile dell’imprenditore. Ovviamente, nella condizione del recupero, il costo di costruzione non tiene conto solo della creazione di nuove strutture, ma anche  delle opere di demolizione, consolidamento, ripristino e sostituzione, e c’è un’elevata incidenza del fattore manodopera.

Ogni argomento affrontato finora ruota intorno al Restauro. Ma cosa si intende con questa parola? Che differenza c’è tra i termini Restauro, Manutenzione, Conservazione e Ripristino? Il professore ci ha riportato una definizione per ognuno di questi vocaboli, mettendoli a confronto in termini di modificazioni morfologiche e materiche. La manutenzione, il restauro  e il ripristino infatti le prevedono entrambe, mentre la conservazione ammette esclusivamente modificazioni materiche. La conservazione poi intende l’architettura come un documento storiografico, che deve rimanere allo stato di fatto, il ripristino la percepisce come documento storico, portatore di un messaggio inequivocabile. L’aspetto critico è lasciato tutto al restauro, che ha un’idea dell’architettura come OPERA APERTA, disponibile alle interpretazioni critiche. Il restauratore infatti deve formulare dei giudizi ed effettuare delle scelte, prendere una posizione netta. Anche Bonelli in “Architettura e Restauro”  parla del restauro come un “ processo critico e poi atto creativo”, un ciclo che si conclude con un giudizio. Che idea abbiamo del Restauro? Come intendiamo rapportarci all’antico? Il nostro percorso di studi deve portare ognuno di noi innanzitutto a formulare un proprio e personale pensiero al riguardo.

Il recupero in architettura

“Passato e presente nella buona arte si incontrano”. Così Peter Zumpthor si esprime in merito al progetto per il Kolumba Museum ideato a Colonia sui resti di una chiesa cattolica andata distrutta nel corso dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Con questo progetto, in cui moderno e antico si fondono, assistiamo ad un recupero di un’architettura di grande valore artistico, storico (al di sotto della chiesa sono state ritrovati negli anni ’70 resti di rovine romane, gotiche e medievali), ma soprattutto simbolico (la Madonna delle Rovine è stato considerata da molti un simbolo di speranza durante i dolorosi anni della ricostruzione post-bellica). Un progetto che dunque ha consentito di preservare le rovine di un’architettura  che rappresentano segni di una memoria sia del passato che della storia moderna.
Un’idea di recupero molto lontana da quella che possiamo ritrovare nel nostro paese, in cui spesso l’enorme patrimonio architettonico che ci circonda e che  necessiterebbe quanto meno di una continua manutenzione, è stato, e viene tuttora, “violentato” con interventi e/o eventi non congrui.
E’ il caso del Foro Italico, detto anche Foro Mussolini, un complesso sportivo che fungeva anche da scenario per le manifestazioni celebrative del regime, ideato nel ventennio fascista e realizzato da Enrico Del Debbio e Luigi Moretti. Finanziato interamente dallo Stato, il complesso di edifici rappresenta un bene pubblico che dunque deve essere valorizzato e reso fruibile alla collettività.
Gli edifici del Foro Italico, in particolare lo Stadio Olimpico e la Casa delle Armi, sono stati negli anni talmente manomessi e modificati da non permettere più di individuare il progetto originale.
Lo Stadio, realizzato negli anni ‘50 da Annibale Vitellozzi, raggiunse il momento di massimo fulgore in occasione delle Olimpiadi del 1960 durante le quali subì una serie di trasformazioni, tra cui l’eliminazione dei posti in piedi che ridusse la capienza effettiva a 65.000 spettatori. Ma gli interventi che ne alterarono drasticamente l’aspetto furono realizzati in vista dei Mondiali di calcio degli anni ’90: l'impianto fu quasi interamente demolito e ricostruito in cemento armato, ad eccezione della Tribuna Tevere ampliata con l'aggiunta di ulteriori gradinate. Un’inadeguata copertura, imposta dal CIO per coprire le tribune, stravolse completamente quella che era l’immagine originale del dopoguerra e ovviamente i costi degli interventi furono talmente cospicui che sarebbe stato più economico costruire un nuovo stadio.
Per quanto riguarda la Caserma della Armi il commento contenuto all’interno del libro “La forma violata” di Alessandra Nizzi e Marco Giunta, è quello che a mio parere sintetizza più adeguatamente gli effetti delle numerose devastazioni che hanno “aggredito” e completamente modificato architettonicamente e formalmente il progetto di Moretti del 1933: “La più clamorosa deturpazione di un bene pubblico, colpevole la superficialità della cultura architettonica, i cui riflessi negativi sono stati ampiamente sottovalutati”. Abbandonato per diversi anni a seguito della "damnatio memoriae" che ha accomunato molti architetti che hanno operato durante il fascismo, di cui Moretti era uno degli esponenti più illustri, l’edificio negli anni ’80 è stato trasformato in un bunker divenendo la sede per i processi al terrorismo di quegli anni e subendo delle radicali e probabilmente irreversibili modifiche che hanno snaturato completamente il progetto originale.
Di certo non possiamo parlare in questo caso di recupero di un’opera architettonica, intendendo per recupero un insieme di interventi e di trasformazioni che si integrano il più possibile nel rispetto dell'esistente (sia degli aspetti materiali e fisici che di quelli immateriali come il significato e la storia).
Cosa ne sarà di questo edificio tra qualche anno? Purtroppo temo che con moltissima difficoltà si potranno trovare i finanziamenti per ripristinare l’edificio così come era stato pensato da Moretti pur essendoci documenti di archivio che lo permetterebbero. Dovrebbe essere per questo demolito? Oppure bisognerebbe conservare lo stato di fatto in modo che diventi monito e testimonianza di come interventi superficiali, che trascurano il significato storico e architettonico di un edificio, possano trasformare irreversibilmente un’architettura?
Per cui la alla domanda su quando intervenire con una manutenzione, piuttosto che con un intervento di conservazione o di ripristino o di restauro, la risposta dipende da una serie complessa e lunga di fattori, tra i quali il contesto nel quale ci si trova, l’opera architettonica con la quale abbiamo a che fare, ma anche le risorse economiche a disposizione. Purtroppo la mancanza di risorse non consente, sempre e ovunque, di conservare il nostro patrimonio e di restaurare o ripristinare edifici che hanno subito delle trasformazioni che ne hanno alterato il significato architettonico.
Molti danni, ad esempio, sono stati prodotti dall’uso incosciente del calcestruzzo che comporta una continua e periodica manutenzione, oltre ovviamente a non rispettare i concetti di compatibilità con i materiali originali e di reversibilità che si sono affermati solamente negli ultimi anni.
La presenza della storia non sempre però preclude l’inserimento del “nuovo”, anzi, a volte, l’”antico” può essere esaltato e valorizzato dal “moderno”. Qui torniamo al progetto di Zumpthor del Kolumba Museum di cui ho parlato in precedenza: in un contesto del genere, in cui il ripristino sarebbe stato eccessivo e la conservazione non avrebbe fino in fondo esaltato le rovine in una città moderna, quasi completamente ricostruita dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, il progetto di Zumpthor dà valore ai resti della rovine, pur rispettando il progetto originario.
E in una città diversa come Roma, fortemente stratificata, sarebbe giusto e possibile un progetto del genere? Il nostro patrimonio è talmente vasto e versa a volte in tali condizioni di degrado per cui, in presenza di risorse, in primo luogo è doveroso procedere a lavori di conservazione e manutenzione, e poi forse, non ovunque, ma soprattutto con molta cautela e consapevolezza, si potrebbe combinare l’”antico” con il “moderno”.
 

 

BENE ANALOGO Calenne Agnese, Conchione Silvia Lab 6a MONTUORI

La scelta del bene analogo si è orientata verso l'opera " complesso per appartamenti" Gifu-Kitagata

Abbiamo scelto un edificio poco profondo, alto e sviluppato lungo l'asse est-ovest per favorire il guadagno termico invernale. L'opera di Kazuyo Sejima (studio SANAA) , il complesso residenziale di Gifu-Kitagata, mostra una scelta morfologica simile.

Altri aspetti dell'opera mostrano affinità con le nostre scelte progettuali:

Struttura puntiforme in calcestruzzo armato (travi e pilastri)

Uso di una stanza pensata come modulo base, ricombinata in modo da creare una varietà di alloggi

Parete fortemente vetrata

 

Client :Prefettura di Gifu

Località: Gifu, Giappone

Latitudine: 35° 25'

Studio: SANAA

Superficie: 10.000 mq

Costo:£15M 

Periodo: 1994/1998

 

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Bene Analogo - Gruppo: Simona Bartali, Francesco Ciricosta (Lab 6A Prof. Montuori)

La nostra scelta è caduta su questo edificio per una serie di motivazioni che riguardano non solo le caratteristiche fisiche dell'edificio ma anche ideologiche.

Innanzitutto si tratta di housing sociale ad alte prestazioni ma a basso costo. Il modello della casa, come il nostro progetto, reinterpreta in stile moderno il ballatoio ed i servizi collettivi infatti ballatoio e zone diffuse funzionano da elementi di aggregazione. In accordo con un intento di "capillarizzazione dei servizi" le funzioni collettive sono presenti in vari piani consentendo massima flessibilità; il doppio affaccio crea non un fronte e un retro ma piuttosto due facciate con funzioni differenti ma di stessa importanza. Una si organizza tramite ballatoi, l'altra tramite una serie di logge coperte. In aggiunta entrambi gli edifici hanno simile orientamento.

 

MMAA_Housingcontest

Prog. Arch.: Arch. A. M. Cavazzuti, Arch. G. Agata Giannoccari

Consulenti: Sostenibilità ambientale Ing. Luca Spotti

Strutture: CostSpa

Anno: 2011

Superfici e costi:

     - commerciale: sup 5665,64 mq

                             costo 1412,54 €/mq

     - residenziale: SLP 5006,01 mq

                            costo 1598,64 €/mq

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