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Il Foro Italico e i costi del recupero (e del restauro)

Il Foro Italico e il costo del recupero (e del restauro)

La presentazione del caso del Foro Italico apre importanti discussioni circa gli interesse legati al recupero di beni architettonici, nonché al loro costo, soprattutto quando si parla di beni pubblici finanziati dallo Stato e che dovrebbero essere sottoposti a vincoli di inalienabilità e indisponibilità. Il Foro Mussolini nacque dall’idea politica del Ventennio dell’importanza dello sport, non solo per mistica fascista, ma come vera rappresentazione sociale ed economica del paese, tanto da essere promosso dall’Opera Nazionale Balilla; il destino del complesso fu però ben presto segnato dal giudizio sbrigativo e superficiale dei decenni del dopoguerra, il quale, complici le tradizioni di qualche secolo fa, decretò che per Luigi Moretti era tempo di Damnatio Mamoriae e per le sue opere poteva essere previsto qualche stravolgimento. Non si può dunque non parlare della Casa delle Armi, che non solo venne deturpata della propria poetica, di quel senso di vuoto e dei sofisticati giochi di luce, ma che negli anni ’70-’80 si rese praticamente irriconoscibile con l’inserimento di un Tribunale politico, di celle detentive, di recinzioni, di 7000 mc per le nuove funzioni, di un garage sotterraneo e infine anche con la scarsa attenzione rivolta alla ricchezza dei rivestimenti marmorei esistenti, che rendevano questa palestra-accademia un maestoso blocco monolitico. Si è trattato veramente di una delle più grandi deturpazioni di un bene del patrimonio architettonico contemporaneo, che ormai risulta irrimediabilmente perso per gli alti costi che comporterebbe un restauro filologico secondo i documenti d’archivio esistenti. Ma la Casa delle Armi non è l’unico esempio di dolosa perdita di significato storico, culturale e artistico, perché purtroppo questo è un destino di molti edifici, antichi o molto spesso moderni, il quale senso nella Storia non viene, o non si vuole, comprendere. Già solo nell’area del Foro Italico gli esempi non sono pochi: lo Stadio dei Marmi di Del Debbio, caduto nell’incuria dell’Amministrazione, sottoutilizzato e continuamente deturpato da eventi incongrui e assurdi; lo Stadio Olimpico, il cui spettacolare impianto del ’60 fu oggetto di un grande affare edilizio che permise di costruirvi una grande copertura sovrastante e 30.000 mq di uffici al di sotto che nessuno vuole utilizzare. Ma non sono i soli esempi, basti pensare alla Palazzina di Libera analizzata la scorsa settimana. Lo scopo della fattibilità sarebbe proprio quello di pervenire ad indicazioni qualitative e quantitative che permettano di valutare la convenienza del progetto, dal punto di vista economico e dei benefici: ecco perché dopo molto tempo il giudizio di alcuni su opere talmente degradate è quello di una demolizione totale, a discapito di un tentativo di recupero che evidentemente non trova ragion d’essere. Da questa premessa sulla fattibilità abbiamo possiamo introdurre il tema del costo del recupero e del restauro, e della reale volontà, oltre lo slancio idealistico ed emozionale, di investire risorse in questo tipo di operazioni atte a garantire il prosieguo della “permanenza” dell’opera architettonica. Operazioni che possono essere di diverso tipo, dalla manutenzione alla conservazione, dal ripristino al restauro, ognuna con un’accezione diversa, ognuna esigente un rispetto dell’opera e un atteggiamento critico specifico, ognuna necessariamente accompagnata da una stima e da procedimenti di misurazione dei costi, analitici o sintetici che usar si voglia, che si rendono indispensabili ormai per la buona riuscita di un progetto, anche di restauro. Perché non si debbano più accettare “cause perse” come la Casa delle Armi, vittima come il suo architetto, dell’oblio dell’ignoranza, e che oggi “giace a prendere la polvere come un esperimento mancato nello studio di uno scienziato” (M. Ferrari “Luigi Moretti. Casa delle Armi nel Foro Mussolini a Roma 1933 – 1937”).

Bene Analogo - Gruppo: Alessio Clarizio, Andrea Barba - Laboratorio Prof. L. Montuori

Architetto: Urbam + Dante O. Benini & Partners
Localizzazione: Viale Sarca, Milano, Italia
Anno di progetto: 2009
Realizzazione prevista: 2011
Committenza: Compagnia dell’Abitare

Costo: 1000 euro al mq

Alloggi: 112 ( da 48 a 100 mq)

Abbiamo scelto questo edificio perchè è uno dei pochi esempi di social housing con un edificio a torre. Infatti tale edificio è analogo al nostro sia per la funzione, sia per il sistema insediativo, sia per la posizione periferica in città, sia per le dimensioni. In particolare risulta essere un edificio a basso costo ma con elevata efficenza energetica: le tecnologie usate sono le stesse che vorremmo adottare nel nostro edificio come i pannelli fotovoltaici, le pareti ventilate, recupero acque piovane. 

Considerazioni sulle ultime lezioni di Estimo: il Vecchio e il Nuovo

Trovo intrigante l’analogia tra composizione metafisica in pittura  e compresenza di antico e moderno in  composizione architettonica. La suggestione metafisica che deriva dall’accostamento di passato e presente in architettura può essere un’esperienza edificante, piacevole e addirittura esaltante ma  anche grottesca, nociva e deprimente.

Riflettendo sui progetti di restauro analizzati durante le lezioni del corso del Prof. Passeri e non solo, ritengo che gli interventi che hanno generato risultati del secondo tipo siano purtroppo numerosi.

In alcuni casi la negatività di questi restauri è giustificata dal periodo in cui questi vennero effettuati, come il restauro del palazzo di Cnosso realizzato nei primi del ‘900, anni in cui il cemento armato veniva considerato un materiale ottimo proprio per la sua versatilità, venne quindi abbondantemente utilizzato nelle strutture storiche; ingiustificabili sono invece interventi che manifestano una non volontà di tramandare ai posteri le caratteristiche formali di una determinata architettura ma anzi addirittura di negarle come nel caso del Foro Italico ed in particolare della Casa delle Armi di Moretti.

Tuttavia se troppo spesso il nuovo non è stato all’altezza del vecchio mancandone di rispetto e deturpandolo , vorrei ricordare interventi che a mio parere sono stati benefici, quelli che partendo da una solida preparazione filologica si sono relazionati all’edificio storico in modo colto e generoso.

Considerando i casi analizzati a lezione non posso non elogiare il lavoro effettuato sulla palazzina di Libera ad Ostia che ha restituito l’ aspetto originario a questo importante esempio di architettura razionalista italiana. L’intervento non ha ricevuto sovvenzioni dallo stato in quanto l’edificio non è sottoposto a vincoli se non quello paesaggistico, i progettisti hanno quindi cercato di mantenere al minimo le spese,  ricadenti  esclusivamente sui tre proprietari, questa operazione di restauro ha richiesto quindi una continua abilità nel scegliere il giusto compromesso tra interessi privati e proposito culturale.

Palazzo Massimo alle Terme, sede di una parte del Museo Nazionale Romano, è un altro interessante caso che ha posto i restauratori (Carlo Celia e Stefano Cacciapaglia) di fronte alla necessità di far conciliare tra loro epoche distanti: l’antichità greco-romana delle opere esposte, l’ involucro ottocentesco e le operazioni effettuate nel passato intervento di restauro risalente agli anni ottanta diretto da Costantino Dardi.

Visitando il museo ho percepito la volontà dei progettisti di rispettare e valorizzare gli ambienti ottocenteschi, subordinandoli però al loro attuale compito di museo, ogni intervento manifesta questa generosità nei confronti delle opere esposte, questa volontà di guidare l’attenzione del visitatore verso l’esposizione: trovo quindi che Celia e Cacciapaglia siano intervenuti  progettando il “presente” in funzione del “passato”, ed è  in questo la piacevolezza delle loro scelte architettoniche, e il buon esito del progetto.

Trovo saggia e corretta anche la loro volontà di mantenere le installazioni per l’illuminazione risalenti al progetto di Dardi, nonostante il loro carattere, a mio avviso, un po’ egocentrico sia distante dalla filosofia del nuovo allestimento.

Altri due architetti , citati durante il corso, abili nel coniugare antico e moderno, sono Peter Zumthor che ha realizzato il Kolumba Museum di Colonia e Rafael Moneo il quale ha progettato il Museo del Teatro Romano di Cartagena.

Non ho mai personalmente visitato le loro opere ma guardando alcune fotografie trovate in rete, mi sembra che in questi ambienti il nuovo diventi custode dell’antico, diventi un mezzo che rende piacevole e agevole la fruizione del passato ai visitatori.

Concludo quindi elogiando il matrimonio tra passato e presente in architettura, nel caso del restauro però ritengo che, affinché lo stupore metafisico generato da questo accostamento sia quanto più edificante, il presente debba restare al servizio del passato, debba dialogare con il passato evitando il pericolo di sopraffarlo ed in questo suo delicato compito di servitore trovare la propria essenza formale e materica. 

Scelta del bene analogo ( Elisabetta Pizzari, Carina Valentin )

Laboratorio di Progettazione Architettonica e Urbana 6a

Prof: Luca Montuori

Studentesse: Elisabetta Pizzari, Carina Valentin

 

Come scelta ( ancora provvisoria ) di bene analogo, ci siamo ricondotte al complesso residenziale il " Rigoletto " facente parte del quartiere Ackermannbogen a Monaco di baviera in Germania, opera di A2 architeckten (Rainer Roth, Stefan Lautner) e Freising.

Il "Rigoletto" è riconducibile come tipologia ad un edificio a stecca, con altezza di circa 15 mt e lunghezza di 100.

Abbiamo momentaneamente scelto questo edificio come bene analogo, poiché esso presenta diverse analogie con il nostro progetto: la scala esterna in facciata che conduce a ballatoi abitabili, intesi come possibile spazio di distribuzione, e la presenza, all'interno, di servizi semi-privati per i condomini: caffè e ambienti comuni ( tezzazze ).

Area: 7382 m2

Costo di costruzione al mq: 393 euro

Anno di costruzione: 2004-2005

Riflessioni sulle ultime lezioni

Durante gli ultimi anni di studio, e in particolare durante le lezioni del modulo di Estimo, mi sono trovata a riflettere spesso sul significato della parola “restauro”. Dal momento che ho scelto di assecondare le mie attitudini personali, scegliendo di studiare Architettura e Restauro, questo equivale a porsi una domanda quasi di tipo esistenziale. Che cos'è il “restauro”?

 

Esistono diverse definizioni della parola e quasi tutte si riferiscono ad una serie di azioni volte alla manutenzione, al recupero, al ripristino e alla conservazione delle opere storiche, come suggerisce del resto, anche l'etimologia stessa della parola: dal latino: “re” e “staurare” = rendere solido nuovamente.

 

Ma le cose non sono così semplici. Esistono vari dibattiti sviluppatisi intorno alla materia, derivanti soprattutto dal fatto che restaurare non è mai un'operazione oggettiva. Esattamente come per la progettazione del nuovo, il restauratore esprime la sua personalità e la sua sensibilità professionale immersa inevitabilmente nell' humus culturale, sociale, politico in cui si trova a vivere.

Risulta chiaro quindi che non può esserci un'oggettività della materia sospesa nel tempo che si traduca in una definizione letterale univoca e chiara.

 

Non trovando risposta nelle definizioni della parola, ho ascoltato con interesse le varie lezioni sul tema nel corso degli anni di studio, in particolare quelle del modulo di Estimo.

 

A partire dalla visita al Palazzo Massimo alle Terme fino alle parole del Bonelli, è emerso un concetto fondamentale che appare quasi scontato se riferito al progetto dell' architettura del nuovo, ma che quasi mai si ascolta o si legge quando si parla di restauro: il concetto di fruibilità.

 

Il motivo che ci porta a desiderare il restauro delle opere è di certo l'interesse che queste abbiano la possibilità di continuare a vivere nel tempo, e ancor di più, che vivano affinché l'umanità abbia la possibilità di conoscerle e di farle proprie. E' importante capire che la cultura non deve restare fine a se stessa. affinchè possa portare a termine la sua missione intrinseca: quella di comunicare la bellezza dell'esistenza a tutti, in maniera indiscriminata.

 

Per questo motivo, quando ho ascoltato le parole dell'architetto Bonelli, tratte dal libro "Architettura e Restauro", questo concetto che da un po' cercava di emergere tra le mie idee, si è fatto evidente in maniera lampante.

Non c'è dubbio che per Bonelli, l'opera di restauro sia prima un' azione culturale e poi un'azione fisica:  le opere infatti, devono occupare la giusta posizione all'interno di un contesto culturale che sia in grado di giovare alle generazioni future. Che siano fruibili, quindi, comprese e vissute, prima a livello emotivo e poi a livello sensoriale.

 

Se pensiamo ad esempio, al riallestimento di Palazzo Massimo alle Terme, questo concetto appare immediatamente più chiaro. Si pensi all'utilizzo magistrale del colore, attraverso il quale è stato possibile esaltare le opere scultoree inserite negli spazi espositivi e allo stesso tempo conferire una guida che accompagnasse lo spettatore per mano lungo il percorso da seguire.

Il coraggioso intervento, ha portato anche delle critiche agli architetti incaricati di realizzare l'opera, dovute probabilmente all'atteggiamento di timore reverenziale verso l'antico che si ha spesso in questa nazione. Ma, dal confronto con le sale ancora non riallestite, l'intervento esce sicuramente vincitore, sia per la chiarezza del percorso, sia per l'interesse suscitato nello spettatore sia per la riuscita messa in luce delle opere esposte attraverso i contrasti cromatici. Rendere fruibile un'opera significa anche renderla immediatamente accessibile, cosa che a mio avviso accade felicemente in questo edificio.

 

C'è un altra questione da considerare quando si parla di restauro architettonico: quella del falso storico.

Pensando al Teatro di Ostia Antica, da molti definito come "pesantemente restaurato", possiamo dire di trovarci di fronte ad un falso storico oppure possiamo apprezzare la restituzione di un edificio nelle sue proporzioni spaziali, nei suoi materiali, nelle funzioni che doveva assumere ai tempi dell'antica Roma?

Se pensiamo alle parole del Bonelli, è assolutamente giusto che un'opera sopravviva allo scorrere del tempo per portare giovamento alle generazioni future, eppure il dubbio resta quando osserviamo i lavori di restauro del Partenone.

C'è bisogno di risarcire ogni singola lacuna dell'apparecchio murario affinchè si abbia una percezione che renda giustizia all'opera più famosa dell'acropoli di Atene?

 

La domanda nasconde il travaglio interiore di ogni progettista che si trovi ad affrontare un'opera di restauro: limitarsi a conservare oppure compiere un atto creativo che modifichi la forma dell'oggetto in base alle nuove concezioni culturali del tempo presente?

 

La questione ancora non trova risposta.

 

 

Riflessioni sulle ultime due lezioni di estimo: il Foro Italico ed il Recupero architettonico

 

L'ex Foro Mussolini, oggi Foro Italico, vasto complesso di edifici e impianti sportivi, nasce nel 1928, inizialmente su idea di Enrico Del Debbio e in seguito di Luigi Moretti.

Situato sulle pendici di Monte Mario, rappresenta uno dei principali interventi a scala urbana del regime fascista, significativo per l'intento di riunire attività sportiva e formazione ideologica.

Nella realizzazione di questo grandioso complesso, lo Stato intervenì in prima persona, finanziandolo interamente.

Le diverse costruzioni testimoniano l'oscillare della cultura architettonica del periodo tra classicismo stilizzato e deciso razionalismo, volti a rappresentare il monumentalismo e la forte identità propri del regime fascista.

Il progetto di Enrico Del Debbio si caratterizzava per la particolare attenzione al rispetto ambientale, secondo il criterio ellenistico, che seguiva l'orografia del terreno, a differenza del criterio romano che privilegiava l'elevazione delle murature. Tale progetto comprende lo Stadio Dei Marmi, l'Accademia di Educazione fisica, il Monolite Mussolini e lo Stadio dei Cipressi. Quest'ultimo, seppur non realizzato, era un'opera di forte impianto naturalistico e sfruttava appunto le depressioni del terreno. Lo Stadio Olimpico, nato appunto come Stadio dei Cipressi, sarà realizzato sino al primo anello murario ed inaugurato nel 1932. Nel 1952 lo Stadio venne riprogettato sulla base già realizzata dello Stadio dei Cipressi da Annibale Vitellozzi con una capienza di 80.000 posti. Nel 1990, in occasione del campionato di mondo di calcio, venne adeguata la capienza aumentandone le gradinate e inserendone una struttura reticolare ad anello. Intervento a mio parere incongruo, che con l'inserimento di piloni alti 14 metri, ha arrecato indubbio danno all'insieme ambientale e monumentale.

Lo Stadio dei Marmi anch'esso sfrutta il dislivello per allestire il campo e la pista. Il riferimento è allo stadio greco e all'architettura classica: gradinate perimetrali in marmo assieme alla presenza di sessanta statue di marmo rappresentanti tutte le provincie di Italia. Questo impianto, che rappresentò lo scenario del regime, oggi purtroppo viene deturpato con eventi incongrui. A partire dagli anni '80, infatti, diventando un luogo di pubblicità, iniziò a subire diverse degenerazioni d'uso: inizialmente ospitava un campo di calcio, diventò successivamente una sorta di pista per le motociclette, fino a diventare una pista da sci.

E' assurdo pensare che un impianto di così notevole importanza storica e architettonica possa essere così deturpato oggigiorno.

Ma l'opera più emblematica di questo grandioso complesso è senza dubbio la Casa delle Armi, realizzata da Luigi Moretti nel 1933. Moretti è uno dei maggiori architetti che operano durante il ventennio fascista, sarà però colpito dopo la guerra da una sorta di damnatio memoriae, in seguito rimossa a partire dagli anni '80 con l'inizio di una nuova stagione di interesse.

La Casa delle Armi è composta di due volumi ortogonali, la Biblioteca e la Sala delle Armi, collegate tra di loro da un passaggio pensile. Si tratta di grandi volumi, il cui rivestimento in facciata in marmo di Carrara, attraverso gli effetti di luce radente, contribuisce ad esaltare tutte le venature del marmo e l'eleganza e la purezza dei volumi e suggerisce l'idea di un interrotto blocco monolitico di marmo.

Infatti Moretti puntava a creare grandi effetti di luce ed era convinto che anche attraverso la pietra si potessero comunicare effetti di luce radente:attraverso una grande fenditura, si illuminano di luce riflessa omogenea il grande volume della sala interna della scherma e la grande pedana, creando quindi uno spazio unitario e solido.

Questo edificio nel 1974 viene adibito ad una funzione incongrua e quindi deturpato. Infatti, sebbene l'esterno, nonostante l'aggiunta di un'alta cancellata di recinzione e nonostante il fissaggio con viti di ferro delle lastre mantenga la sua riconoscibilità, all'interno questa viene invece compromessa dalle manomissioni per l'adeguamento in parte a a Tribunale in parte a carcere; in seguito si aggiunge anche una caserma dei Carabinieri. La Biblioteca all'interno viene completamente stravolta: negli spazi prima concepiti interamente vuoti, si inseriscono strutture in cemento per ottenere nuove superfici da destinare ad uffici; inoltre, fu realizzata un'aula bunker e viene scavata una trincea e una rampa con garage per portare i detenuti, causando quindi la distruzione di elementi esterni.

Tutte queste manomissioni hanno portato ad un deturpamento di un'opera di grande valore intrinseco, e gli eventuali interventi per rimediare a questi danni sono molto complessi e richiedono costi molto elevati.

Il problema maggiore delle architetture contemporanee del cemento armato, essendo molto più fragili delle altre, portano con sé già dall'inizio la logica della distruzione, e non essendo destinate quindi a durare in eterno, necessitano continue manutenzioni, indispensabili altrimenti si rischia di perdere il manufatto.

Bisognerebbe procedere a mio avviso ad un restauro di tipo filologico, mirato al ripristino delle sue qualità al fine di restituire all'opera l'antico splendore dei volumi e il fascino dei suoi nitidi spazi interni. Anche se i costi sarebbero molto elevati è importante tenere conto del fatto che i benefici sarebbero notevoli e compenserebbero gli investimenti pubblici: si conserverebbe un edificio di valore storico e artistico inserito nell'ambiente preesistente con criteri di rispetto paesaggistico, si restituirebbe alla cittadinanza l'uso di una splendida struttura dedicata allo sport. Insomma, si manterrebbe uno dei più grandi esempi di cultura e architettura razionalista.

 

 

 

Il Restauro come forma di cultura”, così scrisse Bonelli, segretario del processo di ricostruzione post-bellico INA Casa, nel suo libro “Architettura e Restauro” del 1959.

 

Ciò induce a riflettere su quanto incida sul progetto di restauro delle opere del passato la cultura del tempo: ogni tempo ha dato importanza diversa al rispetto e alla salvaguardia di ciò che la storia ci ha consegnato, di ciò che si è salvato dell'architettura del passato nel corso dei secoli. Qualsiasi progetto, infatti, deve tenere conto della storia e più diffusamente del valore della permanenza, concetto di fondamentale importanza in quanto rappresenta le tracce di una cultura millenaria.

A riguardo citiamo un esempio in cui non è stata rispettata la permanenza della stratificazione storica nel recupero del Mausoleo di Augusto, dedicato a lui e ai suoi successori; fu iniziato nel 27 a.C., cadde in rovina nella tarda antichità quando fu sfruttato come cava di materiali; fu però poi trasformato in vigna, giardino pensile, teatro, politeama e, infine, nel 1907 venne acquistato dal Comune di Roma e adattato a sala per concerti.

Tutto ciò oggi non esiste più. Mussolini, nel 1937, in occasione del bimillenario di Augusto, secondo il quale Roma sarebbe dovuta diventare grandiosa ed ordinata come si presentava all'epoca di Augusto, iniziò la demolizione delle strutture dell'auditorium sovrastanti il Mausoleo e costruì intorno alla piazza palazzi in stile monumentale dell'epoca a evidenziarne l'importanza del luogo e a conferirgli un aspetto celebrativo e scenografico, propri del regime fascista.

Il Mausoleo, frammento della Roma Imperiale, diventa quindi il centro di un nuovo spazio vuoto, non più fruibile ai cittadini e troppo basso rispetto agli edifici circostanti per essere messo in evidenza e, a mio avviso, non dialoga minimamente con il resto della piazza.

Tutta queste serie di operazioni incongrue hanno portato ad un velleitario tentativo di recupero dell'opera iniziale, senza tener quindi conto delle stratificazioni storiche che invece sarebbe stato utile conservare.

Il restauro archeologico comincia intorno alla metà del '700 in seguito agli scavi di Pompei ed Ercolano, alla riscoperta delle antichità greche ed alla scoperta di quelle egizie avvenuta con la campagna d'Egitto di Napoleone Bonaparte. Questo passaggio fondamentale della conoscenza dell'arte antica portò ad un cambiamento nel rapporto con le opere del passato dando l'avvio al restauro modernamente inteso.

Durante questo periodo si sviluppano due filoni differenti: quello che tende a distinguere l'integrazione rispetto alla parte preesistente, ricostruendo le parti mancanti in maniera riconoscibile attraverso la distinzione del materiale o la semplificazione delle forme, come è avvenuto ad esempio per il restauro dell'Arco di Tito eseguito da Valadier e il restauro del Colosseo ad opera di Stern; il secondo filone, stilistico, secondo cui il restauratore deve immedesimarsi nel progettista originario e integrarne l'opera nelle parti mancanti. Protagonista di questa seconda tendenza sarà l'architetto francese Viollet Le Duc che ricostruì le mura di Carcassonne come dovevano apparire nel Medioevo.

Verso la fine dell'800 in Italia nascono due nuovi modi di intendere il restauro architettonico: il restauro storico, finalizzato ad un ripristino integrale attraverso i documenti storiografici; il restauro filologico che riprende il concetto di riconoscibilità dell'intervento, prevede il rispetto per le aggiunte che sono state apportate al manufatto nel corso del tempo e tutela i segni del tempo.

Al giorno d'oggi gli interventi di restauro che si possono realizzare sono i seguenti: l'intervento di conservazione è finalizzato a confermare uno stato di fatto e si prefigge quindi lo scopo di arrestare le modificazioni in atto; l'obiettivo del ripristino è quello di ricondurre un sistema ad una condizione morfologica originaria, attraverso i documenti storici; infine il concetto di restauro che corrisponde all'idea di architettura come opera aperta, cioè disponibile alle interpretazioni e al giudizio.

Un esempio interpretativo è il restauro del Partenone, nella cui restauro si riproduce fedelmente l'architettura originaria, mantenendo la possibilità di distinguere chiaramente la parte antica dalle nuove aggiunte. Questo rappresenta al meglio l'idea di restauro, in quanto l'occhio coglie al meglio l'insieme, distinguendo però il nuovo dal vecchio.

Altro aspetto interessante della conservazione e utilizzazione dei centri storici riguarda l'accostamento tra vecchio e nuovo. A riguardo cito l'esempio del Museo Kolumba di Colonia realizzato da Peter Zumthor sui resti di una chiesa tardogotica distrutta in seguito alla seconda guerra mondiale. Qui il progettista non interrompe l'opera passata; prosegue infatti le antiche mura della chiesa costruendovi sopra il nuovo e attraverso il rispetto dei resti del manufatto originario crea una continuità tra passato e presente.

In questo modo l'antico diventa protagonista, e nonostante l'inserimento del nuovo, non viene contaminato, anzi al contrario viene esaltato ed è in grado di conferire maggior valore alla rovina storica.

Antico e contemporaneo possono perciò coesistere in armonia, pur sempre agendo adeguatamente nel rispetto dei caratteri, della leggibilità e dello spirito delle opere preesistenti.

Considerazioni sulle ultime lezioni: Permanenza storica e recupero

 

permanére v. intr. Rimanere durevolmente in una determinata condizione, senza variazioni o modificazioni.

permanènzas. f.  Continuità nel tempo

permanènte agg. Di cosa o situazione che si protrae nel tempo, spesso associata all’idea di stabile disponibilità o funzionalità oltre che alla pura e semplice dimensione della ‘durata’.

recuperare v. tr. Tornare in possesso di una cosa che era già propria o, in genere, che si era perduta.

G.Devoto, G. C. Oli, Dizionario della lingua italiana; Vocabolario Treccani: www.treccani.it

 

Permanenza storica e recupero. Alcuni esempi che mostrano diversi atteggiamenti possono aiutare a riflettere su questi temi.

Il progetto del Museo del Teatro Romano di Cartagena di R. Moneo ha riguardato la musealizzazione dei resti di un antico teatro romano, scoperto alla fine degli anni ’80, e dei reperti rinvenuti durante le campagne di scavo.

 “Per 1500 anni la città si era ‘dimenticata’ di questo teatro romano. Nel 1988, durante una campagna di scavi archeologici, si ritrovarono i resti dell’antico edificio pubblico: alla fine degli anni ’90 il teatro era quasi completamente liberato dalle costruzioni che nei secoli gli si erano sovrapposte. Delle successive stratificazioni si è conservata solo una parte della chiesa antica di Cartagena, duramente bombardata durante la guerra civile del 1939.” (dal sito http://fabiopravettoni.blogspot.it/2008/10/rafael-moneo-il-museo-archeologico-di.html )

L’intervento è stato quindi il recupero di un edificio antico,di un pezzo di storia perduto della città spagnola, di quella Carthago Nova fondata dai cartaginesi e poi diventata colonia romana.

Viene ora da chiedersi: che cosa è stata pronta a pagare, ovviamente non solo in termini economici, la città di Cartagena? Sicuramente nella decisione di riportare alla luce l’antico teatro è stato operato un atto critico, secondo il quale si è ritenuto più importante mostrare ciò che era in passato quel pezzo di città, musealizzandolo, piuttosto che lasciare inalterato lo sviluppo successivo, quell’architettura minore forse meno interessante ed attraente. Probabilmente una scoperta di tale portata può anche arrivare a giustificare una scelta di questo tipo, considerando anche il ritorno non solo economico ma anche culturale che essa può comportare.

Quello di Moneo è stato un intervento a scala urbana che ha messo in comunicazione parti diverse della città, inserendosi in modo esemplare nella sua orografia: il percorso museale infatti è concepito come una promenade che dal mare conduce sulla collina, dove si possono ammirare i resti romani

Il restauro del teatro aveva un fine didattico e culturale, volto alla comprensione del complesso da parte del visitatore. E’ stato necessario a questo scopo reintegrare alcune parti, senza però alterare l’aspetto d’insieme, scegliendo la strada della differenziazione eseguita con materiali compatibili per cromia e composizione.

L’inserimento delle rovine in un complesso monumentale dai tratti nuovi ma garbati fa comprendere come si possa conciliare l’antico con il contemporaneo, senza svalutare l’uno o l’altro ma al contrario dando nuova forza ad entrambi. Un atteggiamento attento come quello di R. Moneo, che in varie occasioni si è trovato ad operare su edifici del passato, è probabilmente la chiave per rispondere alla domanda di integrazione tra antico e contemporaneo, tra passato e presente. Ed in questo caso l’architetto l’ha fatto quasi in silenzio, senza disturbare, con un progetto perfettamente integrato nel contesto.

Atteggiamento diverso invece è quello seguito da P. Zumthor nel Kolumba Museum di Colonia.

Il museo sorge nel centro della città, in un luogo caratterizzato da una ricca stratificazione, con la quale era necessario confrontarsi. Il sito ospitava in origine una chiesa gotica che, distrutta durante il secondo conflitto mondiale, fu successivamente inglobata in una cappella; indagini archeologiche compiute negli anni ‘70 hanno anche messo in luce resti di precedenti edifici romani e medievali.

La continuità tra passato e presente è ciò che caratterizza il progetto di Zumthor: le architetture del passato sono inglobate nel nuovo edificio, rileggendo in chiave contemporanea quell’uso in continuità che è stato tipico dei secoli passati (basti pensare alla funzione residenziale assunta dal Teatro di Marcello o ai molteplici usi che si sono attribuiti nel tempo al Colosseo). La nuova costruzione si aggiunge all’antica, proseguendo i muri tardo gotici e seguendo il tracciato della chiesa originaria: non sono accentuate le cesure, si ricerca invece la maggiore integrazione possibile, arrivando a progettare un mattone ad hoc che si possa adattare al meglio ai resti medievali.

Il lavoro di Zumthor è attento e rispettoso, “teso a ritrovare il tempo della storia” senza però rimanere chiuso in rigide teorizzazioni che rischiano di immobilizzare la pratica.

 

I due casi finora visti dimostrano quindi che si può intervenire in modo positivo sull’antico senza rinnegarlo, al contrario si può garantire con il nuovo intervento la permanenza storica, una continuità non solo materica ma anche di memoria. Non è però solo verso l’antico che bisogna perseguire la ricerca di questa continuità. Interventi di manutenzione e recupero coscienzioso possono, o meglio, devono essere compiuti anche sull’architettura più recente, che rischia altrimenti di essere alterata in modo irrimediabile.

E’ questa infatti la situazione in cui riversava la Palazzina di Libera vista la scorsa volta e del più drammatico esempio della Casa delle Armi di Moretti, costruita tra il 1933 e il 1936 nell’area meridionale del Foro Mussolini. Un’opera raffinata, caratterizzata da una struttura ardita e da un utilizzo sapiente dei materiali. Nel corso degli anni purtroppo gli usi a cui è stato adibito questo edificio hanno sempre di più negato la sua natura. Negli anni ‘80 diventò un tribunale politico e caserma dei Carabinieri: modifiche irrimediabili furono compiute all’interno per adeguare, o forse costringere, la struttura alle nuove funzioni. Altri interventi esterni danneggiarono il rivestimento marmoreo che un tempo conferiva quella monoliticità classica al complesso. L’inserimento di una rampa esterna per raggiungere l’aula bunker sotterranea stravolse anche l’intorno, prima caratterizzato da una forte orizzontalità.

La Casa delle Armi così come concepita da Moretti non esiste più. E’ un rudere moderno, stravolto nella sua natura: la permanenza storica, la continuità di significato, del valore artistico e culturale sono ormai scomparse a causa di riusi fuori controllo. Dalle immagini successive alla costruzione si vede un edificio completamente diverso, per non parlare dell’intorno in cui è inserito.  Tutta la zona del Foro ha subito cambiamenti di funzione, a volte più compatibili, atre sicuramente meno. La Casa delle Armi è però tra i casi più eclatanti di deturpazione.

Qual è l’atteggiamento da assumere? C’è chi propone con preoccupazione la demolizione, cercando al tempo stesso di smuovere gli animi. Numerosi sono stati gli appelli di architetti e non per un intervento, per il recupero di questa architettura che ormai sta morendo.  

Di sicuro ciò che emerge da questa situazione è la necessità di adoperarsi, non solo per il patrimonio artistico antico ma anche per quello più recente, prima che troppo tardi; iniziando a chiedersi anche in questa situazione cosa siamo disposti a pagare, a sacrificare. Per quanto riguarda l’edificio della Casa delle Armi ciò che stiamo perdendo è parte della nostra storia.

I COSTI DEL RECUPERO (E DEL RESTAURO)

Quest’oggi ci è stata presentata la figura di un’illustre studioso di storia dell’architettura e teorico del restauro, che si è rivolto con particolare interesse alla sua città, Orvieto: Renato Bonelli. Ricoprì incarichi di spicco e scrisse numerose opere, tra cui Teoria e storia del restauro, del 1959. Secondo Bonelli “il restauro è un processo critico e un atto creativo”.

Noi oggi ci troviamo a vivere in un paese con un patrimonio artistico e architettonico tra i più ricchi al mondo. Proprio per questa ragione è fondamentale dare la giusta considerazione e rispetto a ogni opera architettonica che rappresenta il lascito che dovrà diventare ancora più valido per chi verrà dopo di noi. Per questa ragione  non possiamo lasciare che i monumenti siano relegati nella loro fruizione più comune, ossia come contenitori carichi di informazioni che sono lì solo per essere trasmesse a chi le coglie. Un’opera architettonica non è solo un documento che testimonia il passaggio di un’epoca, bensì rappresenta per la nostra cultura il grado più altro proprio per il suo valore artistico. Come afferma Bonelli, lo studioso deve avere rispetto per l’opera d’arte ma contemporaneamente deve agire per migliorarlo. E’ questo il compito del restauratore: analizzare e riconoscere il valore dell’opera nel contesto in cui è collocata, eliminando gli elementi che la sfigurano e la snaturano per riportarla all’antica forma migliore.  

Per cercare di codificare una corretta metodologia per compiere ed eseguire un restauro nel corso dei secoli sono state scritte Carte del restauro e redatti manuali, e nel 1978 è stata emanata una legge sul piano decennale della casa che comprendeva un articolo che riguarda gli interventi di recupero. Vengono individuate cinque categorie di intervento: la manutenzione ordinaria, la manutenzione straordinaria, la ristrutturazione edilizia, la ristrutturazione urbanistica e il restauro e risanamento conservativo.

Ci sarà sempre qualcuno, soggetto pubblico o privato, che metterà a disposizione il bene architettonico e ci sarà sempre qualcun altro che si prenderà carico di restaurarlo. Come di consueto, o almeno così si auspica, si esegue uno studio approfondito delle fasi cronologiche, si effettua un’attenta analisi dei documenti storici, si procede con un accurato rilievo e infine si ipotizza la migliore forma per attuare il restauro. Ma solo un problema rimane perché ciò effettivamente avvenga: chi è disposto a pagare? Naturalmente tutti sarebbero emozionalmente disposti a farsi carico di un restauro perché tutti sentono la responsabilità verso un bene che ci è stato lasciato e che è ricco di tracce di una cultura millenaria. Ma se non ci sarà mai un committente che farà il primo passo, non si arriverà mai ad un risultato. Molto spesso la mancanza di denaro porta a un parziale e mediocre intervento, volto a tamponare i problemi più evidenti, che non sempre sono i più critici, e a garantire la sopravvivenza del manufatto per un altro periodo limitato di tempo. Sono convinta invece che se si operasse in modo più attento e sistematico una volta per tutte, eseguendo analisi preventive per intervenire in modo mirato nei punti più critici, le risorse economiche necessarie sarebbero praticamente le stesse di quelle utilizzate per numerosi,  piccoli e frequenti interventi, ma con un risultato, senza dubbio, più duraturo.

Naturalmente il più delle volte questo non avviene perché chi ha il potere di decidere non si avvale del buon senso ma risponde a un padrone molto più potente, il denaro.

Diversi sono gli interventi di restauro che si possono eseguire:

- manutenzione, che è un atto finalizzato al superamento o alla prevenzione di danni;

- conservazione, cioè un intervento volto a confermare lo stato di fatto di un’opera;

- ripristino, un’operazione finalizzata a condurre alla condizione morfologica originaria;

- restauro, un intervento che può portare alla costituzione di una diversa situazione materica e morfologica. E’ un’opera aperta, disponibile alle “interpretazioni” critiche.

Altro problema e dibattito sempre acceso è quello dell’accostamento di vecchio e nuovo. E’ giusto far convivere un monumento antico , ricco di secoli di storia e dotato di una sua autonoma identità con una struttura nuova, moderna e di maggior impatto visivo?

Un chiaro esempio di questa convivenza è  il Kolumba Museum a Colonia di Peter Zumthor. L’architetto svizzero  all’interno del nuovo museo dell’ Arcidiocesi di Colonia ha unito la forte presenza del passato con l’innovazione del presente, creando uno spazio irreale pervaso da luci ed ombre. L’obiettivo era quello di rifunzionalizzare a esposizione permanente lo spazio di un antico sito archeologico ricomponendo le preesistenze e accogliendole all’interno della nuova fabbrica. Nonostante lo studio approfondito della componente materica e cromatica ritengo che sia un intervento inadeguato. E’ come se il comune di Roma decidesse di attuare la stessa operazione ai Fori Imperiali, completandoli e ricoprendoli tanto da impedirne la visione dall’esterno. Annullerebbe totalmente la bellezza del sito archeologico più ricco ed evocativo del mondo, e credo che questo non sia il più opportuno degli interventi possibili.

BENE ANALOGO_gruppo MARTINA GENTILI e ROBERTO COCCIA_lab 6A prof MONTUORI

La nostra scelta del bene analogo è ricaduta su un progetto realizzato ad Atene nel 2007 dallo studio di architettura JDSArchitects (http://jdsa.eu/about/), che si chiama, molto poeticamente, ARCHITECTURAL MOUSSAKA.

 

 

I punti in comune tra Architectural Moussaka ed il nostro progetto sono molti. In primo luogo la destinazione d'uso, residenze con annessi servizi, è assimilabile; inoltre la conformazione geometrica degli edifici è analoga, ma soprattutto il sistema degli spazi comuni/pubblici, creando un luogo collettivo al piano terra, è molto simile a quello del nostro progetto. Anche il sistema di distribuzione risulta affine: oltre alle scale, la distribuzione si articola attraverso piani dedicati alla circolazione, come una sorta di “piastra” di collegamento tra i volumi.

 

 

 

 

 

 

 

 

I progetti si somigliano anche per ciò che riguarda l'inserimento nel tessuto urbano, perchè condividono la scelta di non creare un corpo unico, ma di scomporlo in volumi più piccoli collegati tra loro, creando uno spazio più complesso ed articolato. Inoltre, al contrario di altri progetti da noi esaminati, la scala di questo intervento risulta più assimilabile a quella con cui dobbiamo confrontarci, essendo la superficie totale realizzata di soli 5500mq.

 

Per quanto riguarda i costi, essendo il progetto in una fase di stallo, non siamo riusciti a reperire informazioni dettagliate in proposito. Pertanto abbiamo deciso di azzardare una stima, basandoci sul costo al metro quadro di un altro progetto dello stesso studio, realizzato in Danimarca (http://jdsa.eu/tad/). La destinazione d'uso degli edifici è la stessa, come pure la scelta dei materiali (eccezion fatta per l'isolamento termico) e anche la conformazione geometrica e il tipo di inserimento nella trama urbana sono abbastanza simili, nonostante le dimensioni dei due interventi siano sensibilmente differenti. Una volta ricavato il costo al metro quadro di questo secondo progetto, lo abbiamo applicato all'Architectural Moussaka, ottenendo così una stima, per quanto vaga, del costo dell'intero intervento. Siamo consapevoli che tale stima non è molto accurata, e che dunque potrebbe essere alquanto diversa dalla realtà, ma poiché è il nostro primo tentativo non siamo stati in grado di fare di meglio. Alla fine del corso probabilmente avremo gli strumenti per fare un lavoro più accurato e plausibile, e potremo quindi verificare l'attendibilità di questa nostra prima stima.

 

Per chiarezza riassumiamo i dati relativi al nostro bene analogo:

 

progetto: ARCHITECTURAL MOUSSAKA

destinazione d'uso: MISTA (RESIDENZE, SERVIZI, COMMERCIO)

location: ATENE, GRECIA

anno di pubblicazione: 2007 (è anche l'anno di inizio dei lavori, che al momento sono però in stallo)

progettisti: JDSArchitects

superficie totale: 5500mq

costo al mq stimato: 1500 EUR

costo totale stimato: 8 250 000 EUR

Considerazioni sulle ultime lezioni

Paolo Marconi, in un’intervista apparsa sul Tempo il 3 Agosto del 1990, parlando dei monumenti dell’architettura del “Ventennio Fascista” afferma che essi rappresentano: Una città ideale ma fragile. […]Un’architettura che nasceva con il vanto della sua fine […]. Sulla distanza dei cinquant’anni il cemento armato dà preoccupazioni […]. Alle prese con un materiale così “fragile”, la manutenzione è tutto.

Tali parole possono essere emblematicamente associate al complesso di edifici del Foro Italico (inaugurato nel 1932 con il nome di Foro Mussolini) ed in particolar modo alla Casa delle Armi. Tale edificio fu progettato da L. Moretti nel 1936 e purtroppo, nel corso di nemmeno cento anni, è stato più volte devastato in tutti i modi possibili in cui un edificio può essere violato: nel giugno del 1944 vi si stanziarono le truppe alleate guidate dal generale statunitense M.W. Clarke; nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta fu parzialmente occupato dagli allievi frequentanti l’ISEF e, ad esempio, la Sala delle Armi fu trasformata in campo da basket; negli anni Settanta ed Ottanta fu adibito allo svolgimento di processi penali delicati dal punto di vista dell’ordine pubblico, come il processo Moro e quello contro le Brigate Nere e, a questo proposito, l’ala dell’ex Biblioteca fu trasformata in presidio delle forze dell’ordine, la Sala delle Esercitazioni divenne un bunker e vennero costruiti due livelli di uffici nella Galleria d’Onore dell’ex Biblioteca. Solo a partire dal 2001 le istituzioni si sono rese conto della necessità di trasferire altrove il nucleo di Polizia Giudiziaria insediatosi nell’ala dell’ex Biblioteca e, dal 2009, la struttura è stata consegnata alla gestione del CONI, nel quadro della cessione gestionale dell’intero complesso del Foro Italico. Di fatto, il CONI, anziché preoccuparsi di tutelare e valorizzare gli edifici posti sotto la sua gestione, si limita tutt’oggi ad affittare lo Stadio Olimpico per le partite di calcio, per competizioni di atletica leggera, per alcuni concerti ed altri eventi di vario genere. A questo proposito, non bisogna dimenticare lo scempio compiuto sulle strutture dello stesso stadio in occasione dei mondiali di calcio del 1990, quando il CONI stabilì che la finale si sarebbe dovuta disputare in uno spazio al coperto; per questo motivo, anziché procedere alla costruzione di un nuovo impianto all’avanguardia per tecnologia e sicurezza, si optò per lo stravolgimento dello Stadio Olimpico con l’introduzione di coperture in acciaio e l’aggiunta di nuove gradinate in pannelli di legno. Probabilmente tale scelta venne fatta soprattutto per motivi economici, ma dubito fortemente che gli autori di tale intervento possano ritenersi soddisfatti. Per quanto riguarda tutti gli altri edifici del Foro Italico, il CONI non sembra preoccuparsi troppo del loro destino che sembra sempre più quello del degrado e dell’abbandono se tutto continuerà ad essere così com’è. La Casa delle Armi, in particolare, è un gioiello architettonico che deve essere conservato e tutelato innanzitutto perché altissima espressione del pensiero del suo creatore (con i suoi giochi di luce/ombra e con la sapiente contrapposizione di vuoti/pieni, tanto che lo stesso Moretti lo definì un grande contenitore vuoto) e poi perché è testimonianza del passato italiano. Perché nessuno ha mai messo in discussione l’importanza degli edifici progettati da Michelangelo piuttosto che  da Raffaello o da Bramante, considerati (a ragione) opere d’arte, ma in molti sono pronti a negare la validità delle architetture realizzate nel Ventennio Fascista? E’ vero, esse sono espressione dell’ideologia corrente di quegli anni, ma non per questo possono essere demonizzate, condannate all’oblio o peggio, massacrate con interventi incongrui. In nessun Paese civile dovrebbe essere permesso un simile atteggiamento. Tornando all’edificio di Moretti, oggi bisognerebbe provvedere ad un restauro altamente filologico, dal momento che esistono numerosi documenti che testimoniano le sue fasi costruttive ed i materiali usati, che miri a ripristinare l’immagine originaria del suo capolavoro. Successivamente, la struttura potrebbe essere adibita a museo dell’architettura o potrebbe essere visitata se inserita in un percorso di guida che comprenda altre architetture contemporanee. Certo, i costi di un tale restauro sono stati stimati intorno ai 15 milioni di Euro: una cifra impossibile da raggiungere senza l’apporto di privati che possano effettivamente finanziare l’intervento. Ma allora è meglio continuare a lasciare la struttura abbandonata a se stessa come fosse un malato inguaribile? Forse le istituzioni potrebbero farsi un “esame di coscienza” e capire dove e come sono stati investiti fino ad ora i fondi europei destinati al restauro e alla conservazione dei beni architettonici (la maggior parte dei quali, in Italia, riversa in condizioni di degrado e di totale incuria) e porre un rimedio a questa situazione che, a mio parere, danneggia gravemente l’immagine del nostro Paese. Mi riferisco non solo a singoli edifici immersi in un tessuto urbano, ma anche ad intere aree archeologiche che tutto il mondo ci invidia come Pompei, Ostia Antica, la Valle dei Templi di Agrigento, solo per citarne alcune; si tratta di veri e propri monumenti che attirano frotte di turisti ma che sono mal restaurate e/o mal conservate, invase dalla vegetazione. Quale senso può avere possedere un così vasto patrimonio  culturale, artistico ed architettonico se non si ha la volontà di valorizzarlo? A cosa serve scavare per riportare alla luce antichi complessi romani o greci se poi tutto viene nuovamente coperto, come i mosaici che altrimenti si danneggerebbero se esposti in modo continuativo agli agenti atmosferici, o se i ruderi vengono lasciati come tali? Una delle ultime volte che sono stata ad Ostia Antica, una signora inglese mi ha chiesto perché gli antichi romani vivevano in case senza i tetti; in un primo momento ho pensato che stesse scherzando, poi mi sono resa conto che, senza un efficiente apparato didattico che ne ricostruisca la storia e che lo spieghi al grande pubblico, qualsiasi monumenti appare muto, svuotato della sua anima. Per questo motivo ritengo che gli interventi di ricostruzione del Partenone sull’Acropoli di Atene possano essere considerati un tentativo valido di restituire identità al luogo per eccellenza più famoso della civiltà classica e del mondo antico in generale. E’ ovvio che per tale ricostruzione verranno utilizzati elementi originali ed elementi nuovi (con le stesse caratteristiche materiche di quelli originali), ma ciò è inevitabile; d’altronde lo stesso percorso è stato seguito anche per gli altri edifici presenti sulla spianata, primo fra tutti l’Eretteo, che presenta, nella Loggetta a sud, delle Korai che sono una copia in gesso di quelle originali conservate nel Museo dell’Arcropoli.

In altri contesti, invece, può avere esiti particolarmente felici l’idea di inserire, in un contesto antico, un’architettura moderna, come nel caso del progetto di Rafael Moneo per il Museo del Teatro Romano di Cartagena o di quello di P. Zumthor per il Kolumba Museum a Colonia.

Nel primo caso si tratta di un museo, inaugurato nel luglio del 2008, che si innesta in un tessuto urbano molto stratificato e che è stato allestito proprio grazie ai ritrovamenti archeologici effettuati durante lo scavo dell’area. E’ lo stesso Moneo ad affermare che Lo scavo diventa lo strumento per cercare nelle sue viscere la diretta testimonianza di un passato sepolto, [in quanto c’è] un legame diretto fra gli edifici e il passato che i luoghi nascondono. La novità del progetto di Moneo risiede nel fatto che il Teatro Romano rappresenta l’ultima tappa del percorso espositivo del museo e, ad esso, funge da fondale paesaggistico il Parque de la Cornisa; l’intervento di restauro su questo monumento è consistito sostanzialmente nel consolidamento delle parti originali che rischiavano di crollare, nell’integrazione di alcuni elementi costruttivi andati perduti e nella messa a punto di un sistema di percorsi interni che permettessero una migliore fruizione di quello spazio. Parzialmente diverso è, invece, il lavoro svolto da Zumthor nel Museo dell’Arcidiocesi di Colonia: l’edificio, infatti, si presenta come una sorta di “fortilizio” che contiene al suo interno rovine romane, franche, romaniche e tardogotiche e che pare negarsi al rapporto verso l’esterno. L’architetto, ripercorrendo il profilo planimetrico della chiesa originale, prosegue le antiche mura della chiesa tardogotica, utilizzando dei mattoni realizzati a mano e dall’inconsueto formato (4x21x54 cm), che sono stati studiati per anni nella composizione materica e cromatica e che ben si innestano nei muri medievali. La nuda purezza del muro, a volte, diventa traforo e la luce, che entra attraverso tali fessure, crea splendidi giochi di chiaroscuro. L’eleganza del progetto risiede nel fatto che in esso convivono, senza la prevalenza dell’uno sull’altro, passato e presente, esposizione museale ed architettura perché, come afferma lo stesso Zumthor, Passato e presente nella buona arte si incontrano.

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