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Per gli studenti del Lab. Restauro - Modulo di Estimo

Venerdì 25 prossimo inizieremo le revisioni.

Esse saranno dedicate a ciò che avete prodotto finora (poco o tanto che sia). Soprattutto sarò interessato a dialogare con ognuno (per gruppi, se credete), dello sviluppo dinamico del progetto. Con particolare riferimento ai temi da me affrontati nelle lezioni. E' d'obbligo portare disegni, fotocopie dei materiali acquisiti finora, foto e tutto ciò riterrete utile alla discussione.

Darò, quindi, indicazioni circa la stima da compiersi per la "valutazione economica del vostro progetto".

Prof. Alfredo Passeri

Il valore della permanenza

Il valore della permanenza

Architettura è tutto ciò che è nella città, e la città a sua volta è forma, funzione e soprattutto identità; parlare di architettura, quindi, voleva dire, per architetti quali Aldo Rossi e molti altri, interrogarsi sulla costruzione della città nel tempo, sui suoi cambiamenti ed evoluzioni intrinseche, sul ruolo di anello di congiunzione tra realtà collettiva e individuale. Vuol dire analizzare non solo ciò che oggi vediamo e percepiamo, ma soprattutto afferrare il vero significato e senso proprio del processo progettuale ex ante, in modo tale che le consistenze architettoniche del passato siano vissute quali valori della permanenza da sperimentare nel presente. La città come un unicum progettuale che dura centinaia, a volte migliaia di anni, di cui bisogna comprendere le radici profonde per poter capire come poter inserirsi nel tessuto urbano modificandolo, consapevoli che le architetture del “passato” e del “presente” dialogano ( e forse a  volte litigano), che tra qualche tempo tutto ciò che oggi è “presente” potrà essere considerato “passato” e farà parte del bagaglio identitario, culturale dei nostri posteri. Come in tutte le cose, anche in architettura, si può scegliere di ignorare ciò che ci attornia ed imporsi, oppure come rapportarsi al contesto e studiare quale significato si vorrebbe conservare e trasmettere. Come il lavoro di Jose Ignacio Linazasoro per il centro culturale a Madrid, che rappresenta contemporaneamente un’unità di restauro, di rinnovamento e di nuova costruzione, ponendosi quale nodo della città dove queste operazioni si sono conciliate, aggiungendo al valore della permanenza quello della fruibilità del bene.

E sicuramente nel tema della permanenza entra prepotentemente la figura di Franco Albini, sia per i grandi segni da lui lasciati nelle città, sia per la grande capacità di studiare, ascoltare ed interpretare la Storia, cogliendone gli aspetti più profondi e a volte più reconditi. Egli stesso si definiva un “copione” dei modelli neoclassici, nonostante nel rigore e nella coerenza della propria produzione andò sempre alla ricerca di un costante rapporto creativo con le nuove tecnologie, perché capire il senso profondo del valore della permanenza in architettura non vuol dire riproporre in maniera compulsiva lo stesso schema, bensì far propria la volontà di rapportarsi con il contesto storico pur evitando qualsiasi approccio mimetico, qualsiasi soluzione finto-antica, e cercando di stabilire un dialogo, sia quando si tratti di operazioni di restauro, sia di progetti ex novo, come la Rinascente di Piazza Fiume, definito da Portoghesi nel 1998 “un edificio contemporaneo che guarda alla Storia”.

Il rigore di Franco Albini e la matericità di Josè Ignacio Linazasoro.

 

Il rigore, lo studio, il sacrificio, le idee. Sono questi i veri ingredienti di un buon progetto.

 Non uno schizzo apparentemente geniale buttato giù su un tovagliolo di carta in due minuti.

E questo Franco Albini lo sapeva bene. Figlio di un ingegnere si laureò in architettura nel 1929 al Politecnico di Milano, compiendo viaggi in Europa che gli permisero di conoscere personalmente personalità quali Le Corbusier e Mies Van Der Rohe. Era un architetto artigiano, non un’archistar.

 La sua attività fu caratterizzata da un estremo rigore e una evidente coerenza. Studiò molto da vicino le nuove tecnologie, sperimentando nuovi sistemi per utilizzarle e mostrò sempre un’accuratezza nei dettagli costruttivi. Inoltre fu sempre molto attento al rapporto con il contesto storico, evitando mimetismi e soluzioni finto-antiche, ma cercando di stabilire un dialogo con la preesistenza.

Ad esempio l’Albergo-rifugio Pirovano a Cervinia : una sorta di baita in legno con degli imponenti pilastri palesemente moderni. Questi due elementi dialogano armonicamente tra loro, senza far stridere l’accostamento tradizione-moderno.

Limitandosi ad esempi di rifunzionalizzazione e riuso, si possono citare due interventi : l’allestimento del Museo del Palazzo Bianco e il Museo del Tesoro della Cattedrale di S. Lorenzo a Genova.

Il primo è un palazzo genovese, distrutto in gran parte dalle bombe del 1942. Venne ricostruito nella sua facies settecentesca, e al suo interno si decise di inserire un nuovo polo museale. L’allestimento fu completamente affidato a Franco Albini. Il risultato fu di alto profilo, anche se sconvolse le attese più tradizionaliste. Albini voleva creare uno spazio pacato, in cui le opere potessero sia testimoniare la storia artistica, sia ritrovare una propria individualità.

L’allestimento fu caratterizzato da un’assoluta purezza : il rigore arrivò ad investire perfino le cornici dei quadri, rimosse quando ritenute non pertinenti. 

Appesi a tondini che scorrevano all’interno di guide in ferro, o sospesi su piantane tubolar, i quadri non deformavano mai le pareti, consentendo una lettura parallela dell’architettura del palazzo, esibita nella sua integra completezza.

 Evitò per questo arredi fissi e progettò lui stesso i supporti per le opere.

 Utilizzò rocchi, basi e capitelli originali romani come piedistalli per alcune opere;  questo sollevò numerose critiche per l’audace accostamento antico-moderno. Scatenarono disaccordi anche supporti cilindrici in acciaio, mobili e girevoli, accostati a frammenti di marmo. Era sempre il rapporto tra l’antico e il moderno che strideva per la critica di allora, anche se Argan lodò la disposizione affermando una “eccellente innovazione nei sistemi di presentazione dei frammenti di scultura”.

Studiò molto anche la luce : per quella artificiale realizzò delle semplici barre metalliche, sospese a mezz’aria, con tubi a catodo freddo che descrivevano una sorta di linea luminosa nelle sale. Per alcune statue scelse un’illuminazione più drammatica puntando direttamente dei proiettori sulle opere.

L’intervento per il Museo del Tesoro di s. Lorenzo a Genova fu definito da Luigi Benevolo un’ “opera eccellente”. Era evidente l’attenzione nell’inserirsi in un ambiente storico costruito.

Albini riuscì a creare un ambiente suggestivo ed evocativo per custodire gli oggetti preziosi legati al culto della cattedrale e alla storia della città. Riuscì a produrre una delle più armoniche soluzioni museografiche di tutta la scuola italiana. Lo spazio da dedicare al museo era nel vano ipogeo della cattedrale genovese.

Lo schema planimetrico era costituito da tre camere circolari di diverso diametro, illuminate zenitalmente e collegate tra loro da brevi tratti rettilinei. Vi era un uso rigoroso della geometria che metteva in relazione gli spazi. Questa geometria era esplicitata dal disegno della pavimentazione e dalla giacitura dei travetti in cemento del solaio, lasciati a vista. Questi, infatti, erano disposti radialmente attorno ad un oculo luminoso che coronava le camere circolari. L’effetto complessivo era di grande suggestione, con riferimenti anche a figurazioni barocche (luce mistica dall’alto). Era presente un’ideologia di coinvolgere l’immaginazione nell’esperienza visiva, con rimandi al tesoro nascosto, al culto dei morti, ai mondi ultraterreni, da sempre accostati al sottosuolo.

L’arredo è ridotto all’essenziale, interamente disegnato dallo stesso Albini.

Un altro modo di accostare l’antico al moderno può essere visto nelle opere di Josè Ignacio Linazasoro.

Linazasoro afferma di credere nell’architettura “vera e pura” e non in quella che si intravede nelle immagini mediatiche che vanno di moda. Preferisce l’espressione della materia, la sua definizione e la luce che deriva da essa. Progetta opere fortemente ancorate al sito.

Vede l’architettura come un’arte e un lavoro che lasciano un segno nel tempo, e non come una semplice espressione personale o qualcosa alla moda.

Si possono paragonare due suoi progetti diversi : la Biblioteca della U.N.E.D. (città universitaria di Madrid) e la Biblioteca de las Esculas Pìas, nel quartiere Lavapiès a Madrid.

La prima opera si è insediata in uno spazio libero, quindi Linazasoro ha avuto piena libertà di espressione, mantenendo comunque i materiali caratteristici della città universitaria madrilena, quali il laterizio e il legno.

La seconda invece si insedia nello storico quartiere popolare di Lavapiès, occupando lo spazio di un’antica chiesa del XVIII secolo, gravemente distrutta durante la guerra civile spagnola.

Si è posto quindi il problema di intergare il vecchio al nuovo. L’architetto ha scelto di operare mantenendo una continuità materica, ma operando una discontinuità concettuale : “Quando devo intervenire in un edifico storico, il mio intento è sempre di proporre un ordine nuovo in cui i resti dell’antico rimangano e vengano integrati nella costruzione recente”.

 Linazasoro vuole esaltare la potenzialità espressiva della rovina, e questo condiziona la scelta dei materiali per il nuovo edificio : i materiali adoperati sono più adatti ad uno spazio esterno più che interno.

La struttura non interferisce nella protezione e nella salvaguardia della rovina.

Utilizza il mattone come materiale di coesione tra nuovo e vecchio. “Il vero carattere dell’architettura moderna” afferma Linazasoro “è il materiale, dato che gli ordini classici hanno perso il loro significato”.

“Il mattone è un materiale nobile, legato alla terra, collaudato da migliaia di anni di esistenza, profondamente vicino all’espressione delle qualità materiche dell’architettura”.

SCELTA DEL BENE ANALOGO Roberto Mazza, Elena Maria Rossi Lab6c prof. Palmieri

BENE ANALOGO

Studenti: Roberto Mazza, Elena Maria Rossi

Indirizzo: Via Piave, Azzate (Varese)

Progetto: 2007

Anno di costruzione: 2008-2011

Tipologia: Residenziale + terziario

Cliente: FIM Group SpS, Varese

Area Lotto 8.935 mq

slp residenza (escluso il piano sottotetto): 2700mq

slp commerciale: 667 mq

Superficie parcheggi pertinenziali della residenza: 1470 mq

Superficie parcheggi esterni: 1083 mq

 

Il bene analogo da noi scelto è il complesso residenziale-commerciale ad Azzate.

Per grandezza, destinazione d’uso, materiali, e conformazione abbiamo pensato che fosse l’esempio a noi più vicino per quanto riguarda il progetto che stiamo sviluppando, anche se probabilmente il nostro sarà in parte interrato e si svilupperà in più blocchi.

L’area di intervento si pone in un quadro panoramico ampio, visibile da un percorso

locale di fruizione paesistico ambientale e risulta in forte relazione con la zona

boschiva-collinare retrostante il lotto. La nostra area di progetto è situata invece tra via Portuense e via della Magliana antica, più precisamente tra via Belluzzo e via Nicola Pellati in un lotto verde e che presenta varie quote.

Il complesso di Azzate si sviluppa su due piani (il secondo con tipologie esclusivamente a duplex),

differenziandosi nei colori e nei materiali di rivestimento dal basamento sottostante,

oltre che da una differenziazione tipologica delle facciate su strada dettate da un

differente orientamento e da un migliore controllo degli apporti solari. In maniera analoga il nostro progetto si sviluppa su due piani che presentano al secondo piano dei duplex posizionati con angolazioni diverse per avere delle esposizioni ottimali.

Il basamento risulta essere composto da tre parti; l’area centrale, baricentrica rispetto

allo sviluppo dei due blocchi residenziali dell’edificio, ospita alcune attività commerciali

che si affacciano sulla piazza sopraelevata rispetto al piano stradale, caratterizzata dalla

presenza di uno specchio d’acqua a ripresa di un antico fontanile nelle vicinanze,

mentre nelle due ali laterali trovano posto i parcheggi di pertinenza delle residenze

interamente schermati dai pannelli di doghe di legno. Il nostro progetto cerca di svilupparsi in modo similare al complesso prevedendo degli specchi d’acqua nella parte che si troverà a fronte degli esercizi commerciali che però saranno distribuiti non in modo baricentrico rispetto agli alloggi bensì nella parte più alta a destra del lotto per configurarsi come congiunzione tra il commerciale già esistente.

Per i materiali Del complesso di Azzate si è cercato di limitarne la scelta a tre principali: l’intonaco per le superfici murarie, l’alluminio per le coperture, per gli elementi di schermatura di luce lungo i

ballatoi e i sistemi di oscuramento degli infissi, il legno di larice per il rivestimento del

basamento. Nel nostro progetto non sono ancora stati definiti in dettaglio, si è però pensato di utilizzare il legno, l’intonaco per le superfici, l’alluminio per le coperture e in alcune porzioni anche la pietra.

 

 

 

 

IL VALORE DELLA PERMANENZA - SAGGI DI BUONE PRATICHE DI ARCHITETTURA: IL RIGORE DI FRANCO ALBINI

 

La città, come viene descritta nel libro "L'architettura della città" di Aldo Rossi, si evolve con il tempo ma mantiene sempre ciò che è memoria del passato. Questa memoria è da ricollegarsi al concetto di permanenza, esso va a caratterizzare quella che è la conservazione di determinati requisiti di un edificio nel tempo. In un corso di Restauro, come il nostro, si tratta di un punto molto delicato; infatti fino a quando è lecito perseguire la conservazione di tale memoria? Quando si rischia di oltrepassare il limite?

"Cupido che dorme è l’antica architettura, il monumento. Psiche, curiosa, con la lucerna, è l’architetto, l’ingegnere, il tecnico. Ma una goccia di olio bollente cade dalla lucerna: è l’azione di “restauro”. Cupido si sveglia e fugge via, così l’autenticità è compromessa." 

Questa frase riesce a contenere in sé il senso di tutto ciò che si è discussoa lezione. L'architettura antica che stuzzica la curiosità dell'architetto il quale con il suo sapere, forte dell'aiuto della scienza, vuole mantenere tale antichità tramite il restauro, ma l'autenticità dell'opera ne è compromessa.

Forse è vero che l'intervenire continuo su di un manufatto antico ne determina una perdita di veridicità, ma pensiamo per assurdo al Colosseo, saremmo disposti a perderlo per sempre solo per evitare di intervenire su di esso? Roma senza il suo anfiteatro cosa sarebbe? E questo discorso vale per tutte le altre opere che noi siamo fin troppo abituati a vedere sotto i nostri occhi, spesso senza renderci conto che se sono ancora lì è perché qualcuno ancora si impegna con tutti i mezzi a disposizione per farle perdurare, permanere. Non si deve però pensare che tutto sia concesso ai fini del restauro, le nuove tecnologie, i nuovi materiali, l'introduzione di caratteri contemporanei saranno ben accettati solo se in grado di dialogare con l'antico, senza snaturarlo.

José Ignacio Linazasoro, per esempio, da grande architetto moderno quale è, ci fa capire come non sempre ciò che è modernità comprometta l'antico, anzi spesso è proprio il miglior mezzo per farlo risaltare, rivivere e risplendere.

L'architettura ha pertanto bisogno di un architetto consapevole, che possa rivedersi nella figura di intellettuale colto il quale riesca ad amalgamare il suo operato con ciò che è la tradizione e l'antico.

Non a caso viene spontaneo introdurre la figura di Franco Albini, una delle figure principali dello sviluppo del pensiero razionalista nel campo dell'architettura, dell'arredamento e dell'industrial design. In lui vive l'interesse del suo periodo storico, il dopoguerra, per la tradizione inserita in un contesto di rigore in cui è necessario darsi delle regole. Essa non è soltanto una memoria alla quale adattarsi ma un elemento di coscienza, d'interpretazione, che deve coinvolgere chiunque. Quello che fece Albini fu il realizzare una "nuova tradizione" che riuscisse a raccordare tutte le sue realizzazioni.Tra queste si è parlato della Basilica Palladiana. Albini fu incaricato di allestire la mostra di Palladio a Vicenza nel 1973. Qui l'architetto non si limitò a "fare l'allestitore", si cimentò quasi maniacalmente nello studio della Basilica per capirla, per poterla allestire nel suo completo rispetto. Usò il linguaggio palladiano stesso per non rischiare di compromettere quello che era il messaggio originario della basilica e riuscire così a tramandarlo.

 

 

 

Il valore della Permanenza

 

(…)la città è il prodotto di un lavoro incessante, è anche un immenso deposito di fatica umana: quindi in essa memoria e fatica tendono a coincidere; la memoria non è un repertorio statico di oggetti passati; è invece la consapevolezza di un processo che è stato, ma che si allunga nel presente e nel futuro. La città è il deposito della memoria stessa(...)

Aldo Rossi

Queste parole dell’architetto Aldo Rossi introducono in modo molto esplicativo il concetto di valore della permanenza. Permanenza intesa come  presenza continua e durevole di un qualcosa, che in questo caso è rappresentata dall’architettura del passato, la quale molto spesso, per nostra fortuna, noi contemporanei sperimentiamo ancora.

Nell’”Architettura della città”, pubblicato nel 1966, l’architetto basa il suo studio sulle città intendendole come organismo composto da tante parti compiute che si formano a lungo andare con il tempo, acquistando nella memoria individuale e collettiva valori che ne costituiscono l'anima.

È molto interessante notare come introduca il concetto di memoria: la città come memoria collettiva dei popoli legata a dei fatti ed a dei luoghi del passato nei quali però ne crescono di nuovi. Memoria di un passato il quale dovendosi allungare nel presente obbliga l’architetto ad un’analisi del contesto in cui si trova ad operare.

È proprio la capacità di saper svolgere quest’analisi che mostra la sensibilità del professionista, che se capace, è in grado di amalgamarsi e dialogare con un luogo storico ricco di simbolismi antichi reinterpretandone magari il paesaggio in funzione però  dell’esistente.

A tal proposito è molto interessante affrontare lo studio delle opere di Franco Albini. L’architetto, a metà del ‘900, condivide il rinnovato interesse del periodo per la tradizione assumendolo però nell'ambito di un metodo di lavoro che implica la necessità di darsi delle regole; la tradizione non è quindi un a priori cui conformarsi, ma un elemento di coscienza individuale e collettiva, di interpretazione di valori riconosciuti. La tradizione viene quindi vista come patrimonio da reinterpretare per creare "una nuova tradizione" e diviene così un filo che collega gli interventi dell’architetto in ambienti e periodi diversi.

Tra i primi vi è la realizzazione dell’albergo-rifugio Pirovano a Cervinia, dove la progettazione parte dall’analisi e dalla reinterpretazione del procedimento costruttivo delle baite valdostane. Questa attenzione è espressa anche nella realizzazione degli edifici comunali di Genova che, sorgendo nel centro storico della città, si trovano su di un’area in pendio che dal seicentesco palazzo Tursi sale a Castelleto i cui due corpi di fabbrica paralleli hanno andamento degradante per non chiudere la visuale della città. I tetti sono piani utilizzati a giardino in modo che l’architettura non si ponga come elemento di rottura rispetto al contesto urbano. Ma quello che, a mio parere, è l’esempio emblematico del pensiero architettonico di Albini è il progetto per il Museo dei Tesori di San Lorenzo a Genova. Si tratta dell’allestimento di un museo ipogeo, realizzato dietro l’abside del Duomo di Genova, al di sotto di un cortile. La presenza del basamento dell’abside del Duomo, fa pensare subito ad Albini all’uso della pietra ed infatti se si escludono i travetti in cemento armato del soffitto e le teche espositive ci si trova di fronte ad un unico materiale: l’ardesia ligure. Il piccolo spazio ipogeo viene quindi trasformato in una sorta di scrigno carico di suggestione, giocato sul contrasto tra la brillantezza degli oggetti esposti ed il grigio della pietra che quindi ricopre le murature ed i pavimenti rifacendosi all’esempio classico della Tholos Micenea costituita solitamente da un vano circolare, sottostante ad un tumulo di terra e coperto con cerchi concentrici di blocchi lapidei a costituire una sezione più o meno ogivale. Tradizione che viene espressa in modo personale anche nel progetto dei magazzini La Rinascente di Roma considerati un monumento della città. In questo edificio l’architetto si colloca nella città, affiancando l’uso di una sempre più raffinata ricerca tecnologica, ad una serie di suggestioni  e colori in riferimento alla tradizione storica dei palazzi rinascimentali e delle vicine mura aureliane.

La lezione di questi due maestri dell’architettura dovrebbe, a mio parere, rappresentare la base ed insieme il punto di partenza per la crescita progettuale di noi studenti, non solo nei confronti della tradizione e della memoria per noi restauratori , ma anche per quei futuri progettisti che, operando in un territorio  come quello italiano ricco di storia e tradizione, dovrebbero essere in grado di dare uno sguardo  al passato contribuendo alla sua tutela ed al dialogo con il contemporaneo  e non limitandosi a guardare solo al futuro.

IL VALORE DELLA PERMANENZA

Permanènza  – L’esser permanente, il persistere nel tempo (riferito a cose, è l’opposto di provvisorietà o temporaneità). Più genericamente, il permanere in una determinata condizione, come concetto che, nelle scienze della natura, si contrappone a quello di evoluzione.

[Enciclopedia Treccani]

 

Fin dagli anni 60 si è percepita la necessità e l’esigenza di occuparsi della città, di prendersi cura e di gestire quei luoghi che sono fatti collettivi e bene comune.

In questo periodo si affermò la figura di un architetto di successo che ebbe fama internazionale: Aldo Rossi. Di lui, nel 1986, Manfredo Tafuri disse:

«(...) un architetto che si pone fin dalla fine degli anni sessanta come il "caso" italiano e internazionale più seguito e discusso, l'unico "caposcuola" capace di alimentare di continuo, intorno alla propria opera e alla propria figura, una polemica e un interesse che investono (...) lo stesso concetto di architettura. »

Secondo Rossi non esiste l’unicità del progetto, bensì sussiste la processualità del progetto.

“Il progetto è un fatto tecnico e meccanico”.

Ciò che è davvero importante di un progetto non è ciò che avviene durante la sua realizzazione, ma ciò che avviene prima, cioè il processo creativo, e soprattutto quello che accade al termine della sua esecuzione e messa in opera, gli effetti e l’uso che ne viene fatto.

Diceva Rossi “la differenza tra passato e futuro è che il passato è in parte sperimentato oggi. Le permanenze sono sperimentate ancora”.

La nostra città è ricca di permanenze e di rovine del passato. Il contrasto tra vecchio e nuovo è al giorno d’oggi molto acceso in quanto c’è discordanza di opinioni su come agire sui monumenti antichi. Molte infatti sono anche le teorie che sono state formulate nel corso degli anni riguardo a come interpretare e affrontare un restauro.

Lo stesso Aldo Rossi sosteneva che gli era impossibile progettare le cose com’erano e dov’erano. Un progetto, anche quello di restauro, deve essere qualcosa di innovativo che migliori ma non alteri la permanenza, la memoria.

Gli architetti, ma soprattutto i restauratori, si trovano a doversi confrontare con manufatti collocati nel luogo in cui si trovano e in cui dovranno rimanere, almeno così si spera, per ancora lungo tempo. Il nostro compito è quello di far durare più a lungo, quasi in eterno, la PERMANENZA. È necessario prendersi cura del monumento e non alterare la sua identità, conservandone la memoria ma migliorandone la fruibilità.

 

“Ho sempre considerato l’architettura come un “lavoro” molto serio, un’arte che lascia il segno nel tempo e non come una semplice espressione personale o qualcosa alla moda.”

Queste le parole di José Ignacio Linazasoro, architetto Spagnolo, classe 1947. Molto particolare e di grande interesse è il suo progetto per una biblioteca situata nel quartiere di Lavapiés a Madrid. Linazasoro si trova a confrontarsi con i resti di un’antica chiesa del XVIII secolo, gravemente distrutta durante la guerra civile spagnola. In un’intervista quando gli viene chiesto come si pone di fronte alle preesistenze storiche, risponde così: “Ho cercato di mostrare la possibilità di integrazione tra ciò che è antico e il nuovo, a partire dal progetto. In un certo senso, ho voluto creare una continuità materica, ma con, allo stesso tempo, una discontinuità concettuale. Quando devo intervenire in un edificio storico, il mio intento è sempre di proporre un ordine nuovo in cui i resti dell’antico rimangano e vengano integrati nella costruzione recente.”

Naturalmente il doversi confrontare con una rovina ha condizionato l’architetto nella scelta del materiale da utilizzare, optando poi per il laterizio, materiale più adatto per uno spazio esterno che per uno interno, cercando di non interferire nella protezione e nella salvaguardia del sito. L’utilizzo di questo materiale è stato utile anche per ottenere un’immagine più unitaria tra il nuovo e il vecchio.

Credo che le intenzioni e le finalità di Lavapiés siano le più nobili possibili e le immagini che ho avuto modo di vedere presentano un ambiente suggestivo e surreale per quella che nell’immaginario comune è l’idea di una biblioteca. Non immagino quanto potesse essere distrutta e malridotta la preesistenza della chiesa sui quali resti è stata costruita la struttura, ma sono sempre dell’idea che in questi casi ci debba essere un estremo rispetto del manufatto su cui si interviene.

Onestamente sono un po’ dubbiosa sulla rifunzionalizzazione della chiesa, oggi trasformata e convertita in biblioteca. Da luogo di culto a luogo di cultura.

Bene Analogo: lab. 6C prof. Andrea Vidotto - stud. Edoardo Croce

Come bene analogo ho scelto il complesso di edilizia residenziale completamente pubblica denominato Solaris di Manuelle Gautrand realizzato a Parigi nel 2009. Le analogie con il progetto del laboratorio riguardano la morfologia a pettine, la destinazione d'uso: residenziale pubblico e le dimensioni che nel progetto Solaris sono 9000 mq di SUL e 104 alloggi mentre nel mio progetto sono 10.500 mq per un totale di 109 alloggi.

L'opera è stata completata nel 2009 e ha avuto un costo al mq di 1.100 euro.

Bene analogo - Stud.Capriotti, Mencarini - Lab 6a Montuori

Caratteristiche comuni al nostro edificio e al municipio di fiumicino:

Rapporto dell'edificio con lo spazio pubblico: entrambe forniscono attraverso l'architettura una piazza fruibile che contemporaneamente è parte integrante dell'edificio.

Utilizzo di un'unico materiale continuo che funga da pavimentazione e da copertura: come nel Municipio di Fiumicino, volevamo utilizzare un unico materiale che fungesse sia da paviamentazione della piazza e contemporaneamente come copertura dei negozzi, sia da rivestimento di una delle facciate dell'edificio ed infine come copertura dell'edifcio.

Rapporto fra materiali diversi: contrasto fra i materiale prevalentemente coprente delle piazza, e la leggerezza dell'edifico sottostante costituito di pannellature e vetro.

Simil forma: la forma ad "L" costituita dall'edificio e dalla piazza ricorda quella del nostro progetto, con la differenza che la nostra piazza si trova tutta all'altezza della ferrovia e per raggiungere la quota di terra si sfrutta una rampa che gira intorno all'edificio

 

costo finale dell’opera è stato di € 4.100.000, circa 950  €/m2

superficie del lotto: 4.321 sqm
superficie totale: 6.100 sqm
volume: 20.980 mc
progetto: 1996-1997
realizzazione: 1999-2002

Progetto e direzione di lavori: Alessandro Anselmi, Maurizio Castelli, Pia Pascalini, Natale Russofinale 

Scelta del bene analogo_Alberto Marzo e Irene Rossi_lab 6B Palmieri

Ci scusiamo per il ritardo nella pubblicazione ma i numerosi stravolgimenti delle nostre prime ipotesi di progetto ci hanno impedito di trovare per tempo un bene analogo. Ora abbiamo finalmente messo a punto un "progetto base" abbastanza definito su cui lavorare. Questo è stato possibile anche grazie ad alcuni progetti di riferimento che ci sono stati presentati in classe, tra cui quello che ci è stato più utile e che abbiamo scelto come nostro Bene Analogo: The Whale, un complesso residenziale e commerciale in un'ex area  portuale di Amsterdam. Abbiamo scelto questo progetto poichè molto simile al nostro soprattutto nelle tipologie e tecniche abitative (l'utilizzo di duplex abbinato alla copertura inclinata ad esempio) e in quelle distributive (l'utilizzo misto di corpi scala e ballatoi). Anche poi nelle percentuali di aree commerciali e di social housing questo progetto ci si presenta come un ottimo riferimento. di seguito i dati tecnici del complesso:

Località: Baron G.A. Tindalplain, Amsterdam

Cliente: development company New Deal bv, Amsterdam

Programma:  150 social housing , 64 case private d'affitto, 1.100 m2 business accomodation, 179 parcheggi

architetto:  Frits van Dongen

project team:  A. Mout, P. Puljiz, F.Veerman, R. Konijn, J. Molenaar,A.Moreno, W. Bartels

landscape designer:  Adriaan Geuze, West 8

Impresa di costruzione:  Heijmans Bouw, Almere Stad

Ingegnere strutturale:  Pieters Bouwtechniek, Haarlem

Data progetto:  1995

Data costruzione:  1998 - 2000

Superficie totale: 35.800 mq

Volume: 100.900 mc

Costo: 15.700.000 euro

 

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