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Saggi di buone pratiche di architettura: il rigore di Franco Albini

 

‘Fantasia di precisioni’ e ‘razionalismo artistico’. Le due locuzionidi Ponti e Persico sono una buona presentazione per l’architettura di Franco Albini, architetto iscritto tra i padri del razionalismo italiano a partire dagli anni ‘50. Molto spesso la lettura del suo operato si è però soffermata solo sugli aspetti prettamente tecnici e funzionali,  lasciando in secondo piano la poetica raffinata che lo caratterizza. La ricerca funzionale, la cura quasi ossessiva dei dettagli, la sperimentazione dei materiali sono quindi tratti distintivi del suo lavoro, ma rappresentano il veicolo per arrivare ad un risultato di estrema eleganza.

Le opere di Albini sono caratterizzate da un continuo affinamento, una ricerca quasi spasmodica della precisione. Tutto è progettato e controllato: non esistono professionalità separate nel suo lavoro. Per questo possiamo trovare una totale fusione tra ciò che è architettura, grafica e design. L’oggetto di design diventa parte integrante dell’edificio, con un passaggio continuo di scala, dal piccolo al grande, dal grande al piccolo. L’opera paziente di un ‘artigiano’, come lui stesso amava definirsi.

Se ci soffermiamo su ciò che ci riguarda più da vicino, ossia l’intervento sull’esistente, possiamo notare come l’atteggiamento di Albini sia quello di dare una nuova lettura dello spazio in cui si inserisce, ma sempre nel rispetto dell’esistente. Si sperimentano i nuovi materiali e le tecniche espositive per raggiungere una nuova concezione dell’esperienza museale, rendendola dinamica ed educativa: gli elementi espositivi sono ridotti al minimo, si accostano alla preesistenza senza sovrastarla. Gli allestimenti realizzati nella città di Genova tra gli anni ’50 e gli anni ’60 sono esplicativi di questo atteggiamento. L’integrazione tra nuovo ed antico, non solo dal punto di vista materiale ma anche funzionale, li rende opere d’arte totali.  

L’allestimento di Palazzo Bianco è un esempio di questa ricerca.  Un edificio cinquecentesco, ricostruito nel Settecento e trasformato in museo a fine Ottocento; gravemente colpito dai bombardamenti della secondo guerra mondiale, viene ricostruito nel suo aspetto settecentesco. In questa occasione Albini viene chiamato dalla direttrice dell’Ufficio Belle Arti per studiare un allestimento capace di dare un nuovo ordinamento al museo. L’architetto realizza un allestimento di assoluta purezza, esaltato dalla geometria degli antichi pavimenti in marmo chiaro ed ardesia, conservati in quasi tutte le sale. Le opere pittoriche sono agganciate a guide metalliche verticali o a nuove pareti staccate da quelle del palazzo. Le attrezzature realizzate con nuovi materiali non disturbano la preesistenza ma anzi la valorizzano, consentendone una lettura parallela. Emblematica degli intenti di Albini è la soluzione adottata per il gruppo scultoreo di Giovanni Pisano, disposto su un piedistallo in acciaio che può essere mosso e ruotato: il visitatore può quindi scegliere personalmente come confrontarsi con l’opera.

Poco più tardi, tra il 1952 e il 1956, Albini realizza il Museo del Tesoro di San Lorenzo, che costituisce un unicum nel percorso dell’architetto. In questo caso i nuovi materiali lasciano il passo a quelli tradizionali, come la pietra di Promontorio tipica della Genova medievale, per creare uno spazio sacrale. Negli anni ’50 si matura l’idea di trovare una sistemazione museale per il ‘tesoro’ della Cattedrale di Genova, che raccoglieva pezzi datati già al XII secolo. Negli ambienti appositamente creati nell’area della Cattedrale, Albini realizza uno spazio ipogeo fortemente suggestivo, caratterizzato da una luce zenitale di gusto barocco. Lo schema planimetrico prevede tre camere circolari di differente diametro collegate da uno spazio esagonale. La rigorosa geometria è esplicitata dal disegno della pavimentazione e dai travetti della copertura, lasciati a vista. L’allestimento costituisce ancora una volta un momento di sperimentazione del materiale: vetrine essenziali, con sottilissimi profili e basi di metallo, sono modellate attorno ai pezzi da esporre.

La ricerca di un rapporto tra modernità e tradizione è visibile in ognuno di questi lavori. Una tradizione reinterpretata, rinnovata ed arricchita dalla presenza del moderno. L’edificio della Rinascente a Roma, realizzato nel 1957, per finire, ben si inserisce in questa indagine. Come affermato da P. Portoghesi, la ‘calda corporeità’ di questo edificio fa rivivere un’area di Roma in tutta la sua storicità richiamando sia i palazzi rinascimentali che le vicine mura aureliane. Tutto questo attraverso il connubio della forza strutturale della maglia in ferro con la ricchezza materica dei pannelli in graniglia di granito e marmo rosso

Albini non ha lasciato molti scritti e descrizioni delle ragioni teoriche sottostanti i suoi progetti. Un personaggio ‘silenzioso e fedele’, come lo descrive la sua collaboratrice Franca Helg, perfettamente conscio però del valore dimostrativo della sua architettura: ‘E’ più dalle nostre opere che diffondiamo delle idee che non attraverso noi stessi’.

 

Il valore della permanenza e il rigore di Franco Albini

 

Nel libro “L'Architettura della città”, scritto da Aldo Rossi nel 1966, la città viene intesa come un'architettura, facendo riferimento non solo all'immagine visibile della città e all'insieme delle sue architetture, ma piuttosto all'architettura come costruzione, e più esattamente come costruzione della città nel tempo. La città viene quindi intesa nella sua completa interezza, come un'unica architettura nella quale la costruzione si stratifica e articola nel tempo, e crescendo quindi acquista coscienza e memoria di se stessa.

Il senso della conoscenza del divenire storico della città, e più specificatamente della permanenza, sono fondamentali nell'approccio di qualsiasi progetto. L'architetto diventa perciò portatore di innovazioni e trasformazioni, che devono essere tali però da rispettare i caratteri e la leggibilità del manufatto e tali da non alterare il senso della memoria e della permanenza.

Attraverso il recupero dei monumenti in una forma consona e adeguata, il passato viene sperimentato nel presente e diventa un veicolo che conduce alla quotidianità e al futuro.

A riguardo cito alcuni esempi in cui non si è tenuto conto del senso della permanenza: il Pantheon, nel quale furono demoliti i campanili realizzati da Bernini per conferire l'immagine più antica del monumento e per completare quindi l'isolamento dell'edificio antico; il teatro di Arles, anfiteatro romano che fu ricostruito nel 1686 eliminando le abitazioni che si erano installate con la finalità di restituire l'antica memoria al manufatto; la collina dei Parioli, nella quale la villa suburbana romana di notevole prestigio verrà trasformata in un blocco edilizio di sei piani con venti alloggi, esempio quindi in cui è stata soppiantata la permanenza del monumento.

Invece, per quanto riguarda il mantenimento della permanenza, riporto l'esempio di Manhattan, che, sviluppatasi all'inizio dell'800 con una maglia rigida ad eccezione della strada Broadway, il percorso che facevano gli indiani per andare a cavallo, rappresenta un esempio in cui la permanenza svolge una funzione simbolica, rimasta appunto con un segno, che è quello della strada.

 

Una figura di notevole importanza che affidava alla storia tutta l'esperienza progettuale è Franco Albini. Albini tratteggia la figura dell'intellettuale e dell'architetto consapevole di tutto il processo progettuale, di ciò che avviene prima e degli effetti e dei benefici che il progetto produce dopo la sua costruzione. Condivide l'interesse per la tradizione, forma portante dell'architettura italiana nel dopoguerra, assumendola però nell'ambito di un metodo di lavoro che implica la necessità di darsi delle regole. La tradizione non diventa quindi un elemento a cui conformarsi, ma un elemento di coscienza individuale e collettiva, di interpretazione dei valori riconosciuti, un patrimonio da reinterpretare per creare una sorta di nuova tradizione; diventa quindi un filo conduttore che collega interventi in ambienti e periodi diversi; come ad esempio nella Rinascente a Roma, realizzata con Franca Helg nel 1957, dove si manifesta una dicotomia tra la scelta stilistica del linguaggio, schiettamente moderno e la citazione di elementi costruttivi classici, quali le cornici costituite dalle travi di acciaio, e tradizionalmente romani quali i solai e la texture delle superfici murarie che ripensano nella granulometria e nei colori l'ondulazione barocca. Si tratta di un'architettura di grande contemporaneità che guarda alla storia, che si innesta in un tessuto urbano che è proprio quello delle vicine mura aureliane, trovando una sorta di accordo con il volto della città.

Altro intervento sarà l'allestimento, nel 1973, della mostra su Palladio all'interno della Basilica Palladiana a Vicenza, nel quale l'architetto si cimentò non solo nell'interpretazione delle opere di Palladio, cercando di utilizzare il suo metodo, ma soprattutto nel rispettare la struttura interna della Basilica.

Notiamo come nelle architetture di Albini, improntate sul rigore e sull'importanza della storia, venga utilizzata una profondità di linguaggio nel quale è fortissimo il senso della conoscenza e della memoria.

Altro esempio interessante del mantenimento della preesistenza è il Centro Cultural Escuelas Pias de Lavapies, realizzato nel quartiere popolare di Madrid da Linazasoro nel 1996, che comprende Aule Universitarie e una Biblioteca; le prime occupano lo spazio non edificato, mentre la seconda viene realizzata sulle rovine della Escuela Pias de San Fernando, chiesa barocca distrutta durante la guerra civile. Osserviamo come l'architetto ha abilmente integrato l'antico con il nuovo; è stato infatti prescelto il mattone, materiale che meglio risponde ai requisiti di uniformità, per ottenere un'immagine di forte coesione tra il nuovo e il vecchio.

Infatti, al fine di rendere maggiormente unitario il muro della facciata principale, questo viene reintegrato con mattoni nuovi, mentre per quanto riguarda la copertura, invece di ricostruire la cupola ottagonale andata distrutta, realizza una copertura a volta in doghe di legno lamellare da cui filtra la luce. Le scale, invece, di cemento armato, a mio avviso si inseriscono adeguatamente all'interno dell'edificio, in quanto, staccandosi dalla parete laterizia non vanno ad interrompere la continuità del muro.

Si tratta perciò di un esempio di notevole importanza in cui antico e nuovo dialogano e si integrano tra loro e in cui i resti dell'antico permangono, vengono rispettati, salvaguardati e resi perciò fruibili.

Il valore della permanenza

Cupido che dorme è l’antica architettura, il monumento. Psiche, curiosa, con la lucerna, è l’architetto, l’ingegnere, il tecnico. Ma una goccia di olio bollente cade dalla lucerna: è l’azione di “restauro”. Cupido si sveglia e fugge via, così l’autenticità è compromessa.

Si tratta di una delle tante definizioni che sono state date del restauro, qui considerato, metaforicamente, come la mitica goccia d’olio della lucerna di Psiche che, irrimediabilmente, porta alla fuga di Cupido. Certo, ogni volta che si interviene su un monumento si altera il suo stato di fatto. Ma ciò è sempre un male? Ipotizziamo di trovarci davanti ad un monumento seriamente compromesso dal degrado. Quanto si è disposti a pagare affinché tale edificio, nella sua consistenza fisica e storica, permanga in quello spazio? E quanto si è disposti a pagare perché il monumento riacquisti una propria identità? Bene, il fine del restauro colto è proprio questo: garantire la permanenza di un monumento. Ma, per far ciò, è necessario intervenire in maniera intelligente, rispettando il manufatto antico; tale obiettivo si consegue attraverso un accurato studio preliminare delle fonti documentarie, un preciso rilievo volto ad evidenziare degradi ed eventuali problemi strutturali dell’edificio, un dettagliato progetto degli interventi ed un indispensabile computo metrico estimativo per valutare la fattibilità del progetto stesso. Oggigiorno esistono diverse scuole di pensiero che riguardano il progetto di restauro: c’è chi pensa che tutto debba essere lasciato come si trova, a meno di piccoli interventi di pulitura e consolidamento; chi ritiene che tutto debba essere ricostruito “com’era, dov’era”; chi decide di integrare il nuovo con l’antico. Io sono dell’idea che ogni intervento debba essere valutato di volta in volta; come già detto, infatti, testimonianze storiche come i monumenti sull’Acropoli di Atene è giusto che vengano ricostruite, mentre in altri casi si può optare per un ben studiato progetto di integrazione tra passato e presente, come avviene sia nei progetti di Peter Zumthor, di Rafael Moneo o di José Ignatio Linazasoro, sia negli allestimenti di mostre all’interno di consistenze storiche, come nel caso di Franco Albini. Di Zumthor e Moneo si è già parlato la volta scorsa; per quanto riguarda Linazasoro, i suoi interventi di restauro e di riuso di antichi edifici sono piuttosto interessanti, basti pensare al progetto finalista per la sistemazione di Piazza Augusto Imperatore, in cui il monumento (al cui interno viene lasciato intatto) è valorizzato da un’ampia piazza che lo isola e al tempo stesso lo collega al resto della città, o alla Biblioteca del quartiere di Lavapiés a Madrid, in cui l’architetto cerca di creare una continuità materica (ottenuta attraverso l’uso del mattone) e, allo stesso tempo, una discontinuità concettuale tra nuovo ed antico, proponendo un ordine nuovo in cui i resti della preesistenza (una chiesa barocca) sono non solo valorizzati, ma si integrano nella costruzione recente. Albini, invece, è stato considerato dalla socia Franca Helg un uomo“silenzioso e fedele”, un architetto molto preciso in tutto ciò in cui si impegnava e, proprio per questo, che esigeva un uguale rigore da tutti i suoi collaboratori; più stimava una persona, più pretendeva che essa non sbagliasse, che non pensasse cose non logiche, che aspirasse sempre “alla luna”. Sicuramente, uno dei progetti per cui Albini è stato reso celebre è il Palazzo della Rinascente in Piazza Fiume a Roma (1957), ma non bisogna dimenticare il quartiere Fabio Filzi a Milano (1936-1938; “un’oasi di ordine nel disordinato tessuto della città” secondo il parere di Giuseppe Pagano), l’Albergo-rifugio per ragazzi Pirovano di Cervinia (1948-1952), il Museo del Tesoro di San Lorenzo a Genova (1952-1956). Egli, inoltre, fu anche raffinato designer e curò, come già accennato, diverse mostre, tra cui l’Allestimento della stanza di soggiorno in una villa alla VII Triennale di Milano (1940), la Mostra di Arte contemporanea, Arte decorativa e Architettura italiana a Stoccolma (1953), la Mostra su Palladio organizzata nella Basilica Palladiana di Vicenza nel 1973; si tratta, in quest’ultimo caso, di un allestimento particolarmente rispettoso del valore storico dell’edificio in cui si svolge. Albini, infatti, decise di “pensare” come Palladio, di entrare in sintonia con il luogo, in modo tale che le opere dell’architetto del XVI secolo, rappresentate da accurati plastici in scala 1:33, fossero il più possibile valorizzate e non “schiacciate” dal peso imponente di un allestimento fine a se stesso. In questo senso, credo che oggi, nella maggior parte dei casi, manchi un atteggiamento di umiltà nei confronti di una permanenza storica e che i “grandi” architetti si dilettino a concepire progetti fatti per destare stupore, non per adattarsi al contesto circostante, che si possano replicare in varie città del mondo senza prendere in considerazione le specificità di un luogo rispetto ad un altro. Bisognerebbe allora fermarsi a riflettere prima di accettare un incarico e pensare: sono in grado di portare avanti una simile idea? Ho le conoscenze sufficienti per impegnarmi in questo progetto? E se si risponde affermativamente, si deve mettere a disposizione tutta la propria tecnica, tutta la propria persona nella realizzazione di quel progetto, allo stesso modo di Albini, “il più geniale muratore di geometrie funzionali della storia dell’architettura moderna”.

La valutazione nel progetto di restauro

Invece di parlare della lezione di venerdì scorso vorrei parlare di un libro che ho incontrato per caso studiando un'altra materia, ma che trovo molto interessante e lo vorrei condividere. Il libro si chiama:

La valutazione nel progetto di restauro

Saverio Miccoli (in Trattato di restauro architettonico diretto da Giovanni Carbonara)

 

L’indice della sezione è la seguente:

Q1 – Alcune riflessioni sull’impiego della valutazione nel progetto di restauro

Q2 – Procedure di stima e analisi dei costi

1. Categorie e variabilità dei costi

2. La procedura sintetica

2.1 Metodologia di stima

2.2 Alcuni dati di costo

2.3 I costi di restauro delle chiese

2.4 Il costo di restauro delle altre tipologie edilizie

3. La procedura analitica

3.1 Metodologia di stima

4. La procedura intermedia per componenti tecnologici

4.1 Metodologia di stima

4.2 Alcuni dati di costo

5. La misurazione delle variazioni dei costi: alcune considerazioni

5.1 L’indice del costo di restauro

Q3 – Valutazione finanziarie. L’analisi finanziaria

1. Obiettivi e contenuti dell’analisi

2. I criteri di valutazione

3. Analisi finanziarie e tipi di operatori

4. L’analisi finanziaria sociale

Q4 – Valutazioni economiche. L’analisi costi- benefici sociali

1. Finalità, procedure e criteri di valutazione

2. L’esperienza italiana

3. Alcune considerazioni conclusive

Q5 – Valutazioni sociali multidimensionali

1. La valutazione d’impatto comunitario

1.1 Finalità e caratteristiche della tecnica

1.2 La procedura applicativa

2. Le valutazioni multicriterio

2.1 Caratteri generali

2.2 Il metodo di regime generalizzato

2.3 Un esempio applicativo del metodo di regime generalizzato

Q6 – Elementi per la definizione di un modello di valutazione della qualità del progetto

1. Principali caratteri metodologici cui uniformare un modello di valutazione

Bibliografia

 

Iniziamo a leggere i primi capitoli:

Q1 – Alcune riflessioni sull’impiego della valutazione nel progetto di restauro

Vorrei per primo sottolineare la seguente citazione <<Negli anni più recenti l’azione di tutela e valorizzazione dei beni architettonici a carattere storico-artistico è divenuta un’istanza sociale e culturale condivisa e largamente diffusa, che costituisce premessa e stimolo di un’organica politica d’intervento. Dare continuità ed efficienza alla politica di conservazione dei beni culturali immobiliari, ottenendo il consenso necessario per attuarla, significa inserirla in un contesto definito da regole certe e da programmi rigorosi. Per rimanere nell’ambito del solo settore pubblico, il problema immediato che costantemente si pone ad ogni amministrazione preposta all’attività di tutela è quello di programmare le priorità degli interventi da eseguire, dal momento che, in linea di principio, tutti gli immobili cui si riconosca una valenza storico-artistica e più generalmente culturale meritano di essere conservati. Ed allora quali edifici restaurare per primi? I più degradati? Quelli di maggiore qualità? Quelli che presentano idonei livelli di compatibilità con lo svolgimento di nuove funzioni? Quelli che hanno un costo d’intervento inferiore? Tra i molteplici criteri indicati, poi, quale assume un’importanza maggiore? E quali sono le scale ed i criteri per misurarli singolarmente e globalmente?

Risulta evidente che, in presenza di mezzi scarsi a fronte di un patrimonio storico di eccezionali dimensioni e qualità, come nel caso italiano, la valutazione può dare una risposta logica ai quesiti posti e rappresentare, probabilmente, lo strumento basilare per cercare di ottimizzare l’insieme delle strategie di conservazione.>>Concordo con l’autore e credo che sia molto importante studiarsi bene questo strumento cosi importante.

 

Q2 – Procedure di stima e analisi dei costi

1. Categorie e variabilità dei costi

In questo capitolo parla dei costi variabili, e come già accennato in mio articolo precedente vuole aggiungere i costi di manutenzione e gestione ai costi d’intervento (calcolando il costo di sistema). Si potrebbe calcolare mediante la seguente operazione che secondo me è molto interessante;

<< L’omogeneizzazione dei costi di manutenzione e gestione rispetto ai costi iniziali d’intervento si ottiene mediante un’operazione di sconto all’attualità con un saggio d’interesse r. Occorre dunque moltiplicare i costi di manutenzione straordinaria K’ per il rapporto 1/(1+r)n’, ponendo n’ uguale al numero di anni per i quali si sostengono, ed i costi di manutenzione ordinaria K’’ e di gestione K’’’ per il rapporto qn – 1/rqn, con q uguale ad (1+r) e n al numero di anni di vita utile del manufatto.>> Non ho capito bene cosa intende con “saggio d’interesse”, ho un idea, ma non saprei come ottenere questo dato.

2. La procedura sintetica

2.1 Metodologia di stima

Il paragrafo inizia dicendo che;

<<La stima sintetica dei costi di restauro comporta il preliminare reperimento di dati, preferibilmente di consuntivo o in alternativa di preventivo, circa i prezzi di costo per interventi su edifici analoghi a quello oggetto di valutazione. Tali dati, che è bene siano stati riscontrati in tempi prossimi a quelli di stima, devono venire espressi in parametri unitari omogenei quali €/m2, €/m3 o in altri opportunamente individuati.>>Che mi sembra abbastanza chiaro. Più avanti dice poi;

<<Un’oggettivazione assoluta della procedura di stima può aversi quando la serie dei dati considerati si dispone con legge binominale, cioè secondo una curva simmetrica di forma campanulare asintotica rispetto all’asse delle ascisse. In tal caso, il punto di massimo della curva rappresenta il valore medio aritmetico, coincide con quello di maggior frequenza che resulta essere il più probabile valore di costo del bene oggetto di stima. Può invece accadere che, a causa del modesto numero di dati a disposizione e della non sempre riscontrabile analogia fisica ed economica fra gli immobili ed i tipi d’intervento analizzati, non possa rilevarsi una distribuzione perfettamente binominale. Se tuttavia si consta che entro contenuti limiti della serie è racchiuso il maggior numero di costi unitari noti, si può stimare ancora in termini sufficientemente oggettivi, sebbene più approssimati, il più probabile valore di costo relativo all’intervento sull’edificio in esame, eseguendo una media ponderata fra le rispettive quantità fisiche dei costi riscontrati con maggior frequenza.

Nel campo del restauro la varietà delle tipologie edilizie e delle qualità costruttive, i diversi livelli d’intervento, la carenza di dati utilizzabili per le analisi rendono alle volte poco applicabile la stima sintetica nella progettazione di massima o esecutiva, dal momento che questa potrebbe fornire valori non rapportabili alle scale di progettazione utilizzate.>>Con quest’ultimo ovviamente vuole dire che le stime sintetiche in fasi di progetto più avanzate non sono attendibili, però sono utilissime nella prima fase e nella fase di programma/fattibilità.

2.2 Alcuni dati di costo

2.3 I costi di restauro delle chiese

2.4 Il costo di restauro delle altre tipologie edilizie

I dati forniti in questi paragrafi sono un po’ datate (i valori sono attualizzati al 1994), volendo potrebbero essere attualizzati fino ad oggi. I dati però non sono utile per il laboratorio visto che la categoria d’intervento è quasi sempre “consolidamento; restauro; impianti”: non limitato al prospetto, come in nostro caso del laboratorio.

3. La procedura analitica

3.1 Metodologia di stima

<<La procedura analitica per la stima dei costi di conservazione consiste nella determinazione delle quantità fisiche oggetto d’intervento e nella previsione dei prezzi unitari per la fornitura e messa in opera dei materiali necessari all’esecuzione dei lavori, comprensivi degli oneri per l’uso dei mezzi d’opera, delle spese generali e degli utili di impresa. I prodotti tra prezzi unitari e quantità rappresentano i costi dei fattori produttivi, la cui somma determina il costo tecnico globale dell’intervento.>>Si tratta quindi di una stima molto semplificato, però poi dice;

<<In particolare, nella stima del costo d’intervento per l’esecuzione di opere pubbliche, vanno distinte le spese per lavori, corrispettivi e indennità a corpo, le spese per lavori a misura e le somme a disposizione dell’amministrazione. In quest’ultima categoria vengono generalmente inserite gli oneri per le indennità di occupazione permanenti o temporanee dei terreni, per imprevisti, per lavori in economia esclusi dall’appalto, per direzione locale dei lavori e assistenza. Successivi provvedimenti di legge hanno precisato le voci che entrano a far parte delle somme a disposizione dell’amministrazione, stabilendo aliquote per l’Iva, per le opere artistiche, per le prospezioni geognostiche e le spese tecniche.

Di fondamentale importanza risultano il dimensionamento e l’articolazione di quest’ultima categoria di costi, anche negli interventi di restauro meglio studiati, data la frequente ricorrenza d’imprevisti sia tecnici che economici.>>Poi parla del computo metrico-estimativo, ma vorrei soltanto sottolineare le seguente frasi;

<<Frequentemente accade che, per interventi di restauro più ordinari, si utilizzino prezzari o tariffe di prezzi elaborati da organismi pubblici e privati; questi a tutt’oggi risultano assai limitati e carenti nel numero di voci elencate. Il più delle volte le categorie di lavoro riguardanti il restauro sono riportate in prezzari relativi a generiche opere edili. E’ però da notare che i prezzi unitari dei tariffari non tengono conto delle caratteristiche specifiche dell’intervento da eseguire. Ne consegue che tali prezzi prescindono dal considerare variazioni marginali di costo derivanti dalle diverse quantità di opere previste.>>

4. La procedura intermedia per componenti tecnologici

4.1 Metodologia di stima

<<I procedimenti di norma utilizzati per la stima dei costi, in particolare nei lavori di restauro, non sempre risultano di facile percorribilità. Sovente non si dispone di un progetto esecutivo, indispensabile per una precisa computazione della quantità dei costi; altre volte non si ha il tempo necessario per una idonea applicazione della procedura analitica… Ai limiti indicati va aggiunto, per entrambe le procedure, un altro elemento critico; la capacità di operare un controllo economico sulla progettazione a mano a mano che questa viene definita.>> Per questo motivo si potrebbe usare la procedura intermedia per componenti tecnologici, simile a come già avevo descritto anche nel altro articolo.

4.2 Alcuni dati di costo

Nel libro ci sono 3 schede tipo del procedimento;

- Scheda tipo A si basa sulla rilevazione dei dati storici per la stima dei costi di restauro;

- Scheda tipo B si basa sull’adeguamento dei costi storici;

- Scheda tipo C si basa sulla stima dei costi del restauro.

Credo però che per il laboratorio non sia necessario visto che l’intervento è molto limitato. Potrebbe essere interessante nel caso del laboratorio usare la Scheda tipo B e di adeguare dei costi storici trovati nella letteratura ai nostri tempi, anche se non saprei molto bene come (da baiocchi/canna a €/m2 ??).

5. La misurazione delle variazioni dei costi: alcune considerazioni

5.1 L’indice del costo di restauro

In questo paragrafo vorrei sottolineare il seguente pezzo:

<<Nel settore dei lavori sul patrimonio edilizio esistente, in mancanza di un indicatore specifico, vengono ordinariamente utilizzati gli indici del costo di costruzione elaborati per la nuova edilizia. Ai fini dell’analisi delle variazioni dei costi di restauro ciò risulta improprio per due ordini di problemi. Il primo riguarda le voci di costo considerate che nei lavori di conservazione, rispetto a quelli di trasformazione e di nuova produzione, subiscono sicure modifiche ed integrazioni; il secondo si riferisce alle incidenze di costo di detti elementi che, relativamente ai comparti edilizi qui considerati, risultano quantitativamente molto divergenti.>>

<<Non essendo attualmente disponibile un indice specifico per misurare le variazioni dei costi di restauro, non è possibile fruire di uno strumento di analisi basilare per dare risposta alle esigenze di conoscenza prospettate all’inizio di questo capitolo. Un ausilio in tale direzione può trovarsi nei risultati forniti da alcuni studi condotti.>>

<<Da un’indagine sviluppata dal Ministero per i beni culturali e ambientali ed, in particolare, dalla Soprintendenza generale di collegamento per i lavori postsismici nelle regioni Basilicata e Campania, vengono indicate le incidenze delle principali voci di costo riscontrate in lavori di ripristino dei beni architettonici danneggiati dal terremoto. Tali dati, posti a confronto con quelli relativi ad interventi di nuova costruzione (indice Istat del costo costruzione di un fabbricato residenziale, base 1990 = 100), evidenziano che, sul costo totale d’intervento, si registra una maggiore incidenza della manodopera (dal 48,43% al 64,70%) a fronte di una riduzione delle incidenze dei materiali (dal 40,73% al 24,80%).>>

Il libro poi continua con altre tipologie di valutazioni cioè;

- Valutazione finanziarie

- Valutazioni economiche. L’analisi costi- benefici sociali

- Valutazioni sociali multidimensionali

Non ce la faccio discutere tutto oggi e mi sa che lascio questa parte per la prossima volta (anche se e forse la parte più interessante)…

Il valore della Permanenza

Il valore della Permanenza

Nell’ultima lezione abbiamo affrontato vari temi, uno in particolare ha attirato la mia attenzione ed è  quello della permanenza, permanenza intesa come valore.

Ma cosa è permanenza?

Una permanenza è ciò che persiste nel tempo, rimane e viene ereditato.

Diventiamo quindi eredi inconsapevoli di tracce di passato che entrano nella nostra memoria collettiva.

Riconoscere queste tracce di passato non è semplice e immediato, in quanto “assorbite” nella maglia regolare dell’edificato. E’ necessario analizzare lo sviluppo urbano, che è differente da luogo a luogo, specifico di un’area e riferito a un determinato periodo storico, unito alle conoscenze tecniche e materiali.

Quindi metodi di costruire differenti a seconda dei luoghi che si collegano e sono intrisi delle tradizioni ereditate dal passato. Tali azioni permangono nei manufatti e sono di assoluta importanza poiché costituiscono i riferimenti ed i modelli seguiti in passato, che servono come fonte di conoscenza e continuano a fare da modello ancora oggi.

Secondo Saverio Muratori la struttura attuale della città è la storia: la struttura attuale è, infatti il frutto di una successione di concetti di città, varianti nel tempo, e riconoscibili perché comuni ai singoli individui che vi hanno operato.

Quindi la città, con il suo continuo divenire, cresce su se stessa, arricchisce la sua memoria e in essa permangono i motivi originali.

Saverio Muratori sperimenta la sua analisi urbana su Venezia individuando in tal modo il tessuto base e gli elementi ricorrenti.

Gianfranco Caniggia successivamente, tra il 1959 e il 1963, utilizza il metodo di studio introdotto da Muratori applicandolo alla città di Como, scelta anche per la facilità di lettura dell’impianto.

Da questa analisi rintraccia la “matrice genetica” di Como che, rimasta sostanzialmente inalterata per due millenni, appare come il risultato della collocazione del castrum romano nella convalle.

Inoltre è stato possibile al Caniggia l’individuazione di più impianti, con la successiva determinazione di elementi tipici ricorrenti.

E’ necessario, pertanto, cogliere il rapporto primigenio che corre tra sito ed insediamento, attraverso la lettura della sua attuale forma, della struttura fisica e sociale che lo costituisce, e delle funzioni che ad esso sono attribuite.

Nella città di Roma è possibile riconoscere molti segni che, l’evoluzione continua e costante dell’opera dell’uomo ha lasciato.

Ne sono esempio: il Palazzo Massimo alle Colonne che, cristallizza il ricordo di un tracciato che non c’è più, la Colonna Traiana che segna il livello del terreno pre-sbancamento della collina della Velia oppure Palazzo Montecitorio che si caratterizza per la sua facciata convessa, dovuta all’andamento del terreno e delle vie circostanti ormai perdute.

Concludo quindi riportando alcune parole del libro di Aldo Rossi “L’architettura della città”, che sottolineano come queste “eredità” entrino a far parte del nostro patrimonio e come l’Architetto in quanto “artista vocato alla trasformazione dello spazio civile” deve sempre tenere in buona considerazione.

 “Progettare l’Architettura significa portare a coerenza le spinte della contemporaneità e quelle della memoria: e la città è il deposito della memoria.” 

Considerazioni sulla lezione “IL VALORE DELLA PERMANENZA”

Noi non inventiamo una nuova architettura ogni lunedi mattina”  Mies van der Rohe.

Quando si parla di permanenza si può pensare a diverse sfaccettature di questo termine, ma associandolo all’architettura, il significato si restringe in qualcosa che ha una continua presenza nel tempo. Il compito di un architetto è stato, è e sarà, inevitabilmente, legato al concetto di permanenza, che si tratti di un progettista, urbanista o restauratore. In tutte le discipline ci si andrà a scontrare, per forza di cose, con questa problematica, che porta a compiere una scelta: cosa far persistere nel tempo e come.

Aldo Rossi nella sua vita di architetto, affronta il concetto di permanenza, dando una sua  interpretazione, a questa problematica, direttamente nelle sue opere. Secondo Rossi, il compito dell’architetto è quello di studiare gli edifici della città, dedurre le tipologie di base su cui si sono formati e successivamente utilizzarli nella progettazione delle nuove strutture. Dietro a tutto ciò, vi è la nozione platonica secondo cui l’architettura è basata su una serie di forme ideali che sono distorte per adattarsi a situazioni particolari. Il procedimento di indagine cambia al momento del progetto, in cui si cerca di creare una trasformazione (che sia legata all’innovazione) mantenendo un forte rispetto verso la storia e la permanenza. La sua ispirazione all’architettura antica venne spesso fraintesa. Vi fu chi lo accusò di monumentalismo, persino di fascismo e di storicismo stilistico, senza capire come egli abbia invece assunto sulle proprie spalle, con la sua architettura, tutto il peso delle contraddizioni della storia dell' Europa. Per Rossi la forma era più durevole della funzione, e pertanto una teoria di architettura doveva prendere in considerazione l’aspetto della permanenza delle forme architettoniche. L’esempio più convincente di Rossi a supporto della sua tesi è il Palazzo della Ragione a Padova. Il Palazzo della Ragione era l'antica sede dei tribunali cittadini di Padova, ed è senz'altro la più importante architettura civile rimasta del Medioevo padovano. Fu eretto a partire dal 1218 e sopraelevato nel 1306 da Giovanni degli Eremitani, che gli diede la caratteristica copertura a forma di carena di nave rovesciata. Il piano superiore è occupato dalla più grande sala pensile del mondo, detto "Salone" (misura 81 metri per 27 ed ha un'altezza di 27 metri) con soffitto ligneo a carena di nave. L'edificio conserva ancora al piano terreno la destinazione commerciale per la quale è stato creato; il piano superiore, scomparsa la funzione di tribunale, è divenuto sede delle più importanti manifestazioni culturali cittadine ma, per la sua natura artistica e monumentale, è soprattutto museo di se stesso e come tale viene riconosciuto e vissuto.

Un altro personaggio italiano che ha segnato profondamente la storia dell’architettura italiana del 900 è sicuramente Franco Albini. Egli appartiene alla prima generazione di quegli architetti italiani che hanno saputo interpretare i più avanzati principi della modernità europea, alla luce della tradizione storica nazionale. Albini ha manifestato sempre la volontà di confrontarsi con la materia, piegandola alla dimensione artigianale, fino a comporre spazi costruiti “con l’aria e con la luce” declinati in opere urbane, oggetti di design, allestimenti espositivi e museali. Rappresenta un architetto che disegna il contemporaneo ma guarda al passato, del resto, lui stesso ammetteva di prendere spunto per i suoi progetti da architetture neoclassiche. Uno degli edifici che meglio esplica il suo modo di operare e le sue scelte è sicuramente il progetto per i grandi magazzini La Rinascente a Roma del 1957. L’edificio è costituito da sei piani fuori terra e tre sotterranei destinati ad impianti e servizi. La maglia strutturale è in ferro dal primo sotterraneo alla copertura. Il tamponamento, realizzato con pannelli prefabbricati in graniglia di granito e marmo rosso, è studiato per contenere le canalizzazioni degli impianti. Anche in questo edificio, dove il linguaggio architettonico si arricchisce degli esiti di una sempre più affinata ricerca tecnologica, è possibile leggere quel rapporto tra modernità e tradizione che è un tema costante nella riflessione di Franco Albini. La Rinascente si colloca nel contesto della città di Roma cogliendo una serie di suggestioni del suo ambiente e dei suoi colori e riferendosi alla tradizione storica dei palazzi rinascimentali e delle vicine mura aureliane.

Un personaggio che, a suo modo, continua questa ricerca personale di continuità con il passato è Josè Ignacio Linazasoro. Il filo conduttore che lega il percorso di Linazasoro è far risiedere nel progetto la capacità di definire una teoria in continuità con le architetture che lo hanno preceduto e con le questioni, sempre le stesse e quindi, inevitabilmente, senza tempo, a cui dare risposta. E’ solo nella capacità di affermare una continuità con l’architettura del passato che è possibile cogliere un pensiero autenticamente moderno. Viceversa il carattere più innovativo dell’architettura, e quindi la qualità del progetto, sta proprio nella capacità di rappresentare questa continuità, senza sentimentalismi o operazioni stilisticamente mimetiche, ma anche senza superficiali atteggiamenti modernisti che nascondono, dietro stupefacenti invenzioni tecnologiche, la propria vacuità. Un progetto che rappresenta significativamente l’approccio di Linazasoro verso l’architettura antica è l’intervento alla Escuelas Pias de San Fernando, un ampio progetto di riqualificazione del quartiere degradato di Lavapies, nel cuore di Madrid. Lo spazio urbano era dominato dalle rovine della chiesa, del complesso conventuale e del collegio di San Fernando, distrutti durante la guerra civile spagnola. Il progetto prevedeva il restauro della chiesa, priva di cupola e soggetta all’incuria, da adibire a biblioteca. Linazasoro compie la difficile scelta di conservare la struttura portante settecentesca, cogliendo suggestioni dai muri a vista e da alcuni lacerti di intonaco. L’intervento rilegge la preesistenza attraverso elementi fondamentali come l’uso di materiali differenti e l’illuminazione, che serve ad esaltarli. Per raggiungere questo scopo, il progettista realizza uno spazio dove le trame costruttive, sottolineate dalla luce naturale, costituiscono gli elementi espressivi del nuovo manufatto architettonico. Non ricostruisce la cupola, ma crea una copertura di legno lamellare, tagliata per consentire il passaggio della luce. Il fronte esterno costituisce un’interessante palinsesto che coniuga l’immagine a rudere della chiesa con l’inserimento di aperture, che segnano la nuova muratura in mattoni. Non mancano riferimenti ai resti di alcune parti decorative, che vengono esposte sul fronte principale con una sorta di riferimento archeologico. Tutta la “rovina” aveva bisogno di maggiore unitarietà e così è stato prescelto il mattone per cercare di ottenere un’immagine di forte coesione tra il nuovo e il vecchio. Si tratta di un materiale che, anche se non molto presente nel centro di Madrid, almeno nelle costruzioni posteriori al XVIII secolo, corrispondeva bene a questi impegnativi requisiti di uniformità. Si è cercato di mostrare la possibilità di integrazione tra ciò che è antico e il nuovo, a partire dal progetto.

“In un certo senso, ho voluto creare una continuità materica, ma con, allo stesso tempo, una discontinuità concettuale. Quando devo intervenire in un edificio storico, il mio intento è sempre di proporre un ordine nuovo in cui i resti dell’antico rimangano e vengano integrati nella costruzione recente.” Jose Ignacio Linazasoro.

Ciò che un architetto si trova a dover decidere al momento di intervenire su qualcosa di già costruito può portare a diverse scelte. Non è, obbligatoriamente, scontato approcciarsi all’antico con lo stesso linguaggio, materico o stilistico, per poterlo far sopravvivere in modo dignitoso e leggibile. Gli esempi che abbiamo analizzato ci fanno capire che non è necessaria una ricostruzione mimetica per rendere un’architettura ancora viva e fruibile. La scelta sta al progettista, si devono valutare attentamente tutte le possibili opzioni, cercando di tener presente il fine del progetto, ovvero conservare e tramandare un “valore” al futuro, con mezzi e modi che possono essere differenti e cambiare a seconda delle occasioni.

Architettura come costruzione nel tempo

“Non esiste un punto terminale in architettura: c’è solo mutamento ininterrotto”. Walter Gropius 1883-1969

Il concetto di durevolezza è da sempre insito nell’idea di architettura e nella necessità dello stesso uomo di avere un rifugio che possa resistere alle insidie del tempo. All'idea di durata è però connaturata anche l'idea di conservazione e di manutenzione, essendo un’operazione finalizzata a prolungare la vita dell'edificio e a riaffermare il suo valore artistico, funzionale e tecnico. Secondo questa prospettiva, gli edifici concepiti per durare nel tempo assumono dunque il carattere di permanenza, di “presenza nel tempo”. Su questa idea si fonda l'esigenza dell'uomo di rappresentare, con l'opera architettonica, valori trasmissibili nel tempo, sia funzionali e tecnici, che, soprattutto, simbolici, culturali e storici.

L’opera rappresenta un prezioso patrimonio in grado di raccontare una storia. Permane dunque il monumento, quel tipo edilizio che nel tempo si è adattato alle diverse funzioni, il più delle volte del tutto indipendenti dalla forma. Tuttavia è proprio quest’ultima a rimanerci impressa, a diventare un segno indelebile all’interno di un processo storico, temporale e progettuale. Il monumento diventa così uno “scrigno”, un elemento carico di suggestione inserito nell’ambiente urbano, con il quale deve convivere e confrontarsi. Uno spazio in continuo movimento, che molte volte non si accorge o da per scontato la presenza di queste opere, “vocabolari” da cui trarre definizioni architettoniche. Attraverso questi testimoni, infatti, è possibile leggere la storia, conoscere l’architettura, cogliere gli elementi fondanti della costruzione per poi ricomporli in una nuova idea. E’ lo spazio esistente che diventa l’elemento primario per una nuova architettura ed esempio, tra molti, di tale connessione è la Basilica Palladiana a Vicenza.

Palladio da prova della maturità da lui raggiunta e della pienezza del suo linguaggio, realizzando un’opera che costituisce uno dei massimi lasciti della cultura architettonica rinascimentale. La Basilica è il risultato “sconcertante” della sovrapposizione di culture costruttive diverse e di una mescolanza di spazi discordanti, il tutto mascherato sotto un apparato unitario e ordinato. Tale architettura è diventata così una memoria senza tempo, che “non passa mai di moda”, anzi è parte attiva della città, in quanto creazione per la collettività e capace di adattarsi alle esigenze mutevoli dell’uomo.

Nell’arco dell’ultimo ventennio, la Basilica Palladiana si è resa uno strumento attivo di cultura e di educazione grazie ad una serie di mostre di architettura, significative non solo per i soggetti trattati, ma anche per l’originale modo di allestire gli spazi. In realtà, tale edificio non è nuovo a manifestazioni espositive: infatti, notevole rilevanza ha avuto la mostra palladiana del 1973, organizzata dal Centro internazionale di studi di architettura e affidata alle esperte mani di Franco Albini, Franca Helg e Antonio Piva. L’allestimento, pensato dai progettisti, si basa sull’idea di riuscire a realizzare un percorso espositivo e interpretativo delle opere di Palladio, strettamente connesso con il monumentale invaso della Basilica. Avviene così una reciproca valorizzazione tra il contenitore e il contenuto e un rispetto, promosso in particolare da Franco Albini, della struttura interna, cercando di trasmettere così il linguaggio Palladiano.

La progettazione è, infatti, il modo per esprimersi, per comunicare con il mondo, per iniziare una ricerca di nuovi linguaggi, attraverso la sperimentazione, la capacità di risolvere i problemi sia dal punto di vista dell’utenza e dei committenti, ma anche dell’architetto stesso. E’ quest’ultimo ad imprimere nell’opera un segno stilistico, con la precisa volontà di far persistere nel tempo la propria architettura e il suo pensiero.

“V'è davvero alcunché di divino nei suoi progetti, né meno della forza del grande poeta, che dalla verità e dalla finzione trae una terza realtà, affascinante nella sua fittizia esistenza”. Goethe 1749-1832

Calendario delle revisioni di lunedì 21 maggio, ore 14,00 – aula Ersoch

Calendario delle revisioni di lunedì 21 maggio, ore 14,00 – aula Ersoch

Modulo di Estimo Terzo Anno

Comunico l'elenco dei gruppi che faranno revisione. Ricordo che il colloquio, per ciascuno dei gruppi, avrà durata di non più di 15 minuti. In occasione di tale incontro si discuterà:


-        dell’esercitazione svoltasi il 2 aprile scorso;


-        dei temi generali dell’Estimo trattati nelle lezioni;


-        della scelta del bene analogo;


-        dei primi provvisori calcoli metrici di progetto;


-        della relazione generale e di quella illustrativa;


-        delle ipotesi di stima del progetto in corso;


-        di ogni altro argomento a carattere valutativo.


Ricordo a tutti che è perfettamente comprensibile vi sia, a tutt’oggi, una certa incompletezza del progetto; l’incontro quindi con il sottoscritto ha carattere eminentemente di “colloquio chiarificatore” (esso non ha né valore di prova d’esame, né di esonero, etc.).


Dichiaro che, alla sopra descritta prima serie di revisioni, seguiranno ogni lunedì pomeriggio e fino alla conclusione del semestre, ulteriori altri incontri. Al fine di permettere a tutti di sostenere l’esame nel migliore modo possibile, esaurendo quindi per tempo l’esperienza del Modulo di Estimo all’interno dei Laboratori di Progettazione.


 


Di seguito l’elenco dei gruppi (estratti casualmente a sorte) che sono tenuti a presentarsi lunedì prossimo.


 


· LABORATORIO PALMIERI ore 14,00


1) Roberto Pantalfini - rob.pantalfini@alice .it


2) Giulia Ronconi – giu.ronconi@gmail.com


 


3) Adesewa Bertolazzi – aftersewahotmail.com


 


4) Rachele Mangano – rex32hotmail.it


5) Jessica Tozzi – jessica.tozzi89@gmail.com


 


6) Emiliano Pacifico – emiliano pacifico@yahoo.it


7) Claudio Felici


 


8) Daniele Gugliotta – daniele-gugliotta@hotmail.it


 


9) Daniele Gosti – dan.gosti@gmail.com


10) Cristina Fabrucci


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· LABORATORIO MONTUORI ore 15,30


11) Stefano Cirulli – arroccobilaccio@hotmail.it


12) Gaia Canè – tigro89@hotmail.it


 


13) Matilde Bevilacqua – matycricy@hotmail.it


14) Federica Colosimo – federica1785@hotmail.it


 


15) Eleonora Cascio – zingarella87@hotmail.it


16) Matteo Ciurlia – ciurliam@hotmail.com


 


17) Mario Ruiz Ortega – morioruizortega@hotmail. Com


18) Narciso Vormediano Chicharro – narcivc@correo.cegr.es


19) Angela Carmona Jimenez – angelacarmonajimenez@yahoo.es


 


20) Nino Tammaro – ntammaro@me.copm


21) Andrea Adriatico – adriatico@cinemare.it


 


22) Alessio Clarizio – clariziolab@gmail.com


23) Andrea Barba – a.barba18@hotmail.it


.........................


· LABORATORIO VIDOTTO ore 17,00


24) Pierangelo Perna – pie18@live.it


25) Francesco Proietti


 


26) Erica Agnelli – eri.agnelli@stud.uniroma3.it


27) Cecilia Falcone – falcone_c@yahoo.it


 


28) Mirko Fontanelli – mirko.fontanelli@mail.com


29) Matteo Polci – matteo.polci@gmail.com


 


30) Michela Infantino – michelainf@gmail.com


 


31) Edoardo Croce – edo.croce@stud.uniroma3.it


 


Si ricorda, infine, che è d’obbligo la presenza; e che per acquisire i 4 crediti di Estimo, occorre dimostrare la “presenza attiva” nelle 60 ore previste.

 

Prof. Alfredo Passeri


 

IL VALORE DELLA PERMANENZA

 

La lezione di ieri si è incentrata sul tema della permanenza e sul suo valore, argomento molto sentito in una città carica di testimonianze antiche come quella in cui viviamo.

Quanto di ciò che ci è stato tramandato continua a vivere con lo scorrere del tempo? In che modo noi architetti possiamo garantire che  un monumento continui a raccontare la sua storia? E come possiamo tutelarlo? Il nostro lavoro ci affida una grande responsabilità, ed è per questo che dobbiamo avere un’idea chiara di come relazionarci all’antico, cercando anche di imparare dai grandi maestri che ci hanno preceduto. Tra questi, vi sono Franco Albini, José Ignacio Linazasoro e Peter Zumthor.

Dell’operato di Albini ero in parte già a conoscenza, essendo andata, circa  un anno fa, ad una conferenza del Maxxi  in suo onore. Egli è stato tra i padri fondatori del razionalismo italiano, era quasi ossessionato dall’idea  di un metodo che sopprimesse ogni artificio superfluo. Essenziale erano per lui il rigore, la rettitudine. Ma come si rispecchia questo stile di vita in un lavoro che lo vede a stretto contatto con una permanenza? Per rispondere a questa domanda basta analizzare il suo allestimento della mostra  su Andrea Palladio, svoltasi nel 1973 all’interno della Basilica Palladiana. In questa occasione Albini si cimenta  cercando di rispettare al massimo la secolare struttura interna e mostrando un’attenzione maniacale per il metodo palladiano, in modo tale da non intaccare il messaggio originario trasmesso dalla fabbrica. Altro esempio di attenzione al contesto nell’iter di Albini è dato dalla Rinascente, in cui l’autore riesce a relazionarsi con i palazzi rinascimentali di Roma e con le mura aureliane, ricorrendo addirittura a soluzioni innovative, che vedono largo uso del cemento armato per la struttura e dell’acciaio nei montanti che arrivano fino alla linea di gronda.

Riguardo invece al rapporto tra antico e moderno nell’ideologia di Linazasoro, può esser utile riportare uno stralcio di un’intervista fatta al progettista, trascritta in un numero di “ Costruire in laterizio” .

Giornalista: “ Nella biblioteca situata nel quartiere di Lavapiés di Madrid ti confronti con un edificio storico, facendo convivere architetture di epoche diverse. Quale è il tuo atteggiamento nei confronti delle preesistenze storiche? “

Linazasoro: “ Ubicata del quartiere popolare di Lavapiés, questa biblioteca occupa gli spazi di un’antica chiesa del XVIII secolo, gravemente distrutta durante la guerra civile spagnola. HO CERCATO DI  MOSTRARE LA POSSIBILITA’ DI INTEGRAZIONE TRA CIO’ CHE E’ ANTICO E CIO’ CHE E IL NUOVO, a partire dal progetto. In un certo senso, ho voluto creare una continuità materica, ma con, allo stesso tempo, una discontinuità concettuale. Quando devo intervenire in un edificio storico, il mio intento è sempre quello di proporre un ordine nuovo in cui i resti dell’antico rimangano e vengano integrati nella costruzione recente. “

Il fulcro del progetto è dunque la “rovina”, e questo ha portato alla scelta di un materiale ( il laterizio) più consono ad uno spazio esterno che interno, ed anche la struttura ha come scopo principale quello di non interferire nella salvaguardia del rudere.  Entrando nel dettaglio della realizzazione dell’ Esculas Pias de San Fernando, meravigliosa biblioteca nata sui resti di una chiesa barocca, possiamo vedere come è presente una sequenza di percorsi interni ed esterni che mettono in comunicazione i vari spazi, alcuni dedicati alla biblioteca ed altri dedicati alle aule. L’espressività è resa  quasi del tutto dall’uso del mattone, con cui l’architetto gioca sapientemente.  Il prospetto di ingresso è caratterizzato dalla presenza di un grande muro, fatto di laterizi nuovi e vecchi, con resti decorativi in pietra. Non è poi volutamente stata ricostruita la cupola  ottagonale andata distrutta, che è stata sostituita con una copertura a volta, in doghe lignee lamellari, nei cui interstizi trapela la luce zenitale.

Passando a Zumthor, non si può non citare il suo intervento relativo al Museo per la collezione del arcivescovado di Colonia, nato dalle rovine della Chiesa di Santa Kolumba. Anche qui, ruolo primario è quello del mattone, che crea, in alcuni punti, un tessuto di trama larga, che riempie di luce l’interno. Ripercorrendo il profilo della chiesa, le pietre si intrecciano con la nuova muratura, che ha particolari dimensioni, atte a innestarsi nei muri medievali, per realizzare murature di spessori complementari alla pietra a cui si rivolgono.

Parola chiave in tutte queste architetture è quindi l’equilibrio tra la creatività e il patrimonio culturale, tra ideazione e conoscenza. E’ dunque possibile, tramite scelte accurate, accostare il nuovo all’antico, senza per forza alterare il significato di questo ultimo.

Il valore della permanenza - Il rigore di Franco Albini

 

Il valore della permanenza
“[…] col tempo la città cresce su se stessa: essa acquista coscienza e memoria di se stessa […]”.
Con questa ed altre frasi del libro Architettura della città di Aldo Rossi, ha inizio la lezione sul valore della permanenza.
“[…] non possiamo considerare lo studio della città semplicemente come uno studio storico. Dobbiamo anzi porre particolare attenzione nello studio delle permanenze per evitare che la storia della città si risolva unicamente nelle permanenze. Io credo infatti che gli elementi permanenti possano essere considerati alla stregua di elementi patologici […]”
Il senso di permanenza in una città consolidata come quella di Roma sta anche in segni e simboli, come quelli lasciati in epoca romana. La Colonna Traianea ad esempio, oltre a dover accogliere le ceneri dell’imperatore dopo la sua morte, aveva anche una funzione pratica: ricordare l’altezza della sella collinare prima dello sbancamento per la costruzione del Foro. L’altezza della colonna di 100 piedi corrisponde infatti all’altezza dello sbancamento del colle, come ricorda anche l’iscrizione riportata sul basamento in cui si racconta che la colonna venne innalzata “ad declarandum quantae altitudinis mons et locus tantis operibus sit egestus”.
Ma a Roma il senso di permanenza si avverte non solo nei segni, ma anche in veri e propri edifici, testimonianza del processo di sviluppo della nostra città. Le ville suburbane che possiamo ancora ammirare oggi (come ad esempio Villa Medici e Villa Borghese), rappresentano una permanenza delle numerose ville che sorsero a partire dal Rinascimento e prima del 1870 nel perimetro delle mura di Roma. Molte di queste ville furono demolite nel corso della febbre edilizia che investì la città e la sua nobiltà quando Roma divenne la capitale d'Italia e precisamente dopo il piano regolatore del 1883: “in questa Roma senza leggi né freni, dove il piano regolatore non era che la somma di tutti gli interessi manifestati prima della sua pubblicazione, salvare una villa significò distruggerne una dozzina tutt’intorno” [Italo Insolera, Roma moderna]. Se si fossero seguite le disposizioni del piano, questo patrimonio non sarebbe andato completamente perduto, prima fra tutti si sarebbe conservata la Villa Ludovisi, una tra le più belle ville di Roma, decantata da Goethe e Stendhal e di fronte alla cui distruzione protestarono D'Annunzio e Lanciani, sulla quale sorge l’attuale rione Ludovisi.
Anche in una realtà così lontana e così “recente” rispetto a Roma come quella americana, possiamo comunque ritrovare permanenze che ad esempio raccontano delle origini di Mahattan. La Broadway infatti trae origine da un antico sentiero indiano che tagliava l’isola. Una delle sue caratteristiche principali è dunque quella di non seguire la classica maglia regolare delle Streets ed Avenues, ma di tagliare Manhattan in obliquo, formando, di tanto in tanto, delle piazze (square), la più famosa dei quali è sicuramente Times Square.
E’ a Roma però che possiamo ritrovare il maggior numero di permanenze, che ancora oggi ci consentono di leggere le numerose trasformazioni, alcune delle quali condannabili, che hanno determinato il volto attuale della nostra città.
 
Saggi di buone pratiche di architettura: il rigore di Franco Albini
In occasione del ciclo di conferenze tenuto presso l’auditorium del museo del MAXXI di Roma nel 2011 e promosso dal Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario dalla nascita di Franco Albini, Marco Albini, docente, architetto e disigner specializzato nell’allestimento e nella museografia, nel corso del suo intervento, sottolinea come per il padre “il controllo della fantasia fosse un’ossessione”.
Franco Albini infatti rappresenta uno dei maggiori esponenti del razionalismo nonché simbolo di rigorismo e di minimalismo.
La sua carriera è stata incentrata sulla ricerca del rigore, della coerenza e della semplicità attraverso la realizzazione di allestimenti minimalisti e di “spazi negli spazi” negli ambienti museali.
Nella mostra su Andrea Palladio del 1973, Albini non si limita a fare l’allestitore, ma interpreta le opere del celebre architetto utilizzando il suo linguaggio e rispettando la struttura interna della Basilica Palladiana.
Non bisogna però dimenticare che Albini rimane anche uno dei precursori dell’architettura high-tech grazie all’usodi materiali sempre più tecnologiciealla progettazione di complesse soluzioni di dettaglio, come farà nella realizzazione dell’impianto di illuminazione della mostra.
Ma l’opera che meglio sintetizza l’innovazione e la tradizione tipica dell’architettura di Albini è la Rinascente a Roma, realizzata in collaborazione con Franca Helg nel 1957. Un’architettura contemporanea che guarda alla storia attraverso un accordo profondo con la città.
In questo edificio è possibile leggere la volontà costante dell’architetto di voler coniugare i principi della modernità con il concetto della permanenza del passato, richiamando la tradizione storica dei palazzi rinascimentali e delle vicine mura aureliane, ma con l’ausilio di soluzioni tecnologiche.

 

 

 

 

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